ESPERIENZA PERSONALE DI FEDE

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Credente
venerdì 8 gennaio 2010 11:10

Era un mattino di prima­vera, quando appena smon­tato dal lavoro notturno, mi recai presso un paesino per conoscere uno « strano gio­vane », che vi era tornato dopo esservi stato invitato da un amico del luogo.

In giro circolavano voci che dal suo arrivo era sorto un grande entusiasmo tra i giovani del paese per la sua capacità di rendere festosa la testimonianza cristiana ma anche, che a causa di una certa diffidenza degli adulti, era stato costretto a passare qualche notte all'aperto, sot­to le stelle.

Dopo essere ripartito per prendere la sua roba era tornato stabilendosi in un vecchio casolare, che una an­ziana coppia gli aveva mes­so a disposizione.

Intendeva infatti continua­re il rapporto di amicizia instaurato con quei giovani.

Così, appena seppi del suo ritorno, non indugiai neppu­re un momento, dirigendomi spedito con la mia vecchia automobile presso il paesino di cui sto parlando, situato su una amena collina.

Spesso pregavo il Signore di condurmi nella via della Fede, perché pur condivi­dendo la comunione frater­na con il gruppo pentecostale del paese in cui vivo, av­vertivo l'insicurezza sul suo fondamento cristiano aposto­lico, anche se non mancava­no i segni della Sua pre­senza.

Desideravo forse inconsapevolemente che qualcosa accadesse nella mia vita per sentirmi spinto a iniziare un cammino nella Chiesa catto­lica.

Arrivai dunque ansioso al paesino e, chiesto al primo passante dove si fosse stabi­lito il «giovane venuto da Milano» me ne in­dicò subito il luogo.

Entrai e fui accettato con molto calore; rimasi colpito dalle icone sistemate sui mu­ri delle stanze, dalle corone di rosario, immaginette e crocifissi allestiti su un ta­volo, che mi fecero rimane­re un po' perplesso senza tuttavia irrigidirmi.

L'entusiasmo con cui sta­va riordinando l'abitazione, insieme ad una ragazza, vin­se i miei pregiudizi, mi ofrii per porge­re il mio aiuto. Continuammo così, apren­doci l'uno all'altro, per cono­scerei meglio.

Rimasi profondamente toc­cato dalla convinzione con cui egli, citando spesso il Vangelo, considerava la Chiesa l'unica dispensatrìce del­la Verità insegnata da Cri­sto.

Preferì poi lasciare in so­speso quel discorso, quan­tunque avessi desiderato con­tinuarlo, per darmi il tempo di digerire quel punto di fondamentale importanza per me.

Rimuginai a lungo su quel­l'avvenimento che aveva rimesso in moto tutti i miei pensieri per capire meglio il senso di quell'incontro.

Non vedevo l'ora di torna­re di nuovo al paesino e ap­pena vi arrivai, trovai Enzo insieme ad alcuni nuovi ami­ci sulla soglia del vecchio ca­solare, tutto intento ad ac­carezzare una coppia di tortorelle e a giocare con un vispo ranocchietto : i suoi ventiquattro anni di fronte a una simile spontaneità in­tenerirono il mio cuore fa­cendomi riflettere.

Lo invitai a pranzo in fa­miglia e mia madre lo accol­se senza tuttavia nascondere qualche dubbio; presto però cambiò atteggiamento quan­do Enzo cominciò a parlare della Madonna. A tutti si era riscaldato il cuore tanto che cominciammo a cantare e a battere le mani così appas­sionatamente da far accor­rere il vicinato incuriosito.

Arrivarono anche parecchi ragazzi dal paesino felici di averci raggiunto dopo aver sfacchinato a piedi per otto chilometri.

E rimanemmo fino a po­meriggio inoltrato ad ascol­tare tutt'orecchi fatti narra­ti nel Vangelo come se li sen­tissimo per la prima volta.

Vedendo poi che il nostro canto gioioso riusciva ad at­tirare l'attenzione, Enzo pro­pose di andare in giro per i paesi circostanti a fare apo­stolato con la chitarra e ben presto ovunque molti giova­ni conobbero una nuova pro­posta che li invitava a coin­volgersi.

Il vecchio casolare fu denominato « Ce­nacolo della Divina Miseri­cordia » perché c'era un qua­dro di Gesù Misericordioso che Enzo aveva dipinto, e divenne un richiamo per quan­ti si erano sentiti toccati dal­la nostra testimonianza.

In determinate ore del giorno si recitava il rosario, in altre si lavorava: alcuni disegnavano o leggevano, al­tri costruivano oggettini o facevano calchi di gesso, al­tri ancora curavano l'am­biente per renderlo più bello ed accogliente.

Al sabato anche la gente del paese partecipava alla meditazione su un brano del Vangelo e molti venivano dai paesi d'intorno.

Ci capitò, più di una volta, di vedere al « cenacolo » dei giovani incontrati in qualche occasione di apostolato, osti­li a quel modo di presentare il Vangelo, commossi davan­ti al Gesù Misericordioso e qualcuno addirittura in la­grime.

La sera ci si recava in gruppo presso un piccolo torrente per pregare e can­tare attorno al fuoco che ac­cendevano per far luce.

Tutto sembrava aver riac­quistato un nuovo sapore perché avevamo trovato chi ci capiva e ci aiutava a guar­dare con purezza tutte le co­se: e questo esercitava un fascino particolare perché ci si sforzava sinceramente di vincere le inclinazioni che avrebbero reso la vita meno bella.

Quando Enzo mi disse che ormai era giunto il momento di fare una scelta circa la mia posizione nei confronti della Chiesa cattolica, lo sen­tii così affettuosamente in­transigente che quell'invito mi sconvolse; non era però possibile trascurare con quanta fede egli vivesse il suo cristianesimo nella Chie­sa e quanto amasse in fondo degli sconosciuti, al di là dei comuni esempi di indifferen­za nelle nostre parrocchie. Decisi allora di correre il ri­schio, affidandomi alla fe­deltà del Signore che avreb­be saputo condurre a termi­ne la Sua opera. Avevamo fatto conoscenza con i parroci dei vari paesi e tutte le volte che ci reca­vamo ad una cittadi­na a circa 20 km. Di distanza, andavamo a trovare un anziano vescovo rimasto cie­co che provava molta gioia delle nostre visite.

Naturalmente non manca­vano mai lo scetticismo e la polemica e molti comincia­rono a voltare le spalle o ad ostacolare quella esperienza.

Tutto questo recava molto dolore al nostro giovane amico che vedeva ricambiata la sua disinteressata amicizia nell'amore al Signore con la indifferenza e l'abbandono di chi aveva sbollito l'entusia­smo iniziale.

Sensibilissimo, quando ve­deva che qualcuno incontra­va delle difficoltà a rimanere nel gruppo e cominciava ad allontanarsene, si affliggeva tanto da perdere lui stesso la pace.

Viveva con la massima partecipazione ogni singolo avvenimento e si immedesi­mava a tal punto nella per­dona che di volta in volta stava considerando o con cui parlava, da sentirne tutte le particolarità di gioia o di sofferenza.

Questa sua caratteristica di immedesimazione con le persone appariva ancor più evidente quando considera­va la natura circostante, go­dendo nel contemplare le opere della creazione e unen­dosi al canto degli uccelli o al sibilo del vento per glori­ficare il Signore.

Ciò che maggiormente mi stupiva era la sua commo­zione quando entrava nelle chiese per far visita al San­tissimo.

Un giorno nella chiesa del mio paese scoppiò in lagri­me e singhiozzi e a dire il vero temetti che gli fosse ac­caduto qualcosa soprattutto perché aveva portato le ma­ni sul cuore ma mi disse poi che aveva sentito il dolore della solitudine di Gesù « pri­gioniero d'amore » nel taber­nacolo.

Tutti i giorni ci faceva par­tecipare alla S. Messa e ci invitava alla frequenza della confessione e della Comunio­ne che egli riceveva sempre con grande fervore. Era preoccupato però se non ve­deva qualcuno e si rallegra­va se si vedeva più appoggia­to ed incoraggiato. Desiderava che anche gli altri fossero infervorati co­me lui e si prodigava con tutte le sue capacità, scher­zando, cantando, danzando o dipingendo per far notare a tutti di essere innamorato di Gesù; ma sempre più spes­so la sera si ritrovava stan­co e deluso, inaridito per essersi completamente svuota­to in questo tentativo.

I giovani che si vedeva at­torno erano sempre meno, perché i più si erano resi conto che in fondo seguire una simile esperienza avreb­be comportato rinunce con­tinue e si cercava di masche­rare la mancanza di coraggio ad affrontare l'impegno cri­stiano con critiche o con giu­stificazioni.

Ciò intaccò a poco a poco lo slancio generoso di Enzo che, quantunque pieno di energie e vitalità, non riusci­va a concepire la sua vita senza sostegni e senza appog­gi umani. Cominciò a fare supposizioni se fosse vera­mente quella la strada per la quale il Signore lo aveva chiamato.

Cercava di farsi coraggio pensando di salvare il suo contributo a dare testimo­nianza di Fede riaffermando­si nel campo dell'arte e alla fine decise ritentare in que­sto senso riproponendosi di mantenere i rapporti con quelli che avessero voluto.

Ne seguì per più di un an­no un contatto epistolare in­tervallato da alcune visite di pochi giorni che servirono a mantenerci uniti e ad inco­raggiarci. Aderimmo poi a un movimento ecclesiale e rompemmo tacitamente quel legame.

Lessi dopo alcuni anni su un quotidiano che Enzo era uscito illeso da un gravissi­mo incidente stradale e che questo lo aveva portato nuo­vamente a riflettere sulla vo­lontà del Signore a suo ri­guardo.

Mi fece piacere sapere che aveva ancora una volta la­sciato tutto per disporsi al­la sequela di Cristo ma mi sentivo così intiepidito che neppure ebbi la voglia di scrivere due righe per rial­lacciare i rapporti.

A distanza di sette anni vissuti con un pauroso de­crescendo, ricevetti un giornaiino di «fratel Enzo » intitolato: CRESCERE INSIEME.

Mi fecero riflettere le numerose testimonianze di fecondo apostolato svolto in tutta Italia; ma non ebbi la buona volontà di prendere la pen­na quantunque sentissi che da ciò poteva ricominciare una vita più vera.

Passò ancora qualche me­se e questa volta era fratel Enzo stesso che riapriva con una lettera fiume un rappor­to da me inconsapevolmen­te tanto atteso: mi balzò let­teralmente il cuore per le sue espressioni di accorata amicizia in cui mi vedevo ri­compreso e riabbracciato al di là di quello che poteva es­sere ormai il mio stato.

Avevo ritrovato l'Amico che mi offriva di nuovo se stesso dopo essere stato pro­vato duramente dalla solitu­dine e dal rifiuto della socie­tà. Compresi allora che que­gli anni avevano fatto matu­rare la sua giovane fede ren­dendolo più esperto della in­fedeltà dell'uomo e della fe­deltà di Dio conquistata at­traverso la lotta tenace con­tro le proprie passioni e le « sicurezze » del mondo.

Desiderai allora ansiosamente di rivederlo anche perché avevo sognato qualche tempo prima che una grande luce si era sprigio­nata da quell'incontro e co­sì accadde realmente pochi giorni dopo quando si rese disponibile per venire a svol­gere apostolato nel mio pae­se.

Lo trovai col cuore ancora più spalancato di una volta, pronto ad accogliere, a do­nare la sua gioia e ad inco­raggiare, tutto però con un contegno ed una prudenza che prima non aveva e sen­za preoccuparsi minimamen­te di essere accettato o re­spinto.

Notai subito il carattere ordinato del suo apostolato teso a valorizzare ogni atti­mo dando il massimo risal­to alla preghiera metodica attraverso la liturgia delle ore e alla partecipazione eu­caristica quotidiana.

La sua insistenza sulla pu­rezza era una costante che colpiva tutti e rendeva più amabile ogni altro discorso perché appariva evidente che la capacità di infondere cre­dibilità alle parole scaturi­va soprattutto dall'offerta della propria scelta di verginità.

Ritenevo che incontrare nuovamente fratel Enzo mi avrebbe ridato un po' di en­tusiasmo, quasi che la gioia inferiore potesse provenire semplicemente dall'essere rincuorato da chi ne è in possesso, e invece egli mi fece notare con estrema com­prensione quante cose noci­ve ed inutili mi avevano in­golfato mentre ero convinto di essere sulla retta via; il Signore mi diede di ricono­scere il mio stato e presi su­bito la risoluzione di rimuo­vere quegli ostacoli che si erano così sottilmente radi­cati nella mia vita, e di cui difficilmente qualcuno si sa­rebbe accorto.

Provai un senso di libera­zione perché la Grazia era tornata a splendere ed ora potevo anche trovare la for­za per riprendere il cammi­no che avevo smesso e che mi rendeva infelice.

Mi sentivo davvero spro­nato a mettercela tutta per dare senso alla vita conside­rando la totale donazione di fratel Enzo: il suo esempio nell'aver accettato di segui­re Cristo rinnegando tutto, offrendo la sofferenza nel ve­dersi ostacolato continua­mente e preferendo il nascon­dimento ormai invece dell'af­fermazione del suo ideale cri­stiano.

Quanto dovrebbe farci te­nerezza questo Dio che cer­ca di farsi amare insegnan­do ai suoi amici a rimanere nella debolezza e nel disprez­zo. E invece gli uomini con­tinuano a cercare i casi ecla­tanti che fanno subito scal­pore; mentre è proprio di­nanzi alla « debolezza » di un Dio « indifeso » alla di­sperata ricerca delle sue creature che fratel Enzo si è trovato disarmato e defìnivamente si è arreso com­muovendosi per tanta indi­genza.

In questo abbraccio del « Crocifìsso » e uniformando­si ad Esso si perpetua nella storia la Verità dell'uomo che squarcia le tenebre che attanagliano la nostra so­cietà.

Dietro l'appariscenza della corruzione e della sfrenata ricerca del benessere mate­riale si nascondono dei se­gni meravigliosi a cui guar­dare con fiduciosa speranza perché rappresentano una strada che può riscattare una generazione che ha smar­rito Dio e far riscoprire in Lui ogni altro bene.

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