Darfur, nei campi profughi si morirà di fame e di stenti

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vanni-merlin
00mercoledì 4 ottobre 2006 23:56
Viaggio a Geneina, dove abitano 110mila persone, soprattutto donne e bambini, minacciati dalla violenza dei miliziani e ora a rischio di vita: le scorte di cibo stanno finendo


Darfur, nei campi profughi si morirà di fame e di stenti


Negli ultimi due mesi sono stati uccisi otto operatori umanitari. Le Ong pronte a uno sgombero d’emergenza

Dal Nostro Inviato A Geneina (Sudan) Paolo Lambruschi

I campi profughi del Darfur sono al collasso umanitario. E nonostante gli appelli al dialogo e le mosse diplomatiche della comunità internazionale, i Paesi donatori non dimostrano molta sensibilità, visto che hanno finanziato solo parzialmente gli aiuti agli oltre due milioni di sfollati. I generi di prima necessità basteranno fino al 31 dicembre a patto di cominciare a ridurre le razioni a una popolazione già stremata da tre anni di conflitto. L'allarme è stato lanciato ieri a Geneina, nel West Darfur, dalle organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite e dalle Ong internazionali impegnate da oltre un anno nei campi ad aiutare persone in fuga da un conflitto caratterizzato da una ferocia con pochi eguali, la più grave crisi umanitaria in atto nel pianeta. Finora, secondo il Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro, in tre anni hanno perso la vita 200mila persone. Dopo la firma di un accordo di pace, a maggio, tra il governo di Khartum e i ribelli dello Sla, Esercito di liberazione sudanese, sembrava fosse finita. Ma due fazioni dello Sla non hanno accettato la pace e hanno ripreso a combattere le truppe regolari e le milizie janjaweed loro alleate. Sono predoni nomadi di origine araba armati dal governo, secondo l'Onu, per compiere le azioni più efferate contro i civili, soprattutto le donne, e per radere al suolo i villaggi. All'inizio il quadro sembrava chiaro; arabi contro neri, entrambi islamici, ma in lotta per la terra. Oggi, con la scissione dei ribelli, è la guerra di tutti contro tutti. A Geneina, capoluogo del West Darfur, a 1700 chilometri a ovest di Khartum, ai margini del deserto, 90mila abitanti, c'è un grande campo Onu con 20mila persone. Città di povertà dignitosa, case basse di cemento armato dove il tempo si passa seduti all'ombra per sfuggire al caldo infernale, attorno al grande suk, mentre sulle piste di terra rossa battuta camminano contadini con asini e cammelli. Ma al tramonto non è opportuno girare per strada e il personale delle organi zzazioni umanitarie deve chiudersi nei residence per evitare aggressioni. Tra le tende del campo, che si mescola ai confini della città, scene di vita normale: un muezzin chiama i fedeli alla preghiera e invita a rispettare il digiuno del Ramadan, ovunque bimbi che giocano. Gli sheik, i capi, accolgono gli ospiti, c'è persino un suk improvvisato che vende verdura e frutta, i prodotti di questa terra che lambisce il deserto e comincia ad essere fertile e perciò fa gola a molti. Anche perché il sottosuolo risulta ricco di giacimenti petroliferi. La tensione è palpabile. Quasi non si vedono maschi adulti, tutti morti o a combattere in una delle fazioni. Si esce a proprio rischio, soprattutto le donne che vengono rapinate, percosse e stuprate da tutti i gruppi in lotta. Del resto qui vivono soprattutto mamme e bambini: i piccoli sono il 40% della popolazione sfollata, costretti a vivere sotto le grandi tende coperte dai teli di plastica dell'Acnur, l'organizzazione per i rifugiati. Vietato conversare con i profughi. Nel campo, per motivi di sicurezza, non entrano delegazioni e i giornalisti devono restare in incognito. Ovunque potrebbero nascondersi membri delle fazioni, che aspettano il momento buono per estrarre le armi e compiere un massacro. E chi parla con gli occidentali è considerato una spia, un traditore, e mette a rischio la propria incolumità. Nel campo di Geneina, rivela a bassa voce qualcuno degli ospiti, si stanno moltiplicando sparizioni e rapimenti di profughi. Chi è troppo loquace rischia di essere arrestato anche dall'onnipresente polizia politica. Gli operatori del programma alimentare Onu rivelano che non ci sono confini, chiunque può infiltrarsi fidando sulla complicità etnica. Insomma, la guerra si combatte anche qui dentro. «La situazione è difficile - spiega Pablo Ricalde, coordinatore per il Sudan del programma alimentare delle Nazioni Unite - noi andiamo avanti, nonostante i rischi per la sicurezza. A Geneina non ci sono ancora grossi problemi per la presenza in città di forze governative, al Nord è molto peggio». Sta di fatto che 3 giorni fa il personale del Pam, un'ottantina di civili, ha concluso un corso di evacuazione rapida. I campi profughi stanno per finire fuori controllo. Tutta l'area rischia la catastrofe umanitaria. Nel West Darfur, su un milione e 600mila abitanti, la metà è sfollata, un'altra quota consistente vive al limite di sussistenza grazie alle organizzazioni umanitarie. A Genenia su 110 mila abitanti, 100 mila sono assistiti. La produzione agricola è precipitata dopo tre stagioni di guerre e fughe dai campi che nessuno ora coltiva più. «Il nostro problema principale è l'accesso degli aiuti alle persone lontane dai campi - afferma Nando Arroyo, responsabile di Ocha, l'organizzazione dell'Onu che coordina le attività umanitarie della regione - perché per motivi di sicurezza non possiamo muoverci con automezzi fuori città altrimenti veniamo aggrediti. Dobbiamo noleggiare elicotteri che costano 8mila dollari l'ora e i fondi stanno finendo» Anche le Ong sono diventate un bersaglio. A rischio è il personale nazionale che viene eliminato perché accusato di collaborare con il «nemico occidentale». Negli ultimi due mesi sono stati uccisi otto operatori. Ma il programma alimentare può reggere l'urto di un'altra ondata di profughi a Geneina? Sulla carta sì, anche se si cominciano a diminuire le razioni (ogni mese 16 kg di viveri agli sfollati, la metà a chi ha un'abitazione) per arrivare a marzo. Poi occorreranno nuovi fondi. Anche le offerte e il sostegno idei governi ai programmi delle Ong sono in calo. Soprattutto quelli per i bambini, le vittime di una guerra che sta togliendo loro ogni futuro e che nessuno deve dimenticare.


da: www.avvenire.it/


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