(Genova , G8 2001)
Carlo, non ti voglio percorrere con una storia sottoforma di notizia
ma di nebbia che mi tiene gli occhi sbarrarti, che diventa
amore e non difende, ma picchia ai polsi col suo odore
bollente di catrame e di sale, come un grido d’inferno
che si arma per gestire la disobbedienza del mare
Carlo a vent’anni, tu decidi di non andarci al mare
ma del mare portare con te, la disobbedienza
nel suo tendere opposti verso una sola pace
Carlo, con quella schiena cosmica, le braccia allargate
mentre corri di rabbia e cadi, perché l’ordine dall’alto
è di stuprarla la tua pace e il futuro deve restare
una storia da scrivere a polpastrelli levati
sulle polveri degli archivi, sulle seconde morti
d’ogni sentenza, d’ogni indifferenza
a cosa pensi Carlo, lasciandoti destare dalla morte
convulso come una macchia a disegnare la ciclicità
la gonna delle mille bambole che aveva seduto tua madre
sui divani degli anni ’60 o la pienezza delle ortensie
davanti alla casa dove eri stato bambino
come ti appare Carlo, la piazza Alimonta
dagli oblò del tuo corpo -fragole e sangue,
oppure coi i nomi dei compagni scritti sulle aiuole
coi sassolini bianchi, come quelli di Pollicino
mentre alla Diaz si consumerà l’umano smaltimento
il grido nel sonno, il futuro che non vivrà
se non quale guerra assegnata al sangue che
ha vestito tua madre di pareti cieche, di un lutto
informe come il lenzuolo un fantasma
che le madri allora siano tutt’altro che madri
ché le ambulanze sono tutt’altro che cicogne
e a Genova urla persino il mare, come un paradiso
affogato nello stesso raggio dei copertoni
che ti attraversano adesso, Carlo, e riattraversano
*Questa l'avevo scritta i primi di luglio, già in piena crisi e va forse a conferma di quello che ho scritto poco fa sull'altra discussione. Che il prodotto scrittura mi esce ancora, se lo voglio. Ed è solo quello che non si legge che vorrei cambiasse. Il mio "a tu per tu" con essa. La nostra intimità