Cento Chiodi

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sergio.T
00lunedì 21 gennaio 2008 17:50


Il Vangelo quotidiano di Olmi nel Cristo dei «Cento chiodi»


LA VICENDA: Un giovane professore dell'Università di Bologna si trova al centro di una difficile indagine.
Abbandona tutto e approda sulle rive tranquille del fiume Po dove scopre un vecchio rudere e se ne appropria.
Lì intorno nascono e si intrecciano storie di amicizia, di vita quotidiana e d'amore tra il professore e gli abitanti del posto. In una sorta di intesa spontanea con l'istante in cui si vivono tutte le possibili realtà.

«Racconto la vita di un uomo come noi» ci narra Ermanno Olmi, a proposito di quello che, dice, potrebbe essere il suo ultimo film, e parla di un uomo che, secondo il regista dell'«Albero degli zoccoli» e della «Leggenda del Santo bevitore», potrebbe essere Cristo.


Un giovane ma già affermato professore di filosofia e storia della religione dell'Università di Bologna, interpretato da Raz Degan, svolge le sue ricerche in un'antica biblioteca colma di preziosi manoscritti e testi teologici. Un giorno questi manoscritti vengono trovati sparpagliati per terra, sulle pareti e sui tavoli della biblioteca trafitti da lunghi chiodi: il professore ha abbandonato i suoi studi e se n'è andato.

È partito per ricominciare una nuova vita sulle rive tranquille del Po dove scopre un vecchio rudere e se ne appropria. Intorno a questa nuova dimora si intrecciano storie di amicizia, di vita quotidiana e d'amore tra il professore e gli abitanti del posto: barcaioli, contadini, commesse, gente semplice che riconosce in lui, oltre che un amico, una guida.


Olmi ha dichiarato da tempo che questo sarebbe stato il suo ultimo film narrativo e che avrebbe continuato a fare documentari come agli inizi della sua carriera:

«Una scelta presa in serenità, senza motivazioni roboanti né ancor meno con doloroso distacco. Assolutamente non patetico.
Un atto naturale: la conseguenza di una mia trasformazione guadagnata con gli anni vissuti e che ora mi orienta verso altri scopi del vivere, in questo mio prezioso tempo che è l'età avanzata.
Ho passato una vita a raccontare storie con il cinema, ho fatto agire e parlare cose e personaggi secondo la mia immaginazione e la mia volontà. Sempre cercando di essere leale con i miei interlocutori. Un patto che non ho mai tradito, sia quando un film mi veniva bene, sia quando il risultato non era al meglio».

Ma ora, con la consapevolezza di fare il suo ultimo film che dovrebbe riassumere il senso di tutta la sua esistenza, il regista dice di essersi posto la domanda fondamentale:

«Cosa racconto? Di cosa parlo? Soprattutto, di chi parlo?».
E si è chiesto quali siano stati i Grandi della Storia che hanno segnato la sua vita, quelli da additare come esempio assoluto di umanità cui poterci riferire nei momenti bui per trovare sostegno e speranza.

La sua riposta a questa domanda è stata «il Cristo». Il Cristo

«uomo, uno come noi, che possiamo ancora incontrare in un qualsiasi giorno della nostra esistenza: in qualsiasi tempo e luogo. Il Cristo delle strade, non l'idolo degli altari e degli incensi. E neppure quello dei libri, quando libri e altari diventano comoda formalità, ipocrita convenienza o addirittura pretesto di sopraffazione».

Dunque, quel professore di filosofia che lascia tutto e va a vivere come un eremita rappresenta il Cristo o meglio, come ha scritto Claudio Magris dopo aver visto il film, «uno degli uomini (forse anche molti, sconosciuti e ignoti) che possono diventare Cristo... nei quali il sacro si può incarnare come è avvenuto una volta in Galilea».

Insomma il regista, che col senso del sacro ha sempre avuto grande dimestichezza, sembra aver voluto raccontare ancora una volta un Vangelo dell'esistenza quotidiana. Un Vangelo libero dai mille condizionamenti di quei testi che il protagonista del suo ultimo film ha lasciato nella venerabile biblioteca, trafitti da i cento chiodi che danno il titolo all'opera del regista bergamasco.

(cfr. Marco Vitali, 12 marzo 2007, nel sito: espresso.repubblica.it/)
sergio.T
00martedì 22 gennaio 2008 09:23
Cristo si nasce o si diventa? e quale forma di Cristo si puo' concepire in tempi moderni?
mujer
00martedì 22 gennaio 2008 09:40
Domanda interessantissima, Sergio.
Non ho visto il film e rispondo non sapendo se, con questa domanda, vuoi seguirne la trama, ma è proprio con una domanda del genere che, in questi nostri tempi, si fotografa un sentimento massivo.
La martirizzazione e l'immagine creano cristi da seguire.
Una studiata figura che soffre per espiare il male dell'umanità è quella che va per la maggiore.
Nel nostro tempo una vittima vale più di cento carnefici, salvo scoprire poi (se, non è mica detto) che il lupo si era travestito da pecora.
Facciamo un nome?
Karol Wojtila, ad esempio.

Il film parla di questo?
sergio.T
00martedì 22 gennaio 2008 09:45
Il film di Olmi che a prima vista puo' sembrare incompleto ( c'e' qualcosa che lascia perplesso) mi e' piaciuto molto : un film di diverse interpretazioni possibili, un film con chiavi di letture diverse.
La prima, quella piu' evidente ma forse piu' superficiale, e' l'interpretazione evangelica: in ognuno di noi, anche oggi, si puo' ritrovare il messaggio del Vangelo: l'uomo come Cristo che cerca un significato di valore perso in un meccanismo moderno.
La ricerca della conoscenza spirituale e' tramontata nell'infinita conoscenza scientifica ed e' addirittura scomparsa dalla vita quotidiana rivolgendosi ad altri valori ( ricchezza, bellezza).
I cento chiodi che inchiodano nella biblioteca universitaria i libri, sono una sorta di crocifissione al contrario: s'inchioda , si crocifigge un " sapere" falso, finto, scientifico. La teologia come conoscenza dunque e' condannata dal risvegliarsi di una coscienza individuale , quella coscienza di " uomo" che si riavvicina al suo spirito.
Ognuno e' il proprio calvario; ognuno e' il Cristo di se stesso; ognuno soffre la propria umanita'.
Abbandonare l'idolo della conoscenza ( l'altare moderno) per ritrovare la vera strada della vita quotidiana: si e' uomini quando si risponde alla propria coscienza piu' semplice, ma soprattutto anonima.
sergio.T
00martedì 22 gennaio 2008 09:56
La seconda e mia personale interpretazione del film di Olmi va' in direzione diversa e piu' moderna, piu' necessaria, piu' sentita: il Cristo moderno e' il vero rivoluzionario.
Si e' Cristo quando si rivoluziona.
Gesu', in fondo, non porto' un nuovo messaggio, un nuovo pensiero? non piombo' forse al mercato ( il mondo moderno e' solo mercato se ci si pensa bene) dicendo andatevene?
Olmi e il suo Cristo sono questo: la rivoluzione piu' forte, piu' silenzioza e proprio per questo piu' rumorosa, assordante, pericolosa, devastante: l'individuo che incomincia ad andarsene, a staccarsi dal sistema, a disinteressarsi del meccanismo del mercato e dei suoi valori.
Un individuo/cristo che silenziosamente lascia questo mondo: non urla, non fa violenza, non contesta, non grida, non ha slogan, non fa politica, non si associa, non fonda movimenti, non lotta quasi: ma fa molto di piu', silenziosamente pone a se stesso nuovi scopi, nuove mete, nuove aurore.
Vedete voi una rivoluzione piu' intensa di quella di un uomo che fonda una nuova tavola di valori personali? vedete voi uno scossone piu' forte di questo al sistema, a quel sistema che vuole, invece, globalizzare e inglobare ognuno di noi? io non lo vedo.
Il mondo moderno sara' battutto dall'inevitabile: quell'inevitabilita' che si riappropria della propria coscienza.
Il vero rivoluzionario e' colui che ridiventa " individuo".
sergio.T
00martedì 22 gennaio 2008 10:16
Il film Julia e' molto fine: parla dell'individuo.
Questo e' un docente di filosofia; famoso per trattati; ricco, e persino bello. Soprattutto molto silenzioso.
In questo individuo qualcosa non va', pero': ha perso infatti questa sua individualita' in un meccanismo che altro non e' che il mondo moderno.
Il film e' ricco di simbologia.
Innanzitutto la filosofia: perche' Olmi lo dipinge come docente di filosofia e non di altro? perche' la filosofia e' il " conoscere massimo". Non esiste disciplina piu' profonda della filosofia.
Pensare e' filosofare, altro non c'e'.
La filosofia e' il sapere dell'uomo dotto, saggio, ma indottrinato in certi casi.
Dunque: la sua ambivalenza sta o nella valenza vanitosa dell'uomo di sapere che crede di conoscere ( ma in realta' e' un sapere indottrinato), o al contrario, permette sempre a questo uomo di " ripensare" il modo libero.
La filosofia libera se ripensi da " solo".
sergio.T
00martedì 22 gennaio 2008 10:33
Poi e' bello e ricco.
La bellezza e' il valore supremo del mondo moderno: la bellezza e' l'apice dell'ambizione. Se si e' belli meta' strada e' gia' fatta.
La domanda e': la strada per dove? forse per l'assoluta inconsapevolezza di un se stessi piu' profonda?
Olmi sceglie Raz Degan semplicemente perche' e' un bello ( e' infatti un bell'uomo) e lui ha bisogno di mettere la bellezza in primo piano.
Dunque: sapere indottrinato come metafora della globalizzazione dell'individuo; sapere come fonte di ricchezza e non di vita; bellezza come status simbol, come passerpatout per tutto; ricchezza e fama come mete da raggiungere.
Il Raz Degan di Olmi e' l'esempio perfetto della " riuscita" dell'uomo moderno. E' il prototipo del figlio di un sistema che ti puo' " inventare" in modo perfetto perche' ti da' tutto quello che ti fa credere come il maximum ( inteso come tariffa di credito a te concessa) della vita, della gratificazione.
Il Raz Degan di Olmi e' un uomo felice? e' un uomo cosciente? o forse e' un modellino, un plastico come quello dei trenini? forse al Raz Degan di Olmi manca qualcosa?
sergio.T
00martedì 22 gennaio 2008 10:50
Al Raz Degan di Olmi manca tutto infatti, come tutto manca a quegli uomini massificati nel sistema.
Manca il suo essere semplice, uomo comune in mezzo alla strada.( fuori dal plastico dei trenini)
E che fa questo Raz Degan? forse si mette a contestare? forse si associa ad associazioni? partiti? si mette a manifestare? si mette ad urlare la sua rabbia?
Forse, in modo inconsapevole, reagisce come il sistema stesso vorrebbe? il rivoluzionario che il sistema dipinge e' il rivoluzionario che il sistema stesso esige, perche' ne ha necessita'.
Il rivoluzionario che strepita contro il sistema e' una manna per il sistema: la sua sconfitta, la sua inutile battaglia e il suo relativo disconoscimento ( il fio da pagare) rappresentano l'esempio per i tanti: guardatelo questo rivoluzionario! -propaganda il sistema - voleva cambiare il mondo e da quel tutto che era , ora, non ha piu' niente, non e' piu' niente, perche avere ed essere , per il sistema, sono sinonimi.
Ha perso la sua riconoscibilita! non ha lo status dell'uomo riuscito: guardatelo e' un infelice!
La pena del rivoluzionario infatti, e' quello di essere additato come infelice per la sua rivoluzione mancata.
E Raz Degan, che non e' omologato nel tipo di " lotta" prevista anche questa dal sistema come esempio da evitare, che fa? Raz Degan molla tutto e se ne va sulla strada opposta: sta in silenzio perche' sa che in questo modo ritrovera' se stesso come individuo, e con questo la sua felicita'.
E guarda caso, coincidenza, sara' il sistema a rincorrerlo perche' un tipo di rivoluzionario simile e' il nemico piu' pericoloso e vincente par excellence.
Vi mollo e sono felice!
sergio.T
00martedì 22 gennaio 2008 14:40
Il film in se'?
Non saprei. Qualcosa nella costruzione cinematografica mi ha lasciato un po' li', ma non intendendomi di cinematografia, non saprei da dove incominciare la critica.
Forse il ritmo?
Se l'avesse visto Dudley che se ne intende un po' di piu' forse capterebbe quello che non va' o forse lo giustificherebbe spiegando le scelte di Olmi.
O forse Prof V che sapeva molto di cinema.

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