Esce "Il colore della libertà", sul rapporto di amicizia tra il grande leader e la sua guardia di sorveglianza. Storia (vera) di redenzione e di speranza
Così Mandela "salvò" il suo carceriere
E al cinema l'Africa è ancora protagonista
Da segnalare anche l'Olmi di "Centochiodi", il film di Risi su Maradona
E poi il fantasy "Un ponte per Terabithia" e il drammatico "Red road"
di CLAUDIA MORGOGLIONE
AFRICA cuore del mondo. Troppo spesso trascurato dalla grande politica internazionale, il più antico dei continenti è, al contrario, sempre più al centro dell'attenzione cinematografica mondiale. Come dimostra l'attuale stagione: dopo Blood diamond, dopo L'ultimo re di Scozia, arriva Il colore della libertà - Goodbye Bafana, regia di Billie August. Film interamente ispirato a fatti veri, e ormai consegnati alla storia: i 27 anni di prigionia di Nelson Mandela, visti attraverso gli occhi del suo carceriere.
Un'opera importante, dunque. Che debutta questo fine settimana, qui in Italia, insieme a numerose altre pellicole: l'Ermanno Olmi spirituale e religiosamente polemico di Centochiodi; il Maradona la Mano de Dios raccontato da Marco Risi; l'inedita Laura Morante di Liscio (regia di Claudio Antonini), in cui l'attrice balla e canta; il fantasy Un ponte per Terabithia, dagli stessi realizzatori delle Cronache di Narnia; il documentario d'autore Frank Gehry creatore di sogni, firmato da Sidney Pollack; il noir inglese Red road, diretto da Andrea Arnold; e infine l'immancabile horror, Stay alive.
Ma, per il respiro dell'opera e l'interesse della vicenda narrata, è senza dubbio Il colore della libertà (titolo originale Goodbye Bafana, dal modo in cui i neri sudafricani si riconoscono tra loro) a meritare un approfondimento. In primo luogo, per la regia d'autore: quella del danese Billie August, già premio Oscar per Pelle alla conquista del mondo. E anche per il buon cast internazionale: Dennis Haysbert, il presidente Usa afroamericano del serial tv 24, nel ruolo di Mandela; l'ex Shakaspeare in love Joseph Fiennes, che interpreta il suo carceriere; la bionda tedesca Diane Kruger nei panni di sua moglie.
La prima fonte del film sono proprio le memorie della guardia carceraria incaricata - a partire dal 1968, nella prigione di Robben Island - di tenere d'occhio il grande leader dei neri del Sudafrica. L'uomo, James Gregory, è un afrikaner a tutto tondo, sostenitore convinto dell'apartheid, e sicuro che Mandela non sia altro che un criminale, un pericoloso terrorista. Viene scelto, per sorvegliare il prigioniero, per la sua abilità nel parlare la lingua dei neri, lo Xhosa, e dunque di controllarli e spiarli (posta compresa).
Ma la vicinanza con un personaggio carismatico come Mandela cambierà completamente la visione del mondo di Gregory. In una sorta di viaggio interiore che porta a un mutamento - interiore, politico - radicale. E che costerà parecchio a lui e alla moglie, visto il disprezzo e l'ostracismo del loro ambiente. Il clima però, a poco a poco, comincia a diventare diverso, nel Paese: e così anche il protagonista ne beneficerà...
Secondo August, che qualche giorno fa è venuto a Roma per presentare la pellicola, "il fulcro della storia è il percorso doloroso e sofferto del mio personaggio. E che nel corso degli anni lo trasformano in una incarnazione vivente delle teorie di Mandela: gli esseri umani possono davvero cambiare. E con loro, il mondo". Mentre Fiennes ricorda la celebre frase del grande leader: "A chi gli chiedeva come fosse sopravvissuto per tanti anni in prigione, lui replicava: 'Ci sono rimasto tanti anni, finché non sono riuscito a liberare i miei stessi carcerieri'". Ed è esattamente questa liberazione che il film vuole raccontare.
(30 marzo 2007)
da:
www.repubblica.it/2007/03/sezioni/spettacoli_e_cultura/week-end-cinema-47/week-end-cinema-47/week-end-cinema...