ELFI - Ramas Flare

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- Artax -
00martedì 30 marzo 2004 10:21
Ramas Flare
L’elfo solitario

Sono passati ormai 12 anni dal giorno in cui vidi per la prima volta cosa significavano morte, odio e distruzione. Ricordo quel giorno come fosse oggi, ricordi tutto; le emozioni gli odori e soprattutto quello che ho visto è come se tuttora mi stesse avvolgendo.
Sono un nobile elfo del villaggio di Elis, nel sud di Elea, figlio di Augor ex comandante della guarnigione di Elis. Mia madre Elien era una sacerdotessa di Diira e subito dopo avermi partorito rimase sterile.
La mia infanzia trascorse felice e spensierata ma allo stesso tempo piena di solitudine: i miei mi impedivano di giocare, di divertirmi, mi sentivo solo, mi mancava qualcuno con cui condividere quello che vivevo.
Mio padre mi aveva insegnato molte cose: voleva farmi crescere come uno dei guerrieri elfi dell’antico impero, pieni di ideali e di emozioni non come gli elfi dei nostri tempi privi di esse.
Questa è stata la mia vita fino a quel giorno.
Ero uscito con mio padre per andare a caccia... mi stava infatti istruendo nell’uso dell’arco, quando al nostro ritorno le uniche cose che vedevamo erano fuoco e fumo. Non sapevamo spiegarci cosa stava succedendo. Cominciammo a correre verso Elis quando ci accorgemmo che il villaggio era sotto attacco. Riuscimmo ad avvicinarci ad entrare furtivamente tra la palizzata. Fu la scena più oscura che vidi che ancora ritorna nei miei sogni la notte e penso mai se ne andrà. Corpi macellati da armi e artigli pieni di sangue giacevano lungo i ciottolati. Strani esseri deformi divoravano le loro carni e bevevano il loro sangue. Arrivammo alla nostra casa: mia madre era stata massacrata e gli esseri stavano banchettando con il suo corpo. Fù la prima volta che vidi la furia negli occhi di mio padre: estrasse la sua spada che cominciò ad emettere luce da alcuni simboli che solo oggi capisco essere rune. La spada cominciò a cantare mentre i corpi deformi di quelle creature venivano tranciati di netto. Un’aura azzurrina circondava il corpo di mio padre e sembrava che quegli esseri non riuscissero a scalfirla, fino a che non arrivò una creatura dall’aspetto umanoide con denti lunghi e aguzzi, occhi color del fuoco che sembravano crepitare, il colore della pelle era simile al nostro se non fosse che mutava dalle tonalità più chiare a quelle più scure. Si lanciò contro mio padre che subito parò i suoi colpi. La creatura capì subito che nulla poteva contro la barriera che mio padre aveva intorno. Si giro girò verso di me. Mi colpì. Ancora oggi porto le cicatrici di quel colpo. Mio padre si lanciò sulla creatura e dopo averla allontanata mi diede il suo amuleto che raffigurava due mani che si stringevano in segno di pace e di alleanza. La barriera passo sul mi corpo e subito lui tranciato in due di netto dai fendenti della spada di quell’essere. “Ci rivedremo” furono quelle le ultime parole che sentii quel giorno e subito quell’essere andò via. Presi la spada dal cadavere di mio padre. Subito nella mia mente era tutto chiaro. I demoni avevano attaccato il mio villaggio e distrutto la mia vita. Andai via...
Circa dopo una settimana di cammino arrivai alla città umana di Gilgmon. Allora odiavo i “vita-breve” così carichi di speranze e di emozioni. Entrai a far parte dell’Ordine dei Guerrieri Bianchi. Cominciavano a piacermi gli uomini, capivo perché avevano entusiasmo il quello che facevano. Volevano vivere la poca vita che avevano a disposizione. Seppellii gli oggetti che avevo preso dal cadavere di mio padre con la promessa di tornare a prenderli quando ne avrei veramente avuto bisogno. Adesso ho 18 anni e vivo con degli obiettivi: vendicare mio padre e far si che il suo sogno di ritorno all’antico splendore di Elea si realizzi. Adesso sono un cacciatore di demoni, voglio il loro sterminio non mi importa nulla degli altri tranne di quelli che vogliono il bene di Elea sia per elfi che per gli uomini. Condanno l’attuale e corrotto impero e spero che dalle sue ceneri rinasca l’amore che Diira ci ha donato.
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