Il Vangelo quotidiano di Olmi nel Cristo dei «Cento chiodi»
LA VICENDA: Un giovane professore dell'Università di Bologna si trova al centro di una difficile indagine.
Abbandona tutto e approda sulle rive tranquille del fiume Po dove scopre un vecchio rudere e se ne appropria.
Lì intorno nascono e si intrecciano storie di amicizia, di vita quotidiana e d'amore tra il professore e gli abitanti del posto. In una sorta di intesa spontanea con l'istante in cui si vivono tutte le possibili realtà.
«Racconto la vita di un uomo come noi» ci narra Ermanno Olmi, a proposito di quello che, dice, potrebbe essere il suo ultimo film, e parla di un uomo che, secondo il regista dell'«Albero degli zoccoli» e della «Leggenda del Santo bevitore», potrebbe essere Cristo.
Un giovane ma già affermato professore di filosofia e storia della religione dell'Università di Bologna, interpretato da Raz Degan, svolge le sue ricerche in un'antica biblioteca colma di preziosi manoscritti e testi teologici. Un giorno questi manoscritti vengono trovati sparpagliati per terra, sulle pareti e sui tavoli della biblioteca trafitti da lunghi chiodi: il professore ha abbandonato i suoi studi e se n'è andato.
È partito per ricominciare una nuova vita sulle rive tranquille del Po dove scopre un vecchio rudere e se ne appropria. Intorno a questa nuova dimora si intrecciano storie di amicizia, di vita quotidiana e d'amore tra il professore e gli abitanti del posto: barcaioli, contadini, commesse, gente semplice che riconosce in lui, oltre che un amico, una guida.
Olmi ha dichiarato da tempo che questo sarebbe stato il suo ultimo film narrativo e che avrebbe continuato a fare documentari come agli inizi della sua carriera:
«Una scelta presa in serenità, senza motivazioni roboanti né ancor meno con doloroso distacco. Assolutamente non patetico.
Un atto naturale: la conseguenza di una mia trasformazione guadagnata con gli anni vissuti e che ora mi orienta verso altri scopi del vivere, in questo mio prezioso tempo che è l'età avanzata.
Ho passato una vita a raccontare storie con il cinema, ho fatto agire e parlare cose e personaggi secondo la mia immaginazione e la mia volontà. Sempre cercando di essere leale con i miei interlocutori. Un patto che non ho mai tradito, sia quando un film mi veniva bene, sia quando il risultato non era al meglio».
Ma ora, con la consapevolezza di fare il suo ultimo film che dovrebbe riassumere il senso di tutta la sua esistenza, il regista dice di essersi posto la domanda fondamentale:
«Cosa racconto? Di cosa parlo? Soprattutto, di chi parlo?».
E si è chiesto quali siano stati i Grandi della Storia che hanno segnato la sua vita, quelli da additare come esempio assoluto di umanità cui poterci riferire nei momenti bui per trovare sostegno e speranza.
La sua riposta a questa domanda è stata «il Cristo». Il Cristo
«uomo, uno come noi, che possiamo ancora incontrare in un qualsiasi giorno della nostra esistenza: in qualsiasi tempo e luogo. Il Cristo delle strade, non l'idolo degli altari e degli incensi. E neppure quello dei libri, quando libri e altari diventano comoda formalità, ipocrita convenienza o addirittura pretesto di sopraffazione».
Dunque, quel professore di filosofia che lascia tutto e va a vivere come un eremita rappresenta il Cristo o meglio, come ha scritto Claudio Magris dopo aver visto il film, «uno degli uomini (forse anche molti, sconosciuti e ignoti) che possono diventare Cristo... nei quali il sacro si può incarnare come è avvenuto una volta in Galilea».
Insomma il regista, che col senso del sacro ha sempre avuto grande dimestichezza, sembra aver voluto raccontare ancora una volta un Vangelo dell'esistenza quotidiana. Un Vangelo libero dai mille condizionamenti di quei testi che il protagonista del suo ultimo film ha lasciato nella venerabile biblioteca, trafitti da i cento chiodi che danno il titolo all'opera del regista bergamasco.
(cfr. Marco Vitali, 12 marzo 2007, nel sito:
espresso.repubblica.it/)