Democrazia e Dittatura

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Pertinax
00domenica 24 settembre 2006 12:05
DEMOCRAZIA E DITTATURA

da Viaggio a Mosca, 1937 di LION FEUCHTWANGER, capitolo III



Ed eccoci arrivati al problema più discusso quando si parla della Mosca del 1937: come si sta nell'Unione Sovietica quanto a "libertà"?

Intrattenendosi con i Russi su questo tema, essi dichiarano che soltanto loro possiedono la vera democrazia; quella dei cosiddetti Paesi democratici è una libertà puramente formale. Democrazia significa dominio del popolo: ma, essi chiedono, in che modo il popolo può esercitare questo dominio quando non possiede i mezzi di produzione? Nei cosiddetti Paesi democratici, affermano, il popolo domina soltanto di nome, ma non ha la potenza effettiva per farlo. La potenza è posseduta da coloro che dispongono dei mezzi di produzione.

A che cosa sì riduce, proseguono, la cosiddetta libertà democratica, osservata più attentamente? Essa si limita alla libertà di mormorare impunenente contro il Governo e contro i partiti avversari e a gettare ogni tre o quattro anni una scheda in un'urna elettorale. Ma in nessun luogo queste "libertà" offrono la garanzia o solo anche la possibilità di realizzare effettivamente la volontà della maggioranza.

Che cosa fare di una libertà di stampa, di opinione e di riunione, quando non si dispone delle tipografie e delle sale di riunione: E dove il popolo dispone di queste cose? Dove il popolo può esprimere efficacemente la propria opinione, dove può farsi rappresentare efficacemente? La Costituzione di Weimar era considerata la più liberale del mondo. Il Parlamento, scelto in base al diritto di elezione di questa Costituzione, ha mai tentato di eseguire la palese volontà del popolo? Questo Parlamento è stato in grado di impedire la dittatura della minoranza fascista? Ed i Russi concludono: tutte le cosiddette libertà democratiche rimangono libertà apparenti, fin che non sono convalidate dalla vera libertà popolare, cioè fintanto che la generalità non disponga dei mezzi di produzione.

" Vedète" mi dichiarò un eminente uomo di Stato dell'Unione Sovietica, "i dirigenti politici delle democrazie borghesi hanno riconosciuto in tempo, come noi, che di fronte alla minaccia di guerra da parte degli Stati fascisti una sola politica garantisce il successo e cioè quella di un'attrezzatura adeguata.

Ma in considerazione delle elezioni, del Parlamento e dell'opinione pubblica creata artificialmente, essi dovettero celare la loro opinione. Oppure, nel migliore dei casi, potevano esprimerla con metafore e con prudenza. Essi dovettero strappare gli stanziamenti necessari alla loro opinione pubblica ed al loro Parlamento, mediante lusinghe o minacce. Se non ci fossimo stati noi se non ci fossimo attrezzati, la guerra fascista sarebbe già scoppiata da molto tempo. L'attività dei Parlamenti democratici non è valsa ad altro che ad amareggiare la vita dei responsabili, ad ostacolarli nell'esecuzione di quanto era necessario o a renderne quanto meno difficile l'esecuzione. Il risultato del cosiddetto parlamentarismo democratico e della cosiddetta libertà di stampa democratica è che ognuno che gode di notorietà deve lasciarsi insultare o deve passare parte del suo tempo a confutare offese prive di fondamento. Invece di compiere del lavoro utile, i ministri di uno Stato parlamentare devono passare la massima parte del loro tempo a rispondere a domande superflue e controbattere obbiezioni assurde. "

Devo convenire che questa spiegazione mi sembra qualche cosa di più di una semplice caricatura. Io stesso, per la maggior parte della mia vita, tenni molto a queste libertà democratiche, e specialmente la libertà di opinione e di stampa mi stava, come scrittore, molto a cuore. Le famose parole di Anatole France che la democrazia consiste nella libertà del ricco e del povero di dormire sotto i pilastri dei ponti sulla Senna, mi sembrarono un aforisma altrettanto grazioso quanto divertente. La mia fede democratica ricevette un primo colpo durante la guerra, quando osservai che, nonostante ogni democrazia, la guerra veniva perseguita contro la volontà della maggioranza delle popolazioni. Negli anni del dopoguerra si manifrstarono sempre più le lacune delle comuni costituzioni democratiche ed oggi sono del parere che le libertà borghesi non sono che un tranello da parte di una piccola minoranza per poter eseguire la propria volontà.

Per quanto concerne l'Unione Sovietica, sono convinto che essa ha percorso gran parte della strada che conduce alla democrazia socialista. È un fatto che nell’U.R.S.S. è il popolo, e non i singoli, che possiedeno i mezzi di produzione; inoltre, mentre i Paesi democratici con le loro chiacchiere sul disarmo e col loro venir incontro agli Stati fascisti stimolarono questi a commettere sempre nuove violenze, la sola Unione Sovietica,con un razionale riarmo, impedì al fascismo di incominciare la sua guerra contro un mondo male armato. I dirigenti dell'Unione Sovietica non solo hanno quindi il diritto di manifestarmi, con una certa ironia, che soltanto le loro "misure democratiche" hanno reso possibile l'ulteriore esistenza delle democrazie occidentali; essi hanno anche creato una vera "democrazia", in quanto hanno trasferito i mezzi di produzione alla comunità ed hanno prodotto armi efficaci per assicurare il loro possesso.

I nemici dell'Unione Sovietica vi gettano volentieri in faccia la frase di Lenin: "La libertà è un pregiudizio borghese". La citazione è errata. La frase afferma esattamente il contrario di quello che essi dicono. Essa è contenuta nella monografia Discorsi sulla libertà e Lenin vi parla dello " smascheramento senza riguardo dei pregiudizi democratici pieccolo borghesi sulla libertà e sull'eguaglianza". " Fintanto che non saranno eliminate le classi" egli scrive, "ogni discorso sulla libertà e sull'eguaglianza è inganno. Fintanto che non sarà risolto il problema della proprietà dei mezzi di produzione, non si può parlare di una vera libertà di personalità umana e di una vera eguaglianza degli individui, ma soltanto della libertà di classe dei proprietari e dell'ipocrita eguaglianza fra possidenti e nullatenenti, fra sazio ed affamato, fra sfruttatore e sfruttato."

Questo concetto della libertà è un assioma per il cittadino sovietico. La libertà di poter imprecare pubblicamente contro il Governo, può essere una buona libertà; ma egli ritiene libertà ancora migliore non dover avere timore della disoccupazione, della vecchiaia indigente e della preoccupazione per il destino dei suoi figli. Stalin espresse pensieri simili in un discorso tenuto agli operai stackanovisti. " La libertà da sola non basta", disse egli. " Quando manca Il pane, quando mancano il burro ed i grassi, quando mancano le stoffe per fare i vestiti, quando le condizioni di abitazione sono cattive, con la sola libertà non è possibile fare molto. È molto difficile, compagni, vivere di sola libertà. Per poter vivere bene e felici, i beni della libertà politica devono essere completati da quelli materiali. "

Non posso fare a meno di citare qui la frase scettica del filosofo troppo poco noto Fritz Mauttiner, sul concetto della libertà democratica. " Uno Stato democratico" egli scrive, "è uno Stato i cui cittadini sono politicamente liberi. Solo che dall'antichità o per una nuova e recente superstizione viene determinato come devono essere fatte le leggi: mediante le deliberazioni dei più ricchi, dei più vecchi, oppure della maggioranza. In nessun luogo si trova chiaramente espresso il concetto che la libertà politica consiste nel far fare le leggi agli ignoranti e che tali leggi vanno poi fatte rispettare da tutti. La libertà politica viene regolarmente ottenuta con una rivoluzione, cioè con l'abolizione delle limitazioni legali. Siccome, però, una tale abolizione è utopistica ed un ordinamento della società non è concepibile senza limiti legali la prima cosa che fa il nuovo ordinamento della società è di negare l'abolizione e di innalzare nuove barriere che a loro volta si chiamano pure libertà."

Ma ritorniamo all'Unione Sovietica. La Costituzione dell'Unione prevede nell'articolo 125: "In armonia con gli interessi dei lavoratori ed allo scopo di determinare il sistema socialista, i cittadini dell'Unione Sovietica hanno garantito attraverso la legge: a) la libertà di parola, b) la libertà dì stampa, c) la libertà di riunione, d) la libertà di fare cortei e dimostrazioni. Questi diritti dei cittadini sono garantiti dal fatto che ai lavoratori e alle loro organizzazioni vengono messi a disposizione le tipografie, la carta, gli edifici pubblici, le strade, le poste, i telefoni e telegrafi e le altre condizioni necessarie per il loro esercizio ". Questo articolo è straordinariamente tranquillante; esso non si limita, come i corrispondenti articoli di altre costituzioni, a garantire la libertà di parola e di stampa, esso ne indica anche i mezzi.

La pratica dimostra tuttavia che, nonostante queste garanzie, la situazione della libertà d'opinione e di stampa non è affatto ideale nell'Unione Sovietica.

Come ho dimostrato più sopra, parecchi scrittori sono molestati dalle autorità politiche ed il fatto che Platone desiderava che i poeti fossero esclusi dal suo Stato, è una magra consolazione per gli interessati.

Per quanto debba riconoscere che l'articolo 125 della Costituzione sovietica non sia stato ancora interamente realizzato capisco, d'altra parte, che l'Unione Sovietica non vuole percorrere affrettatamente il resto della strada che la separa dalla realizzazione dello Stato socialista. L'Unione Sovietica non avrebbe mai potuto raggiungere quanto ha fatto, se si fosse permessa una democrazia parlamentare in senso occidentale. Mai sarebbe stata possibile la costruzione del socialismo con piena libertà di critica. Mai un Governo, costantemente aggredito dal Parlamento e dalla stampa e dipendente dai risultati elettorali, avrebbe potuto obbligare la popolazione a compiere gli sforzi che devono garantirne la costruzione.

E posti davanti all'alternativa di dedicare la massima parte delle loro forze alla difesa di attacchi stolidi e maligni e tutta la loro forza al compimento di questa costruzione, i dirigenti dell'Unione hanno deciso la limitazione della libertà di critica. Ma la maldicenza o la critica è un occupazione che sta tanto a cuore a molta gente che si pensa di non poterne fare a meno. Tutte le lingue possiedono molte espressioni per questa occupazione, e mi posso immaginare che a parecchi la limitazione alla libertà di critica sembri puro dispotismo. Molti pertanto dichiarano essere l'Unione Sovietica il contrario di una democrazia, anzi si spingono ad affermare che fra l'Unione e le dittature fasciste non esiste nessuna differenza. Poveri ciechi! La dittatura dei Sovietici si limita in fondo a non ammettere due concetti, espressi sia con parole e scritti, sia con fatti: primo, l'opinione che la costruzione del socialismo nell'Unione sia impossibile senza rivoluzione mondiale; secondo, l'opinione che l'Unione Sovietica deve perdere la prossima guerra. Chi, pertanto, da questo trae la conclusione della completa eguaglianza fra Unione Sovietica e dittature fasciste, trascura, secondo me, una diffèrenza essenziale: quella cioè', che l'Unione Sovietica proibisce l'agitazione per il principio che due più due fanno cinque, mentre le dittature fasciste la proibiscono per il principio che due più due fanno quattro.

Ma parliamo seriamente. I Sovietici vorrebbero naturalmente poter eliminare le deficienze estetiche che la loro vita pubblica presenta ancora. Che lo vogliano, lo hanno dimostrato accettando la loro Costituzione e con l'entusiasmo con cui l'hanno accolta. Ma è gente prudente e metodica, e nellostesso modo con cui incominciarono la produzione dei beni di consumo su vasta scala, dopo essersi assicurato il fabbisogno di materie prime e macchine, nello stesso modo vogliono far godere i singoli di tutti i diritti della democrazia socialista, quando avranno assicurata la continuità di questa democrazia attraverso una vittoria o mediante l'eliminazione del pericolo di guerra.

"Nulla da fare, compagno," mi disse un dirigente dell'Unione, quando parlammo delle deficienze esteriori che sfigurano ancora la democrazia socialista. " Siamo un esercito in marcia. Prima dobbiamo conseguire la vittoria. Poi potremo considerare se è meglio attaccare i bottoni dell'uniforme un po' più in alto, o un po' più in basso."

"Ma che cosa volete?" mi domandò scherzando sullo stesso tema un filologo sovietico. "Democrazia significa dominio di popolo, dittatura vuoi dire predominio di un singolo. Quando però questo singolo rappresenta il popolo in modo ideale, come avviene da noi, allora democrazia e dittatura non sono la stessa cosa? "

Questo scherzo ha un retroscena molto serio. L'adorazione di Stalin, il culto fanatico che il popolo ha per lui, è la prima cosa che salta agli occhi dello straniero che viaggia nell'Unione. Su tutti gli angoli, in posizioni appropriate e non appropriate, si vedono busti ed immagini di Stalin. I discorsi che si sentono, non soltanto quelli politici, ma anche quelli su temi artistici e scientifici cari, sono costellati con glorificazioni di Stalin e spesso la deificazione dell'uomo assume forme prive di buon gusto.

Eccone alcuni esempi. È logico vedere busti di Stalin nelle diverse sale dell'Esposizione di architettura prima descritta; perché Stalin è uno dei creatori del progetto di ricostruzione della città di Mosca. Ma è difficile comprendere che cosa ha a che fare il brutto enorme busto di Stalin con l'esposizione di opere di Rembrandt, organizzata, per il resto, con ottimo gusto a Mosca.

E rimasi anche stupito, quando, in una conferenza sulla "tecnica del dramma sovietico", udii come l'oratore, altrimenti misurato, ad un tratto proruppe in un mostruoso inno sui meriti di Stalin.

Non c'è dubbio che questa esaltata adorazione sia sincera nella maggior parte dei casi. La gente sente la necessità di esprimere la sua gratitudine e la sua sconfinata ammirazione. Essa crede veramente di dovere tutto quello che ha e tutto quello che è a Stalin. E per quanto strana e sconcertante possa sembrare la venerazione di Stalin a noi occidentali, non ho trovato tracce che indichino che essa sia artificiale o montata. E piuttosto cresciuta organicamente insieme ai risultati della ricostruzione economica. Il popolo è grato a Stalin per il pane, la carne, l'ordine, l'istruzione e per la garanzia di questo suo nuovo benessere mediante la creazione dell'esercito. Il popolo deve avere qualcuno a cui dimostrare la sua gratitudine per il visibile miglioramento del tenore di vita ed a questo scopo non puo servirsi di una persona astratta, non è grato ad un "comunismo" astratto, ma ad un uomo tangibile, e quest'uomo è Stalin. Il Russo ha la tendenza agli estremi: la sua lingua ed i suoi gesti hanno qualcosa di superlativo ed è contento quando può far traboccare il cuore. Lo sconfinato omaggio non vale quindi soltanto per Stalin, ma anche per i rappresentanti della ricostruzione

economica. Il popolo dice: noi amiamo Stalin, e questa è la espressionc più ingenua e naturale della sua approvazione delle condizioni economiche, del socialismo e del regime.

Si aggiunga inoltre che Stalin fa veramente parte del popolo. Egli è figlio di un calzolaio di campagna ed ha conservato i rapporti con operai e contadini. Più di qualsiasi altro uomo di Stato da me conosciuto, egli parla il linguaggio del popolo. Non è certamente ciò che si chiama un grande oratore. Parla faticosamente, in modo stentato, per nulla brillante e con voce rauca. I suoi argomenti sono tormentati, essi si rivolgono al sano buon senso di gente che capisce bene, ma lentamente. Stalin possiede però in primo luogo il senso dell'umorismo, un umore da piccolo contadino, scaltro, piacevole e spesso aspro. Nei suoi discorsi cita volentieri aneddoti umoristici tolti da scrittori popolari russi, egli spiega questi aneddoti, ne dà l'applicazione pratica, i suoi discorsi si leggono come le vecchie storie dei nonni. Quando Stalin parla, con il suo sorriso astuto e piacevole, e tendendo l'indice, egli non pone, come altri oratori, una barriera fra sé e l'uditorio, egli non si pone pieno d'imponenza sul palcoscenico e gli altri siedono sotto di lui, ma si forma rapidamente un'intesa e una viva confidenza fra lui e gli ascoltatori. Sono fatti della stessa materia, accessibili agli stessi argomenti, ridono gaiamente delle stesse semplici stonelle. Non posso fare a meno di citare un esempio della popolare oratoria staliniana. Egli parla della Costituzione e mette in ridicolo l'ufficiosa Deutsche Korrespondenz, la quale dichiara che la Costituzione dell'Unione Sovietica non può essere considerata una vera Costituzione, dato che l'Unione Sovietica rappresenta soltanto un concetto geografico.

" Come spiegarsi con simili critici? ", domanda Stalin. Ed egli racconta una parabola allegra alla riunione: "In una delle sue favole, il grande scrittore russo Scedrin dipinge un funzionario amministrativo stupido ed ingenuo, ma altrettanto presuntuoso ed ostinato. Un giorno questo funzionario vede sul lontano orizzonte l'America, un Paese non molto importante, ma che comunque è amministrato in modo notevole e dove esistono certe libertà, che eccitano il popolo. Il funzionario vede dunque l'America e si arrabbia. Che Paese è quello, da dove è spuntato, con quale diritto esiste? Bene, è stato scoperto per caso alcuni secoli fa. Non è possibile ricoprirlo, affinché non ci sia più? Così pensa il nostro funzionario ed egli decreta il provvedimento:

"L'America deve essere nuovamente fatta scomparire " Mi sembra " dichiara Stalin agli ascoltatori, " che il critico" della Deutsche Korrespondenz assomigli a questo funzionario.



L'Unione Sovietica è da lungo tempo una spina nel cuore per lui. Da diciannove anni è un faro, essa accende i lavoratori di tutto il mondo con lo spirito della liberazione e suscita l'ira dei nemici della classe operaia. Ed è un fatto che l'Unione Sovietica non esiste semplicemente, ma anzi cresce, e non solo cresce, ma prospera anche e non solo prospera, ma si dà anzi una nuova Costituzione, una Costituzione che eccita gli spiriti e dà nuove speranze alle classi oppresse. Perché il critico della Deutsche Korrespondenz non dovrebbe inquietarsi? "Che genere di Paese è," grida egli, con quale diritto esiste? E, se è stato scoperto nell’ottobre 1917, perché non lo si può far scomparire nuovamente, affinché non ne rimanga più nulla?" Così egli pensa, e dispone:

"L'Unione Sovietica deve essere nuovamente fatta scomparire; dichiaro formalmente che l'Unione Sovietica non esiste come Stato, che essa non rappresenta altro che un concetto geografico".

"Tuttavia, con tutta la sua stupidità, il funzionario di Scedrin, dopo aver preso la decisione che l'America deve essere nuovamente fatta scomparire, ha ancora abbastanza cervello per capire che ciò non dipende da lui. Non so se il critico della Deutsche Korrespondenz sia abbastanza intelligente per arrivare alla stessa conclusione, che egli può benissimo fare scomparire questo o quello Stato sulla carta, ma quando si parla seriamente ciò non dipende da lui."

Così Stalin parla al suo popolo. Come si vede, i suoi discorsi sono poco sgargianti e un po' ingenui; ma a Mosca bisogna parlare chiaro e forte per essere intesi fino a Vladivostok. Stalin parla quindi chiaro e forte e tutti lo capiscono, tutti se ne compiaciono ed i suoi discorsi rappresentano l'intesa fra il popolo che li sente e l'uomo che li pronuncia.

Del resto Stalin è molto riservato, al contrario di molti altri sovrani . Non si è attribuito nessun titolo altisonante e si chiama semplicemente "segretario del Comitato centrale". Si mostra in pubblico soltanto quando è strettamente necessario; non intervenne, ad esempio, alle grandi dimostrazioni che ebbero luogo a Mosca sulla Piazza Rossa, per festeggiare la nuova Costituzione che porta il suo nome. Quasi nulla trapela in pubblico della sua vita privata. Si raccontano centinaia di aneddoti su di lui, come gli sta a cuore la vita di ogni singolo, come ha inviato un veivolo carico di medicinali nell'Asia centrale per salvare un bambino che altrimenti sarebbe morto, oppure come ad uno scrittore troppo modesto ha assegnato, quasi con la forza, un'abitazione decente e spaziosa. Ma simili aneddoti vanno solo di bocca in bocca e soltanto in casi eccezionali ad un giornale è permesso pubblicarli. Della vita privata di Stalin, della sua famiglia e delle sue abitudini non si sa quasi nulla di sicuro. Egli ha proibito il festeggiamento del suo compleanno. Se gli viene reso omaggio, deve essere attribuito esclusivamente alla sua politica e non alla sua persona. Quando il Congresso votò la promulgazione della Costituzione da lui proposta e definitivamente redatta e gli fece un entusiastica ovazione, egli pure applaudì dimostrando cosi che non attribuiva l'omaggio alla sua persona, ma unicamente quale riconoscimento della sua politica. È noto che a Stalin non piace la deificazione di cui è oggetto ed ogni tanto la mette in ridicolo. Si racconta che ad una colazione intima, data il capo d'anno ad una piccola cerchia d'amici, egli alzò il suo bicchiere e disse: "Bevo alla salute dell'incomparabile capo dei popoli, del grande e geniale compagno Stalin. Ecco, miei cari, questo è l'ultimo brindisi che in quest'anno mi viene fatto".

Di tutti gli uomini potenti che ho conosciuti, Stalin è il piu" semplice. Parlai con lui francamente del culto smisurato e privo di gusto dedicato alla sua persona ed egli rispose altrettanto francamente. Mi disse che gli dispiaceva dover perdere tanto tempo per i suoi doveri rappresentativi. Ciò può essere facilmente creduto; perché Stalin, come mi è stato dimostrato con molti esempi documentati, è incredibilmente attivo ed egli si occupa di ogni particolare, di modo che non gli resta effettivamente tempo per le cortesie e gli omaggi superflui. Su cento telegrammi di omaggio che gli pervengono, fa rispondere in media ad uno. Personalmente è molto positivo, fin quasi alla scortesia e gli piace che il suo interlocutore sia altrettanto positivo. Egli scrolla le spalle sulla mancanza di gusto dell'esagerata adorazione della sua persona.

Scusa i suoi contadini ed operai che avrebbero avuto troppo da fare per poter occuparsi anche del gusto e scherza sulle centomila immagini enormemente ingrandite di un uomo con baffi che nelle dimostrazioni passano sotto i suoi occhi. Gli faccio notare che uomini di indubbio cattivo gusto pongono statue e busti di Stalin anche dove proprio non ci vorrebbero, ad esempio alla esposizione di Rembrandt. Allora diventa serio. Egli sospetta che dietro simili esagerazioni stia lo zelo dì uomini che si siano convertiti tardi al regime ed ora tentino di dimostrare la loro fedeltà con aumentata intensità. Anzi, egli ritiene possibile che dietro ad essa sia nascosta l'intenzione di sabotatori e che in tal modo cerchino di screditarlo. " Un pazzo servile" dice irritato, "produce più danno di cento nemici." Se tollera tutto quel fracasso, dichiara egli, lo fa perché sa quanta ingenua gioia il baccano festivo procura a coloro che lo hanno preparato e che non è dedicato alla sua persona, ma al rappresentante del principio che la ricostruzione dell'economia socialista nell'Unione Sovietica è più importante della rivoluzione permanente.

I comitati del partito di Mosca e di Leningrado hanno nel frattempo preso decisioni con le quali viene giudicata severamente "la falsa pratica di omaggi superflui e privi di buon senso ai dirigenti del partito" e dai giornali sono scomparsi gli esagerati telegrammi d'omaggio.

Tutto considerato, non si può trascurare con una scrollata di spalle la nuova Costituzione democratica che Stalin ha dato all'Unione Sovietica. Se i mezzi impiegati da lui e dai suoi collaboratori possono esser sembrati spesso equivoci l'astuzia era per la loro lotta altrettanto indispensabile quanto il coraggio, Stalin è sincero quando, come sua mèta finale, indica la realizzazione della democrazia socialista.
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