Da Repubblica.it di tre anni fa: Jack Valenti e l'assassinio

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Federico Ferrero
00venerdì 16 giugno 2006 10:18
Nel caso ve lo foste perso: una bella intervista.

(Fonte: Vittorio Zucconi, http://www.repubblica.it/2003/k/sezioni/esteri/kennedy/valenti/valenti.html)

WASHINGTON - "La osservavo in piedi accanto a me e mi chiedevo, ma come fa questa donna a reggersi in piedi, con quegli occhi spenti che guardavano senza vedere, la bara alle sue spalle, il sangue e la materia cerebrale del marito che ancora si rapprendevano sulla giacca del suo tailleur... forse era la ressa sull'aereo a tenerla diritta, se fosse stata sola, pensai, Jackie sarebbe crollata come un sacco vuoto". Lui c'era, sull'aereo che trasportava a Washington il corpo di un presidente morto e il corpo di un presidente vivo, una vedova imbrattata di sangue e il cuore politico di una nazione che cercava di tornare a battere. Jack Valenti, italo americano e oggi presidente dell'associazione dei produttori cinematografici, la Mpa, c'era, ed è l'ultimo superstite ancora abbastanza giovane per ricordare e per raccontarci il viaggio allucinato dell'Air Force One, nel pomeriggio di un 22 novembre di 40 anni or sono.

Come si fa nei vostri film, Mister Valenti, cominciamo dall'inizio. Lei che cosa ci faceva a Dallas, il 22 novembre del 1963?
"Avevo un'agenzia di pubbliche relazioni nel Texas e il partito democratico mi aveva chiesto di organizzare gli eventi pubblici della visita del Presidente e del Vice Presidente".

Aveva mai incontrato JFK?
"Sì, la sera prima che lo uccidessero, il 21. Avevo organizzato una cena di gala a Houston per puntellare la sua popolarità che in Texas stava crollando. Lo incontrai dietro il palco, insieme con la First Lady, scambiammo qualche parola, lui mi ringraziò, notai, come molti altri in quei giorni, che lui e Jackie si tenevano spesso per mano, come non avevano fatto mai prima in pubblico. Si diceva che la perdita recente del loro terzo figlio, Patrick, morto quando aveva due giorni, li avesse riavvicinati".


Poi, tutto il corteo presidenziale si trasferì a Dallas e lei con loro.
"Mi portarono a Love Field, l'aeroporto di Dallas, sull'Air Force Two, il Boeing gemello sul quale volava Lyndon Johnson".

Era nel corteo diretto verso l'appuntamento con Lee Harvey Oswald?
"Ero nella quinta macchina dietro la Lincoln scoperta del Presidente".

Sentì gli spari?
"No, il vento tirava in senso contrario. Vedemmo soltanto l'auto davanti a noi scattare dai 10, 15 chilometri di velocità del corteo, a tutto gas. Pensammo che il Presidente avesse dato ordine di accelerare per non essere in ritardo al pranzo ufficiale. Ci mettemmo a correre anche noi. Arrivammo all'albergo e non c'era nessuno. Soltanto un agente del servizio segreto che mi disse: hanno sparato al Presidente, correte all'ospedale Parkland".

Fu allora che le dissero che era morto?
"No. L'autista ci portò nei sotterranei del Parkland Hospital, al passo carraio dal quale uscivano le bare. Mi spinsero verso una stanzetta sorvegliata da un altro agente, che mi aprì la porta. Dentro, seduto a un tavolino di metallo, con la testa tra le mani, c'era Lyndon Johnson e un altro agente che mi prese per il braccio e mi disse: Kennedy è morto. Vada subito all'aeroporto e s'imbarchi sull'Air Force One".

E Johnson?
"Mi guardò e non disse niente. Io cominciai a piangere fuori controllo. Mi spinsero su un'altra auto, partimmo sparati per l'aeroporto. Mi scaricarono davanti al Boeing, circondato da militari. Salii sull'aereo, dove una folla di persone si era già accalcata e pochi minuti dopo, dal portello di passaggio, spuntò, chinandosi per non dare una testata, la figura gigantesca di Lyndon Johnson, che era alto due metri. Mi vide e mi disse: Jack Valenti, d'ora in poi tu lavori per me. Yessir, mister president".

Era passato quanto dagli spari?
"Forse un'ora e mezzo, due al massimo".

Partiste subito?
"No, no. Johnson diede ordine di non muoversi. Fece chiamare il ministero della Giustizia, voleva parlare con Bobby Kennedy, il fratello, che era in volo verso il Giappone. Trovò il sottosegretario, l'avvocato Katzenbach, che gli disse di tornare immediatamente a Washington, che due stormi di caccia stavano volando verso Dallas per scortare l'Air Force One, ma Johnson rispose di no".

Aveva paura di alzarsi in volo, senza sapere se quello fosse un attacco, una guerra?
"No, aveva deciso che non sarebbe partito senza avere giurato e senza la salma di JFK".

Perché? Costituzionalmente, era già lui il Capo dello Stato.
"Fu quello che gli disse il ministero della Giustizia, ma lui voleva dimostrare al mondo due cose, che era il custode dell'eredità del Presidente martire, viaggiando con la bara, e che tutti vedessero la foto del giuramento, perché fosse chiaro che Kennedy era morto, che c'era un Presidente in carica e che l'America era viva".

Jackie era già a bordo?
"Arrivò poco dopo di me, mentre la polizia portava in fretta un magistrato federale, la signora Hughes, per amministrare il giuramento. La bara di Kennedy fu caricata sull'aereo dal portello posteriore, quello usato per i viveri, con un montacarichi e Jackie salì accanto alla bara".

E Johnson giurò.
"Faceva molto caldo, con i motori fermi e con tutta quella gente. Al fotografo della Marina, che faceva le foto ufficiali, fu ordinato di scattare e gli tremava il dito sulla sua Speedograph Kodak, mentre sistemava otturatori e velocità, nella penombra della carlinga. Un segretario accese il dictaphone portatile per registrare la voce, la giudice portò la piccola Bibbia e il vice presidente giurò, tra la moglie, Lady Bird, e Jackie, che era stata spinta alla sua sinistra e aveva l'aria di chi non capiva più nulla. Tutto durò forse due minuti, il giudice fu spinto fuori e poi l'Air Force One fece girare le turbine e decollò, senza che neppure noi avessimo il tempo di sederci".

Jacqueline rimase con voi e con il nuovo Presidente?
"La signora Kennedy si rifugiò nella coda dell'aereo, in fondo, oltre la cucina, nella zona cargo, per sedere accanto alla bara avvolta nella bandiera".

Disse qualcosa?
"Neppure una parola. Larry O'Brien, l'agente che le sedette accanto per le tre ore di volo verso la base di Andrews, a Washington, mi disse che era rimasta sempre seduta, gli occhi fissi nel vuoto, le mani giunte in grembo, senza parlare. Soltanto una volta allungò la mano per toccare la bara. Le portarono acqua, tè, frutta, qualche biscotto, non li toccò, per tre ore".

E intanto Johnson?
"Telefonò a Rose Kennedy, a Hyannisport, alla madre del presidente morto. Poi parlò con Bobby, il fratello, che aveva invertito la rotta e stava rientrando a Washington, e con McNamara, il ministro della difesa, per sapere se ci fossero segnali di crisi militare internazionale".

Lei dove era, durante il viaggio?
"Seduto accanto a Johnson, lui al finestrino, io al corridoio. Uno steward ci portò due bicchieri d'acqua, io me ne rovesciai mezzo sulle gambe, per tanto che la mano mi tremava, ma la mano del Presidente, che mi passò davanti al naso per prendere il bicchiere era fermissima. Johnson era stato in Parlamento per 24 anni, aveva conosciuto personalmente tutti i Presidenti, da Roosevelt in poi, sapeva che il capo doveva a ogni costo proiettare un'immagine di stabilità e di controllo, anche se dentro si fosse sentito a pezzi. Per noi, fu un viaggio allucinante. Si immagini. Nella parte anteriore del Boeing c'era un Presidente che organizzava con riunioni, impartiva istruzioni, chiedeva notizie, cercava di governare. Nella parte posteriore, tra le bottiglie e i vassoi, c'era la cassa con il Presidente ucciso un paio d'ore prima, vegliato dalla vedova con il vestito ancora sporco del suo sangue".

Mister Valenti: chi ha ucciso JFK?
"Lee Harvey Oswald".

Da solo?
"Da solo, tre colpi, bang, bang, bang, come un tiratore scelto dei Marines, quale lui era, sa fare".

Ne è convinto?
"Senta bene, sono stato accanto a un presidente per anni, poi nel giro del potere politico, grazie alla mio lavoro alla Motion Picture Association e una cosa so di sicuro: non esiste, in America, un segreto conosciuto da due persone che una delle due prima o poi non lo riveli. Sulla morte di Kennedy ci sono almeno 15 teorie di complotto diverse, soprattutto in Europa, da voi che soffrite del complesso dei Borgia, soltanto nel film di Stone ci sarebbero almeno 50 persone al corrente della cospirazione, e lei pensa che 40 anni dopo nessuno avrebbe parlato?".

Lo zampino di Lyndon Johnson, come dicono i francesi?
"Non pretenderà che risponda a una idiozia del genere?".

Niente Mafia italiana?
"Bullshit" (stronzate).

Niente Kgb?
"No, però Lbj, Lyndon Johnson, era convinto che fossero stati i cubani a pilotare Oswald, per vendicarsi di Kennedy che voleva far fuori Castro. Me lo disse varie volte, ma non ne ebbe mai le prove".

Lei ha 72 anni, Valenti, quanti di quei passeggeri ritratti dalla foto ufficiale sono ancora vivi?
"Tre, la signora Johnson, Lady Bird, ormai ultranovantenne, un ex deputato oggi in pensione e molto anziano, Brooks, all'estrema destra della foto, e io".

Il viaggio dei testimoni sta dunque per finire?
"Mai, quello è un viaggio infinito, che continuerà fino a quando ci sarà un'America".

(22 novembre 2003)

Diego Verdegiglio
00sabato 17 giugno 2006 15:07
Grazie, caro Federico. Mi ero perso qesto pezzo. DV
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