CAOS - Kayrath

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- Artax -
00martedì 30 marzo 2004 10:22
Kayrath


Sono nato in un villaggio di contadini nelle sconfinate terre del sud. Qui la vita scorreva lenta tra una stagione di semina ed una di raccolta, la mia era una benestante famiglia, mio padre possedeva un modesto fazzoletto di terra accanto al paese che tutta la famiglia lavorava con operosità, tutti quanti avevano da fare, sempre.
Io dimostrai da subito una repulsione per quel genere di lavori, cosa che mi provocò non pochi guai con mio padre già in tenera età. L'unica occupazione che trovavo gratificante era spezzare il collo alle galline o aprire in due i maiali appesi al soffitto quando erano abbastanza grassi e guardare il loro sangue colmare la tinozza sottostante; questi erano gli unici momenti che passavo volentieri a casa. Per il resto me ne andavo in giro per la campagna e per i villaggi limitrofi cercando qualche nobile distratto a cui svuotare le tasche o qualche stupido mercante a cui rubare qualcosa.
Odiavo tutto di quella vita da campagnolo: il lavoro nei campi, mio padre e tutti i colpi che mi dava ogni volta che sparivo da casa, mia madre e l'educazione che si ostinava a voler dare a me e ai miei fratelli tenendomi ore chiuso in una stanza a leggere dei libri: poteva anche essere interessante per quegli stupidi dei miei fratelli ma non per me, io ero diverso da loro.
Nel frattempo crescevo tra piccoli furti e risse con i ragazzi del paese.
Avevo solo un compagno in quei giorni, un pugnale che avevo rubato in un mercato di un villaggio vicino, che ormai usavo molto spesso per derubare chi si aggirava per i vicoli sbagliati nella città di Karam, poco più a nord del mio paese.
Non ero benvoluto ormai da nessuno nel paese e tutti conoscevano la mia indole non contadina... assolutamente non contadina! Odiavo quella tranquilla vita di campagna priva di stimoli e prospettive e tutti lo sapevano; ormai mio padre non parlava quasi più con me, tornavo a casa solo a volte a dormire, poi smisi quando egli unara mi accolse a bastonate e mi cacciò via da quella casa. Passavo molto tempo con una gilda di ladri di Karam, come affiliato autonomo; non potevo dire di essere felice, ma avevo gia cominciato a vivere invece di sopravvivere.
Poi una notte cambiò la mia vita... terrò sempre a mente quella manciata di secondi che rivoluzionò la mia esistenza..
Passeggiavo per le vie della città dove ormai si può dire che vivevo, quando in un vicolo incontrai un vecchio e molto conosciuto mercante ubriaco che barcollava verso casa: il mio coltello balzò fuori dal foderò quasi da solo e intimò al vecchio di consegnarmi il suo denaro, ma questo con un goffo slancio mi saltò addosso tentando di disarmarmi e di nuovo il mio coltello partì in un movimento fulmineo quasi spontaneo... un attimo di silenzio... la presa del vecchio intorno al mio collo si allentava lentamente, emise un sibilo e cadde a terra esanime: era morto... morto...
Ripresi il mio coltello, mi pulii le mani dal sangue sui suoi vestiti e scappai via di corsa, senza nemmeno derubarlo!Aandai al quartier generale della gilda, dove potevo trovare un pasto caldo e una branda dove passare la notte, salutai gli altri con la naturalezza di sempre, con un cenno del capo... dormii..
L'indomani nella piazza della cittadina, partiva la processione verso il cimitero: quattro persone con i volti in lacrime portavano una cassa di legno camminando lentamente, ed intorno il popolo mormorava, ah se mormorava! chi piangeva, chi imprecava per la rabbia, chi malediva l'autore di quel crimine, il popolo mormorava, il popolo parlava di ME, piangevano per me, imprecavano per me, tutti parlavano del vecchio mercante UCCISO, tutti parlavano del suo ASSASSINO!
Allora mi resi finalmente conto di ciò che era successo, ma invece di essere travolto dal senso di colpa ero immensamente compiaciuto: sentir parlare tutta quella gente e sapere che era per causa mia che tutti si cordogliavano mi riempì di una soddisfazione che non avevo mai provato.
Quella notte aveva cambiato la mia vita, quella notte mi aveva fatto conoscere ciò che avrebbe per sempre segnato la mia esistenza, l'OMICIDIO.
Ho ucciso e ucciso ancora negli anni, ed ogni volta era come la prima, una meravigliosa emozione, lo sguardo della vittima mentre la lama entra nella sua carne, ti guarda incredula, incapace di capacitarsi di quello che gli sta accadendo: meraviglioso!
Col tempo però, il capo della gilda dei ladri cominciò a sospettare delle mie avventure notturne, che ormai andavano ben oltre il ladrocinio e che potevano essere pericolose per la gilda, cosi una sera venne da me, cominciammo a discutere sempre più animatamente quando d'un tratto lui tirò fuori il pugnale e mi ordinò di andarmene: sentii salire dentro di me quella stessa sensazione che avevo sentito ogni volta prima di uccidere, sentii il mio pugnale scivolarmi veloce nella mano e precipitarsi nel suo petto, sentii il sibilo che tutti esalano quando sono già morti, quando gli rimane soltanto il tempo per rendersene conto e per regalarmi quell'espressione incredula che tanto amavo.
Di li a poco tutti i membri della gilda sarebbero venuti a cercarmi per uccidermi, cosi... fuggii, non so cosa mi guidava mentre correvo senza pensare a niente; mi passavano davanti agli occhi tutti i volti delle persone che avevo ammazzato, decine di volti increduli e disperati, dovevo fare solo una cosa ancora, e poi fuggire il più lontano possibile...
Arrivai alla mia vecchia casa, entrai dal retro, salii le scale silenzioso, trovai mio padre che dormiva russando tranquillo nel suo letto accanto a mia madre, e per la prima volta non volli vedere l'espressione della mia vittima: lo uccisi alle spalle... fui cosi rapido e preciso che non ebbe nemmeno il tempo di emetterlo, il suo ultimo sibilo.
Ora era giunto il momento di scappare, e scappai, rubai un cavallo nelle stalle del villaggio e scappai verso sud; dovevo essere stato denunciato dalla gilda di Karam, giacchè pochi giorni dopo ero ricercato anche nei villaggi e nelle città più a sud, così dovetti fuggire sempre più lontano nelle terre ghiacciate del sud, lontano da qualsiasi centro abitato.
Fù difficile sopravvivere in quelle zone fredde ed ostili e procurarsi del cibo non era per niente facile; fu nel buio di una notte che mi accorsi di una creatura che vagava per quei luoghi disseminando i cadaveri delle prede che uccideva per mangiare, cosi cominciai a seguirlo nutrendomi delle carogne che egli lasciava per la sua strada; dopo qualche tempo che continuavo a sopravvivere in questo modo, convinto che quella bestia verde non si fosse accorta di nulla, una sera, mentre banchettavo sul corpo di un grosso orso bianco, egli arrivò silenzioso alle mie spalle, quando alzai lo sguardo l'orco era immobile in piedi e mi guardava.
Per la prima volta dopo tanti anni, ebbi paura, quella bestia si ergeva davanti a me in tutta la possanza della sua stazza: l'avevo visto uccidere qualunque cosa gli passasse sotto mano con una violenza inaudita e sapevo che avrebbe fatto lo stesso con me... mi guardava fisso con il suo sguardo freddo e impassibile, io aspettavo solo che vibrasse il colpo che mi avrebbe ucciso, finalmente.
E invece non mi uccise; ghignò qualcosa di incomprensibile e fece cenno di seguirlo, ed io lo seguii.
Egli era l'orco Grishnack della tribù dei Tezki Ghignanti; rimasi con lui per diversi mesi, aiutandolo nella caccia e il mio fisico diventava sempre più forte e sempre meno “umano” ed io provavo sempre lo stesso piacere nell'uccidere: più volte mi sono chiesto chi tra noi due amasse di più quella pratica.
Mi abituai presto alla compagnia di quella bestia immonda che durante la notte squarciava il silenzio con urla e grida che lanciava nel sonno, in preda a chissà quali sogni di morte e distruzione.
Un giorno giungemmo in una specie di villaggio dove si trovavano tanti altri strani esseri verdi come lui; per quello che capii, il mio "amico" Grishnack uccise il capo di quella tribù di orchi e ne prese il comando. Io continuai a seguirlo, non mi sentivo in pericolo, nessuna di quelle bestie si permise mai di uccidermi.
Così combattei per anni al fianco di centinaia di orchi, nella tribù di Khazaad, l'orco pazzo, uccidendo con loro, banchettando con loro sui cadaveri dei nemici sconfitti, senza mai sapere per cosa combattevo, sapendo solo che quella vita mi piaceva, che amavo tutta quella morte.
Un giorno combattevo l'ennesima battaglia accanto all'orco Khazaad, quando accadde ciò che non era mai accaduto prima: fummo sconfitti!
Quando ripresi conoscenza ero sotterrato da una montagna di cadaveri di orchi e non riuscivo ad alzarmi, ma potevo sentire, a qualche decina di metri da me, l'esercito che aveva annientato la mia tribù esultare.
Qualche ora dopo, quando ormai credevo di dover solo attendere la mia morte, mi sentii tirare fuori dal mucchio di cadaveri: era l'orco Khazaad! Mi tirò su per le gambe e mi disse: “Kayrath, noi ora combatte pe altro ezercito e zemina tanta tanta morte”
Io guardai il mio "amico" “Combattere o morire Khazaad!!!!!”
Così ora combatto tra le file del Caos per il dio Kain e per i suo figli. Ho anche imparato ad apprezzare questo Dio. Anzi, devo ammettere che mi piace davvero molto.. non chiedetemi cosa ne penso della mia vita... io uccido... e basta.
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