E tanto per cambiare, i cinesi...

Numero6
00domenica 25 febbraio 2007 18:14
[22/02/2007] Sviluppatori, vita grama

Che sviluppare un videogame non sia tutto rose e fiori è cosa nota.
In questi anni, a partire dallo "scandalo" di Electronic Arts che non pagava gli straordinari, passando per blog e libri che raccontano - infarcita di particolari più o meno amplificati ed esagerati - la vita dei game designer e degli sviluppatori, anche noi giocatori abbiamo imparato a conoscere sempre più da vicino quel che sta dietro un "semplice" videogioco.
Max Garber e Chris Pfeiffer di Insomniac (Resistance per PS3) hanno deciso che il ritmo di vita imposto agli sviluppatori sta diventando insostenibile. Non che ci si possa fare molto: è il mercato a richiederlo, e a nessuno sembra importare granchè.
I giochi sono cambiati in maniera impressionante in questi decenni; di pari passo non è evoluta la figura di chi li sviluppa, ancora troppo legata al geek che rimane davanti al monitor per ore e ore, senza sosta, imbottito di junk food e bibite gassate. Un'esagerazione, uno stereotipo, ma a loro modo di vedere non troppo distante dalla realtà.
Una vacanza in Cina ha cambiato molte cose, almeno per loro. Un paese, così dicono, dove i ritmi di lavoro sono a misura d'uomo. Il che appare un paradosso, se si pensa al solito stereotipo del cinese che sgobba tutto il giorno senza sosta. Da quelle parti, però, lavorare più di undici ore al giorno è illegale, così come non è possibile superare le 36 ore di straordinario al mese. Ritmi di vita che i ricchi studios americani e inglesi si possono solo sognare. E così i due hanno deciso di lasciare la Insomniac e aprire una casa di produzione proprio in Cina. Il nome? Balanced Worlds. Dove i mondi che si bilanciano sono quelli del gioco e di chi lo sviluppa.
«Vogliamo realizzare grandi giochi vivendo una vita serena», riassume Pfeiffer.
Pare che siano in parecchi a credere nella loro idea, e nelle fila della BW dovrebbero presto arrivare diversi sviluppatori occidentali, anch'essi stanchi della vita che conducono.
Il progetto è intrigante: da una parte asseconda un trend che appare con sempre più evidenza in questi anni, quello di appaltare all'esterno molti dei compiti dello sviluppo (ne ha parlato bene Elvin in un dossier di qualche mese fa). D'altro canto raccoglie un'esigenza più che legittima, quella di creare un ambiente di lavoro più a misura d'uomo che di prodotto.
Resta da vedere come evolverà l'intera faccenda: magari tutto rimarrà un semplice esperimento, un'isola felice in mezzo ad un mare di disperazione e "crunch". Oppure darà il via ad un processo di cambiamento che lentamente coinvolgerà anche il ricco, opulento e spossato occidente.

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