Cornamuse battono il ritmo
di schizzi d’ambrosia,
e ragazzi vorticano gioiosi
pressati dall’ancestrale effusione
di sguardi che vivono il tempo
nell’umana passione.
Una luna pallida tace
e assiste alla ghirlanda corale,
trafitta violenta nel cuore
dal fuoco variopinto e artificiale,
non s’affligge per l’uomo,
ma sorride alla perduta sposa.
Essa soltanto, lontano dal coro,
solleva lo sguardo
a palpare il malinconico alone
dell’ombra nella luce della notte.
Nel buio dell’anima
tasta il terreno per scovare
la radice del suo male,
e coltivare l’indemoniata pazienza,
saturare l’otre della vendetta.
Delfia dai capelli nero cenere
questo era il suo nome,
prima di divenire lo scherno
del boia sociale.
Mostra al cielo il sottile ghigno
nel osservare la congiunzione astrale,
predizione dell’arido destino.
E lontano dal fuoco fatuo
s’avviò nel lungo cammino
alla ricerca di Egidio il bardo
che della dignità l’aveva traviata,
autore del furto del coraggio.
Alle sue spalle la vita,
alla sua vista il ghiaccio.