Ditti Cretese e Darete Frigio

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Antioco il Grande
00venerdì 14 giugno 2013 14:20
Due "storici" della guerra di Troia
Oggi vi parlo di due autori latini che considerare minori è fare loro un complimento.


Il mito della guerra di Troia è stato la leggenda fondante della civiltà greca ed in seguito fu inglobato da Roma (già nel VI secolo a.C., a Pratica di Mare, sulle coste laziali, era stato eretto un santuario dedicato ad Enea dove si venerava la sua tomba).

Alla tarda antichità risalgono due opere molto particolari che riscrivono la decennale guerra con pretese di accuratezza e ricercatezza storica, per fornire il vero resoconto di quell'epopea travisata da Omero, quelle di Ditti Cretese e Darete Frigio.

Non sappiamo quando i due testi furono scritti, a noi sono pervenute quelle che sembrano due traduzioni latine basate su originali greci.

Il primo dei due autori è Ditti di Creta. Nella lettera dedicatoria del suo Diario della guerra di Troia, indirizzata all'amico Q. Aradio Rufino, un tal Lucio Settimio spiega d'aver voluto tradurre in latino il testo di tale Ditti di Creta che era stato compagno di Idomeneo di Creta durante l'assedio di Troia ed aveva composto un resoconto della spedizione scrivendolo in fenicio. L'opera era stata sepolta con lui ed era sparita fin quando un terremoto non riportò alla luce la tomba dell'eroe nelle campagne cretesi. Dei contadini trovarono una cassa e scoprirono che conteneva un testo in lingua ignota. Il governatore romano di Creta la fece inviare all'imperatore Nerone che, fatto tradurre il testo, scoprì il resoconto di Ditti e lo fece tradurre tutto in greco.

Lucio Settimio, quindi, sostiene d'aver preso la traduzione greca e d'averla volta in latino. Il testo originale, in nove libri, narrava dal rapimento di Elena fino al ritorno degli eroi dopo la guerra. Settimio avverte l'amico destinatario della traduzione d'aver riprodotto fedelmente i primi cinque libri, quelli sulla guerra, e d'aver riassuntato gli altri quattro, relativi ai ritorni, creando un'opera in sei libri.

Stando agli studi filologici, il testo di Settimio è scritto in un latino di IV secolo d.C.; per tanto tempo s'è pensato che l'opera fosse originale di quel periodo (Settimio non sarebbe stato né il primo né l'ultimo a spacciarsi per traduttore di un'opera invece scritta direttamente da lui), fino a quando un papiro egiziano, trovato nel 1907, non restituì alcuni paragrafi provenienti dal IV libro, scritti in greco. Le analisi dimostrarono non solo la quasi perfetta aderenza del testo greco a quello latino, ma che il testo greco era stato scritto agli inizi del III secolo.

Pertanto il testo di Settimio è effettivamente la traduzione di un originale greco, attribuito al fantomatico Ditti Cretese, scritto nel I secolo d.C. (forse davvero ai tempi di Nerone o poco dopo).



Il secondo testo presenta la guerra troiana descritta dalla parte dei Troiani. Darete Frigio è ricordato da Omero come un sacerdote padre di due valenti combattenti. Il testo latino, la cui prima citazione risale al VI secolo d.C., riporta una lettera, certamente falsa, in cui lo storico di I secolo a.C. Cornelio Nepote invia allo storico Sallustio la traduzione latina della Storia della distruzione di Troia che lui dice d'aver trovato e tradotto mentre era ad Atene.

Autori greci d'età imperiale, Tolomeo Chenno, del I secolo d.C., ed Eliano di II/III secolo, ricordano "un'Iliade anteriore ad Omero" opera di Darete Frigio. Se, com'è probabile, parlano del nostro testo, questo indicherebbe che il resoconto di Darete era già noto, in greco, nella prima età imperiale (quindi sarebbe quasi contemporaneo di quello di Ditti).



Le due opere non sono dei capolavori; più che altro appaiono come rivisitazioni della storia troiana con pretese di credibilità e verosimiglianza. In effetti però li si potrebbe considerare puri e semplici "romanzi" d'ambientazione troiana per un pubblico abbastanza colto da notare le differenze con l'opera omerica.

Entrambi gli autori parteggiano per la propria fazione; per Ditti, che è greco, i Troiani sono barbari che infrangono la parola data e si comportano come bestie (tentando pure d'uccidere gli ambasciatori inviati da Agamennone), mentre i Greci sono campioni di civiltà. Anche quando gli Achei si comportano da barbari, tipo quando lapidano Eleno davanti alle mura di Troia per rappresaglia, il tutto è giustificato perché i Troiani sono più barbari (naturalmente se questo lo fanno i Teucri il tutto dimostra la loro natura infida). In un caso, Achille, in lite con Agamennone, attacca i Greci a tradimento, ma la cosa non è per nulla stigmatizzata, anzi sembra quasi un'azione perfettamente logica e corretta. Si giunge al punto che Troia è fatta cadere con l'inganno del cavallo dopo che le due fazioni hanno stipulato la pace, quindi i Greci infrangono il trattato, ma Ditti non batte ciglio.

Darete, al contrario, tifa per i suoi concittadini, quindi la guerra risulta colpa dei Greci (gli Argonauti hanno rapito la sorella di Priamo, quindi i Troiani si vendicano rapendo Elena), che sono infidi e litigano tra loro per ogni cosa (arrivando a togliere il comando supremo ad Agamennone).

Entrambi gli autori modificano ampiamente i dati mitici noti al grande pubblico, giungendo a far scomparire qualsiasi presenza del divino e fornendo spiegazioni razionali per ogni cosa (in Darete, ad esempio, è Enea in persona a salvare Paride che combatte contro Menelao e non la dea Afrodite), ma mentre Ditti cerca di tenersi legato almeno alla tradizione nei punti più noti della trama (tipo l'uso del cavallo, che però non è pieno di truppe, ma solo un'offerta enorme per costringere i Troiani ad abbattere le mura per accoglierlo), Darete, al contrario, si diverte a stravolgere ogni cosa, creando una versione totalmente alternativa della guerra (Patroclo, per esempio, muore poco dopo lo sbarco sulla costa troiana ed addirittura la'utore giunge ad eliminare l'astuzia del cavallo, sostenendo che la città cadde perché Antenore ed Enea, corrotti dai Greci, aprirono le porte della città. Sull'architrave della porta era incisa una testa di cavallo e questo spiega la leggenda).

Proprio Antenore ed Enea, il primo dei quali era già noto ad Omero come l'unico che s'era opposto alla guerra, fanno la figura peggiore risultando corruttibili e filogreci. Antenore era già noto fin dal IV secolo a.C. come traditore, a lui è aggiunto, soprattutto da Darete, anche Enea che è molto diverso dall'eroe virgiliano.


Sebbene opere di bassa qualità (ma Ditti ha il pregio d'aver scritto un testo molto ampio che permette alla trama di stendersi su diversi libri, contro i 44 capitoli del breve libriccino di Darete), con la separazione della parte orientale greca dell'Impero da quella occidentale, proprio le opere di Darete e Ditti, oltre all'Iliade latina (un riassunto in versi dell'Iliade), furono l'unico tramite grazie a cui l'Europa medievale rimase in contatto con il mito troiano, escluso il capolavoro di Virgilio. Per questo, durante tutto il Medioevo, i due testi ebbero una grande diffusione in occidente.

Dante chiamò Antenorea la parte dell'Inferno riservata ai traditori della Patria, proprio perché Antenore risulta in quelle opere un traditore. Il troiano Troilo divenne un eroe valoroso proprio perché tale lo dipinge Darete (e la cosa giunge fino a Shakespeare che compone la sua tragedia Troilo e Cressida).

Con la riscoperta della lingua greca, e quindi del genuino Omero e degli altri poemi legati al ciclo troiano (quelli di Smirneo di Colluto e Trifiodoro), la fama di questi due "romanzi storici" tramontò.
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