E il Cavaliere ora punta alla lista «Forza Silvio»

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Il Mattino
00giovedì 19 maggio 2005 21:07


TERESA BARTOLI Roma. Altro che passo indietro. Il successo di Catania ha convinto ancor più Silvio Berlusconi, se mai ce ne fosse stato bisogno, di dover esser lui il catalizzatore della Cdl, di aver lui in mano le redini del rilancio e della vittoria del centrodestra «che non è così lontana». Al punto che in queste ore di ritrovata sicurezza ha fatto persino sondare il peso elettorale del suo vecchio sogno: la lista «Forza Silvio», la scommessa sul suo personalissimo appeal elettorale sganciata dal corpo di Forza Italia che sente sempre più meno sua e che ieri ha deciso di «svecchiare» vistosamente con la nomina dei nuovi coordinatori nei punti chiave di Lazio, Campania e Lombardia. L’opera di ingegneria elettorale costruita a Catania stringendo il patto con gli autonomisti di Lombardo, ha convinto il premier a proseguire su quella strada. E non solo per il possibile tornaconto in voti. «Forza Silvio», come il via libera alle liste autonomiste e alle possibili «leghe del sud» ha la doppia valenza della raccolta di consenso e della «minaccia» agli alleati storici, ai partiti che rischiano di vedersi svuotare dai nuovi Lombardo pronti a scendere in campo. Naturalmente ieri Berlusconi si è affrettato a chiudere ancor prima che nascesse il caso di un suo scontro con l’Udc di Casini e Follini ferita dal voto catanese. Ha bollato come «pura fantasia» il minaccioso «e ora Casini si liberi di Follini» che un quotidiano gli ha attribuito e «ha fatto molto bene» come ha sottolineato Pier Ferdinando Casini. Di più, coi suoi, nelle lunghe riunioni di ieri, il premier ha esaltato «il valore dell’unità», ha sottolineato la necessità di «tenere tutto assieme», gli alleati e le liste autonomiste, di «ritrovare un’armonia con tutti», ovviamente «anche con l’Udc». Non ha la minima intenzione di aprire fronti interni di conflitto. Perché Catania sarà archiviata presto e da oggi si inizia a discutere di politica economica e politica estera, perché al voto politico mancano mesi e «per raggiungere la vittoria serve il concorso di tutti». È convinto che basti la minaccia di nuovi competitori a tenere assieme Udc e An, a sopire i contrasti, a chiudere la partita sulla leadership. È per questo che ieri ha voluto svelenire il clima, rassicurare Casini col quale ha un filo diretto, smentire l’assalto a Follini col quale il presidente della Camera continua a viaggiare in tandem. Dai centristi arriva un invito alla «calma». Quella minaccia di svuotamento, dicono a via Due Macelli, rischia di tornare indietro come un boomerang. E non solo perché - come sottolinea il folliniano D’Alia - «su Catania è stato Casini a dirci ”buoni, non una parola contro Lombardo”. Bastava che presentassimo un candidato nostro, e Scapagnini finiva al ballottaggio. Per poi perdere». Quindi - questo il ragionamento - è evidente che c’è davvero bisogno di tutti e che in Sicilia ci si è fatti svuotare per il bene comune. Ma in più, a guardare l’orizzonte più largo, i centristi sono convinti che Berlusconi non possa usare più di tanto quell’arma perché il primo partito ad esser svuotare sarebbe Forza Italia che - malgrado i riflettori puntati sull’Udc - ha già pagato un prezzo salato proprio a Catania. Senza contare che il moltiplicarsi dei Lombardo, la nascita di tanti piccoli Bossi sarebbe, quello sì, il vero pericolo per una leadership che non sarebbe in grado di governare unitariamente una coalizione. «A meno che al premier non piaccia pensare di potersi sentir dire da un Lombardo di questi ”vuoi fare il mio vicepremier?”». Temi che torneranno tutti al congresso che Follini intende celebrare alla data prevista e che - avverte Baccini - non sarà certo un congresso sul segretario che «ha il novantanove per cento dei voti, compreso il mio».


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