Discorso del Papa al Corpo Diplomatico

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Cattolico_Romano
00lunedì 11 gennaio 2010 16:40


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eccellenze,
Signore e Signori,

E’ per me motivo di grande gioia questo incontro tradizionale d’inizio d’anno, due settimane dopo la celebrazione della nascita del Verbo incarnato. Come abbiamo proclamato nella liturgia: “Nel mistero adorabile del Natale, Egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, e generato prima dei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta” (Prefazio II del Natale).

A Natale, quindi, abbiamo contemplato il mistero di Dio e quello della creazione; mediante l’annuncio degli angeli ai pastori ci è giunta la buona novella della salvezza dell’uomo e del rinnovamento dell’intero universo. Per questa ragione, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, ho invitato tutti gli uomini di buona volontà, ai quali gli angeli hanno promesso giustamente la pace, a custodire il creato. Ed è in questo stesso spirito che sono lieto di salutare ciascuno di Voi, in particolare coloro che sono presenti per la prima volta a questa cerimonia.

Vi ringrazio sentitamente per i voti augurali, di cui si è fatto interprete il vostro Decano, il Signor Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e Vi rinnovo il mio vivo apprezzamento per la missione che svolgete presso la Santa Sede. Attraverso di Voi, desidero far giungere il mio cordiale saluto e augurio di pace e prosperità alle Autorità e a tutti gli abitanti dei Paesi che Voi degnamente rappresentate.

Il mio pensiero si estende, anche, a tutte le altre Nazioni della terra: il Successore di Pietro mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana.

Da qualche settimana, sono state stabilite piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Federazione Russa: è questo un motivo di profonda soddisfazione. Allo stesso modo, è stata molto significativa la visita che mi ha reso recentemente il Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam, Paese che è caro al mio cuore e nel quale la Chiesa sta celebrando la sua plurisecolare presenza con un Anno giubilare. Con tale spirito di apertura, nel corso del 2009, ho ricevuto numerose personalità politiche, provenienti da diversi Paesi; ho anche visitato alcuni di essi e mi propongo in futuro, nella misura del possibile, di continuare a farlo.

La Chiesa è aperta a tutti, perché – in Dio – esiste per gli altri! Pertanto essa partecipa intensamente alle sorti dell’umanità, che in questo anno appena iniziato, appare ancora segnata dalla drammatica crisi che ha colpito l’economia mondiale e ha provocato una grave e diffusa instabilità sociale.

Con l’Enciclica Caritas in veritate ho invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura.
Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato. Ciascuno di noi, probabilmente, potrebbe citare qualche esempio dei danni che essa arreca all’ambiente, in ogni parte del mondo.

Ne cito uno, tra i tanti, dalla storia recente dell’Europa: vent’anni fa, quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria?

La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio.

Pertanto, condivido la maggiore preoccupazione che causano le resistenze di ordine economico e politico alla lotta contro il degrado dell’ambiente. Si tratta di difficoltà che si sono potute constatare ancora di recente durante la XV Sessione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi dal 7 al 18 dicembre scorso a Copenaghen. Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune Nazioni, in particolare, alcuni Stati insulari.

Occorre, tuttavia, che tale attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene inquadrati nell’insieme delle grandi sfide che si pongono all’umanità. Se, infatti, si vuole edificare una vera pace, come sarebbe possibile separare, o addirittura contrapporre la salvaguardia dell’ambiente a quella della vita umana, compresa la vita prima della nascita? E’ nel rispetto che la persona umana nutre per se stessa che si manifesta il suo senso di responsabilità verso il creato. Perché, come insegna S. Tommaso d’Aquino, l’uomo rappresenta quanto c’è di più nobile nell’universo (cfr. Summa Theologiae, I, q.29, a.3). Inoltre, come ho ricordato al recente Vertice Mondiale della FAO sulla Sicurezza alimentare, “la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti” (Discorso del 16 novembre 2009, 2), purché l’egoismo non porti alcuni ad accaparrarsi i beni destinati a tutti!

Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia della creazione implica una corretta gestione delle risorse naturali dei paesi, in primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati. Il mio pensiero va al Continente africano, che ho avuto la gioia di visitare nel marzo scorso, recandomi in Camerun ed Angola, ed al quale sono stati dedicati i lavori della recente Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi. I Padri sinodali hanno segnalato con preoccupazione l’erosione e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile, a causa dello sfruttamento sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente (cfr. Propositio n. 22). In Africa, come altrove, è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino “forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 10).

Come dimenticare, poi, che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni? Anche per questa ragione ripeto con forza che, per coltivare la pace, bisogna custodire il creato! D’altra parte ci sono ancora vaste estensioni di terra, per esempio in Afghanistan ed in alcuni paesi dell’America Latina, dove purtroppo l’agricoltura è ancora legata alla produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile di occupazione e di sostentamento.

Se si vuole la pace, occorre custodire il creato con la riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale, ancora una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi problemi morali e sociali che essa genera.

Sì, Signore e Signori, la custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia! Fra le tante sfide che essa lancia, una delle più gravi è quella dell’aumento delle spese militari, nonché quella del mantenimento o dello sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei Popoli, soprattutto di quelli più poveri. Confido, fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato di Non-Proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari. Più in generale, deploro che la produzione e l’esportazione di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e violenze, come quelli nel Darfur, in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo. All’incapacità delle parti direttamente coinvolte di sottrarsi alla spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti, si aggiunge l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali a riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e degradino l’ambiente.
 
Come, infine, non menzionare il terrorismo che mette in pericolo un così gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di angoscia? In questa solenne circostanza, desidero rinnovare l’appello che ho lanciato il 1° gennaio durante la preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace.

Le gravi violenze che ho appena evocato, unite ai flagelli della povertà e della fame, come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale, contribuiscono ad ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra. Di fronte a tale esodo, invito le Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso titolo, ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza. In particolare, vorrei menzionare i Cristiani in Medio Oriente: colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, essi lasciano la terra dei loro padri in cui si è sviluppata la Chiesa dei primi secoli. E’ per offrire loro un sostegno e per far loro sentire la vicinanza dei fratelli nella fede, che ho convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente.

Signore e Signori Ambasciatori, quelle che ho tracciato finora sono soltanto alcune delle dimensioni connesse con la problematica ambientale. Tuttavia, le radici della situazione che è sotto gli occhi di tutti, sono di ordine morale e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo educativo, per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi stili di vita. Di ciò può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico.

Purtroppo, in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana. E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso.

Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’“ecologia umana” e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa. In questa prospettiva, io penso all’Europa, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha iniziato una nuova fase del suo processo di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire con rispetto e con benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato prevede che l’Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo “aperto, trasparente e regolare” (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire, l’Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana. Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile “per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente «casa»!” (Discorso alle autorità civili e al corpo diplomatico, 26 settembre 2009).

Proseguendo nella nostra riflessione, è necessario rilevare che la problematica dell’ambiente è complessa. Si potrebbe dire che è un prisma dalle molte sfaccettature. Le creature sono differenti le une dalle altre e possono essere protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi, come ci mostra l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti, che, in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra i sessi. Mi riferisco, per esempio, ad alcuni Paesi europei o del Continente americano. “Se togli la libertà, togli la dignità”, come disse S. Colombano (Epist. n.4 ad Attela, in S. Columbani opera, Dublin 1957, p. 34.) Tuttavia, la libertà non può essere assoluta, perché l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore.

La salvaguardia della creazione comporta anche altre sfide, alle quali non si può rispondere che attraverso la solidarietà internazionale. Penso alle catastrofi naturali, che durante l’anno scorso hanno seminato morti, sofferenze e distruzioni nelle Filippine, in Vietnam, nel Laos, in Cambogia e nell’isola di Taiwan. Come non ricordare poi l’Indonesia, e, più vicino a noi, la regione dell’Abruzzo, scosse da devastanti terremoti? Di fronte a simili eventi non deve venire meno l’aiuto generoso, perché la vita stessa delle creature di Dio è in gioco. Ma la salvaguardia della creazione, oltre che della solidarietà, ha bisogno anche della concordia e della stabilità degli Stati. Quando insorgono divergenze ed ostilità fra questi ultimi, per difendere la pace debbono perseguire con tenacia la via di un dialogo costruttivo. E’ quanto avvenne venticinque anni or sono con il Trattato di Pace ed Amicizia fra Argentina e Cile, che fu raggiunto grazie alla mediazione della Sede Apostolica. Esso ha portato abbondanti frutti di collaborazione e prosperità, di cui ha beneficiato, in qualche modo, l’intera America Latina. In questa stessa parte del mondo, sono lieto del riavvicinamento intrapreso da Colombia ed Ecuador, dopo parecchi mesi di tensione. Più vicino a noi, mi compiaccio dell’intesa conclusa tra Croazia e Slovenia a proposito dell’arbitrato relativo alle loro frontiere marittime e terrestri.

Mi rallegro, altresì, dell’accordo tra Armenia e Turchia, in vista della ripresa delle loro relazioni diplomatiche, ed auspico che attraverso il dialogo, i rapporti fra tutti i Paesi del Caucaso meridionale migliorino.

Durante il mio pellegrinaggio in Terra Santa, ho richiamato in modo pressante Israeliani e Palestinesi a dialogare e a rispettare i diritti dell’altro.

Ancora una volta levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il diritto del Popolo palestinese ad una patria sovrana e indipendente, a vivere con dignità e a potersi spostare liberamente. Mi preme, inoltre, sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale.

Solo così questa città unica, santa e tormentata, potrà essere segno e anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana! Per amore del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione, esorto i governanti e i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese. Anche le comunità cristiane vogliono dare il loro contributo, ma perché ciò sia possibile, bisogna che sia loro assicurato rispetto, sicurezza e libertà.

Anche il Pakistan è stato duramente colpito dalla violenza in questi ultimi mesi e alcuni episodi hanno preso di mira direttamente la minoranza cristiana. Domando che si compia ogni sforzo affinché tali aggressioni non si ripetano e i cristiani possano sentirsi pienamente integrati nella vita del loro Paese. Trattando delle violenze contro i cristiani, non posso non menzionare, peraltro, i deplorevoli attentati di cui sono state vittime le Comunità copte egiziane in questi ultimi giorni, proprio quando stavano celebrando il Natale. Per quanto riguarda l’Iran, auspico che attraverso il dialogo e la collaborazione, si raggiungano soluzioni condivise, sia a livello nazionale che sul piano internazionale. Al Libano, che ha superato una lunga crisi politica, auguro di proseguire sempre sulla via della concordia. Confido che l’Honduras, dopo un periodo di incertezza e trepidazione, si incammini verso una ritrovata normalità politica e sociale. E lo stesso mi auguro che si realizzi in Guinea ed in Madagascar, con l’aiuto effettivo e disinteressato della comunità internazionale.

Signore e Signori Ambasciatori, al termine di questo rapido giro d’orizzonte, che, a motivo della brevità non può soffermarsi su tutte le situazioni pur meritevoli di menzione, mi tornano alla mente le parole dell’Apostolo Paolo, secondo cui “la creazione geme e soffre” e “anche noi… gemiamo interiormente” ( Rm 8,22-23). Sì, c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano ferisce la creazione in molteplici modi. Per questo l’attesa di salvezza, che tocca tutta quanta la creazione, è ancor più intensa ed è presente nel cuore di tutti, credenti e non credenti.

La Chiesa indica che la risposta a tale anelito è il Cristo, il “primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra” (Col 1,15-16). Fissando lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona di buona volontà ad operare con fiducia e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo. Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a rispettare l’“ecologia umana”, consapevoli che anche l’ecologia ambientale ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura è uno ed indivisibile. E’ così che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni che verranno.

Buon Anno a tutti!

© Copyright 2010 – Libreria Editrice Vaticana

Cattolico_Romano
00lunedì 11 gennaio 2010 16:41
Benedetto XVI al Corpo diplomatico: la Chiesa è aperta a tutti perché esiste per gli altri. Difendiamo il creato dall'egoismo dell'uomo

La difesa dell’ambiente non è un fatto “estetico” ma “morale”, ma è prima di tutto l’uomo, in quanto figlio di Dio, a dover essere tutelato nella sua dignità, perché è dal rispetto dell’“ecologia umana” che deriva il rispetto di quella ambientale. Benedetto XVI ha articolato attorno a questo principio l’importante
discorso
rivolto, questa mattina, al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuto in Vaticano per la consueta udienza di inizio anno. Attuali e delicati i temi affrontati dal Papa: dalla crisi economica al proliferare delle armi nucleari, dal fenomeno del terrorismo a quello dell’immigrazione, dalla difesa dei cristiani perseguitati a quella delle radici cristiane dell’Europa. Ha rivolto l’indirizzo di omaggio al Santo Padre, come decano del Corpo diplomatico, l’ambasciatore dell’Honduras Alejandro Emilio Valladares Lanza. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Valutare cosa gli uomini fanno per la pace nel mondo osservando in che modo rispettano il loro pianeta. Una delle punte più recenti del magistero di Benedetto XVI - custodire la pace, custodendo il creato - è la chiave di lettura anche del lungo discorso agli ambasciatori dei 178 Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede: di poche settimane è la ratifica siglata con la Federazione Russa. La premessa che il Papa fa al suo discorso è un atto di libertà: il “Successore di Pietro - ha affermato - mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana”, così come la Chiesa - dice - “è aperta a tutti perché - in Dio - esiste per gli altri”. Da qui parte il primo sguardo del Papa al mondo. In cima, come nel 2009, c’è ancora la crisi economica, ma con una forte correlazione in primo piano: se la crisi è stata provocata, ripete, dal materialismo che pensa solo al profitto, questa “stessa mentalità” oggi “minaccia anche il creato”. Come prova, Benedetto XVI indica quelle “profonde ferite” che il sistema ateo del socialismo est europeo aveva inferto agli uomini e alla natura e che furono evidenti dopo il crollo del Muro di Berlino:

“Le négation de Dieu...

La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio”.
Il mondo fatica a trovare un linea comune nel campo della tutela dell’ambiente. Il Papa rileva le “resistenze di ordine economico e politico” registrate al recente Vertice di Copenaghen sul clima e dice di sperare che un “accordo” possa emergere dai prossimi appuntamenti di Bonn e Città del Messico. “Ne va - osserva - del destino stesso di alcune nazioni”, specie se insulari. E se al clima si aggiungono i fenomeni della desertificazione o l’esigenza di una "corretta gestione delle risorse naturali”, ecco che l’Africa diventa per Benedetto XVI una porzione di pianeta fortemente emblematica:

“En Afrique, comme ailleurs...

In Africa, come altrove, è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino ‘forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti. Come dimenticare, poi, che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni?”.

E subito, quando il discorso si sposta di poco sui modi di sfruttamento della terra, Benedetto XVI si riferisce a quanto avviene in Afghanistan come in America Latina, dove “purtroppo”, nota:

“...l'agriculture est ancore liée...

L’agricoltura è ancora legata alla produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile di occupazione e di sostentamento. Se si vuole la pace, occorre custodire il creato con la riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale, ancora una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi problemi morali e sociali che essa genera”.
E a tale richiesta, il Papa fa seguire un altro dei molti appelli che costelleranno tutto il suo discorso. In questo caso, a preoccuparlo “sono le ingenti risorse” di denaro spese per le armi piuttosto che per i più poveri:

“J'espère fermament que...

Confido, fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato di Non-Proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari”.
A più riprese, il Pontefice prende spunto da situazioni specifiche per sollecitare la comunità internazionale a muoversi con più decisione per risolvere crisi o conflitti . E’ il caso del Darfur o della Repubblica democratica del Congo, quando il Papa è diretto nello stigmatizzare “l’incapacità” di chi combatte a “sottrarsi alla spirale della violenza” ma anche, dice, l’“impotenza” di chi dovrebbe mediare o, peggio, l’“indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale”. Le armi, poi, alimentano un’altra piaga che sfigura il pianeta e provoca tra i suoi abitanti “un diffuso senso di angoscia”, il terrorismo:

“En cette circonstance solennelle...

In questa solenne circostanza, desidero rinnovare l’appello che ho lanciato il 1° gennaio durante la preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace”.

A questo punto il Papa, che poco più tardi evocherà le sofferenze causate a milioni di persone dalle catastrofi naturali accadute nel 2009 - dai terremoti in Indonesia e in Abruzzo, alle devastazioni nelle Filippine e nel sudest asiatico - constata che violenze, disastri e degrado ambientale “contribuiscono a ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra”. Chiedendo per loro ai governi “solidarietà e lungimiranza”, Benedetto XVI apre l’appassionato e minuzioso capitolo in difesa dei cristiani perseguitati:

“En particulier, je voudrais...

In particolare, vorrei menzionare i Cristiani in Medio Oriente: colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, essi lasciano la terra dei loro padri in cui si è sviluppata la Chiesa dei primi secoli. E’ per offrire loro un sostegno e per far loro sentire la vicinanza dei fratelli nella fede, che ho convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente”.

In modo analogo, chiede “rispetto, sicurezza e libertà” per i cristiani in Iraq e integrazione per quelli in Pakistan. E allargando il discorso all’Europa, dove l’avversario del cristianesimo non è la violenza ma il relativismo che, asserisce, suscita un “sentimento di scarsa considerazione e, talvolta, di ostilità”, Benedetto XVI afferma:

“Il est clair que...

E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso. Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’’ecologia umana’ e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa”.

E il Pontefice coglie un attacco al Creato di Dio e alle sue creature anche in quelle leggi o progetti che, scandisce, “in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra i sessi”, come accade in alcuni Stati europei o del continente americano:

“La liberté ne peut...

La libertà non può essere assoluta, perché l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore”.

Oltre che rispetto per i cristiani di Terra Santa, Benedetto XVI torna a implorare l’avvento della pace tra israeliani e palestinesi, con la possibilità per entrambi di godere della sicurezza garantita da due Stati, oltre che rispetto per “il carattere sacro” di Gerusalemme. E tra tanti scampoli di umanità in cerca di distensione, il Pontefice indica anche, quasi come segnali di speranza, i risultati ottenuti da quei Paesi che hanno posto fine a conflitti o dispute territoriali: Colombia-Ecuador, Croazia e Slovenia, Armenia e Turchia. Ad essi, Benedetto XVI fa seguire auspici per Iran, Libano, Honduras.

Sì, riconosce il Papa, “c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano ferisce la creazione in molteplici modi”. La Chiesa, soggiunge, indica che la risposta all’anelito di pace universale è Cristo:
“Fixant sur Lui mon regard...

Fissando lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona di buona volontà ad operare con fiducia e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo. Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a rispettare l’“ecologia umana”, consapevoli che anche l’ecologia ambientale ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura è uno ed indivisibile. E’ così che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni che verranno”.

© Copyright Radio Vaticana
Cattolico_Romano
00lunedì 11 gennaio 2010 20:11

Relazioni diplomatiche con 178 Stati nel mondo


Sono 178 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede:  ultimo in ordine di tempo è stato la Federazione Russa, il 9 dicembre scorso. A questi vanno aggiunti l'Unione europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta, e una missione a carattere speciale:  l'Ufficio dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp).
Nelle Organizzazioni internazionali, la Santa Sede è presente all'Onu in qualità di "Stato osservatore", ed è membro di sette Organizzazioni o Agenzie del sistema Onu, osservatore in altre otto e membro o osservatore in cinque Organizzazioni regionali.
Nel corso del 2009, il 12 gennaio è stato firmato un Accordo della Santa Sede con il Land Schleswig-Holstein (Repubblica Federale di Germania) per regolare la situazione giuridica della Chiesa cattolica nel Land. Lo scambio degli Strumenti di ratifica dell'Accordo è avvenuto il 27 maggio.
Il 5 marzo è stato sottoscritto il vi Accordo addizionale alla Convenzione fra la Santa Sede e l'Austria per il regolamento di rapporti patrimoniali e lo scambio delle ratifiche si è svolto il 14 ottobre.
Il 9 dicembre la Santa Sede e la Federazione Russa, desiderose di promuovere i loro reciproci rapporti amichevoli, hanno stabilito le succitate relazioni diplomatiche:  a livello di Nunziatura Apostolica da parte della Santa Sede e di Ambasciata da parte della Federazione Russa.
Il 10 dicembre si è proceduto allo scambio degli strumenti di ratifica dell'Accordo con il Brasile, che era stato firmato il 13 novembre 2008.
Infine, il 17 dicembre è stata conclusa una Convenzione monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e l'Unione europea, entrata immediatamente in vigore.


(©L'Osservatore Romano - 11-12 gennaio 2010)
Cattolico_Romano
00lunedì 11 gennaio 2010 20:11

La Chiesa esiste per gli altri


Il discorso di Benedetto XVI ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede guarda al futuro. Con una ampiezza di vedute che in genere non si riscontra tra i leader internazionali e con un realismo che non nasconde i problemi. In una rassegna che se è tradizionale nella forma mostra bene l'attenzione e l'atteggiamento della sede romana nei confronti del mondo, che il Papa ha descritto nell'esordio del suo testo:  in Dio la Chiesa esiste per gli altri, e perciò è aperta a tutti.
Questa apertura è stata dimostrata nelle ultime settimane dalle piene relazioni diplomatiche stabilite tra Santa  Sede  e  Federazione  Russa - un fatto che è motivo di "profonda soddisfazione", ha voluto sottolineare Benedetto XVI - e dalla visita del presidente vietnamita come anche, nel corso dell'anno appena concluso, dagli incontri del Pontefice con numerosi esponenti politici, in Vaticano  e  durante  le  visite  e  i viaggi.
In primo piano nel panorama internazionale resta la crisi drammatica dell'economia mondiale e l'instabilità sociale che ne consegue. Radice della crisi - come si legge nella Caritas in veritate - è la mentalità egoistica e materialistica. Con effetti che minacciano anche il creato:  un esempio è il degrado ambientale venuto alla luce, dopo la caduta del muro di Berlino, nei regimi atei europei. Per questo oggi la Santa Sede condivide la forte preoccupazione per il sostanziale fallimento della conferenza di Copenaghen e auspica che nei prossimi incontri di Bonn e Città del Messico si superino le resistenze di ordine economico e politico alla lotta contro i mutamenti climatici. Altrimenti è a rischio il destino stesso di alcuni Paesi, ha detto senza mezzi termini il Papa.
A maggior ragione la Chiesa, attenta alla salvaguardia dell'ambiente, insiste sul rispetto irrinunciabile della persona umana, che significa protezione della vita sin dal concepimento e una equa distribuzione delle risorse alimentari, che sono sufficienti per l'intera popolazione mondiale, come da decenni la Santa Sede va ripetendo contro interessati catastrofismi. Così sulle labbra di Benedetto XVI è tornata la preoccupazione per lo sfruttamento di enormi zone dell'Africa, per la produzione di droga in Afghanistan e in alcuni Paesi latinoamericani, ma soprattutto per il costante aumento delle spese militari e per gli arsenali nucleari, di cui tratterà in maggio la conferenza di New York.
Molte situazioni insostenibili per l'estendersi di violenza, povertà e fame sono all'origine dell'imponente fenomeno migratorio mondiale, di fronte al quale il Papa è tornato a chiedere alle autorità civili di agire "con giustizia, solidarietà e lungimiranza", ricordando in particolare la fuga dei cristiani dal Medio Oriente. E proprio per questo drammatico e preoccupante fenomeno - che rischia di estinguere la presenza cristiana nelle terre dove la Chiesa è nata - Benedetto XVI ha voluto convocare per il prossimo autunno un'assemblea del Sinodo dei vescovi. Ribadendo poi la richiesta del riconoscimento dei diritti di israeliani e palestinesi, così come dell'identità e del carattere sacro di Gerusalemme.
Le crisi del mondo e delle singole società hanno origine nel cuore degli uomini - ha ripetuto il Papa - e possono essere superate, cambiando mentalità e stili di vita, solo attraverso un grande sforzo educativo. La Chiesa vuole parteciparvi, ma per questo il suo ruolo pubblico deve essere riconosciuto, nell'Europa che non deve abbandonare le fonti della propria identità e nel mondo. Dove la Chiesa non chiede privilegi, ma solo di poter vivere per gli altri, fedele all'unico Signore.

g. m. v.


(©L'Osservatore Romano - 11-12 gennaio 2010)
Cattolico_Romano
00lunedì 11 gennaio 2010 20:13


Il saluto del decano del Corpo diplomatico al Papa

Un ordine mondiale più giusto ed equo


All'inizio dell'udienza di Benedetto XVI, svoltasi lunedì 11 gennaio, il decano del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, l'Ambasciatore di Honduras, Alejandro Emilio Valladares Lanza, ha salutato il Papa a nome dei presenti. Di seguito una nostra traduzione italiana del discorso.

Santo Padre,
È con rinnovata emozione che mi faccio interprete del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per porgere a Vostra Santità, in questo nuovo anno, i voti più ferventi che formuliamo per la sua salute, la sua felicità personale e per il lieto e fecondo proseguimento del suo Ministero Apostolico.
Avrei voluto che oggi il mio discorso alla Vostra Augusta Persona fosse portatore di notizie incoraggianti sul futuro tanto incerto del nostro mondo.  Purtroppo  continuano  a  prevalere  il dubbio e persino l'inquietudine, sebbene alcuni segni positivi ci permettano di credere ancora nella capacità  dell'uomo  di vincere l'avversità e di operare per la pace, il bene  del prossimo e il futuro dell'umanità. 

Nel discorso che ha pronunciato, l'8 gennaio 2009, davanti alla nostra Assemblea, lei, Santità, ha condannato il ricorso alle armi per risolvere i problemi che, dai tempi più remoti, assillano il nostro pianeta.
Purtroppo, nel corso degli ultimi dodici mesi, il suo appello non è stato compreso. I conflitti che, già da alcuni anni, affliggono numerosi angoli della Terra, continuano a seminare morte e desolazione.
A essi si sono aggiunti nuovi scontri e l'espressione di una violenza sempre più cieca e crudele che gettano nella disperazione uomini, donne e bambini, pronti al peggio per ritrovare un po' più di libertà e aspirare a un po' meno di miseria.
I mass media si fanno troppo spesso eco di queste situazioni drammatiche con  una compiacenza a volte colpevole.

Durante l'anno appena trascorso la terra e gli elementi hanno manifestato la loro collera. Si sono succeduti terremoti, cicloni e inondazioni. Queste catastrofi naturali fanno riflettere, anche se, indubbiamente, non sono l'espressione della vendetta del nostro pianeta sconsideratamente ipersfruttato e inquinato da decenni. A tale proposito, noi nutrivamo, tutti, serie speranze nei lavori della Conferenza mondiale sul riscaldamento climatico di Copenaghen, dove si è riunito un numero mai raggiunto prima di Capi di Stato o di Governo. La buona volontà non è mancata ma i risultati sono stati ben al di sotto di quelli che si era legittimamente in diritto di aspettarsi. È chiaro tuttavia che gli uni come gli altri, i Paesi ricchi o emergenti come quelli in via di sviluppo, hanno preso coscienza degli sforzi indispensabili che bisognerebbe compiere per salvaguardare il nostro pianeta. È un segno rassicurante per l'esito delle riunioni già in programma nei prossimi mesi.

Nello stesso tempo, una crisi finanziaria ed economica senza precedenti, ha mostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, che l'uomo dovrebbe adoperarsi per stabilire un nuovo ordine economico mondiale più giusto e più equo.
La nostra società, superata dall'evoluzione indubbiamente troppo rapida della scienza, della tecnica e dei costumi, deve reagire al rischio di vedere scomparire, in definitiva, i valori morali e umani che ne costituiscono gli elementi strutturali senza i quali rischia di affondare.
Nel corso dell'anno 2009, lei, Santità, ha effettuato due viaggi, la cui risonanza ha segnato l'opinione mondiale. Ha ricevuto molti responsabili politici ai quali ha trasmesso il messaggio di pace, di tolleranza e di amore della Chiesa cattolica.

L'ultima sua enciclica, Santità, Caritas in veritate, illumina felicemente il senso di ogni amore con la luce che si irradia in pienezza dalla Persona di Nostro Signore Gesù Cristo poiché "il fare è cieco senza il sapere e il sapere è sterile senza l'amore".
In questo periodo di grave crisi spirituale, culturale, economica e sociale, lungi da ogni sentimentalismo e persino al di là di un'indispensabile giustizia fondata sul merito, le soluzioni realmente gratificanti per l'uomo si trovano solo nel dono totale di sé all'altro, riflesso del Totalmente Altro, nella diversità che spesso turba.

È questa la verità che la Chiesa ha sempre desiderato rivelare a ogni uomo e all'uomo nella sua totalità, affinché possa realizzare pienamente la sua vocazione trascendente.
Questo sviluppo integrale dell'umanità, dal necessario rispetto della natura e della sua legge fino a quello dovuto a ogni coscienza, è in definitiva il rispetto di ogni vita umana nella sua complessità metafisica, fisica e sociale. In realtà non è questo il fine di ogni enciclica? Al di là del discorso rivolto ai vari responsabili delle comunità cristiane, è l'insieme dell'umanità che la sua parola, Santità, ha voluto raggiungere per risvegliare le coscienze e rallegrare i cuori.

In effetti, come non riconoscere che l'intelligenza e l'amore sono doni meravigliosi che il Signore ha fatto a tutti e a ognuno. Quando queste due facoltà si uniscono per dare vita all'intelligenza del cuore riflettono al centro stesso dell'intelligenza universale la capacità donata all'uomo dal suo Creatore  di  leggere,  fra le righe della complessità cosmica, storica e personale, i desideri così rivelati di ognuno di noi, che non sono altro che quelli dell'amore ricevuto, dato e condiviso.

I frutti ben visibili dello sforzo ecumenico e del dialogo interreligioso testimoniano, da decenni, la preoccupazione della Sede Apostolica di rispettare la volontà di Nostro Signore "perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me ed io in te". Santità, mi permetta di concludere riprendendo il suo invito ai credenti nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2010:  "Invito tutti i credenti ad elevare la loro fervida preghiera a Dio, onnipotente Creatore e Padre misericordioso, affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuoni, sia accolto e vissuto il pressante appello:  Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato".

Buon e felice anno, Santità.


(©L'Osservatore Romano - 11-12 gennaio 2010)
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