Dietro il dito della Spagna

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Vraja
00domenica 20 gennaio 2008 10:45
Dietro il dito della Spagna

Repsol scopre un nuovo giacimento di gas nell'Amazzonia peruviana. E per gli indigeni son guai

La notizia è stata sparata a caratteri cubitali da tutti i giornali spagnoli e peruviani e ha fatto il giro del mondo: “Repsol ha scoperto in Perù un gigantesco giacimento di gas naturale”. I rappresentanti della multinazionale iberica e i ministri del governo peruviano si sono precipitati a rilasciare dichiarazioni di giubilo, presentando la novità come la buona notizia di inizio anno. “È un annuncio molto positivo per il paese – ha commentato trionfalmente il presidente Alan Garcia - e dimostra che con una politica di stabilità economica e di fiducia, arrivano gli investimenti stranieri aprendo le porte allo sviluppo tecnologico, a nuovi posti di lavoro e, soprattutto, a consolidare una cultura e una produzione di gas in Perù che ci permetta di renderci indipendenti dal petrolio”. Eppure son solo parole. Il giacimento, frutto di un investimento milionario, sorge nel cuore dell'Amazzonia peruviana, dipartimento di Cuzco, blocco 57, pozzo Kinteroni X1, dove vivono numerose popolazioni indigene, alcune delle quali in isolamento volontario. La presenza della multinazionale spagnola, che opera in sette lotti ubicati nell'Amazzonia peruviana, minaccia cinque aree protette e tutte le popolazioni locali, costrette a rinunciare a gran parte del loro territorio ancestrale, sfruttato senza rispetto per l'ambiente e per i diritti umani. Tutto questo sotto l'egida di un governo connivente e in barba al Convegno 169 dell'Organizzazione internazionale dei lavoratori, principale strumento a tutela dei popoli indigeni e tribali, sottoscritto dal Perù 12 anni fa.

Il report. Il giacimento amazzonico, che per il 35 percento è di Petrobras (Brasile) e per il 23 della statunitense Burlington (la cui quota è in via di acquisizione), è veramente “gigantesco”: 56 mila milioni di metri cubi, ossia l'equivalente di quanto consuma la Spagna in due anni. E in più, oltre al gas, sembra ci sia pure del petrolio, quindi l'euforia è d'obbligo. E se si pensa che sembra essere solo il preludio di ulteriori e dilaganti scoperte di tesori sotterranei, i conti son preso fatti. La Repsol è in Perù dal 1995 e ha stretto contratti per almeno altri venti anni, fino ad arrivare a coprire tutta la catena della negoziazione degli idrocarburi peruviani: dall'estrazione alle pompe di benzina, 230 in tutto il paese. In cambio, continua a investire in tecnologia, infrastrutture e nel sociale. O per lo meno è quanto dichiara con la sua politica di Responsabilità sociale corporativa (Rsc), in cui si impegna “a rispettare e promuovere i diritti umani nella sua area di influenza”. Peccato che i fatti siano ben altri. E lo testimonia il report Pueblos sin derechos, l' Informe della Ong Intermón Oxfam del luglio 2007.

Testimonianze. “Siamo stati al monte, abbiamo visto un accampamento, hanno violato tutta la collina, hanno tagliato le piante. Sono anche entrati con le trochas (camion aperti per la esplorazione) lunghe 500 metri e ampie un metro, e abbiamo trovato due linee. Ci siamo immediatamente riuniti, ci siamo accordati per chiedere alla compagnia che paghi, per questo abbiamo trattenuto l'ingegnere Luis Quispe (responsabile locale di Repsol), per fare pressione e negoziare una compensazione”. Questa è solo una delle testimonianze raccolte nel rapporto e che rivelano come né lo stato né la compagnia consultano le popolazioni indigene dell'area prescelta per le trivellazioni, nonostante la legge peruviana (Ley general del medio ambiente) e i trattati internazionali impongano prima la ricerca di un accordo per garantire la piena partecipazione degli indigeni nelle decisioni e nei processi che li riguardano. A questo dovrebbe seguire il rispetto del diritto a godere dei benefici derivanti dallo sfruttamento di terre indigene, il diritto a compensi giusti o a decidere sul proprio processo di sviluppo. Invece, tutto quello che è accaduto finora non è che la privazione di ogni diritto, la sottrazione indebita di territori e risorse, e la completa distorsione dei loro sistemi sociali ed economici. Risultato: questa gente non riesce più a soddisfare nemmeno le più basilari esigenze.

A scapito di tutto. A chi obietta che la multinazionale almeno crea posti di lavoro, il report risponde, testimonianze alla mano: “Gli indigeni che sono contrattualizzati per lavorare nei lotti sono sfruttati in molte maniere: dando loro salari più bassi del pattuito; imponendo loro contratti senza specificarne la durata e costringendoli a giornate di lavoro inumane”, è scritto nel documento. In più, la multinazionale spagnola ha in via di definizione un Procedimento interno di relazione con i popoli indigeni che mai ha avuto a che fare con nessun indio. Una politica fatta a tavolino da gente che gli indigeni li vede soltanto al di là dei vetri degli escavatori o dai finestrini delle jeep durante i sopralluoghi di circostanza. Eppure, la legge spagnola è assai severa in materia di diritti umani, ambiente e lavoro. Ma è forse più semplice approfittare delle lacune di una legge peruviana fatta da una classe dirigente che ha tutto l'interesse a lasciare le mani libere alle multinazionali petrolifere e minerarie, a scapito dell'ambiente e dei suoi guardiani.


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Vraja
00domenica 20 gennaio 2008 10:48
Continua la devastazione!
Nessuno interviene, anzi, c'è il giubilo generale!
Akela il solitario
00domenica 20 gennaio 2008 12:13
E' sempre la solita storia che si ripete... Il forte abusa e sfrutta il debole, impunemente.
Akyaky
00mercoledì 30 gennaio 2008 13:00
[SM=x1169393] che brutto...
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