“potremmo eliminarlo mentre è nella loro custodia”.
Divulgata per la prima volta una conversazione del 1943 tra Churchill e Rooosevelt nella quale si ipotizza l’eliminazione di Mussolini.
Molto si è discusso a proposito della “pista inglese” cioè di una operazione della Intelligence britannica per eliminare il Duce. Pur non essendo mai state fornite prove al riguardo, è certo che gli inglesi assecondarono la missione del “colonnello Valerio” giunto il 28 aprile del 1945 sul lago di Como con l’incarico di ammazzare Mussolini.
Un recente studio del ricercatore Alessandro De Felice porta alla luce elementi finora ignoti. Lo studioso ha tradotto per la prima volta in italiano il testo di una conversazione radiotelefonica transatlantica avvenuta il 29 luglio 1943 tra Churchill e Rooosevelt. Oggetto della comunicazione, intercettata dalla Intelligence tedesca, la sorte da riservare a Mussolini che in quei giorni era a disposizione del governo badogliano.
Da questa conversazione emerge uno spaccato molto interessante delle differenti preoccupazioni che animavano i due alleati. Mentre gli americani erano intenzionati a sottoporre a processo Mussolini, gli inglesi non ne avevano la minima intenzione: ciò per evitare di subire gli esiti catastrofici di una autodifesa mussoliniana che si sarebbe avvalsa di scottanti documenti contenuti nel famoso carteggio con Churchill.
Ma questo era il punto di partenza di una contorta evoluzione che aveva visto Roosevelt partire appunto da questa posizione nota agli storici, come documenta De Felice. Il 29 luglio del 1943 il presidente USA si dimostra preoccupato degli effetti che un lungo processo pubblico avrebbe avuto su parte della opinione pubblica americana. Nel 1944 infatti Rosevelt avrebbe dovuto affrontare la sua quarta campagna elettorale e dimostrò di essere preoccupato per gli effetti di questo processo che, con ogni probabilità, gli avrebbe alienato le simpatie quantomeno della comunità italiana che aveva dato prove di ammirazione per Mussolini. Churchill, dopo avere detto di essere sicuro che Mussolini sarebbe finito presto nelle mani degli alleati, solleva un obiezione: liberare Mussolini, dopo averlo fatto prigioniero, sarebbe stato uno smacco per gli alleati. Roosevelt svela a quel punto le sue vere intenzioni: “Credo che se Mussolini morisse mentre è ancora agli arresti in Italia, ciò potrebbe servirci assai più che se noi avviassimo un processo”. Churchill sobbalza: “Non credo che se io chiedessi un simile favore agli italiani essi lo asseconderebbero”.
Il presidente USA incalza: “potremmo eliminarlo mentre è nella loro custodia”.
Se ciò non avvenne è, con ogni probabilità, perché non si raggiunse un accordo tra alleati e Badoglio: ciò spiegherebbe anche perché la liberazione di Mussolini dalla prigionia del Gran Sasso, il 12 settembre 1943, fu piuttosto facile, tanto da suscitare il sospetto che fu segretamente agevolata dal governo badogliano.
De Felice aggiunge poi anche i resoconti di un colloquio avuto nel 1989-1990 con Valiani, uno dei componenti del triumvirato (gli altri erano Pertini e Longo) in seno al Cln che decise e avallò l’assassinio di Mussolini (la fazione di sinistra del Cln era infatti risolutamente contraria alla consegna di Mussolini agli alleati). Al giovane del Felice Valiani confidò che la morte di Mussolini “deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così”. Poi aggiunse: “Londra ha suonato la musica e il Pci è andato a tempo!” ma, poi pentitosi, richiamò lo studioso ammonendolo di non far parola con alcuno di tale conversazione.
Tratto da Roberto Festorazzi, Churchill a Roosevelt "E se Mussolini Morisse in carcere?", in La Provincia di Como, 15 giugno 2008