Diliberto: via dall'Iraq ad agosto

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
cornelius
00venerdì 26 maggio 2006 11:57
Diliberto: «Via da Nassiriya ad agosto.
O anche noi siamo come Berlusconi» Il segretario dei Comunisti italiani: sì ad un contingente civile in Iraq, ma solo se non è un modo camuffato per mantenere i militari STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO

Il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto (Eidon)
ROMA —Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti italiani: oggi Prodi, D'Alema e Parisi discutono sul ritiro dall'Iraq. Tempi e modi la convincono?
«Non posso dirlo, finché non c'è una posizione ufficiale. Quello che si può affermare, però, è scritto nel programma dell'Unione».
Ora si parla di un rientro per l'autunno...
«Noi siamo per un ritiro immediato, nei tempi tecnicamente necessari. Il comandante delle Forze armate ha detto che servono poche decine di giorni: significa che si può fare entro agosto. Qui si tratta di rispettare il programma. Gli elettori ci hanno votato sulla base anche di quell'impegno. Troverebbero incomprensibile un ritiro negli stessi tempi previsti da Berlusconi».
«Europa», giornale della Margherita, ripete che comunque «l'importante è rimanere». Con una missione civile difesa dalla polizia militare. Ma non dicevate d'andarcene e basta, alla Zapatero?
«Una presenza civile è sempre una cosa diversa da quella militare. Ma è meglio essere chiari: chi sono questi civili? E quali sono i loro compiti? Se si tratta solo di medici e d'infermieri, d'accordo. Se invece è un modo camuffato per mantenere la nostra presenza militare, questa è una violazione dei programmi dell'Unione. E chi li viola se ne prenda la responsabilità».
Si parla addirittura di un migliaio di soldati. Non dicevate sempre che tante truppe si spiegavano solo per difendere il petrolio?
«Non voglio neanche prendere in considerazione i rischi di una presenza militare mascherata da missione civile. E in ogni caso non siamo solo noi a pensare che siamo là per il petrolio. Lo pensano moltissime organizzazioni cattoliche e anche parti della Margherita, con buona pace di Europa».
Ma che cosa può fare una missione civile in Iraq, senza scorta militare?
«Non diciamo di no a una semplice presenza di polizia militare. Ma, contemporaneamente, vogliamo che gli alleati del centrosinistra sostengano la nostra proposta d'una commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Calipari. Gli Stati Uniti ci hanno sbattuto la porta in faccia. Adesso ci sarà un processo, in Italia. Con imputato un soldato americano che è contumace. Vediamo gli esiti di questo processo. Se arriverà una condanna, l'Italia dovrà chiedere subito l'estradizione».
Ma il governo Al-Maliki può farcela da solo?
«In tutta franchezza, è un problema che non mi pongo. In Iraq c'è un governo: se la veda da solo».
Se la vede come può: la polizia irachena, che noi addestriamo, ad Amara e a Bassora è accusata perfino d'avere camere di tortura segrete...
«Noi dovremo avere le relazioni che si hanno con qualsiasi governo: basta non cooperare con chi tortura, come hanno fatto gli Stati Uniti. Uno che se ne intendeva più di me diceva che la prima vittima d'una guerra è la verità. Temo che non sapremo mai che cos'è successo a Nassiriya. Ogni tanto arrivavano le immagini d'azioni di guerra in senso stretto, con urla di giubilo quando qualcuno veniva colpito. C'è stato un vuoto d'informazione sul nostro contingente. E temo che non avremo mai tutte le tessere del mosaico».
Il senato Usa ieri ha votato una legge che punirà col carcere chiunque contesti ai funerali dei caduti in Iraq: che ne pensa?
«È una decisione da condannare in modo assoluto. Terrorismo e guerra hanno avuto come ricaduta un restringimento delle libertà individuali. Anche in Gran Bretagna ci sono state misure analoghe. Con gravi violazioni della privacy, proprio nel Paese della Magna Charta: una cosa clamorosa».
Ma perché i pacifisti possono dire tutto e invece il generale Cecchi, se spiega che a Nassiriya rimarranno 800 soldati, viene zittito?
«Perché c'è differenza fra un comune cittadino e un militare di carriera: se parla, deve farlo nelle sedi opportune».
È d'accordo col suo ministro Alessandro Bianchi, che fa derivare il terrorismo in Iraq «dalla resistenza a un'aggressione subìta»?
«Concordo con Bianchi. E distinguo sempre chi fa terrorismo da chi reagisce a una violenza. I terroristi vanno combattuti ovunque, perché sono i principali nemici di tutte le lotte di liberazione».
Ma resistenza e terrorismo sono collegati o no?
«Dipende dalle situazioni. Alcuni esempi sono più facili: se a Tel Aviv salgo su un autobus imbottito col tritolo, quello è terrorismo. Ma se lo scontro è tra forze militari avverse, come accade spesso in Iraq, è un'altra cosa».
Bianchi si emoziona anche a sentire i discorsi di Fidel Castro. Ma com'è che siete sempre lì a difendere il dittatore?
«Su Cuba la nostra posizione è diversa da quella degli alleati. Io difendo l'esperienza cubana che viene attaccata non perché c'è privazione della libertà, ma perché è un Paese che da oltre 40 anni resiste all'America. Se dovessimo discutere di tutti i dittatori che sostiene Bush, da dove dovremmo cominciare? Dalla sua stretta di mano al pakistano Musharraf?».
Francesco Battistini
26 maggio 2006

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 20:32.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com