Buon viaggio Benedetto! - I viaggi apostolici del Papa

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+PetaloNero+
00giovedì 7 maggio 2009 16:53
Domani inizia il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. Mons. Franco: una speranza di pace e giustizia per il Medio Oriente


Domani Benedetto XVI inizierà il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Il Papa partirà dall'aeroporto di Roma-Fiumicino alle 9.30 alla volta di Amman, in Giordania, dove arriverà alle 13.30, ora italiana. La prima visita sarà dedicata ai disabili del Centro "Regina Pacis"; poi l'incontro con il Re e la Regina di Giordania. Il 9 maggio il Papa si recherà all'antica Basilica del Memoriale di Mosè, sul Monte Nebo, e visiterà la moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman. Il 10 maggio la Messa all'International Stadium della capitale giordana e la visita al sito del Battesimo sulle rive del Giordano. Dall'11 al 15 maggio Benedetto XVI sarà in Israele e nei Territori palestinesi. Ma diamo subito al linea al nostro inviato a Gerusalemme, Roberto Piermarini:

A 45 anni dallo storico viaggio di Paolo VI ed a 9 da quello di Giovanni Paolo II, un altro Papa ritorna come pellegrino sui luoghi resi santi dalla vita di Gesù. Lo fa in un momento di forte tensione per la tormentata Terra Santa dove la tregua, dopo il conflitto a Gaza, è solo un surrogato della pace vera. E Benedetto XVI viene - come ha detto alla vigilia della sua partenza - per pregare per "il dono della pace e dell'unità". Il clima di forte speranza socio-politica che aveva fatto da sfondo alla visita di Papa Wojtyla nel 2000, sembra svanito; nella gente c'è molta rassegnazione. Eppure sembrano svanite anche le polemiche su Ratisbona, da parte musulmana, e sul caso Williamson sul fronte ebraico.


Nei Territori Autonomi Palestinesi lo attendono le autorità politiche, lacerate dopo la spaccatura con Hamas a Gaza, ed i profughi del Campo di Aida, che dal 1948 vivono in condizioni di estrema povertà: un gesto per manifestare la vicinanza del Papa alle sofferenze del popolo palestinese. Da Gaza oltre 200 arabi cristiani non hanno ricevuto il permesso di entrare in Israele per le Messe a Gerusalemme e Betlemme. Diverso trattamento per i cristiani di Cisgiordania: su 15 mila richieste, ne sono state accolte 11 mila. In questa Terra dove Gesù ha compiuto la sua missione, il Papa dovrà ridare speranza ai cristiani locali: nella sola Gerusalemme al tempo della creazione dello Stato d'Israele erano 24 mila, ora poco meno di sei mila. Cristiani che emigrano a causa della mancanza di alloggi, per l'incertezza del lavoro, il precario futuro dei figli, in una società spesso a loro ostile.


A tutto questo si deve aggiungere lo smembramento di molte famiglie causato dal muro di separazione costruito da Israele, che ha diviso quelle coppie che avevano la residenza nei Territori palestinesi. Le autorità israeliane attribuiscono al viaggio un'importanza altissima ed hanno stanziato 10 milioni di euro per l'organizzazione; altri 10 milioni di dollari per le 44 scuole cattoliche in modo che possano preparare alla visita i loro 24 mila studenti, cristiani e musulmani. Il presidente Peres parla di “evento toccante e di importanza primaria dal quale spira un'aria di pace e di speranza”. I giornali indugiano più sulla preparazione che sui commenti mentre la radio statale continua a mandare in onda spot con gli appuntamenti della visita. Il programma a Gerusalemme prevede anche la tappa allo Yad Vashem, il memoriale dell'Olocausto, per una cerimonia in ricordo delle vittime della Shoah. Ma il Pontefice non entrerà nella sala del Museo che contiene una didascalia offensiva contro Pio XII. Benedetto XVI si farà quindi pellegrino di pace per riaffermare - come ha detto nel Messaggio di Pasqua - che "Cristo ha bisogno di uomini e donne, che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le armi della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell'amore.


Sull'attesa del Papa ascoltiamo mons. Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Palestina e Gerusalemme, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – C’è grande attesa proprio per il messaggio del Papa. Veramente, si spera che egli, con la sua parola, possa riattivare quell’impegno per la ricerca di soluzioni a questa situazione che oramai si trascina da decenni.


D. – Eccellenza, questo viaggio ha un carattere spirituale e religioso. Lei crede che si possa dare una lettura politica? C’è il rischio di strumentalizzazioni?


R. – Distinguerei tra lettura politica e strumentalizzazioni, cioè: anche il messaggio religioso che si cala in una realtà sociale in un certo senso è un messaggio anche un po’ politico, intendendo la politica nel senso vero, originario della parola – la ‘polis’, quello che riguarda la vita della società. Strumentalizzazione: ecco, io ho cercato in tutti i modi di far capire e di scongiurare una qualsiasi velleità di poter usare il Santo Padre per uno scopo ritenuto nobile da una parte ma che poi sarebbe risentito dall’altra parte, e spero veramente che sia stato capito, questo mio messaggio. Mi pare che la stampa l’abbia capito …


D. – Che significato dare alla visita del Papa al Memoriale dell’Olocausto, lo Yad Vashem, che ancora presenta sotto una luce negativa Pio XII?


R. – Questa è una domanda che mi hanno fatto tutti, in questi giorni, e io ho precisato molto bene che la visita è una visita per rendere omaggio e per pregare per le vittime dell’Olocausto: è una realtà storica che deve anche essere per noi monito di riflessione. E quindi, da questo punto di vista, il significato è questo. Chiaramente, c’è l’altro aspetto: l’altro aspetto, lei sa bene che noi stiamo cercando di farlo evolvere, di trattare, di stabilire dei ponti per potersi incontrare, poter riflettere insieme, poter leggere insieme tutta la documentazione che riguarda la Seconda Guerra Mondiale. Oramai, siamo già in una fase in cui si può parlare di uno studio storico-critico. Le emozioni, anche se sono ancora molto vive, già il tempo ci distanzia un poco e io sono fiducioso che questo lavoro possa continuare e sono sicuro che porterà frutti. Ci vuole un po’ di pazienza, ma sono convinto che questo porterà frutto: magari, creare una nuova mentalità ci farà guardare al futuro, perché noi dobbiamo costruire qualcosa in cui quei fenomeni non si verifichino più nel mondo.


D. – Mons. Franco, ci sono ancora difficoltà per i permessi ai cristiani di Gaza che vogliono partecipare alla Messa del Papa a Betlemme?


R. – Personalmente, sono convinto che i permessi ci saranno: forse non per Gerusalemme, ma per Betlemme forse arriveranno all’ultimo momento ma io sono fiducioso che questo ci sarà, perché altrimenti sarebbe un colpo anche per Israele. Perché la stampa internazionale sta tutta pronta ad aspettare questo evento.


D. – Cosa si aspetta da questa visita che giunge in un momento di forte tensione per il Paese?


R. – Mi aspetto proprio, come prima cosa, che questa faccia un poco – come dire – smorzare le tensioni e dia un respiro nuovo, dia un poco di ossigeno per riprendere forza e per continuare nella ricerca e nell’impegno di costruire la pace in questa terra. Per me è una grande gioia ed una grande attesa, questa visita, e chiaramente siamo tutti un po’ emozionati, perché il Papa starà un po’ con noi. Ma io ho una grande speranza: che il Signore, attraverso Benedetto, voglia dire una Parola oggi e voglia compiere qualcuno dei Suoi prodigi per rimettere in modo tutta la macchina che deve portare ad una pace giusta e duratura, come ha detto il Papa stesso. (Montaggio a cura di Maria Brigini)




Il nunzio in Giordania: un pellegrinaggio per la pace e il dialogo, di grande incoraggiamento per i cristiani della Terra Santa


La Giordania sarà dunque la prima tappa del pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. Ieri pomeriggio, ad Amman, ne hanno parlato in conferenza stampa il vicario patriarcale latino per la Giordania, il vescovo Salim Sayegh, il vescovo di Petra e Filadelfia dei Greco-Melkiti, mons. Yaser Ayyash, insieme al nunzio apostolico in Giordania, l’arcivescovo Francis Assisi Chullikat. Il servizio del nostro inviato Pietro Cocco.

Parlando a nome dei vescovi della Giordania, il vicario patriarcale latino Sayegh ha voluto sottolineare come i vescovi siano cittadini giordani cristiani, quale segno di piena partecipazione dell’intero Paese alla gioia dell’arrivo di Benedetto XVI. Mons. Sayegh ha quindi sintetizzato in tre aspetti l’importanza di questa visita.


Il primo, pastorale: il Papa viene a visitare i suoi figli, prima di tutto quelli più poveri, che incontrerà subito dopo la cerimonia di benvenuto, recandosi al Centro ‘Regina Pacis’, dedicato alla riabilitazione dei portatori di handicap e al loro reinserimento sociale. Poi i giovani giordani, che saranno presenti con una rappresentanza al Centro Regina Pacis; essi sono la speranza ed il futuro della Chiesa in Giordania. Il vicario della Chiesa latina ha poi definito una grande grazia la Messa che il Papa celebrerà nello Stadio di Amman, domenica mattina. Benedetto XVI pregherà per noi e con noi, ha aggiunto, lui che è il successore di Pietro, su cui si edifica la Chiesa. E ha aggiunto: questa dimensione pastorale è anche un sostegno ed un incoraggiamento ai cristiani a rimanere qui insieme agli altri.


Il secondo aspetto della visita è la dimensione del pelleginaggio: la Giordania è stata infatti per gli ultimi tre Papi, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la porta di ingresso alla Terra Santa. In questo Paese si trovano il sito del Battesimo e il ‘Memoriale di Mosè’ sul Monte Nebo, dove si recherà Benedetto XVI, e anche il Santuario di Elia e Mukawir, il luogo dove è stato decapitato San Giovanni Battista.


Infine, il terzo aspetto, il dialogo interreligioso. Il vescovo Sayegh ha ricordato la lunga tradizione di convivenza pacifica tra la maggioranza musulmana e le comunità arabe cristiane in Giordania. Il Papa, che entrerà nella Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman e incontrerà i Capi religiosi musulmani, desidera confermare e incoraggiare tale dialogo.


Sull'importanza del viaggio del Papa in Terra Santa ascoltiamo il nunzio apostolico in Giordania, mons. Francis Assisi Chullikat, al microfono di Pietro Cocco:

R. – E’ importantissima questa visita che tutta la Chiesa, in Terra Santa, stava aspettando da un bel po’ di tempo. Infatti, dall’inizio del Pontificato di Benedetto XVI, tutta la Chiesa in Terra Santa stava aspettando la Chiesa Madre. In più, i cristiani della Chiesa della Terra Santa stanno attraversando un tempo abbastanza difficile. In questo momento hanno bisogno di una parola di incoraggiamento e di un messaggio di speranza da parte del Santo Padre e stanno aspettando questo messaggio ansiosamente. Loro sono consapevoli che le parole del Santo Padre porteranno molti frutti e avranno anche una grande eco, non solo a livello della Terra Santa ma anche a livello regionale. Quindi, è importantissima questa visita del Santo Padre anche per dare un messaggio di pace e di unità, come egli stesso ha ripetuto varie volte adesso, in vista di questo viaggio apostolico che lui ha qualificato come pellegrinaggio. Sarà allora un viaggio nutrito da una preghiera intensa, prima di tutto per la Chiesa in Terra Santa affinché possa superare questo momento difficile che tutti i fedeli della Terra Santa stanno vivendo e, allo stesso tempo, possono dare, da parte loro, una testimonianza di coraggio e di fede che, in tutti questi secoli, dall’inizio della vita della Chiesa, hanno offerto a tutto il mondo.


D. – La Chiesa e la comunità cristiana in Giordania, godono di una situazione più tranquilla. Che cosa possono portare in una regione in cui, invece, i conflitti segnano ancora così dolorosamente la vita di tante famiglie?


R. – La Giordania, in questo senso, ha un ruolo molto importante perché il governo giordano sta cercando di promuovere la pace in Medio Oriente, specialmente nel conflitto israelo-palestinese. Anche in questo, la Chiesa in Giordania sta svolgendo un ruolo molto attivo e, la coesistenza pacifica, che è molto evidente qui in Giordania, può anche essere un segnale di speranza ed incoraggiamento per tutte le comunità cristiane a livello regionale. Infatti, per venire in Giordania, coloro che provengono dal Medio Oriente, non hanno alcuna difficoltà; ci sono anche molte riunioni internazionali promosse dalla Chiesa qui. Anche per questo, la Giordania accoglie tutte le fedi e cerca di venire incontro alle loro esigenze. Recentemente, è stato costituito un Consiglio dei capi cristiani in Giordania per dare riconoscimento ufficiale alle Chiese più importanti che sono qui. Quindi, sono dei gesti positivi che il governo sta dimostrando verso tutte le comunità cristiane che esistono in Giordania e che può, eventualmente, diventare un modello anche per altri Paesi della regione.



Duecento rabbini danno il benvenuto al Papa sul quotidiano “Haaretz”

In occasione del viaggio del Papa in Terra Santa duecento rabbini delle varie denominazioni firmeranno un messaggio che verrà pubblicato su una pagina del quotidiano israeliano “Haaretz” per dare il benvenuto a Benedetto XVI in Terra Santa e promuovere il dialogo tra ebrei e cristiani. E' un'iniziativa promossa dal rabbino Jack Bemporad, direttore del Center for Interreligious Understanding (CIU) del New Jersey e docente di Studi Interreligiosi presso l'Angelicum di Roma, che lunedì 11 maggio su invito di Oded Wiener, direttore generale del Gran Rabbinato d’Israele, accoglierà il Papa nell’Auditorium Notre Dame di Gerusalemme per l’incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso. Il messaggio dei rabbini è intitolato “United in our age”, ispirandosi alla Nostra Aetate, la Dichiarazione del Concilio Vaticano II pubblicata il 28 ottobre 1965 che ha costituito una svolta per le relazioni tra ebrei e cattolici. In particolare, i rabbini citano il numero 4 del documento, che afferma: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”. Rivolgendosi direttamente al Papa, la pagina pubblicata da “Haaretz” spiegherà: “In questo spirito, noi – rabbini e leader ebraici – diamo un caldo benvenuto a lei e alla sua missione di pace in Israele. Con una sola voce, siamo uniti nel nostro impegno per il dialogo interreligioso ad aprire più sentieri per una maggiore comprensione, e a riconoscere e a rafforzare continuamente l'importante rapporto tra cattolici ed ebrei in tutto il mondo”. “E quale posto migliore per riaffermare questo impegno della Terra Santa di Israele, un luogo che entrambe le religioni custodiscono come parte di un'eredità condivisa?”, aggiunge il testo firmato dai rabbini, che termina augurando "Peace be with you, B’shalom". (A cura di Isabella Piro)


[Radio Vaticana]



Israele: in vendita i primi francobolli dedicati alla visita papale
Con immagini dei Luoghi Santi e riferimenti biblici



TEL AVIV, giovedì, 7 maggio 2009 (ZENIT.org).- La Società Postale di Israele vende da questa settimana fino al 15 maggio sulla sua pagina web la prima delle due serie speciali di dodici francobolli ciascuna, emessa dal Servizio Filatelico di Israele in occasione dell'imminente visita di Papa Benedetto XVI in Terra Santa.

La prima serie, in diecimila copie, mostra immagini dei Luoghi Santi e riferimenti biblici.

E' realizzata dal giornalista e scrittore cattolico Peter Jennings, membro della Società Filatelica Reale di Londra.

La seconda serie verrà emessa subito dopo la visita e si realizzerà con fotografie scattate durante il soggiorno del Papa in Terra Santa e la frase “Israele dà il benvenuto a Benedetto XVI”.

Ogni foglio della serie chiamata “Il mio francobollo della visita papale” viene venduto in un pacchetto ricordo speciale che include i francobolli e un opuscolo informativo.

L'opuscolo segnala che “Benedetto XVI ha dato un nuovo impulso alla speranza, alla comprensione, alla riconciliazione e alla pace tra le popolazioni e le religioni in Terra Santa. La sua visita promuoverà i pellegrinaggi e il turismo in Israele”.

Viene venduto anche un francobollo commemorativo in tre serie di cinque cartoline postali ciascuna. Ogni cartolina ha il francobollo adesivo già attaccato.

I francobolli adesivi della visita del Papa verranno diffusi dai distribuiti automatici di Nazareth e Gerusalemme fino al 17 maggio.

Ci sono infine quattro emissioni speciali: una di Nazareth, per lunedì scorso, 4 maggio; un'altra del primo giorno di visita a Gerusalemme, l'11 maggio; la terza di Gerusalemme il giorno successivo e l'ultima di Nazareth, il 14 maggio.
+PetaloNero+
00venerdì 8 maggio 2009 03:28
La visita del Papa in Terra Santa suscita "molte speranze"
Afferma la caposezione di ACS di ritorno dalla regione



KÖNIGSTEIN, giovedì, 7 maggio 2009 (ZENIT.org).- L'imminente visita di Benedetto XVI in Terra Santa suscita "molte speranze", "forse anche troppe", ha affermato Marie-Ange Siebrecht, caposezione dell'associazione caritativa cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), tornata domenica scorsa da un viaggio in Israele e nei Territori palestinesi.

In un'intervista ad ACS, la Siebrecht ha affermato che "le varie Chiese sono molto occupate con i preparativi" per il viaggio papale. "Com'è ovvio, l'arrivo del Santo Padre suscita allegria nei cristiani, e ne sono prova, ad esempio, i numerosi cartelloni esposti nelle strade per annunciare la sua visita".

"A Nazareth si sta anche costruendo un anfiteatro per celebrarvi la Messa con il Santo Padre. Anche a Betlemme, nel campo di rifugiati di Aida, è stata avviata un'iniziativa simile, ma alla fine i responsabili hanno pensato che la tribuna fosse troppo vicina al muro che divide la Terra Santa, per cui hanno cambiato la posizione".

Anche se ci sono "ancora molti piccoli problemi", quindi, "la gente continua a lavorare nella speranza che la visita papale sia un successo".

"Il Papa non potrà risolvere tutti i problemi", ha riconosciuto la Siebrecht, osservando che Benedetto XVI "può solo dare una dimostrazione di buona volontà e cercare di parlare con i responsabili politici ed ecclesiali".

"La sua intenzione principale è recarsi come pellegrino in Terra Santa e dire alla gente: 'Sono con voi!'", ha aggiunto.

Anche se "con la sua visita non riuscirà a far sì che venga abbattuto quel terribile muro", "il semplice fatto di andare lì è già un segno importante".

La Siebrecht ha quindi parlato della situazione dei cristiani nella regione. In Galilea, ha confessato, "è molto migliore che in Cisgiordania, ma ad ogni modo in Israele sono considerati persone di seconda classe, ovvero che non godono della stessa libertà che hanno gli altri israeliani. Ad esempio, non possono spostarsi come fanno altri cittadini".

Nonostante questo, la comunità cristiana è viva: in Galilea ci sono ancora 73.000 cristiani greco-cattolici e le parrocchie sono "piene di vita, perché la gente contribuisce attivamente al loro mantenimento".

I cristiani locali "non si limitano a chiedere": aspettano aiuti, ma "sono anche disposti a mettere qualcosa di proprio, perché questi aiuti diano frutto".

La situazione peggiore tra quelle verificate dalla Siebrecht riguarda Betlemme, dove "a causa del muro la gente vive come in un carcere: non può entrare né uscire. Si sente prigioniera, e lo è realmente!".

Risentono di questa situazione difficile soprattutto le giovani coppie cristiane, ha constatato la caposezione di ACS, citando il caso di un ragazzo che ha un documento di identità per Gerusalemme e può andare a lavorare lì, mentre la moglie non può lasciare Betlemme per vivere con il marito, al quale dal canto suo non è permesso di risiedere a Betlemme.

"Come risultato, tutti tentano di risolvere i problemi con documenti falsi", dichiara la Siebrecht, ricordando che "questa gente vive immersa nella paura, perché non sa se una sera non potrà tornare a casa, o se non potranno farlo i familiari quando finiscono di lavorare o tornano da una visita".

In questo contesto drammatico, si spera che il Papa affronti la questione, così come quella della regolamentazione dei visti per le congregazioni cattoliche.

Attualmente si dibatte inoltre sulla possibilità che lo Stato di Israele chieda imposte alla Chiesa. Vari ebrei hanno detto alla Siebrecht: "Il nostro nuovo Governo è razzista".

Nel corso della sua visita, la caposezione di ACS ha visitato alcuni progetti che l'organizzazione porta avanti in Terra Santa, come un centro pastorale per la Chiesa maronita e alcune sale parrocchiali per la Chiesa melchita, fondamentali "perché fa parte della mentalità dei fedeli riunirsi in esse per celebrare battesimi, comunioni, nozze e anche funerali".

Allo stesso modo, si finanziano alcuni progetti di borse di studio per studenti di Teologia e futuri sacerdoti, la ricostruzione e il restauro di chiese e conventi, l'ampliamento del fondo della biblioteca universitaria di Betlemme. Si aiutano anche i cristiani di Betlemme a rendersi economicamente indipendenti attraverso la produzione di articoli in legno d'ulivo. Grazie a questo tipo di aiuto, "siamo riusciti a persuadere molti cristiani a non emigrare dalla Terra Santa".

"I cristiani di Terra Santa ci chiedono soprattutto preghiere", ha confessato la Siebrecht. "La preghiera è il contributo più importante che possiamo offrire da lontano".

"Chi si reca in Terra Santa - ha concluso - non dovrebbe limitarsi a visitare i Luoghi Santi, ma anche le 'pietre vive', perché per queste persone è una grande gioia vedere che altri cristiani condividono la loro sofferenza".







7.000 giovani neocatecumenali accompagnano il Papa in Israele


MADRID, giovedì, 7 maggio 2009 (ZENIT.org).- Più di 7.000 giovani europei appartenenti al Cammino Neocatecumenale accompagneranno Papa Benedetto XVI nel suo prossimo viaggio in Israele, secondo quanto ha confermato in una nota il loro portavoce in Spagna, Álvaro de Juana.

E' previsto che i giovani si rechino in pellegrinaggio in Terra Santa negli otto giorni della visita papale e che partecipino alle celebrazioni programmate, soprattutto a Gerusalemme, Betlemme e Nazareth.

Incontreranno anche gli iniziatori di questa realtà ecclesiale - Kiko Argüello, Carmen Hernández e padre Mario Pezzi - nella "Domus Galilaeae", la casa di ritiri legata al Cammino Neocatecumenale, sulla Montagna delle Beatitudini.

In questi giorni è anche previsto che i pellegrini visitino varie parrocchie dell'Alta Galilea e che si svolgano incontri ecumenici con giovani locali, soprattutto ortodossi, greco-cattolici e maroniti.

Già nel pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel 2000, i responsabili internazionali del Cammino Neocatecumenale avevano organizzato un pellegrinaggio simile per accompagnare il Papa. In quell'occasione, il 24 marzo, il Papa polacco visitò la "Domus Galilaeae" e celebrò un incontro con le migliaia di giovani presenti.
+PetaloNero+
00venerdì 8 maggio 2009 16:54
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (I)



LA PARTENZA DA ROMA

Ha inizio questa mattina il 12° Viaggio internazionale del Santo Padre Benedetto XVI, che lo porta pellegrino in Terra Santa.

L’aereo con a bordo il Santo Padre - un Airbus 320 dell’Alitalia - è partito dall’aeroporto di Fiumicino (Roma) alle ore 9.50 ed è giunto all’aeroporto internazionale Queen Alia di Amman poco prima delle ore 14.30 locali (le 13.30 ora di Roma).



TELEGRAMMI A CAPI DI STATO

Nel momento di lasciare il territorio italiano, e nel sorvolare poi gli spazi aerei di Grecia, Cipro, Libano e Siria, il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto pervenire ai rispettivi Capi di Stato i seguenti messaggi telegrafici:

A SUA ECCELLENZA IL DOTTOR GIORGIO NAPOLITANO
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
PALAZZO DEL QUIRINALE
00187 ROMA

NEL MOMENTO IN CUI MI ACCINGO A COMPIERE IL MIO PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA CHE SARÀ PER ME OCCASIONE PROVVIDENZIALE PER RICALCARE LE ORME DEL DIVINO MAESTRO COME PURE PER INCONTRARE FRATELLI E SORELLE NELLA FEDE CONDIVIDENDO CON LORO MOMENTI DI FORTE SPIRITUALITÀ PREGARE PER LA GIUSTIZIA E LA PACE ED INCORAGGIARE IL DIALOGO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO MI È CARO RIVOLGERE A LEI SIGNOR PRESIDENTE E AL POPOLO ITALIANO IL MIO CORDIALE SALUTO CHE ACCOMPAGNO CON FERVIDI AUSPICI PER IL PROGRESSO SPIRITUALE CIVILE E SOCIALE DELLA DILETTA ITALIA

BENEDICTUS PP. XVI




SON EXCELLENCE MONSIEUR KAROLOS PAPOULIAS
PRÉSIDENT DE LA RÉPUBLIQUE HELLÉNIQUE
ATHENES

ME RENDANT EN PÈLERINAGE EN TERRE SAINTE JE SUIS HEUREUX DE SALUER VOTRE EXCELLENCE AU MOMENT OÙ JE SURVOLE LE TERRITOIRE DE LA RÉPUBLIQUE HELLÉNIQUE ET JE LUI EXPRIME MES VŒUX CORDIAUX POUR SA PERSONNE ET POUR SES COMPATRIOTES(.) JE PRIE DIEU D’ACCOMPAGNER LA NATION DANS SES EFFORTS POUR CONSTRUIRE UNE SOCIÉTÉ TOUJOURS PLUS CONVIVIALE ET J’INVOQUE SUR LE PEUPLE GREC TOUT ENTIER L’ABONDANCE DES BÉNÉDICTIONS DU SEIGNEUR.

BENEDICTUS PP. XVI




HIS EXCELLENCY DEMETRIS CHRISTOFIAS
PRESIDENT OF THE REPUBLIC OF CYPRUS
NICOSIA

AS I FLY OVER CYPRUS ON MY PILGRIMAGE TO THE HOLY LAND I OFFER GREETINGS TO YOUR EXCELLENCY AND CORDIALLY INVOKE UPON THE PEOPLE OF THE NATION GOD’S CHOICEST BLESSINGS OF PROSPERITY AND PEACE.

BENEDICTUS PP. XVI




SON EXCELLENCE LE GÉNÉRAL MICHEL SLEIMAN
PRÉSIDENT DE LA RÉPUBLIQUE DU LIBAN
BEYROUTH

AU MOMENT D’EMPRUNTER L’ESPACE AÉRIEN DE LA RÉPUBLIQUE LIBANAISE POUR ME RENDRE EN PÈLERINAGE EN TERRE SAINTE IL M’EST AGRÉABLE DE SALUER VOTRE EXCELLENCE ET DE LUI EXPRIMER LES VŒUX CORDIAUX QUE JE FORME POUR TOUS LES LIBANAIS AFIN QU’ILS TROUVENT FORCE ET COURAGE POUR CONSTRUIRE UNE NATION UNIE ET SOLIDAIRE DANS LE RESPECT DE TOUTES SES COMPOSANTES (.) QUE DIEU BÉNISSE VOTRE PERSONNE ET TOUS LES HABITANTS DU LIBAN.

BENEDICTUS PP. XVI




SON EXCELLENCE MONSIEUR BACHAR EL ASSAD
PRÉSIDENT DE LA RÉPUBLIQUE ARABE SYRIENNE
DAMAS

EMPRUNTANT L’ESPACE AÉRIEN DE LA RÉPUBLIQUE ARABE SYRIENNE POUR ME RENDRE EN PÈLERINAGE EN TERRE SAINTE, JE TIENS À PRÉSENTER MES SALUTATIONS À VOTRE EXCELLENCE ET À L’ENSEMBLE DE SES CONCITOYENS TOUT EN FORMANT DES VŒUX ARDENTS POUR LA PAIX ET LA PROSPÉRITÉ DE LA NATION ET EN IMPLORANT SUR LE PEUPLE SYRIEN TOUT ENTIER L’ABONDANCE DES BÉNÉDICTIONS DIVINES.

BENEDICTUS PP. XVI






Il colloquio del Papa con i giornalisti durante il volo per Amman. Intervista con padre Lombardi

I cristiani della Terra Santa e del Medio Oriente devono rimanere nelle loro terre. E’ stata questa una delle affermazioni rese dal Papa durante la consueta conferenza stampa che si è svolta a bordo dell’aereo papale. Benedetto XVI ha risposto durante il volo ad alcune domande dei giornalisti presenti a bordo, spiegando quali siano i sentimenti spirituali e pastorali che lo accompagneranno durante questo suo pellegrinaggio. Lo riferisce il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, contattato subito dopo l’atterraggio del volo ad Amman da Alessandro De Carolis:

R. - Il Papa ha risposto ad alcune domande che riguardano naturalmente i temi principali che sono d’attualità in questo viaggio. Il primo è quello del servizio della pace. L’interrogativo era come pensa concretamente il Papa di poter servire la pace in questo viaggio. Ed egli ha detto che ci sono tre vie per servirla, in particolare la preghiera, che vedrà anche tutto il popolo cristiano unito a lui nel domandare a Dio il dono della pace. C’è poi la grande via della formazione delle coscienze, sui veri valori e sul valore della convivenza pacifica, nel rispetto reciproco tra le persone e i popoli. E poi, molto significativo, anche il tema della ragione, ovvero l’appello a tutti ad essere ragionevoli e a seguire i dettami che una sana ragione indica a tutti gli uomini per vivere nel rispetto reciproco e nella pace. E questo mi sembra un tema piuttosto importante di questo Pontificato e che probabilmente il Papa affronterà in questi giorni.

D. - Si è parlato anche della condizione dei cristiani di Terra Santa?

R. - Sì, il Santo Padre ha detto che, naturalmente, ci sono molte iniziative per sostenerli. In particolare, ha fatto riferimento a tutta l'attività scolastica ed all'attività sanitaria: gli ospedali, le case nelle quali si presta assistenza alle persone in difficoltà, agli emarginati e ai malati. E quindi il Santo Padre ha parlato della vitalità della Chiesa, che si sente unita a questi cristiani, ed anche dello scopo di questo viaggio, che pure ha - tra le sue principali finalità - quella di manifestare la vicinanza del pastore universale, e di tutta la Chiesa con lui, a queste comunità cristiane, affinchè possano essere ancora piene di speranza per il futuro.

D. - Ci sono stati altri temi che sono emersi dalle domande dei giornalisti?

R. - Gli altri temi principali erano quelli che riguardavano il dialogo, sia con l'ebraismo, sia con l'islam, ed anche gli elementi comuni delle tre religioni che fanno capo ad Abramo. Il Santo Padre ha ricordato che egli stesso è stato tra i membri fondatori di una istituzione dedicata proprio al dialogo fra le tre grandi religioni che si appellano ad Abramo: una fondazione culturale che ha fatto anche delle pubblicazioni di testi importanti per le diverse religioni, e che ha preso iniziative concrete per facilitare il dialogo. Si tratta, dunque, di trovare un linguaggio comune, dei punti di riferimento comuni: anche il valore dell'amore di Dio e del prossimo sono certamente punti assolutamente focali di questo dialogo, che deve vedere le tre religioni collaborare insieme anche per la pace nel mondo.

D. - Un'impressione a caldo sul benvenuto che il re di Giordania ha riservato al Papa...

R. - Il discorso del re di Giordania è stato un discorso molto notevole: spontaneo, caloroso, cordiale. Si vede - come ha detto anche il Papa nel suo discorso - che qui c'è una tradizione consolidata di dialogo e si cerca veramente di condurre uno sviluppo della cultura islamica verso valori comuni, condivisi, anche con altri popoli, altre culture. Il re ha fatto riferimento a quelle stesse grandi iniziative alle quali anche il Papa si riferisce - cioè il messaggio interreligioso di Amman - che hanno dato luogo, anche recentemente, ad alcuni tra i momenti più promettenti del dialogo fra islam e cristianesimo, compreso il Forum che si è svolto a Roma recentemente, i cui partecipanti sono stati ricevuti dal Papa e che si è concluso con una dichiarazione comune piuttosto significativa. Quindi, direi che ci troviamo in un contesto in cui il dialogo tra cristianesimo ed islam mostra di poter fare dei passi avanti, di poter essere veramente fruttuoso.






Il Papa ad Amman: vengo come pellegrino per venerare i luoghi santi. Si promuova la pace in Medio Oriente, la libertà religiosa e l'alleanza tra occidente e mondo musulmano


“Vengo in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi”: con queste parole, pronunciate durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto di Amman, Benedetto XVI ha iniziato il suo pellegrinaggio in Terra Santa, che dall’11 al 15 maggio lo vedrà in Israele e Territori palestinesi. L’aereo papale è atterrato nell’aeroporto della capitale giordana alle 13.24 ora italiana. Ad accogliere Benedetto XVI, il Re Abdallah II, accompagnato dalla Regina Rania, e i Patriarchi e vescovi della Giordania e della Terra Santa. Il Papa ha parlato della libertà religiosa come diritto umano fondamentale, della promozione di una pace durevole e di una vera giustizia in Medio Oriente, dell’alleanza di civiltà tra mondo occidentale e quello musulmano a smentire i profeti della inevitabilità del conflitto tra le culture. Ma diamo la linea al nostro inviato ad Amman, Pietro Cocco:
E’ un benvenuto, quello tra il Re e il Papa, che ha guardato subito alle questioni cruciali di questa visita alla Terra Santa, a partire dalla Giordania. Benedetto XVI sente di venire in una terra ricca di storia, patria di antiche civiltà,profondamente intrisa di significato religioso per Ebrei, Cristiani e Musulmani:

“I come to Jordan as a pilgrim, to venerate holy places …
Vengo in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi che hanno giocato una così importante parte in alcuni degli eventi chiave della storia biblica” come il Monte Nebo, con il Memoriale di Mosè, e Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni Battista “predicò e rese testimonianza a Gesù”.

Al tempo stesso, il Papa ha elogiato il regno haschemita per il suo impegno per la pace in Medio Oriente:

“Indeed the Kingdom of Jordan has long been at the forefront of initiative …
In effetti, il Regno di Giordania è da tempo in prima linea nelle iniziative volte a promuovere la pace nel Medio Oriente e nel mondo, incoraggiando il dialogo inter-religioso, sostenendo gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese, accogliendo i rifugiati dal vicino Iraq, e cercando di tenere a freno l’estremismo”.

Possano questi sforzi, ha aggiunto il Papa, portare “frutto nello sforzo di promuovere una pace durevole e una vera giustizia per tutti coloro che vivono nel Medio Oriente.”

Altrettanto caloroso e attento alle dimensioni religiose e politiche, il discorso di saluto del Re di Giordania, Abdullah II. Il Re ha voluto salutare in Benedetto XVI prima di tutto un pellegrino di pace, definendo la sua presenza in Giordania come un momento storico. “Si senta a casa, le porte sono aperte”. “La coesistenza e l’armonia fra musulmani e cristiani – ha detto – sono un tema urgente nel mondo. Oggi insieme siamo impegnati nel mutuo rispetto. Qui ed ora è il momento di un dialogo globale”. “L’armonia tra noi – ha ancora proseguito il Re giordano – il dialogo, hanno la loro base nella nostra fede in un unico Dio”. Il Re ha poi espresso l’impegno suo e del suo Paese perché sia riconosciuto il diritto dei palestinesi ad uno Stato e quello di Israele alla sicurezza, così come il rispetto del carattere religioso dei Luoghi Santi di Gerusalemme.

Da parte sua, Benedetto XVI ha voluto sottolineare l’importanza del ruolo svolto dal Re giordano “nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall’Islam. Impegno che si è concretizzato in iniziative che hanno favorito “un’alleanza di civiltà tra il mondo occidentale e quello musulmano, smentendo le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto”.

A riprova di questo, il Papa ha poi espresso la gioia di poter benedire nei prossimi giorni le prime pietre delle chiese che saranno costruite sul luogo tradizionale del Battesimo del Signore. La possibilità che la comunità cattolica di Giordania possa edificare pubblici luoghi di culto è un segno del rispetto di questo Paese per la religione:

“On their behalf I want to say how much this openness is appreciated…
A nome dei Cattolici desidero esprimere quanto sia apprezzata questa apertura. La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo”.

Per questi motivi, Benedetto XVI ha voluto ribadire come da parte sua vi sia un profondo rispetto per la comunità musulmana: “Spero vivamente, ha concluso, che questa visita e, in realtà, tutte le iniziative programmate per promuovere buone relazioni tra cristiani e musulmani, possano aiutarci a crescere nell’amore verso Dio Onnipotente e Misericordioso, come anche nel fraterno amore vicendevole.”

Come da tradizione, Benedetto XVI ha inviato durante il viaggio aereo una serie di telegrammi indirizzati ai Paesi sorvolati, ovvero Italia, Grecia, Cipro, Libano e Siria. Col presidente della Repubblica italiana, in particolare, il Papa definisce nel telegramma “provvidenziale” la sua opportunità di “ricalcare le orme del Divino Maestro” in Terra Santa, dove ribadisce di andare per “pregare per la giustizia e per la pace” e per “incoraggiare il dialogo ecumenico e interreligioso”. “Sono certo - scrive in risposta il capo di Stato italiano - che il suo messaggio di pace e di speranza troverà terreno fertile in tutti gli uomini di buona volontà che si impegnano affinché quei luoghi diventino il simbolo di una ritrovata e pacifica convivenza fra tutti i ‘popoli del libro’”.





Discorso del Papa all’aeroporto Queen Alia di Amman


AMMAN, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del discorso pronunciato questo venerdì da Benedetto XVI in occasione della cerimonia di benvenuto svoltasi al suo arrivo all’aeroporto Queen Alia di Amman, dove è stato accolto dal Re di Giordania, Abdallah II Bin Al-Hussein, e dalla Regina Rania.
* * *

Maestà,

Eccellenze,

Cari Fratelli Vescovi,

Cari Amici,

è con gioia che saluto tutti voi qui presenti, mentre inizio la mia prima visita in Medio Oriente dalla mia elezione alla Sede Apostolica, e sono lieto di posare i piedi sul suolo del Regno Ascemita di Giordania, una terra tanto ricca di storia, patria di così numerose antiche civiltà, e profondamente intrisa di significato religioso per Ebrei, Cristiani e Musulmani. Ringrazio Sua Maestà il re Abdullah II per le sue cortesi parole di benvenuto e Gli porgo le mie particolari congratulazioni in questo anno che segna il decimo anniversario della sua ascesa al trono. Nel salutare Sua Maestà, estendo di cuore i migliori auguri a tutti i membri della Famiglia Reale e del Governo, e a tutto il popolo del Regno. Saluto i Vescovi qui presenti, specialmente quelli con responsabilità pastorali in Giordania. Mi dispongo con gioia a celebrare la liturgia nella Cattedrale di San Giorgio domani sera e nello Stadio Internazionale domenica insieme con Voi, cari Vescovi, e con così numerosi fedeli affidati alla vostra cura pastorale.

Sono venuto in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi che hanno giocato una così importante parte in alcuni degli eventi chiave della storia Biblica. Sul Monte Nebo, Mosè condusse la sua gente per gettare lo sguardo entro la terra che sarebbe diventata la loro casa, e qui morì e fu sepolto. A Betania al di là del Giordano, Giovanni Battista predicò e rese testimonianza a Gesù, che egli stesso battezzò nelle acque del fiume che dà a questa terra il nome. Nei prossimi giorni visiterò entrambi questi luoghi santi e avrò la gioia di benedire le prime pietre delle chiese che saranno costruite sul luogo tradizionale del Battesimo del Signore. La possibilità che la comunità cattolica di Giordania possa edificare pubblici luoghi di culto è un segno del rispetto di questo Paese per la religione e a nome dei Cattolici desidero esprimere quanto sia apprezzata questa apertura. La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo.

La mia visita in Giordania mi offre la gradita opportunità di esprimere il mio profondo rispetto per la comunità Musulmana e di rendere omaggio al ruolo di guida svolto da Sua Maestà il Re nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall’Islam. Ora che sono passati alcuni anni dalla pubblicazione del Messaggio di Amman e del Messaggio Interreligioso di Amman, possiamo dire che queste nobili iniziative hanno ottenuto buoni risultati nel favorire un’alleanza di civiltà tra il mondo Occidentale e quello Musulmano, smentendo le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto. In effetti, il Regno di Giordania è da tempo in prima linea nelle iniziative volte a promuovere la pace nel Medio Oriente e nel mondo, incoraggiando il dialogo inter-religioso, sostenendo gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto Israeliano-Palestinese, accogliendo i rifugiati dal vicino Iraq, e cercando di tenere a freno l’estremismo. Non posso lasciare passare questa opportunità senza richiamare alla mente gli sforzi d’avanguardia a favore della pace nella regione fatti dal precedente re Hussein. Come appare opportuno che il mio incontro di domani con i leader religiosi musulmani, il corpo diplomatico e i rettori dell’Università abbia luogo nella moschea che porta il suo nome. Possa il suo impegno per la soluzione dei conflitti della regione continuare a portar frutto nello sforzo di promuovere una pace durevole e una vera giustizia per tutti coloro che vivono nel Medio Oriente.

Cari Amici, nel Seminario tenutosi a Roma lo scorso autunno presso il Foro Cattolico-Musulmano, i partecipanti hanno esaminato il ruolo centrale svolto, nelle nostre rispettive tradizioni religiose, dal comandamento dell’amore. Spero vivamente che questa visita e in realtà tutte le iniziative programmate per promuovere buone relazioni tra Cristiani e Musulmani, possano aiutarci a crescere nell’amore verso Dio Onnipotente e Misericordioso, come anche nel fraterno amore vicendevole. Grazie per la vostra accoglienza, Grazie per la vostra cortesia. Che Dio conceda alle loro Maestà felicità e lunga vita! Che Egli benedica la Giordania con la prosperità e la pace!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





Discorso del Papa al Centro "Regina Pacis" di Amman


AMMAN, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Lasciato l’aeroporto Quenn Alia, Benedetto XVI si è recato al Centro "Regina Pacis" di Amman, dove è stato accolto da mons. Salim Sayegh, Vicario Patriarcale latino per la Giordania e fondatore del Centro di riabilitazione dei portatori di handicap.
Qui il Santo Padre ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

* * *

Beatitudini,

Eccellenze,

Cari Amici,

sono molto contento di essere oggi qui con voi e di salutare ciascuno di voi, come anche i membri delle vostre famiglie, dovunque essi possano essere. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le gentili parole di saluto e in modo speciale desidero prendere atto della presenza fra noi del Vescovo Selim Sayegh, i cui progetti e lavori per questo Centro, insieme con quelli di Sua Beatitudine il Patriarca emerito Michel Sabbah, sono oggi onorati dalla benedizione dei nuovi ampliamenti appena terminati. Desidero anche salutare con grande affetto i membri del Comitato Centrale, le Suore Comboniane e il personale laico impegnato, inclusi coloro che lavorano nelle varie branche ed unità comunitarie del Centro. La stima per la vostra notevole competenza professionale, la cura compassionevole e la risoluta promozione del giusto posto nella società di coloro che hanno necessità speciali è ben conosciuta qui e in tutto il regno. Ringrazio i giovani presenti per il loro commovente benvenuto. È una grande gioia per me essere qui con voi.

Come sapete, la mia visita al Centro Nostra Signora della Pace qui in Amman è la prima tappa del mio pellegrinaggio. Come per innumerevoli migliaia di pellegrini prima di me, è ora il mio turno di soddisfare quel profondo desiderio di toccare, di trarre conforto dai luoghi dove Gesù visse e che furono santificati dalla sua presenza e di venerarli. Dai tempi apostolici, Gerusalemme è stata il principale luogo di pellegrinaggio per i Cristiani, ma ancora prima, nell’antico Vicino Oriente, i popoli Semitici costruirono luoghi sacri per indicare e commemorare una presenza o un’azione divina. E la gente comune soleva recarsi in questi centri portando una parte dei frutti della loro terra e del loro bestiame per farne offerta come atto di omaggio e di gratitudine.

Cari Amici, ognuno di noi è un pellegrino. Siamo tutti proiettati in avanti, risolutamente, sulla via di Dio. Naturalmente, tendiamo poi a volgere lo sguardo indietro al percorso della vita – talvolta con rimpianti o recriminazioni, spesso con gratitudine ed apprezzamento – ma guardiamo anche avanti - a volte con trepidazione o ansia, sempre con attesa e speranza, sapendo che ci sono anche altri ad incoraggiarci lungo la strada. So che i viaggi che hanno condotto molti di voi al Centro Regina Pacis sono stati segnati da sofferenza o prove. Alcuni di voi lottano coraggiosamente con forme di invalidità, altri hanno sopportato il rifiuto, ed alcuni di voi sono stati attratti a questo luogo di pace semplicemente per cercare incoraggiamento ed appoggio. Di particolare importanza, lo so bene, è il grande successo del Centro nel promuovere il giusto posto dell'invalido nella società e nell’assicurare che un adeguato esercizio e strumentazione siano forniti per facilitare una simile integrazione. Per questa lungimiranza e determinazione tutti voi meritate grande elogio ed incoraggiamento!

A volte è difficile trovare una ragione per ciò che appare solo come un ostacolo da superare o anche come prova – fisica o emotiva – da sopportare. Ma la fede e la ragione ci aiutano a vedere un orizzonte oltre noi stessi per immaginare la vita come Dio la vuole. L'amore incondizionato di Dio, che dà la vita ad ogni individuo umano, mira ad un significato e ad uno scopo per ogni vita umana. Il suo è un amore che salva (cfr Gv 12,32). Come i cristiani professano, è attraverso la Croce, che Gesù di fatto ci introduce nella vita eterna e nel fare ciò ci indica la strada verso il futuro – la via della speranza che guida ogni passo che facciamo lungo la strada, così che noi pure diveniamo portatori di tale speranza e carità per gli altri.

Amici, diversamente dai pellegrini d’un tempo, io non vengo portando regali od offerte. Io vengo semplicemente con un'intenzione, una speranza: pregare per il regalo prezioso dell’unità e della pace, più specificamente per il Medio Oriente. La pace per gli individui, per i genitori e i figli, per le comunità, pace per Gerusalemme, per la Terra Santa, per la regione, pace per l’intera famiglia umana; la pace durevole generata dalla giustizia, dall’integrità e dalla compassione, la pace che sorge dall'umiltà, dal perdono e dal profondo desiderio di vivere in armonia come un’unica realtà.

La preghiera è speranza in azione. Ed infatti la vera ragione è contenuta nella preghiera: noi entriamo in contatto amoroso con l’unico Dio, il Creatore universale, e nel fare così giungiamo a renderci conto della futilità delle divisioni umane e dei pregiudizi e avvertiamo le meravigliose possibilità che si aprono davanti a noi quando i nostri cuori sono convertiti alla verità di Dio, al suo progetto per ognuno di noi e per il nostro mondo.

Cari giovani amici, a voi in particolare desidero dire che stando in mezzo a voi io sento la forza che proviene da Dio. La vostra esperienza del dolore, la vostra testimonianza in favore della compassione, la vostra determinazione nel superare gli ostacoli che incontrate, mi incoraggiano a credere che la sofferenza può determinare un cambiamento in meglio. Nelle nostre personali prove, e stando accanto agli altri nelle loro sofferenze, cogliamo l'essenza della nostra umanità, diventiamo, per così dire, più umani. E incominciamo ad imparare che, su un altro piano, anche i cuori induriti dal cinismo o dall’ingiustizia o dalla riluttanza a perdonare non sono mai al di là del raggio d’azione di Dio, possono essere sempre aperti ad un nuovo modo di essere, ad una visione di pace.

Vi esorto tutti a pregare ogni giorno per il nostro mondo. Ed oggi voglio chiedervi di assumervi uno specifico compito: pregate, per favore, per me ogni giorno del mio pellegrinaggio; per il mio spirituale rinnovamento nel Signore e per la conversione dei cuori al modo di perdonare e di solidarizzare che è proprio di Dio, così che la mia speranza - la nostra speranza – per l’unità e la pace nel mondo porti frutti abbondanti.

Che Dio benedica ognuno di voi e le vostre famiglie, e gli insegnanti, gli infermieri, gli amministratori e i benefattori di questo Centro. Che Nostra Signora Regina della Pace vi protegga e vi guidi lungo il pellegrinaggio del Figlio suo, il Buon Pastore.





[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]







Le speranze della comunità cristiana in Giordania



Sull’arrivo del Papa ad Amman ascoltiamo, al microfono di Pietro Cocco, mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania e fondatore del Centro Regina Pacis per la riabilitazione dei disabili, prima tappa della visita di Benedetto XVI nel Paese:

R. – E’ un sentimento di gioia veramente. Siamo felici di ricevere il Santo Padre perché per noi significa ricevere San Pietro.


D. – Il Papa viene anche come ospite del Re...


R. – Questo suo essere ospite del Re ci riempie di gioia, perché il Re ci rappresenta tutti.


D. – Il Papa si fermerà qui in Giordania quattro giorni, una visita molto articolata. Quali sono gli aspetti principali, a suo giudizio, degli appuntamenti che il Papa ha qui ad Amman?


R. – Prima di tutto incontrerà i poveri dei poveri della Giordania, i portatori di handicap nel Centro Nostra Signora della Pace, ed avrà una parola da dire loro. Lì incontrerà anche i giovani, perché il Centro è sia per i disabili che per i giovani. I nostri giovani in Giordania si sentono molto felici, perchè loro che partecipano alla Giornata Mondiale della Gioventù sono coscienti che è il Santo Padre a venire da loro e non loro ad andare da lui. Hanno preparato una bella lettera da presentare al Santo Padre.


D. – Ci sarà anche una visita alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman e un incontro con i capi religiosi musulmani...


R. – La visita alla Moschea riflette quel che vive la Giordania: una vita pacifica. Viviamo insieme ai fratelli musulmani da centinaia di anni. La visita del Santo Padre riflette anche il suo desiderio che tutti vivano in pace nella diversità e nell’accettazione gli uni degli altri.


D. – La Giordania in questi anni è stata molto accogliente nei confronti dei profughi, dei rifugiati, con un impegno in prima fila anche della Caritas della Giordania...


R. – Quando c’è stata la guerra in Palestina, nel 1947-1948, è la Giordania che ha ricevuto i profughi. E adesso in Giordania ci sono tanti campi di profughi palestinesi, che rimangono lì, aspettando una soluzione pacifica giusta e legale per la loro questione. Ci sono anche iracheni, che sono non meno di 600-700 mila, e tra di loro ci sono non meno di 25-30 mila cristiani.


D. – Mons. Sayegh, quali le preoccupazioni, le attese per il futuro, principali della comunità cristiana?


R. – Per la comunità cristiana della Giordania la prima cosa è educare cristianamente i giovani, la gioventù, perché loro riflettono la Chiesa del futuro. Noi oggi non possiamo educare i giovani come siamo stati educati 40-50 anni fa, altrimenti la nostra educazione rimarrà esteriore e non toccherà veramente l’anima. Quindi, dobbiamo portarli alla convinzione della loro fede, della loro missione, in questo mondo musulmano, per dare veramente la bella testimonianza di Gesù Cristo.


Sulle principali sfide per la comunità cristiana giordana, Pietro Cocco ha intervistato Adelheid Durk, responsabile di uno dei progetti umanitari della Caritas Giordania:

R. – Penso che sia il lato economico senz’altro ma anche, soprattutto, la pace perché, essendo una minoranza, rimane sempre un po’ la paura che un domani vada via il re e che vengano gli integralisti. E dopo, cosa ne sarebbe di noi? Questo è sempre un grande interrogativo però c’è sempre anche la speranza, senz’altro, che continui anche il lavoro di creare questi rapporti anche con gli altri perché bisogna convivere, non si può rimanere per sempre gli uni contro gli altri.


D. – Anche la visita del Papa va in questa direzione, proprio della cooperazione, della convivenza pacifica; verrà anche a confermare il cammino del dialogo interreligioso...


R. – Sì. Comunque la Giordania è un Paese molto aperto. Anche il re e tutta la famiglia reale sono molto aperti e molto pro-cristiani e si sente l’importanza dei cristiani, considerati il “lievito nella pasta”. I cristiani sono molto richiesti anche nei lavori perché sanno che lavorano bene e con coscienza. Certo ci sono un po’ di problemi ma sono cose che capitano. In generale però, è un Paese aperto in cui veramente convivono pacificamente cristiani e musulmani. (Montaggio a cura di Maria Brigini)






Aiutare i cristiani di Gerusalemme a rimanere in Terra Santa: intervista al parroco di Gerusalemme padre Faltas


Il muro che divide Israele dai Territori palestinesi e che “spezza” troppe famiglie, le case a prezzi insostenibili, un lavoro che non sempre garantisce il necessario per vivere. Sono i problemi quotidiani che pesano sui cristiani di Terra Santa, i quali sperano che la visita del Papa possa contribuire a risolverli. In questo scenario di precarietà, non fa eccezione la realtà di Gerusalemme, come spiega padre Ibrahim Faltas, parroco di San Salvatore, l’unica parrocchia latina della Città Santa, intervistato dal nostro inviato, Roberto Piermarini:

R. – Noi lo aspettiamo a braccia aperte, con entusiasmo. La gente è contenta: vuole essere incoraggiata, in questo periodo, perché ci sono tanti, tanti problemi. C’è il problema della casa, il problema del rinnovo della carta d’identità, della cittadinanza qui a Gerusalemme, il problema del Muro, il problema della disoccupazione … ma soprattutto, poter rimanere qui, a Gerusalemme. Prima dell’erezione del Muro, si sono celebrati molti matrimoni misti: il marito di Gerusalemme e la moglie di Betlemme o viceversa. Adesso, purtroppo, non possono stare insieme perché dopo l’erezione del Muro, chi non è di Gerusalemme deve stare a Betlemme, deve tornare in Cisgiordania. Noi chiediamo un permesso per questa gente, affinché possa rimanere qui.


D. – Padre Faltas, alla vigilia del viaggio del Papa, quali sono stati i commenti della stampa araba e di quella israeliana?


R. – Tutti si stanno preparando bene per la visita del Papa, sia la stampa araba, sia quella israeliana. Anche nelle scuole – sia arabe, sia israeliane – sono state tenute tante, tante lezioni per informare su chi è il Papa, chi è Benedetto XVI … Ogni giorno, nella stampa araba e in quella israeliana, appare una notizia sul Papa …


D. – La Custodia di Terra Santa si sta adoperando per frenare l’esodo dei cristiani dalla Terra Santa …


R. – Il 90 per cento dei cristiani di Gerusalemme non sono proprietari, non hanno terreni, non hanno case e quindi prendono case in affitto. L’affitto più basso ammonta a mille dollari al mese, per arrivare a duemila, tremila, anche di più! La Custodia sta facendo progetti di case per far rimanere la gente qui.


D. – La ripresa del pellegrinaggio in Terra Santa è una risorsa per i cristiani …


R. – Certo: la maggior parte dei cristiani di Terra Santa – oltre l’85 per cento – lavora nel settore del turismo. Se non ci sono pellegrini, la gente non ha casa, non ha terreno, non ha lavoro e quindi, cosa sta a fare, qui? E’ molto facile scappare …


D. – Padre Faltas, questa visita del Papa può ridare speranza?


R. – Penso che la visita del Papa porterà frutti, perché sicuramente il Papa chiederà di risolvere tutti i nostri problemi di cristiani. E questa è la nostra speranza e quella di tutta la gente: è veramente una sfida, vivere a Gerusalemme in questi tempi!







Il Papa in Medio Oriente come fratello dei musulmani e degli ebrei
Intervista al Vicario dei cattolici di lingua ebraica in Israele

di Karna Swanson


GERUSALEMME, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Una delle sfide più grandi legate alla visita di Benedetto XVI in Terra Santa, è quella di riuscire a mostrare ad ebrei e musulmani il volto di Cristo, secondo padre David Neuhaus.

Padre Neuhaus, Patriarca Vicario delle comunità cattoliche di lingua ebraica (www.catholic.co.il) nel Patriarcato latino di Gerusalemme, ha parlato con ZENIT in vista del viaggio del Papa in Giordania, Israele e nei territori dell’Autorità nazionale palestinese, in programma dall’8 al 15 maggio.

In questa intervista il gesuita spiega come Israele si stia preparando alla visita e parla delle principali sfide con cui si confronterà il Santo Padre in questo viaggio, e della storica importanza di questo evento.

In che modo Israele si sta preparando alla visita di Benedetto XVI? E in particolare, come si stanno preparando i cattolici di lingua ebraica in Israele?

Padre Neuhaus: Israele, come nazione, si sta preparando ad accogliere un ospite molto illustre. La bandiera del Vaticano già sventola per le strade che il Santo Padre dovrà percorrere. Le misure di sicurezza sono già visibili nei luoghi della sua visita. La stampa è piena di notizie su Papa Benedetto, sul suo programma per la visita, sugli aspetti della vita della Chiesa, e soprattutto sulla Chiesa locale che riceve generalmente scarsa attenzione in un Paese in cui i cristiani rappresentano solo il 2% o il 3% della popolazione.

Ciò nonostante, la comunità cattolica di lingua ebraica, così come quella di lingua araba, si sta preparando anzitutto ad accogliere il nostro Pastore con gioia ed entusiasmo. Ci stiamo preparando ad ascoltare e a guardare, ad imparare e ad aprire i nostri cuori. Abbiamo grande speranza di ricevere dal Papa incoraggiamento e aiuto nel comprende più profondamente la nostra vocazione ad essere una “piccola oasi” in questa terra ormai da troppo tempo caratterizzata dal conflitto. Siamo molto fieri che il Papa Benedetto abbia voluto insistere per visitare anzitutto noi e per stare con noi.

Il Santo Padre ha chiesto ripetutamente preghiere per questo suo pellegrinaggio e il suo portavoce lo ha definito un viaggio “decisamente coraggioso”. Crede che ci possano essere dei rischi particolari in un viaggio in Terra Santa oggi?

Padre Neuhaus: È effettivamente un viaggio coraggioso perché i rischi sono molteplici. Viviamo in mezzo a un conflitto politico-nazionale, e tutte le parti in causa sono pronte a sfruttare la visita del Santo Padre a proprio vantaggio. Lui si confronterà non solo con la realtà della vita religiosa in Terra Santa, ma incontrerà anche i rappresentanti ufficiali di Israele e dell’Autorità palestinese.

Li incontrerà peraltro in un contesto tra i più significativi: durante la visita a Yad Vashem (il memoriale alle vittime della Shoah) e a Aida Camp (un campo di rifugiati palestinesi della guerra del 1948). I rischi sono evidenti, sebbene il Papa venga come pellegrino in preghiera per la pace e l’unità. Molti si aspettano di sentire da lui parole a sostegno della propria causa. Ma il Papa viene come pastore. Molti cercheranno di analizzare ogni singola parola e ogni suo movimento per trarne un significato politico.

La visita dovrà essere coordinata con grande abilità, in modo da preservare le intenzioni del Santo Padre in un contesto in cui molti cercheranno di tirarlo nel pantano del conflitto e degli interessi di parte. Il Papa avrà bisogno del coraggio degli antichi profeti che si confrontarono con i potenti del loro tempo, per poter esprimere la sua parola di verità e portare a compimento la sua visita in questa terra come pellegrino della pace, dell’unità e dell’amore. Che le preghiere di Giovanni Paolo II possano dare forza a Papa Benedetto mentre cammina sul sentiero del suo predecessore. Che questo pellegrinaggio possa edificarsi e ampliarsi sulle fondamenta del meraviglioso pellegrinaggio del suo predecessore.

Il cardinale Leonardo Sandri ha rivelato questa settimana che il viaggio in Terra Santa è stato voluto dal Papa sin dall’inizio del suo pontificato. Perché è così importante?

Padre Neuhaus: L’importanza di questa visita si esprime a diversi livelli. Anzitutto, il Santo Padre arriva nella terra che è stata teatro della storia della nostra salvezza: la terra dei patriarchi, dei profeti e dei saggi dell’Antico Testamento; la terra di Gesù Nostro Signore e dei discepoli ed apostoli del Nuovo Testamento. Egli viene per ricordarci dell’importanza di questi luoghi sacri per la nostra identità come cristiani, perché rappresentano un memoriale permanente della fedeltà di Dio per noi.

In secondo luogo, egli viene per incoraggiarci e sostenere la madre Chiesa di Gerusalemme. In queste settimane – dalla Pasqua alla Pentecoste – stiamo leggendo gli Atti degli apostoli, in cui Gerusalemme e la sua Chiesa rappresentano un costante punto di riferimento. Dobbiamo rafforzare la Chiesa di Gerusalemme come costante punto di riferimento delle nostre origini e perché dare testimonianza di Gesù nella terra in cui lui ha vissuto è essenziale.

In terzo luogo, il Papa viene nel cuore di una zona in agitazione, per mostrare il volto della Chiesa come promotrice di giustizia, di pace e soprattutto di perdono e compassione. Abbiamo bisogno di questa visita in modo speciale per promuovere il perdono, così assente dai nostri discorsi sul conflitto locale.

In quarto luogo, il Papa viene per promuovere il dialogo, sia con gli ebrei, sia con i musulmani.

Questo viaggio sarà un’opportunità di incontro fra cattolici, musulmani ed ebrei. Cosa può fare il Papa per evitare incomprensioni con le religioni ebraica e islamica, come è avvenuto qualche mese fa dopo la remissione della scomunica del vescovo Richard Williamson, o con il discorso di Ratisbona all’inizio del suo pontificato?

Padre Neuhaus: L’incontro con le autorità ebraiche e islamiche è un elemento importante di questo viaggio. Il Santo Padre si recherà anche nei luoghi più importanti per queste due tradizioni religiose: Haram al-Sharif (dove visiterà la Cupola della Roccia) e il Muro occidentale (il Muro del pianto). Tutto ciò sarà preceduto da un raduno interreligioso in cui il Papa si rivolgerà a centinaia di ebrei, cristiani e musulmani, attivi nel dialogo interreligioso, nell’educazione, nel volontariato, nei diritti umani, nella democrazia e nella tolleranza: alle persone che lavorano come operatori di pace e promotori della giustizia e della riconciliazione.

Sia gli ebrei che i musulmani si attendono parole e gesti di riconciliazione, considerati i precedenti episodi di tensione. A tal fine, i momenti importanti non saranno solo le visite alle autorità religiose e ai luoghi sacri per le tradizioni ebraica e musulmana, ma anche gli incontri con la gente sofferente della regione. Questi incontri saranno a loro volta occasione per il Santo Padre di mostrare ai nostri fratelli ebrei e musulmani il volto di un fratello che rivolge a loro parole di saggezza e di amore e che compie gesti di rispetto e compassione.

Il Papa ha detto che va come “Pellegrino di pace” in Terra Santa. Come può il capo della Chiesa cattolica rappresentare una forza di pace in questa regione?

Padre Neuhaus: Si tratta di una sfida enorme, in una regione che troppo spesso sembra non volere intraprendere il cammino della pace. Il Papa non viene come leader politico, ma come leader spirituale e religioso in pellegrinaggio. Questo significa che ha la libertà dello Spirito e può tentare di trasformare la visione di chi in questa regione non riesce a vedere oltre il conflitto e lo scontro.

È poco probabile che il Santo Padre possa proporre un nuova formula ai leader politici, ma non ho alcun dubbio che egli potrà sottolineare quegli elementi che sono essenziali per un processo di pace e che tuttavia vengono raramente citati nei discorsi politici che dominano la nostra regione. Il perdono e la compassione sono due di questi elementi che il Papa, nei suoi incontri con israeliani e palestinesi, certamente vorrà sottolineare.

Il Papa viene non come un re, ma come un profeta e un saggio. Questo gli conferisce un certo grado di libertà dagli imperativi del potere e della politica, per poter considerare la nostra triste condizione con parole di verità e di amore. Se egli riuscisse anche solo ad aprire la nostra visione per farci vedere ciò che non riusciamo a vedere – ovvero che l’altro è un nostro fratello e non un nostro nemico – allora ci avrà aiutato ad esorcizzare i demoni della paura, del sospetto e dell’odio che hanno colonizzato le nostre menti e i nostri cuori.

Per coloro che seguono il viaggio del Papa dall’estero, può individuare alcuni dei principali elementi del contesto culturale di cui tenere conto?

Padre Neuhaus: Forse, semplicemente, coloro che seguono l’evento dovranno capire che il Papa si reca in luoghi che non sono cattolici, ma che sono di tradizione, storia e identità ebraica (Israele), e di tradizione, storia e identità araba musulmana (la Giordania e i territori dell’Autorità nazionale palestinese). Per la maggior parte della gente il Papa non è l’amato pastore, ma un illustre straniero che rappresenta anche parte delle sofferenze e delle difficoltà che hanno caratterizzato i rapporti fra ebrei e cattolici, e fra musulmani e cattolici.

Dobbiamo pregare, tutti noi, che questa visita possa essere un importante momento di trasformazione, in cui israeliani e palestinesi, ebrei e musulmani, possano vedere nel volto del Papa Benedetto XVI il volto di Gesù Cristo, umile, compassionevole e servo dei suoi fratelli e sorelle. È questa in definitiva la più grande sfida di questo viaggio.





Un video per accompagnare la visita del Papa in Terra Santa


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- In occasione del viaggio in Terra Santa di Benedetto XVI l'editore cattolico HDH Communications distribuisce "Le Città Sante", un cofanetto da collezione da 3 DVD, un pellegrinaggio attraverso le città di Gerusalemme, Roma e Assisi.


"La terra di Cristo, la casa di Pietro, la dimora di San Francesco sono i luoghi sacri che racchiudono i valori della spiritualità cristiana. Questa serie di documentari vuole essere un percorso geografico e spirituale alla ricerca delle nostre radici cristiane", sottolinea Francesco Robatto, presidente di HDH Communications, distributore esclusivo mondiale del Centro Televisivo Vaticano.

Il cofanetto in edizione da collezione è disponibile in versione italiana, inglese e spagnola ed è proposto con uno sconto speciale del 25% sul sito www.hdhcommunications.com per tutto il mese di maggio.




www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=821&sett...
+PetaloNero+
00venerdì 8 maggio 2009 17:03
Il papa verso la Terra Santa: i 102 del volo papale
Scritto da Salvatore Scolozzi

Viaggio suggestivo e ricco di significati per Benedetto XVI, in Terra Santa. E’ il suo dodicesimo viaggio internazionale, per essere “pellegrino di pace nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti” nei luoghi dove è nato e vissuto Gesù, e per testimoniare “l’impegno della Chiesa cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco”.


Alle ore 9:30 dell’8 maggio la partenza dell’Airbus A321 dell’Alitalia dall’aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino. Nel volo AZ 4000 con destinazione Amman, in Giordania, viaggerà il Santo Padre Benedetto XVI, il seguito papale (30 persone), i giornalisti ammessi al volo (70), un funzionario della Sala stampa vaticana e uno dell’Alitalia. In tutto, oltre al personale di volo, viaggeranno con il Santo Padre 102 persone.

Del seguito papale, come comunicato dalla Segreteria di Stato, faranno parte 4 cardinali, 1 vescovo, 7 sacerdoti e 18 laici. Guida il Segretario di Stato, S.Em. Card. Tarcisio Bertone. Gli altri cardinali saranno il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, S.Em. Card. Leonardo Sandri, il presidente del Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani e commissione per i rapporti con il giudaismo, S.Em. Card. Walter Kasper, e il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, S.Em. Card. Paul Tauran.

Unico vescovo, il sostituto alla Segreteria di Stato, S.E.R. Mons. Fernando Filoni. Saranno del seguito, inoltre, Mons. Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche, Mons. Georg Gänswein, segretario particolare del papa, coadiuvato da Mons. Alfred Xuereb. Per la Segreteria di Stato, inoltre, sarà presente Mons. Peter B. Wells.

Faranno parte del seguito anche i coadiutori liturgici di mons. Marini, Mons. Enrico Vigano e William Millea. A curare i rapporti con i tanti media del mondo che seguiranno la visita, il direttore della Sala Stampa vaticana, del CTV e della Radio vaticana, P. Federico Lombardi, S.J. e il funzionario della Sala Stampa, Vik van Brantegem, veterano dei viaggi papali.

Guida il gruppo dei laici, il dott. Alberto Gasbarri, responsabile dell’organizzazione del viaggio, coadiuvato dal dott. Paolo Corvini e il Prof. Giovanni Maria Vian, direttore de L'Osservatore Romano. Del seguito, ovviamente, anche il medico personale del papa e direttore dei servizi sanitari dello Stato Città del Vaticano, dott. Renato Buzzonetti, coadiuvato dal dott. Patrizio Polisca, della direzione per la Sanità e l’Igiene del Vaticano. Presente anche Paolo Gabriele, assistente di camera del papa.

La sicurezza del Santo Padre sarà garantita dai 5 della gendarmeria vaticana, guidati dal dott. Domenico Giani, oltre che dal Ten. Col. Jean Daniel Pittelloud e dal Cap. Christoph Graf. della Guardia Svizzera pontificia.

Tra i media della Santa Sede, faranno parte del seguito il fotografo dell’Osservatore Romano, Francesco Sforza, due operatori del CTV e due della Radio vaticana. L’assistente dall’Alitalia è Stefania Izzo, responsabile per i trasferimenti aerei.

70 i giornalisti accreditati che viaggiano con Benedetto XVI. 25 fanno riferimento a testate italiane e 5 ai media del vaticano. Tra questi ultimi, ci saranno Alessandro Di Bussolo e Santo Messina per il CTV, Gianluca Biccini e Simone Risoluti per L’Osservatore Romano e Sean Patrick Lovett per la Radio vaticana.

Gli altri 40 giornalisti rappresentano le più importanti testate giornalistiche mondiali. Tra i 70, 6 sono photoreporter: Pier Paolo Cito per l’agenzia AP, Ettore Ferrari per l’AFP, Ettore Ferrari per l’Ansa, Antonio Gentile per la Reuters, Alessia Giuliani per Catholic Press Photo e Gregorz Galazka per la SIPA.

Per le televisioni ammessi 20 giornalisti. Tra i corrispondenti, Giuseppe De Carli, direttore della Struttura Rai Vaticano, Vincenzo Romeo, TG2, Barbara Piga Serra per Al Jazeera, Cristiana Caricato di Sat 2000, Mons. Guido Todeschini di Telepace, e 1 giornalista rispettivamente per Televisiva, ZDF, France 2, TF1, TVP-Telewizja Polska, Fox News ed ABC News.

Sempre per le televisioni saranno presenti 1 tecnico e 1 producer, oltre a 6 cameramen (altri 5 si aggregano all’arrivo). Rappresentate le agenzie EU Pool TV (Stefano Belardini), AP-Reuters pool TV (Gianfranco Stara), VSN-Vatican Service News (Jaroslaw Cielecki), Telepace (Giovanni Brutti), Fanes Film (Ciro Cappellari) e Televisiva.

I redattori di giornali, agenzie e periodici saranno 38. Per i quotidiani italiani saranno presenti Giacomo Galeazzi (La Stampa), Franca Giansoldati (Il Messaggero), Carlo Marroni (Il Sole 24 Ore), Salvatore Mazza (Avvenire), Marco Politi (La Repubblica), Andrea Tornelli (Il Giornale) e Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera). Per i quotidiani stranieri Isabelle De Gaulimyn Sallè (La Croix), Jaen Marie Guénois (Le Figaro), Stéphanie Le Bars (Le Monde), Rachel atonia Donadio The New York Times), Juan Vincente Gonzalez Boo (Abc), Shinya Minamishima (The Asahi Shimbun), Stefan Ulrich (Suddeutsche Zeitung).

Tra gli inviati delle agenzie di stampa, per la Reuters ci sarà Philip Pullella, per l’Ansa, Giovanna Chirri e per l’ApCom, Iacopo Scaramuzzi. Tra le altre agenzie, segnaliamo la Itar-Tass, la EFE, l’Alex Sprinter Verlag, la I.Media, Kiodo News Service, la CIC, DPA, AFP, AP e CNS. Per i periodici, invece, i giornalisti saranno Alberto Bobbio (Famiglia Cristiana), Ignazio Ingrao (Panorama), e i redattori di National Catholic Reporter, Time, Die Zeit, Der Spiegel e Sankt Ulrich Verlag.

Tra i quattro giornalisti radiofonici abbiamo Raffaele Luise (Rai – Gr) e gli inviati di Cadena Cope, RCN e Radio Renascença. Per la stampa internet ci sarà Franco Pisano di Asianews.it

Dopo un volo di 3 ore, e 2365 km percorsi, il volo papale atterrerà alle ore 14.30 all’aeroporto internazionale Queen Alia di Amman, dopo aver attraversato Italia, Grecia, Cipro, Libano, Siria e Giordania. Il trasferimento di lunedì 11 maggio, tra Amman e Tel Aviv, avverrà con l’Airbus A321 della Royal Jordaniana Airlines. Partenza alle 10.30 (11.30 in Italia) e arrivo all’aeroporto internazionale Ban Gurion di Tel Aviv, dopo 30 minuti di volo. Durante questo trasferimento faranno parte del volo papale S.B. Fuad Twal, patriarca di Gerusalemme dei latini e p. Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa.

Per il trasferimento tra Tel Aviv e Gerusalemme, il Santo Padre e il seguito utilizzeranno tre elicotteri. Per il rientro a Roma del 15 maggio, verrà utilizzato il B777 El – LY2009. Partenza prevista alle 14 (ora locale) dall’aeroporto di Tel Aviv per raggiungere l’aeroporto di Ciampino a Roma dopo 3 ore e 50’ di volo, percorrendo 2.250 km. Arrivo alle ore 16:50 italiane, dopo aver sorvolato Israele, Cipro, Grecia e Italia.

Numerosi giornalisti italiani e stranieri hanno già raggiunto la Terra Santa con un volo dell’Opera Romana Pellegrinaggi, e si accoderanno alla stampa ammessa al volo papale e alla numerosissima stampa locale nei luoghi del pellegrinaggio.




[Korazym]
+PetaloNero+
00sabato 9 maggio 2009 02:18
La pace che Benedetto XVI porta in Terra Santa
Commento di padre Caesar Atuire

di Mercedes de la Torre

AMMAN, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI porta in Terra Santa un annuncio biblico di pace radicato nella Bibbia, ha spiegato a ZENIT padre Caesar Atuire, amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, istituzione dipendente dalla Santa Sede, che sta seguendo l'itinerario del Papa in Giordania, Israele e Territori palestinesi.

Secondo il sacerdote di origine ghanese, questo pellegrinaggio è fondamentale “perché arriva in un momento in cui questa terra sta cercando di trovare un modo di vivere nella pace tra i vari popoli, e il Papa giunge davvero come un pellegrino di pace”.

“Egli stesso lo ha definito un pellegrinaggio di pace – ha aggiunto –. E' giunto per chiamare tutti i popoli che credono nell'unico Dio a questa vocazione innata all'identità presente nella rivelazione che Dio ha voluto dare agli uomini perché possiamo cercare la pace in Dio e nel rispetto degli uni per gli altri”.

In questo senso, non è un caso che il Papa abbia iniziato il suo pellegrinaggio in Giordania, terra importante sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento.

“Il profeta Isaia ci presenta il Messia come 'il principe della pace', colui che porterà la pace sulla terra. E questo è ciò che vogliamo realmente: la pace. La pace che cerchiamo è lo 'shalom' biblico; non è solo una questione di smettere di lottare dal punto di vista strettamente bellico”.

“Stiamo cercando una pace più profonda: vuol dire che l'uomo vive in armonia con Dio, con se stesso e con il prossimo. Questo è un dono di Dio e bisogna chiederlo nella preghiera, non lo possiamo ottenere solo attraverso negoziati politici”, ha osservato il sacerdote.

Compiendo un bilancio del primo giorno della visita, che ha visto la calda accoglienza che la Giordania ha offerto al Papa, padre Atuire ha constatato che “questo viaggio è iniziato molto bene, con grande serenità. Come accade sempre prima di qualsiasi viaggio del Papa ci sono molti timori, molte polemiche, che alcune persone vogliono lanciare”.

“Ciò che abbiamo visto, però, è che il Papa è arrivato davvero come un messaggero di pace, è stato accolto dal popolo, dai musulmani, dal re che è musulmano, dalla sua famiglia”.

Il Pontefice “ha voluto anche iniziare la sua visita visitando i poveri, i più emarginati della società. Credo che questo abbia dato un inizio molto positivo al viaggio, e in questi giorni vedremo come si svilupperà”, ha concluso padre Atuire riferendosi alla visita al centro per giovani handicappati Regina Pacis di Amman.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
+PetaloNero+
00sabato 9 maggio 2009 02:18
Risposte del Papa ai giornalisti sul volo per Amman


AMMAN, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la trascrizione fatta dalla Radio Vaticana della conferenza stampa, tenuta questo venerdì da Benedetto XVI, in presenza dei giornalisti ammessi al volo papale diretto ad Amman, in Giordania.

* * *

Padre Federico Lombardi:

Santità, noi la ringraziamo molto di darci anche questa volta un’occasione di un incontro con lei all’inizio di un viaggio così importante e impegnativo. Tra l’altro, ci dà anche modo di farle gli auguri di buon viaggio e di dirle che collaboreremo a diffondere i messaggi che lei cercherà di darci. Come al solito, le domande che ora pongo sono il risultato di una raccolta di domande tra i colleghi qui presenti. Le pongo io per motivi di facilità logistica, ma in realtà sono il frutto del lavoro comune.

D. – Santità, questo viaggio avviene in un periodo molto delicato per il Medio Oriente: vi sono forti tensioni - in occasione della crisi di Gaza, si era anche pensato che Lei forse vi rinunciasse. Allo stesso tempo, pochi giorni dopo il suo viaggio, i principali responsabili politici di Israele e dell’Autorità palestinese, incontreranno anche il presidente Obama. Lei pensa di poter dare un contributo al processo di pace che ora sembra arenato?

R. - Buongiorno! Vorrei anzitutto ringraziare per il lavoro che fate e ci auguriamo tutti insieme un buon viaggio, un buon pellegrinaggio, un buon ritorno. Quanto alla domanda, certamente cerco di contribuire alla pace non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Noi non siamo un potere politico, ma una forza spirituale e questa forza spirituale è una realtà che può contribuire ai progressi nel processo di pace. Vedo tre livelli: da credenti, siamo convinti che la preghiera sia una vera forza. Apre il mondo a Dio: siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella storia. Penso che se milioni di persone, di credenti, pregano, è realmente una forza che influisce e può contribuire ad andare avanti con la pace. Secondo punto: noi cerchiamo di aiutare nella formazione delle coscienze. La coscienza è la capacità dell’Uomo di percepire la verità, ma questa capacità è spesso ostacolata da interessi particolari. E liberare da questi interessi, aprire più alla verità, ai veri valori è un impegno grande: è un compito della Chiesa aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e liberarci da interessi particolari. E così – terzo punto – parliamo anche – è proprio così! – alla ragione: proprio perché non siamo parte politica, possiamo forse più facilmente, anche alla luce della fede, vedere i veri criteri, aiutare nel capire quanto contribuisca alla pace e parlare alla ragione, appoggiare le posizioni realmente ragionevoli. E questo lo abbiamo già fatto e vogliamo farlo anche adesso e in futuro.

D. – Grazie, Santità. La seconda domanda. Lei, come teologo, ha riflettuto in particolare sulla radice unica che accomuna cristiani ed ebrei. Come mai, nonostante sforzi di dialogo, si presentano spesso occasioni di malintesi? Come vede il futuro del dialogo tra le due comunità?

R. – Importante è che in realtà abbiamo la stessa radice, gli stessi Libri dell’Antico Testamento che sono – sia per gli ebrei, sia per noi – Libro della Rivelazione. Ma, naturalmente, dopo duemila anni di storie distinte, anzi, separate, non c’è da meravigliarsi che ci siano malintesi, perché si sono formate tradizioni di interpretazione, di linguaggio, di pensiero molto diverse, per così dire un “cosmo semantico” molto diverso, così che le stesse parole nelle due parti significano cose diverse; e con questo uso di parole che, nel corso della storia hanno formato significati diversi, nascono ovviamente malintesi. Dobbiamo fare di tutto per imparare l’uno il linguaggio dell’altro, e mi sembra che facciamo grandi progressi. Oggi abbiamo la possibilità che i giovani, i futuri insegnanti di teologia, possono studiare a Gerusalemme, nell’Università ebraica, e gli ebrei hanno contatti accademici con noi: così c’è un incontro di questi “cosmi semantici” diversi. Impariamo vicendevolmente e andiamo avanti nella strada del vero dialogo, impariamo l’uno dall’altro e sono sicuro e convinto che facciamo progressi. E questo aiuterà anche la pace, anzi, l’amore reciproco.

D. - Santità questo viaggio ha due dimensioni essenziali di dialogo intereligioso, con l’islam e con l’ebraismo. Sono due direzioni completamente separate fra loro o vi sarà anche un messaggio comune che riguarda le tre religioni che si richiamano ad Abramo?

R. – Certo esiste anche un messaggio comune e sarà occasione di farlo e nonostante la diversità delle origini abbiamo radici comuni perché, come già ha detto, il cristianesimo nasce dall’Antico Testamento e la scrittura del Nuovo Testamento senza l’Antico non esisterebbe, perché si riferisce in permanenza alla Scrittura, cioè all’Antico Testamento, ma anche l’Islam è nato in un ambiente dove era presente sia l’ebraismo sia i diversi rami del cristianesimo, giudeo-cristianesimo, cristianesimo-antiocheno bizantino, e tutte queste circostanze si riflettono nella tradizione coranica così che abbiamo tanto in comune dalle origini e nella fede nell’unico Dio, perciò è importante da una parte avere i dialoghi a due parti – con gli ebrei e con l’Islam – e poi anche il dialogo trilaterale. Io stesso sono stato cofondatore di una fondazione per il dialogo tra le tre religioni dove personalità come il metropolita Damaskinos e il Gran Rabbino di Francia René Samuel Sirat, ecc. eravamo insieme e questa fondazione ha fatto anche un’edizione dei libri delle tre religioni: il Corano, il Nuovo Testamento e l’Antico Testamento. Quindi il dialogo trilaterale deve andare avanti, è importantissimo per la pace e anche – diciamo – per vivere bene la propria religione.

D. – Un’ultima domanda. Santità lei ha richiamato spesso il problema della diminuzione dei cristiani in Medio Oriente e anche in particolare nella Terra Santa. E’ un fenomeno con diverse ragioni di carattere politico, economico e sociale. Che cosa si può fare concretamente per aiutare la presenza cristiana nella regione. Quale contributo spera di dare con il suo viaggio? Ci sono speranze per questi cristiani nel futuro? Avrà un messaggio particolare anche per i cristiani di Gaza che verranno ad incontrarla a Betlemme?

R. – Certamente ci sono speranze perché è un momento adesso, come lei ha detto, difficile ma anche un momento di speranza di un nuovo inizio, di un nuovo slancio nella via verso la pace e vogliamo soprattutto incoraggiare i cristiani in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente a rimanere, a dare il loro contributo nei Paesi delle loro origini: sono una componente importante della vita di queste regioni. In concreto la Chiesa, oltre a parole di incoraggiamento, alla preghiera comune, ha soprattutto scuole e ospedali. In questo senso abbiamo la presenza di realtà molto concrete. Le nostre scuole formano una generazione che avrà la possibilità di essere presente nella vita di oggi, nella vita pubblica. Stiamo creando questa Università cattolica in Giordania, mi sembra questa una grande prospettiva dove giovani – sia musulmani sia cristiani – si incontrano, imparano insieme dove si forma un’élite cristiana che è preparata proprio per lavorare per la pace. Ma generalmente le nostre scuole sono un momento molto importante per aprire un futuro ai cristiani e gli ospedali mostrano la nostra presenza. Inoltre ci sono molte associazioni cristiane che aiutano in diversi modi i cristiani e con aiuti concreti incoraggiano a rimanere, così spero che realmente i cristiani possano trovare il coraggio, l’umiltà, la pazienza di stare in questi Paesi, di offrire il loro contributo per il futuro di questi Paesi.

Padre Lombardi:

Grazie Santità, con queste risposte ci ha aiutato ad ambientare il nostro viaggio da un punto spirituale, da un punto di vista culturale e rinnovo gli auguri, anche da parte di tutti i colleghi che sono su questo volo, e anche gli altri che sono in volo verso la Terra Santa in queste ore, proprio per partecipare e aiutare anche da un punto di vista informativo un buon risultato di questa sua missione così impegnativa. Buon viaggio a lei e a tutti i suoi collaboratori e buon lavoro anche ai colleghi.
+PetaloNero+
00sabato 9 maggio 2009 16:09
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (IV)


VISITA ALL’ANTICA BASILICA DEL "MEMORIALE DI MOSÈ", SUL MONTE NEBO



Alle ore 8.30 di questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI si trasferisce in auto al Monte Nebo dove visita l’antica Basilica del "Memoriale di Mosé", affidata alla Custodia Francescana di Terra Santa. In questo luogo, secondo la tradizione, il Signore mostrò a Mosè la Terra Promessa, al termine della prova del deserto, 40 anni dopo l’esodo dall’Egitto.

Al Suo arrivo, il Papa è accolto dal Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, P. José Rodríguez Carballo.

Dopo il saluto del Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Padre Ministro Generale,
Padre Custode,
Cari Amici,

in questo luogo santo, consacrato dalla memoria di Mosè, vi saluto tutti con affetto nel Signore nostro Gesù Cristo. Ringrazio il Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, il P. José Rodríguez Carballo, per le cordiali parole di benvenuto. Colgo inoltre questa occasione per rinnovare l’espressione della mia gratitudine, e quella dell’intera Chiesa, ai Frati Minori della Custodia per la loro secolare presenza in queste terre, per la loro gioiosa fedeltà al carisma di san Francesco, come pure per la loro generosa sollecitudine per il benessere spirituale e materiale delle comunità cristiane locali e degli innumerevoli pellegrini che ogni anno visitano la Terra Santa. Qui desidero ricordare anche, con particolare gratitudine, il defunto P. Michele Piccirillo, che dedicò la sua vita allo studio delle antichità cristiane ed è sepolto in questo santuario che egli amò così intensamente.

È giusto che il mio pellegrinaggio abbia inizio su questa montagna, dove Mosè contemplò da lontano la Terra Promessa. Il magnifico scenario che ci si apre dinanzi dalla spianata di questo santuario ci invita a considerare come quella visione profetica abbracciava misteriosamente il grande piano della salvezza che Dio aveva preparato per il suo Popolo. Nella Valle del Giordano, infatti, che si snoda sotto di noi, nella pienezza dei tempi Giovanni Battista sarebbe venuto a preparare la via del Signore. Nelle acque del Giordano Gesù, dopo il battesimo ad opera di Giovanni, sarebbe stato rivelato come il Figlio diletto del Padre e, dopo essere stato unto di Spirito Santo, avrebbe inaugurato il proprio ministero pubblico. Fu ancora dal Giordano che il Vangelo si sarebbe diffuso, dapprima mediante la predicazione stessa e i miracoli di Cristo, e poi, dopo la sua risurrezione e l’effusione dello Spirito a Pentecoste, mediante l’opera dei suoi discepoli sino ai confini della terra.

Qui, sulle alture del Monte Nebo, la memoria di Mosè ci invita ad "innalzare gli occhi" per abbracciare con gratitudine non soltanto le opere meravigliose di Dio nel passato, ma anche a guardare con fede e speranza al futuro che egli ha in serbo per noi e per il mondo intero. Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino. Nelle acque del Battesimo siamo passati dalla schiavitù del peccato ad una nuova vita e ad una nuova speranza. Nella comunione della Chiesa, Corpo di Cristo, noi pregustiamo la visione della città celeste, la nuova Gerusalemme, nella quale Dio sarà tutto in tutti. Da questa santa montagna Mosè orienta il nostro sguardo verso l’alto, verso il compimento di tutte le promesse di Dio in Cristo.

Mosè contemplò la Terra Promessa da lontano, al termine del suo pellegrinaggio terreno. Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia. Sulle orme dei Profeti, degli Apostoli e dei Santi, siamo chiamati a portare avanti la missione del Signore, a rendere testimonianza al Vangelo dell’amore e della misericordia universali di Dio. Noi siamo chiamati ad accogliere la venuta del Regno di Cristo mediante la nostra carità, il nostro servizio ai poveri ed i nostri sforzi di essere lievito di riconciliazione, di perdono e di pace nel mondo che ci circonda. Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore e a salutare l’alba del suo Regno. Sappiamo che Dio, il quale ha rivelato il proprio nome a Mosè come promessa che sarebbe sempre stato al nostro fianco (cfr Es 3,14), ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni.

Sin dai primi tempi i cristiani sono venuti in pellegrinaggio ai luoghi associati alla storia del Popolo eletto, agli eventi della vita di Cristo e della Chiesa nascente. Questa grande tradizione, che il mio odierno pellegrinaggio intende continuare e confermare, è basata sul desiderio di vedere, toccare e assaporare in preghiera e in contemplazione, i luoghi benedetti dalla presenza fisica del nostro Salvatore, della sua Madre benedetta, degli Apostoli e dei primi discepoli che lo videro risorto dai morti. Qui, sulle orme degli innumerevoli pellegrini che ci hanno preceduto lungo i secoli, siamo spinti, quasi come in una sfida, ad apprezzare più pienamente il dono della nostra fede e a crescere in quella comunione che trascende ogni limite di lingua, di razza e di cultura.

L’antica tradizione del pellegrinaggio ai luoghi santi ci ricorda inoltre l’inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo. Sin dagli inizi, la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti. Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!

Cari Amici, riuniti in questo santo luogo, eleviamo gli occhi e i cuori al Padre. Mentre ci apprestiamo a recitare la preghiera insegnataci da Gesù, invochiamolo perché affretti la venuta del suo Regno, così che possiamo vedere il compimento del suo piano di salvezza e sperimentare, insieme con san Francesco e tutti i pellegrini che ci hanno preceduto segnati con il segno della fede, il dono dell’indicibile pace – pax et bonum – che ci attende nella Gerusalemme celeste.


Al termine della visita, il Santo Padre si trasferisce in auto all’Università del Patriarcato Latino di Gerusalemme a Madaba.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (V)


BENEDIZIONE DELLA PRIMA PIETRA DELL’UNIVERSITÀ DEL PATRIARCATO LATINO A MADABA


Alle ore 10.30 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI, dopo aver attraversato in auto il quartiere cristiano della città di Madaba, giunge nel luogo dove è in costruzione l’Università del Patriarcato Latino, per la Benedizione della prima Pietra.

Qui, alla presenza di alcune migliaia di persone, dopo l’indirizzo di omaggio del Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,
Cari Amici,

è per me una grande gioia benedire la prima pietra dell’Università di Madaba. Ringrazio Sua Beatitudine l’Arcivescovo Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, per le gentili parole di benvenuto. Desidero estendere uno speciale saluto di apprezzamento a Sua Beatitudine il Patriarca emerito, Michel Sabbah, alla cui iniziativa ed ai cui sforzi, unitamente a quelli del Vescovo Salim Sayegh, questa nuova istituzione tanto deve. Saluto inoltre le Autorità civili, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli, come pure quanti ci accompagnano in questa importante cerimonia.

Il Regno di Giordania ha giustamente dato priorità all’obiettivo di espandere e migliorare l’educazione. So che in questa nobile missione Sua Maestà la Regina Rania è particolarmente attiva e la sua dedizione è motivo di ispirazione per molti. Mentre plaudo agli sforzi delle persone di buona volontà impegnate nell’educazione, rilevo con soddisfazione la partecipazione competente e culturalmente qualificata delle istituzioni cristiane, specialmente cattoliche e ortodosse, in questo sforzo globale. È questo retroterra che ha condotto la Chiesa Cattolica, con il sostegno delle Autorità giordane, a porre in atto i propri sforzi nel promuovere l’educazione universitaria in questo Paese ed altrove. L’iniziativa risponde, inoltre, alla richiesta di molte famiglie che, soddisfatte per la formazione ricevuta nelle scuole rette da autorità religiose, chiedono di poter avere un’analoga opzione a livello universitario.

Plaudo ai promotori di questa nuova istituzione per la loro coraggiosa fiducia nella buona educazione quale primo passo per lo sviluppo personale e per la pace ed il progresso nella regione. In questo quadro l’università di Madaba saprà sicuramente tenere presenti tre importanti obiettivi. Nello sviluppare i talenti e le nobili predisposizioni delle successive generazioni di studenti, li preparerà a servire la comunità più ampia ed elevarne gli standard di vita. Trasmettendo conoscenza ed istillando negli studenti l’amore per la verità, promuoverà grandemente la loro adesione ai valori e la loro libertà personale. Da ultimo, questa stessa formazione intellettuale affinerà i loro talenti critici, disperderà l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove. Il risultato di tale processo è un’università che non è soltanto una tribuna per consolidare l’adesione alla verità e ai valori di una specifica cultura, ma anche un luogo di comprensione e di dialogo. Mentre assimilano la loro eredità culturale, i giovani della Giordania e gli altri studenti della regione saranno condotti ad una più profonda conoscenza delle conquiste dell’umanità, e saranno arricchiti da altri punti di vista e formati alla comprensione, alla tolleranza e alla pace.

Questo tipo di educazione "più ampia" è ciò che ci si aspetta dalle istituzioni dell’educazione superiore e dal loro contesto culturale, sia esso secolare o religioso. In realtà, la fede in Dio non sopprime la ricerca della verità; al contrario l’incoraggia. San Paolo esortava i primi cristiani ad aprire le proprie menti a tutto "quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode" (Fil 4,8). Ovviamente la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile. Senza dubbio, quando promuoviamo l’educazione proclamiamo la nostra fiducia nel dono della libertà. Il cuore umano può essere indurito da un ambiente ristretto, da interessi e da passioni. Ma ogni persona è anche chiamata alla saggezza e all’integrità, alla scelta basilare e più importante di tutte del bene sul male, della verità sulla disonestà, e può essere sostenuta in tale compito.

La chiamata all’integrità morale viene percepita dalla persona genuinamente religiosa dato che il Dio della verità, dell’amore e della bellezza non può essere servito in alcun altro modo. La fede matura in Dio serve grandemente per guidare l’acquisizione e la giusta applicazione della conoscenza. La scienza e la tecnologia offrono benefici straordinari alla società ed hanno migliorato grandemente la qualità della vita di molti esseri umani. Senza dubbio questa è una delle speranze di quanti promuovono questa Università, il cui motto è Sapientia et Scientia. Allo stesso tempo, la scienza ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza. "La natura intellettuale della persona umana si completa e deve completarsi per mezzo della sapienza, che attira dolcemente la mente dell’uomo a cercare ed amare le cose vere e buone" (cfr Gaudium et spes, 15). L’uso della conoscenza scientifica abbisogna della luce orientatrice della sapienza etica. Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento. Pertanto, la sapienza religiosa ed etica, rispondendo alle questioni sul senso e sul valore, giocano un ruolo centrale nella formazione professionale. Conseguentemente, quelle università dove la ricerca della verità va di pari passo con la ricerca di quanto è buono e nobile offrono un servizio indispensabile alla società.

Con tali pensieri in mente, incoraggio in maniera speciale gli studenti cristiani della Giordania e delle regioni vicine a dedicarsi responsabilmente ad una giusta formazione professionale e morale. Siete chiamati ad essere costruttori di una società giusta e pacifica composta di genti di varia estrazione religiosa ed etnica. Tali realtà – desidero sottolinearlo ancora una volta – devono condurre non alla divisione, ma all’arricchimento reciproco. La missione e la vocazione dell’università di Madaba è precisamente quella di aiutarvi a partecipare più pienamente a questo nobile compito.

Cari Amici, desidero rinnovare le mie congratulazioni al Patriarcato Latino di Gerusalemme ed il mio incoraggiamento a quanti hanno preso a cuore questo progetto, insieme a quanti sono già impegnati nell’apostolato dell’educazione in questa Nazione. Il Signore vi benedica e vi sostenga. Prego affinché i vostri sogni diventino presto realtà, affinché possiate vedere generazioni di uomini e donne qualificati, sia cristiani che musulmani o di altre religioni, capaci di occupare il loro posto nella società, dotati di perizia professionale, bene informati nel loro campo ed educati ai valori della saggezza, dell’onestà, della tolleranza e della pace. Su di voi, sui tutti i vostri futuri studenti e sul personale di questa Università e sulle loro famiglie, invoco le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente. Grazie!


Al termine, il Santo Padre si reca in auto alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (VI)



VISITA AL MUSEO HASHEMITA ED ALLA MOSCHEA "AL-HUSSEIN BIN TALAL" DI AMMAN


Alle ore 11.30 il Santo Padre Benedetto XVI arriva al Museo Hashemita. Qui viene accolto dal Direttore del Museo che lo accompagna all’interno per una breve visita.

Quindi si reca nella Moschea "Al-Hussein Bin Talal" dove viene accolto dall’Imam. Al termine della visita alla Moschea, il Papa si reca all’esterno del luogo di culto per l’incontro con i Capi religiosi musulmani.



INCONTRO CON I CAPI RELIGIOSI MUSULMANI, IL CORPO DIPLOMATICO ED I RETTORI DELLE UNIVERSITÀ GIORDANE, AD AMMAN

Alle ore 11.45, all’esterno della Moschea "Al-Hussein Bin Talal" di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Capi religiosi musulmani, il Corpo Diplomatico ed i Rettori delle Università giordane.

Dopo il saluto del Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal - uno dei firmatari del Messaggio indirizzato, nell’ottobre 2007, da 138 dotti islamici al Papa e ai leader cristiani per promuovere la pace nel mondo - il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Altezza Reale,
Eccellenze,
Illustri Signore e Signori,

è motivo per me di grande gioia incontrarvi questa mattina in questo splendido ambiente. Desidero ringraziare il Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal per le sue gentili parole di benvenuto. Le numerose iniziative di Vostra Altezza Reale per promuovere il dialogo e lo scambio inter-religioso ed inter-culturale sono apprezzate dai cittadini del Regno Hashemita ed ampiamente rispettate dalla comunità internazionale. Sono al corrente che tali sforzi ricevono il sostegno attivo di altri membri della Famiglia Reale come pure del Governo della Nazione e trovano vasta risonanza nelle molte iniziative di collaborazione fra i Giordani. Per tutto questo desidero manifestare la mia sincera ammirazione.

Luoghi di culto, come questa stupenda moschea di Al-Hussein Bin Talal intitolata al venerato Re defunto, si innalzano come gioielli sulla superficie della terra. Dall’antico al moderno, dallo splendido all’umile, tutti rimandano al divino, all’Unico Trascendente, all’Onnipotente. Ed attraverso i secoli questi santuari hanno attirato uomini e donne all’interno del loro spazio sacro per fare una pausa, per pregare e prender atto della presenza dell’Onnipotente, come pure per riconoscere che noi tutti siamo sue creature.

Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è. Certamente, il contrasto di tensioni e divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato. Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società? A fronte di tale situazione, in cui gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro, il bisogno che i credenti siano fedeli ai loro principi e alle loro credenze è sentito in modo quanto mai acuto. Musulmani e Cristiani, proprio a causa del peso della nostra storia comune così spesso segnata da incomprensioni, devono oggi impegnarsi per essere individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera, desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente, misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia.

La decisione degli educatori giordani come pure dei leader religiosi e civili di far sì che il volto pubblico della religione rifletta la sua vera natura è degna di plauso. L’esempio di individui e comunità, insieme con la provvista di corsi e programmi, manifestano il contributo costruttivo della religione ai settori educativo, culturale, sociale e ad altri settori caritativi della vostra società civile. Ho avuto anch’io la possibilità di constatare personalmente qualcosa di questo spirito. Ieri ho potuto prender contatto con la rinomata opera educativa e di riabilitazione presso il Centro Nostra Signora della Pace, dove Cristiani e Musulmani stanno trasformando le vite di intere famiglie, assistendole al fine di far sì che i loro figli disabili possano avere il posto che loro spetta nella società. All’inizio dell’odierna mattinata ho benedetto la prima pietra dell’Università di Madaba, dove giovani musulmani e cristiani, gli uni accanto agli altri, riceveranno i benefici di un’educazione superiore, che li abiliterà a contribuire validamente allo sviluppo sociale ed economico della loro Nazione. Di gran merito sono pure le numerose iniziative di dialogo inter-religioso sostenute dalla Famiglia Reale e dalla comunità diplomatica, talvolta intraprese in collegamento col Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso. Queste comprendono il continuo lavoro degli Istituti Reali per gli Studi Inter-religiosi e per il Pensiero Islamico, l’Amman Message del 2004, l’Amman Interfaith Message del 2005, e la più recente lettera Common Word, che faceva eco ad un tema simile a quello da me trattato nella mia prima Enciclica: il vincolo indistruttibile fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come pure la contraddizione fondamentale del ricorrere, nel nome di Dio, alla violenza o all’esclusione (cfr Deus caritas est, 16).

Chiaramente queste iniziative conducono ad una maggiore conoscenza reciproca e promuovono un crescente rispetto sia per quanto abbiamo in comune sia per ciò che comprendiamo in maniera differente. Pertanto, esse dovrebbero indurre Cristiani e Musulmani a sondare ancor più profondamente l’essenziale rapporto fra Dio ed il suo mondo, così che insieme possiamo darci da fare perché la società si accordi armoniosamente con l’ordine divino. A tale riguardo, la collaborazione realizzata qui in Giordania costituisce un esempio incoraggiante e persuasivo per la regione, in realtà anzi per il mondo, del contributo positivo e creativo che la religione può e deve dare alla società civile.

Distinti Amici, oggi desidero far menzione di un compito che ho indicato in diverse occasioni e che credo fermamente Cristiani e Musulmani possano assumersi, in particolare attraverso il loro contributo all’insegnamento e alla ricerca scientifica, come pure al servizio alla società. Tale compito costituisce la sfida a coltivare per il bene, nel contesto della fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana. I Cristiani in effetti descrivono Dio, fra gli altri modi, come Ragione creatrice, che ordina e guida il mondo. E Dio ci dota della capacità a partecipare a questa Ragione e così ad agire in accordo con ciò che è bene. I Musulmani adorano Dio, Creatore del Cielo e della Terra, che ha parlato all’umanità. E quali credenti nell’unico Dio, sappiamo che la ragione umana è in se stessa dono di Dio, e si eleva al piano più alto quando viene illuminata dalla luce della verità di Dio. In realtà, quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti. In tal modo, la ragione umana viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il suo nobile scopo di servire l’umanità, dando espressione alle nostre comuni aspirazioni più intime, ampliando, piuttosto che manipolarlo o restringerlo, il pubblico dibattito. Pertanto l’adesione genuina alla religione – lungi dal restringere le nostre menti – amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello.

Una simile comprensione della ragione, che spinge continuamente la mente umana oltre se stessa nella ricerca dell’Assoluto, pone una sfida: contiene un senso sia di speranza sia di prudenza. Insieme, Cristiani e Musulmani sono sospinti a cercare tutto ciò che è giusto e retto. Siamo impegnati ad oltrepassare i nostri interessi particolari e ad incoraggiare gli altri, particolarmente gli amministratori e i leader sociali, a fare lo stesso al fine di assaporare la soddisfazione profonda di servire il bene comune, anche a spese personali. Ci viene ricordato che proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile.

Questa mattina prima di lasciarvi, vorrei in special modo sottolineare la presenza tra noi di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, Patriarca di Baghdad, che io saluto molto calorosamente. La sua presenza richiama alla mente i cittadini del vicino Iraq, molti dei quali hanno trovato cordiale accoglienza qui in Giordania. Gli sforzi della comunità internazionale nel promuovere la pace e la riconciliazione, insieme con quelli dei leader locali, devono continuare in vista di portare frutto nella vita degli iracheni. Esprimo il mio apprezzamento per tutti coloro che sostengono gli sforzi volti ad approfondire la fiducia e a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture essenziali al benessere di quella società. Ancora una volta, chiedo con insistenza ai diplomatici ed alla comunità internazionale da essi rappresentata, come anche ai leader politici e religiosi locali, di compiere tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini.

Distinti Amici, confido che i sentimenti da me espressi oggi ci lascino con una rinnovata speranza per il futuro. L’amore e il dovere davanti all’Onnipotente non si manifestano soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella preoccupazione per i bambini e i giovani – le vostre famiglie – e per tutti i cittadini della Giordania. È per loro che faticate e sono loro che vi motivano a porre al cuore delle istituzioni, delle leggi e delle funzioni della società il bene di ogni persona umana. Possa la ragione, nobilitata e resa umile dalla grandezza della verità di Dio, continuare a plasmare le vita e le istituzioni di questa Nazione, così che le famiglie possano fiorire e tutti possano vivere in pace, contribuendo e al tempo stesso attingendo alla cultura che unifica questo grande Regno! Grazie mille!


Al termine, il Santo Padre rientra alla Nunziatura Apostolica di Amman dove pranza con i Membri del Seguito.




La visita del Papa al Memoriale di Mosè sul Monte Nebo: Chiesa e popolo ebreo uniti da un "inseparabile legame"


Dall’alto del Monte Nebo, la Chiesa contempla il suo pellegrinaggio terreno verso la salvezza promessa da Cristo e ricorda il suo “inseparabile legame” con il popolo ebreo. Benedetto XVI lo ha affermato questa mattina, visitando l’antica Basilica del “Memoriale di Mosè”, prima tappa del suo secondo giorno in Terra Santa. Il Papa ha raggiunto di buon mattino in auto l’altura che dista una quarantina di km. da Amman, affacciandosi dalla terrazza del Santuario nel quale ha poi tenuto il suo discorso. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Lo stesso sguardo panoramico e commosso di Mosè, ad abbracciare da lontano le colline che circondano Amman e, più oltre, Betlemme e la Valle del Giordano, il rigoglio di una terra che l’antico Patriarca non toccò mai. Benedetto XVI lo ha sperimentato questa mattina, sul Monte Nebo, che la tradizione indica come luogo dal quale Mosè vide la Terra Promessa. Ma anche uno sguardo interiore, a ricordare che il “vedere, toccare e assaporare in preghiera e in contemplazione i luoghi benedetti dalla presenza fisica” di Cristo comporta per i cristiani una duplice consapevolezza: di un’“esodo” dal deserto del peccato e dell’“inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo”:


“From the beginning, the Church in these lands…
Sin dagli inizi, la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti. Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!”

Questo auspicio del Papa ha suggellato un discorso iniziato in chiave spirituale sul significato che la vicenda di Mosè sul Monte Nebo assume per i cristiani contemporanei. “Lei oggi ha voluto farsi pellegrino, ricordandoci che questa è la condizione del popolo di Dio”, aveva detto nel suo indirizzo di saluto al Papa il ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, padre Rodriguez Carballo, aggiungendo:


“In questo viaggio non è solo. Vogliamo accompagnarla, anzi seguirla, come un tempo il popolo di Israele aveva seguito Mosè e da lui si era lasciato condurre. Anche noi oggi ci sentiamo come nel deserto e abbiamo bisogno di chi ci conduce al Signore”.

Benedetto XVI ha raccolto questo spunto pastorale, ricordando che “qui, sulle alture del Monte Nebo:


“The memory of Moses invites us…
La memoria di Mosè ci invita ad ‘innalzare gli occhi’ per abbracciare con gratitudine non soltanto le opere meravigliose di Dio nel passato, ma anche a guardare con fede e speranza al futuro che egli ha in serbo per noi e per il mondo intero. Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino”.

Un cammino che ha nel suo lungo peregrinare di Mosè nel deserto, conclusosi a pochi chilometri dalle valli promesse, ammirate e mai raggiunte, un modello e un simbolo per la Chiesa attuale:


“His example reminds us that we too are part…
Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia (...) Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore (...) Sappiamo che Dio, il quale ha rivelato il proprio nome a Mosè come promessa che sarebbe sempre stato al nostro fianco, ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni…”

Il Memoriale di Mosè è affidato alla Custodia francescana di Terra Santa sin dal 1932. Una presenza che ha un suo emblema nella figura di padre Michele Piccirillo, famoso archeologo francescano sepolto proprio nel Santuario sul Monte Nebo che - ricordato oggi dal Papa - “egli amò intensamente”. Sulla visita di Benedetto XVI, il nostro inviato della redazione polacca, padre Jozef Polak, ha sentito l’attuale responsabile dell’Istituto archeologico del Memoriale di Mosè, padre Carmelo Pappalardo:

R. - Lui, da qui, guarda la Terra Promessa e pochi giorni dopo vi andrà anche lui. E’ un momento di grande speranza e di grande gioia per chi, come noi Francescani, lavora per i cristiani e per la popolazione di questa terra che - come ben si sa - ha molti problemi, soprattutto politici, di integrazione per i cristiani. Quindi, la venuta del Papa è sicuramente un momento di grazia per tutti noi.


D. - Lei, come archeologo, sta restaurando i mosaici della Basilica, che adesso sono stati tolti. Potrebbe spiegare l’attuale situazione dei restauri?


R. - I nostri restauri si stanno svolgendo su due fronti: uno è la ricostruzione della copertura del tetto della chiesa, che era stata fatta nel 1964 e che necessitava di essere rifatta, per vari motivi. E quindi abbiamo approfittato di questo evento per fare un nuovo restauro di tutti i mosaici del pavimento della chiesa. Abbiamo rimosso i mosaici, che erano stati posati sul cemento: ora stiamo togliendo il cemento e quindi li rimetteremo su nuovi supporti per poi riposizionarli nella chiesa.


D. - Secondo lei, quali sono le speranze connesse a questo viaggio del Papa in Giordania, in Terra Santa?


R. - La cosa di cui si ha più bisogno è sicuramente la pace. Noi speriamo che la venuta del Papa apra i cuori di tutti, delle varie parti, soprattutto politiche, e dia una scossa vera per la pace in questa terra.


D. - Avete qualche segno di questa speranza? Sono i pellegrini che vengono qui, per esempio?


R. - Segni di questa speranza sono sicuramente i pellegrini. Nonostante le difficoltà dei primi anni seguenti al 2001, all’Intifada, durante i quali ne sono venuti pochi, ultimamente c’è una forte ripresa dei pellegrinaggi e questo sicuramente aiuta: aiuta i cristiani, aiuta la gente di qui. Un altro segno della speranza è certamente la continuità del nostro lavoro qui, fin dal 1200: da San Francesco in poi, abbiamo cercato di dare una voce alla speranza e alla pace per questi popoli, per questa terra.






Benedetto XVI alla Moschea di Amman. Amore e ragione a fondamento delle religioni: violenza e ignoranza le sfigurano


Seconda giornata di Benedetto XVI in Giordania. Il Papa ha compiuto stamani una storica visita alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, dove ha incontrato i capi religiosi musulmani sottolineando il contributo positivo che le religioni danno alla società se basate sull’amore di Dio e del prossimo e sul valore della ragione umana e se evitano ogni manipolazione ideologica. Poi ha rilevato che il diritto di libertà religiosa è più della libertà di culto. In precedenza il Papa aveva benedetto la prima pietra dell’Università del Patriarcato latino di Madaba affermando che la religione viene sfigurata quando è costretta a servire l’ignoranza, il pregiudizio e la violenza. Ma diamo la linea al nostro inviato ad Amman Pietro Cocco:

Una calorosa e impegnativa accoglienza ufficiale e popolare è il carattere distintivo di questa seconda giornata del Papa in Gordania. E un’accoglienza calorosa, tutta speciale, è stata quella della comunità cristiana che a Madaba è particolarmente numerosa e si è riversata in strada per salutare il Papa lungo tutto il percorso attraverso la città, compiuto da Benedetto XVI in papamobile. Impegnativa perchè nei discorsi del Papa e del Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, (cugino del Re e personalmente impegnato nel dialogo interreligioso), che ha accolto il Papa alla Moschea di Amman, si è avvertita tutta la consapevolezza di vivere momenti cruciali per il dialogo interreligioso e per la ricerca di nuovi equilibri di pace e di collaborazione nella regione del Medio Oriente e nel mondo.


Sia il Papa che il Principe Ghazi, nel suo ricco e articolato intervento, hanno mostrato quale dovrebbe essere l’impegno comune dei cristiani e dei musulmani per far crescere la comprensione e la collaborazione, ma anche il rispetto delle reciproche differenze. Il Principe Ghazi lo ha fatto anche con un convincente ed erudito riferimento agli equivoci e ai malintesi, ormai superati, legati al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. Benedetto XVI ha indicato concretamente questo impegno nel sostenere il campo dell’educazione, anche accogliendo la luce che può portarvi la religione se non viene corrotta da interessi umani. La buona educazione, ha detto, è il primo passo per lo sviluppo personale e per la pace e il progresso nella regione. Di qui il valore delle istituzioni educative portate avanti in Giordania anche dalla comunità cristiana, ed ora nella fondazione di una nuova Università, aperta ai cristiani e ai musulmani. Questa università offrirà l’opportunità di arricchirsi di altri punti di vista e di formare gli studenti alla comprensione, alla tolleranza e alla pace:

“Religion is disfigured when pressed into the service of ignorance or prejudice,…
La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile. Senza dubbio, quando promuoviamo l’educazione proclamiamo la nostra fiducia nel dono della libertà”.

Altro elemento per uno sforzo comune di cristiani e musulmani, è stato indicato da Benedetto XVI nell’aprire gli orizzonti della ragione umana, e del progresso scientifico e tecnologico. L’uso della conoscenza scientifica ha bisogno della luce della sapienza etica. Sapienza, ha osservato il Papa, che ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra e altri importanti codici internazionali. Si è quindi rivolto agli studenti cristiani della Giordania a Madaba:

“You are called to be builders of a just and peaceful society composed of peoples…
Siete chiamati ad essere costruttori di una società giusta e pacifica composta di genti di varia estrazione religiosa ed etnica. Tali realtà – desidero sottolinearlo ancora una volta – devono condurre non alla divisione, ma all’arricchimento reciproco. La missione e la vocazione dell’Università di Madaba è precisamente quella di aiutarvi a partecipare più pienamente a questo nobile compito”.

Ma è nell’incontro con i leaders religiosi musulmani ed i rettori delle università giordane alla Moschea Al Hussein di Amman, che Benedetto XVI ha espresso la sua preoccupazione, ed il suo richiamo a cristiani e musulmani, per il fatto che molti oggi considerino la religione necessariamente una causa di divisione nel mondo:

“For this reason we cannot fail to be concerned that today,…
Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio”.

Certamente, il contrasto le tensioni e le divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato, ha osservato il Papa, ma con altrettanta franchezza ha aggiunto:

“However, is it not also the case that often it is the ideological manipulation…
Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società? A fronte di tale situazione, in cui gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro, il bisogno che i credenti siano fedeli ai loro principi e alle loro credenze è sentito in modo quanto mai acuto”.

Inoltre, secondo Benedetto XVI, la consapevolezza di una storia comune spesso segnata da incomprensioni deve spingere cristiani e musulmani ad essere riconosciuti come adoratori di Dio, misericordiosi e compassionevoli, memori della comune origine e dignità di ogni persona umana.


In tal senso il Papa ha lodato le numerose iniziative nel dialogo interreligioso e interculturale sostenute dalla Famiglia reale della Giordania, anche in collaborazione con il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, tra cui il Messaggio di Amman e la recente lettera ‘Common World’, indirizzata da 138 esponenti religiosi musulmani ai capi delle Chiese cristiane. Lettera che ha in comune con l’enciclica di Benedetto XVI, ‘Deus Caritas est’, di indicare il vincolo indistruttibile fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come pure “la contraddizione fondamentale del ricorrere, nel nome di Dio, alla violenza o all’esclusione”.


In questo spirito, il Papa ha concluso il suo discorso alla Moschea chiamando nuovamente cristiani e musulmani ad un compito comune: sviluppare il vasto potenziale della ragione umana, nel contesto della fede e della verità. La ragione infatti si eleva quando è illuminata dalla luce della verità di Dio, e in tal modo, viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il suo scopo di servire l’umanità. E così si amplia, piuttosto che essere manipolato o ristretto, il pubblico dibattito. Per questo Benedetto XVI ha concluso il suo discorso incoraggiandoo tutti a superare i propri interessi particolari, anche gli amministratori e i leaders sociali, che devono servire il bene comune di tutti:

“We are reminded that because it is our common human dignity which gives rise…
Proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile”.




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Martedì prossimo la Messa del Papa a Gerusalemme nella valle di Josafat


Se tutto il popolo della Giordania, e non solo la comunità cristiana, segue con grande partecipazione la visita di Benedetto XVI, cresce l'attesa in Israele dove il Papa arriverà nella mattinata di lunedì prossimo. Uno dei momenti più significativi del viaggio apostolico in Terra Santa sarà la Messa nella valle di Josafat a Gerusalemme su cui si sofferma, in questo servizio, il nostro inviato Roberto Piermarini:

La Messa nella valle di Josafat martedì prossimo, in un luogo carico di significati biblici e cristiani, sarà certamente uno dei momenti più suggestivi del pellegrinaggio in Terra Santa di Benedetto XVI. E sarà anche la prima volta che un Papa celebrerà una Messa in uno spazio aperto nella Città Santa in quanto sia Paolo VI nel ’64 che Giovanni Paolo II nel 2000 avevano presieduto la solenne concelebrazione all’interno della Basilica del Santo Sepolcro. C’e’ molta attesa nella comunità cristiana di Gerusalemme che vuole stringersi intorno al Papa, anche se ci sono timori che le imponenti misure di sicurezza israeliane possano costringere molti fedeli a rimanere nelle proprie case. Questo evento rimarrà certamente scolpito nella memoria di questo viaggio per via dello scenario mozzafiato che si presenterà ai seimila fedeli previsti per la celebrazione. Sullo sfondo infatti appaiono la sagoma dorata della Cupola musulmana della Roccia, le pietre bianche delle tombe del cimitero ebraico e quello cristiano, lo splendore della Basilica cristiana del Getsemani da un lato e le imponenti mura di Gerusalemme dall’altro. Il palco è stato posto in quel tratto della valle del Cedron stretto tra il Monte del Tempio ed il Monte degli Ulivi che – secondo la tradizione – è la valle di Josafat, cioè il posto – come afferma il profeta Gioele – dove alla fine dei tempi Dio “riunirà tutte le genti e verrà a giudizio con loro”. Per questo la valle del Cedron - che scende dal deserto di Giuda in quella che politicamente oggi è Gerusalemme Est – si ricorda per i grandi cimiteri: quello ebraico con le tombe bianche senza fiori ma solo pietre come è nella tradizione giudaica; quello musulmano e quello cristiano con le lapidi con incise delle croci rosse, che si confondono tra gli ulivi della valle. E’ qui che vogliono farsi seppellire gli abitanti di Gerusalemme perchè è qui che sarà il luogo del giudizio finale. Ma questa valle è molto cara ai cristiani perchè è qui che Gesù è passato la notte della Passione: prima di andare al Cenacolo per l’Ultima Cena e al Getsemani dove ha pregato il Padre prima di essere tradito, catturato e crocifisso. La Messa di Benedetto XVI al Cedron, sarà quindi il momento del pellegrinaggio in cui il Papa farà memoria della Passione del Signore. “Dio riunirà tutte le genti e verrà a giudizio con loro”, dice il profeta Gioele. Il Successore di Pietro riunirà al Cedron tutte le genti di Gerusalemme per annunciare loro il giudizio che in Cristo è la misericordia.
+PetaloNero+
00sabato 9 maggio 2009 21:15
I Vespri nella Cattedrale di San Giorgio. Il Papa incoraggia i cristiani a testimoniare la speranza di Cristo risorto


Nel pomeriggio il Papa ha presieduto la Celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i Movimenti ecclesiali nella Cattedrale Greco-Melkita di San Giorgio in Amman. Benedetto XVI ha incoraggiato questa piccola comunità cristiana a testimoniare l’amore di Dio e la speranza di Cristo risorto: “non abbiate paura – ha detto - di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!”. Il Papa ha quindi ribadito la necessità “di essere consapevoli delle forze del male che sono all’opera per creare oscurità nel nostro mondo”: tra queste gli “influssi negativi così penetranti nel nostro mondo globalizzato, compresi gli elementi distruttivi dell'industria del divertimento che con tanta insensibilità sfruttano l'innocenza e la fragilità della persona vulnerabile e del giovane”. “Tuttavia – ha aggiunto - con i vostri occhi fissi su Cristo, la luce che disperde ogni male, ripristina l'innocenza perduta, ed umilia l'orgoglio terreno, porterete una magnifica visione di speranza a tutti quelli che incontrate e servite”.



[Radio Vaticana]




Benedetto XVI nella Cattedrale greco-melkita di S. Giorgio ad Amman


AMMAN, sabato, 9 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo sabato sera da Benedetto XVI nel presiedere, nella Cattedrale greco-melkita di S. Giorgio ad Amman, la celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i membri di Movimenti ecclesiali.

* * *

Cari Fratelli e Sorelle,

è una grande gioia per me celebrare i Vespri con voi questa sera nella Cattedrale Greco-Melchita di San Giorgio. Saluto cordialmente Sua Beatitudine Gregorios III Laham, il Patriarca Greco-Melchita che ci ha raggiunti da Damasco, l’Arcivescovo emerito Georges El-Murr e Sua Eccellenza Yaser Ayyach, Arcivescovo di Petra e Filadelfia, che ringrazio per le sue gentili parole di benvenuto a cui volentieri corrispondo con sentimenti di rispetto. Saluto anche i capi delle altre Chiese Cattoliche presenti nell’Est – Maronita, Sira, Armena, Caldea e Latina – come anche l’Arcivescovo Benediktos Tsikoras della Chiesa Greco Ortodossa. A tutti voi, come anche ai Sacerdoti, alle Religiose e ai Religiosi, ai Seminaristi e ai fedeli laici qui riuniti questa sera, esprimo il mio sincero grazie per avermi offerto questa opportunità di pregare con voi e di sperimentare qualcosa della ricchezza delle nostre tradizioni liturgiche.

La Chiesa stessa è un popolo pellegrino; come tale, attraverso i secoli, è stato segnato da eventi storici determinanti e da pervasive vicende culturali. Purtroppo alcune di queste hanno incluso periodi di disputa teologica o di repressione. Tuttavia vi sono stati momenti di riconciliazione - che hanno fortificato meravigliosamente la comunione della Chiesa - e tempi di ricca ripresa culturale ai quali i Cristiani Orientali hanno contribuito grandemente. Le Chiese particolari all'interno della Chiesa universale attestano il dinamismo del suo cammino terreno e manifestano a tutti i fedeli il tesoro di tradizioni spirituali, liturgiche, ed ecclesiastiche che indicano la bontà universale di Dio e la sua volontà, manifestata in tutta la storia, di attirare tutti entro la sua vita divina.

L’antico tesoro vivente delle tradizioni delle Chiese Orientali arricchisce la Chiesa universale e non deve mai essere inteso semplicemente come oggetto da custodire passivamente. Tutti i Cristiani sono chiamati a rispondere attivamente al mandato di Dio – come San Giorgio ha fatto in modo drammatico secondo il racconto popolare – per portare gli altri a conoscerlo e ad amarlo. In realtà le vicissitudini della storia hanno fortificato i membri delle Chiese particolari ad abbracciare questo compito con energia e ad impegnarsi decisamente in rapporto alle realtà pastorali odierne. La maggior parte di voi ha antichi legami con il Patriarcato di Antiochia, e così le vostre comunità sono ben radicate qui nel Vicino Oriente. E proprio come due mila anni or sono fu ad Antiochia che i discepoli vennero chiamati Cristiani per la prima volta, così anche oggi, come piccole minoranze in comunità disseminate in queste terre, anche voi siete riconosciuti come seguaci del Signore. La pubblica dimostrazione della vostra fede cristiana non è certamente ristretta alla sollecitudine spirituale che avete l'uno per l'altro e per la vostra gente, per quanto essenziale ciò sia. Ma le vostre numerose iniziative di universale carità si estendono a tutti i Giordani – Musulmani e di altre religioni – ed anche al vasto numero di rifugiati che questo regno accoglie così generosamente.

Cari fratelli e sorelle, il primo Salmo (103) che abbiamo pregato questa sera ci presenta gloriose immagini Dio, Creatore generoso, attivamente presente nella sua creazione, che sostenta la vita con grande bontà e sapiente ordine, sempre pronto a rinnovare la faccia della terra. Il brano dell’epistola, che abbiamo appena sentito, presenta tuttavia un quadro diverso. Ci avverte, non in modo minaccioso ma realisticamente, dell’esigenza di essere vigili, di essere consapevoli delle forze del male che sono all’opera per creare oscurità nel nostro mondo (cfr Ef 6, 10-20). Alcuni probabilmente saranno tentati di pensare che vi sia una contraddizione; ma riflettendo sulla nostra ordinaria esperienza umana riconosciamo la lotta spirituale, avvertiamo il bisogno quotidiano di entrare nella luce di Cristo, di scegliere la vita, di cercare la verità. Di fatto, questo ritmo – sottrarci al male e circondarci con la forza di Dio – è ciò che celebriamo in ogni Battesimo, l'ingresso nella vita cristiana, il primo passo lungo la strada dei discepoli del Signore. Richiamando il battesimo che Cristo ha ricevuto da Giovanni nelle acque del Giordano, la comunità prega perché colui che sta per essere battezzato sia liberato dal regno dell'oscurità e portato nello splendore del regno di luce di Dio, e così riceva il dono della vita nuova.

Questo dinamico movimento dalla morte alla novità della vita, dalle tenebre alla luce, dalla disperazione alla speranza, che sperimentiamo in modo così drammatico durante il Triduo e che viene celebrato con grande gioia nel periodo pasquale, ci assicura che la Chiesa stessa rimane giovane. Essa vive perché Cristo è vivo, è veramente risorto. Vivificata dalla presenza dello Spirito, essa avanza ogni giorno conducendo uomini e donne al Dio vivente. Cari Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, cari fedeli laici, i nostri rispettivi ruoli di servizio e missione all'interno della Chiesa sono la risposta instancabile di un popolo pellegrino. Le vostre liturgie, la disciplina ecclesiastica e il patrimonio spirituale sono una vivente testimonianza della vostra tradizione che si dispiega. Voi amplificate l'eco della prima proclamazione del Vangelo, ravvivate gli antichi ricordi delle opere di Dio, fate presenti le sue grazie di salvezza e diffondete di nuovo il primo raggio della luce pasquale e il tremolio delle fiamme di Pentecoste.

In tal modo, imitando Cristo ed i patriarchi e i profeti dell’Antico Testamento, noi partiamo per condurre il popolo dal deserto verso il luogo della vita, verso il Dio che ci dà vita in abbondanza. Questo caratterizza tutti i vostri lavori apostolici, la cui varietà e qualità sono molto apprezzate. Dagli asili infantili ai luoghi di istruzione superiore, dagli orfanotrofi alle case per anziani, dal lavoro con i rifugiati all’accademia di musica, alle cliniche mediche e agli ospedali, al dialogo interreligioso e alle iniziative culturali, la vostra presenza in questa società è un meraviglioso segno della speranza che ci qualifica come cristiani.

Tale speranza giunge ben oltre i confini delle nostre comunità cristiane. Così spesso voi scoprite che le famiglie di altre religioni, per le quali voi lavorate e offrite il vostro servizio di carità universale, hanno preoccupazioni e difficoltà che oltrepassano i confini culturali e religiosi. Ciò è particolarmente avvertito per quanto riguarda le speranze e le aspirazioni dei genitori per i loro bambini. Quale genitore o persona di buona volontà non si sentirebbe turbato di fronte agli influssi negativi così penetranti nel nostro mondo globalizzato, compresi gli elementi distruttivi dell'industria del divertimento che con tanta insensibilità sfruttano l'innocenza e la fragilità della persona vulnerabile e del giovane? Tuttavia, con i vostri occhi fissi su Cristo, la luce che disperde ogni male, ripristina l'innocenza perduta, ed umilia l'orgoglio terreno, porterete una magnifica visione di speranza a tutti quelli che incontrate e servite.

Desidero concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai presenti che sono in formazione per il sacerdozio e la vita religiosa. Guidati dalla luce del Signore Risorto, infiammati dalla sua speranza e rivestiti della sua verità e del suo amore, la vostra testimonianza porterà abbondanti benedizioni a coloro che incontrerete lungo la strada. Di fatto, la stessa cosa vale per tutti i giovani Cristiani Giordani: non abbiate paura di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!

Cari Amici, con sentimenti di grande rispetto per tutti voi riuniti con me questa sera in preghiera, di nuovo vi ringrazio per le vostre preghiere per il mio ministero come Successore di Pietro e assicuro voi e quanti sono affidati alla vostra cura pastorale un ricordo nella mia preghiera quotidiana.


[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
+PetaloNero+
00domenica 10 maggio 2009 01:55
Benedetto XVI rivendica il contributo dei cristiani in Medio Oriente
Minoranze che custodiscono una tradizione bimillenaria



AMMAN, sabato, 9 maggio 2009 (ZENIT.org).- Questo sabato Benedetto XVI ha voluto rendere omaggio ai cristiani di tradizione orientale che in Medio Oriente costituiscono, normalmente, delle piccole comunità all'interno di una maggioranza musulmana e che offrono un contributo determinante alla Chiesa universale e alla società in cui si trovano.

La celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i Movimenti ecclesiali, svoltasi questo sabato sera nella cattedrale greco-melchita di San Giorgio, ha mostrato la bellezza di un rito sconosciuto in buona parte dell'Occidente.

La Chiesa greco-melchita, che ha sede a Damasco (Siria), è una chiesa orientale di rito bizantino che, pur facendo parte delle Chiese orientali che si separarono da Roma nel 1054, in occasione dello Scisma d'Oriente, è tornata alla piena comunione con la Sede di Pietro nel 1724.

All'incontro era presenti oltre ai fedeli greco-melchiti, anche rappresentanti dei diversi riti della Chiesa in Giordania: maronita, siro, armeno, caldeo e latino.

Le manifestazioni di estremo calore da parte dei 1.500 presenti nei confronti dal Papa, apparso particolarmente sorridente, ha fatto scattare in alcune occasioni gli uomini della sicurezza.

A fare gli onori di casa ci ha pensato Sua Beatitudine Gregorios III Laham, Patriarchia di Antiochia dei greco-melchiti, con un emozionate discorso, in cui è risalito alle origini cristiane di questa terra, arrivando poi ad esclamanere due volte, prima in francese e poi in arabo: “Non emigreremo mai”.

Il Patriarca ha sottolineato che l'attuale conflitto in Medio Oriente costituisce la prima causa di emigrazione da questi luoghi ed ha avvertito che se questo esodo continuerà ininterrottamente, la presenza cristiana scomparirà dal Medio Oriente.

Per questo, è importante una “pace giusta e duratura”, ha affermato lodando i ripetuti appelli del Papa in favore della Terra Santa, del Libano, della Siria e dell'Iraq.

Da parte sua, il Papa ha spiegato che “proprio come due mila anni or sono fu ad Antiochia che i discepoli vennero chiamati Cristiani per la prima volta, così anche oggi, come piccole minoranze in comunità disseminate in queste terre, anche voi siete riconosciuti come seguaci del Signore”.

“Tutti i Cristiani sono chiamati a rispondere attivamente al mandato di Dio [...] per portare gli altri a conoscerlo e ad amarlo”, ha sottolineato il Santo Padre.

Infine, Benedetto XVI ha concluso il suo discorso rivolgendosi ai giovani per incoraggiarli ad abbracciare la vita sacerdotale o religiosa: “non abbiate paura di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!”.

+PetaloNero+
00domenica 10 maggio 2009 16:38
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (VIII)


SANTA MESSA NELL’INTERNATIONAL STADIUM DI AMMAN


Questa mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in auto all’International Stadium di Amman, dove, alle ore 10.00, presiede la Santa Messa della IV Domenica di Pasqua, secondo il rito latino.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, introdotta dal saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, dopo la proclamazione del Santo Vangelo il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:



OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

sono lieto di poter celebrare questa Eucaristia insieme con voi all'inizio del mio pellegrinaggio in Terra Santa. Ieri dalle alture del Monte Nebo, restando in piedi, ho sostato e guardato a questa grande terra, la terra di Mosè, Elia e Giovanni il Battista, la terra nella quale le antiche promesse di Dio furono adempiute con l'arrivo del Messia, Gesù nostro Signore. Questa terra è testimone della sua predicazione e dei miracoli, della sua morte e risurrezione, e dell’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa, il sacramento di un’umanità riconciliata e rinnovata. Meditando sul mistero della fedeltà di Dio, ho pregato perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità. Veramente, come San Pietro ci dice oggi nella prima lettura, "non vi è, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (At 4,12).

La gioiosa celebrazione del Sacrificio eucaristico di oggi esprime la ricca diversità della Chiesa Cattolica nella Terra Santa. Saluto tutti voi, con affetto, nel Signore. Ringrazio Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, per le sue gentili parole di benvenuto. Il mio saluto va anche ai molti giovani delle scuole cattoliche che oggi portano il loro entusiasmo in questa Celebrazione eucaristica.

Nel Vangelo, che abbiamo appena ascoltato, Gesù proclama: "Io sono il buon pastore... che dà la propria vita per le pecore" (Gv 10,11). Come Successore di san Pietro al quale il Signore ha affidato la cura del suo gregge (cfr Gv 21,15-17), ho a lungo atteso questa opportunità di stare davanti a voi come testimone del Salvatore risorto, ed incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente; non dimenticate mai la grande dignità che deriva dalla vostra eredità cristiana, e non venite mai meno al senso di amorevole solidarietà verso tutti i vostri fratelli e sorelle della Chiesa in tutto il mondo!

"Io sono il buon pastore", ci dice il Signore, "conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Gv 10,14). Oggi in Giordania abbiamo celebrato la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Meditando sul Vangelo del Buon Pastore, chiediamo al Signore di aprire i nostri cuori e le nostre menti sempre di più per ascoltare la sua chiamata. Davvero, Gesù "ci conosce", anche più profondamente di quanto noi conosciamo noi stessi, ed ha un piano per ciascuno di noi. Sappiamo pure che dovunque egli ci chiami, troveremo felicità e appagamento; di fatto troveremo noi stessi (cfr Mt 10,39). Oggi invito i molti giovani qui presenti a considerare come il Signore li stia chiamando a seguirlo e a edificare la sua Chiesa. Sia nel ministero sacerdotale o nella vita consacrata, sia nel sacramento del matrimonio, Gesù ha bisogno di voi per far ascoltare la sua voce e per lavorare per la crescita del suo Regno.

Nella seconda lettura di oggi, san Giovanni ci invita a "pensare al grande amore con il quale il Padre ci ha amati" facendoci suoi figli adottivi in Cristo. L'ascolto di queste parole ci deve rendere riconoscenti per l'esperienza dell'amore del Padre che abbiamo avuto nelle nostre famiglie, mediante l'amore dei nostri padri e madri, nonni, fratelli e sorelle. Durante la celebrazione del presente Anno della Famiglia, la Chiesa in tutta la Terra Santa ha pensato alla famiglia come a un mistero di amore che dona la vita, mistero racchiuso nel piano di Dio con una sua propria vocazione e missione: irradiare l'amore divino che è la sorgente e il compimento di ogni altro amore delle nostre vite. Possa ogni famiglia cristiana crescere nella fedeltà a questa sua nobile vocazione di essere una vera scuola di preghiera, dove i fanciulli imparano il sincero amore di Dio, dove maturano nell'autodisciplina e nell’attenzione ai bisogni degli altri, e dove, modellati dalla sapienza che proviene dalla fede, contribuiscono a costruire una società sempre più giusta e fraterna. Le forti famiglie cristiane di queste terre sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni. Possano le famiglie di oggi essere fedeli a questa grande eredità e non venga mai mancare il sostegno materiale e morale di cui hanno bisogno per attuare il loro insostituibile ruolo a servizio della società.

Un importante aspetto della nostra riflessione in questo Anno della Famiglia, è stato la particolare dignità, vocazione e missione delle donne nel piano di Dio. Quanto la Chiesa in queste terre deve alla testimonianza di fede e di amore di innumerevoli madri cristiane, Suore, maestre ed infermiere, di tutte quelle donne che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere 1'amore! Fin dalle prime pagine della Bibbia, vediamo come uomo e donna creati ad immagine di Dio, sono chiamati a completarsi l'un l'altro come amministratori dei doni di Dio e suoi collaboratori nel comunicare il dono della vita, sia fisica che spirituale, al nostro mondo. Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava "il carisma profetico" delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29) come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Con la sua pubblica testimonianza di rispetto per le donne e con la sua difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.

Cari Amici, ritorniamo alle parole di Gesù nel Vangelo di oggi. Credo che esse contengano un messaggio speciale per voi, suo gregge fedele, in queste terre dove Egli una volta abitò. "Il buon pastore", Egli ci dice, "dà la propria vita per le sue pecore". All'inizio della Messa abbiamo chiesto al Padre di "darci la forza del coraggio di Cristo nostro pastore", che rimase costante nella fedeltà alla volontà del Padre (cfr Colletta, della Messa della quarta domenica di Pasqua). Che il coraggio di Cristo nostro pastore vi ispiri e vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa nel cambiamento del tessuto sociale di queste antiche terre. La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società. Ciò significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a "sacrificare" la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano il "stroncare" vite innocenti.

"Io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Gv 10,14). Rallegratevi perché il Signore vi ha fatti membri del suo gregge e conosce ciascuno di voi per nome! Seguitelo con gioia e lasciatevi guidare da Lui in tutte le vostre strade! Gesù sa quante sfide vi stanno davanti, quali prove dovete sopportare e conosce il bene che voi fate in suo nome. Abbiate fiducia in Lui, nel durevole amore che Egli porta per tutti i membri del suo gregge e perseverate nella vostra testimonianza al trionfo del suo amore. Che san Giovanni Battista, patrono della Giordania, e Maria, Vergine e Madre, vi sostengano con il loro esempio e la loro preghiera e vi conducano alla pienezza della gioia negli eterni pascoli, dove sperimenteremo per sempre la presenza del Buon Pastore e conoscere per sempre le profondità del suo amore. Amen.



PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (IX)


RECITA DEL REGINA COELI NELL’INTERNATIONAL STADIUM DI AMMAN



Al termine della Santa Messa nell’International Stadium di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI guida la recita del Regina Coeli con i fedeli presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:




PAROLE DEL SANTO PADRE


Cari Amici,

durante la Messa ho parlato del carisma profetico delle donne, come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace. L’esempio supremo delle virtù femminili è la Beata Vergine Maria: la Madre della Misericordia e Regina della Pace. Mentre ora ci rivolgiamo a lei, invochiamo la sua materna intercessione per tutte le famiglie di queste terre, affinché possano veramente essere scuole di preghiera e scuole di amore. Chiediamo alla Madre della Chiesa di volgere lo sguardo misericordioso su tutti i Cristiani di queste terre; con l’aiuto delle sue preghiere possano essere veramente una cosa sola nella fede che professano e nella testimonianza che offrono. A lei che ha risposto così generosamente all’annuncio dell’angelo ed ha accettato la chiamata a diventare la Madre di Dio, chiediamo di dare coraggio e fortezza a tutti i giovani che oggi discernono la propria vocazione, così che anch’essi possano dedicare generosamente se stessi a compiere la volontà del Signore.

In questo tempo pasquale è col titolo di Regina Caeli che noi ci rivolgiamo alla Beata Vergine. Come frutto della Redenzione conquistata dalla morte e risurrezione del Figlio suo, anche Lei fu innalzata ad una gloria eterna e coronata quale Regina dei Cieli. Con grande fiducia nella potenza della sua intercessione, ci rivolgiamo a lei ora con gioia nei nostri cuori e con amore per la nostra gloriosa sempre Vergine Madre, ed invochiamo le sue preghiere.


Al termine, il Santo Padre rientra alla Nunziatura Apostolica dove pranza con i Patriarchi e i Vescovi e con i Membri del Seguito.






L'incoraggiamento del Papa ai cristiani della Giordania nella Messa ad Amman. L'omaggio alla testimonianza di fede e amore delle donne di Terra Santa


“Che il coraggio di Cristo … vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa” in queste antiche terre”: è quanto ha detto il Papa stamani nell’omelia della Messa da lui presieduta nell’International Stadium di Amman, alla presenza di almeno 30 mila persone. Benedetto XVI ha poi voluto rendere omaggio alle donne della Terra Santa e alla loro testimonianza di fede e di amore. Oggi è la terza ed ultima giornata del viaggio del Papa in Giordania. Domani il trasferimento a Gerusalemme. Ma diamo la linea al nostro inviato ad Amman Pietro Cocco:

(Canto)

E’ stata una festa grande oggi ad Amman per la Messa celebrata da Papa Benedetto nello Stadio della città. Trentamila le persone che hanno trovato posto all’interno della struttura sportiva e che hanno potuto pregare con il Papa di domenica, nel ‘Giorno del Signore’. E’ stata l’occasione anche per esprimergli tutta la gioia e la riconoscenza per la sua presenza e il suo incoraggiamento.‘Ho pregato, ha detto infatti il Papa, perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità":


"I have long awaited this opportunity to stand before...
Ho a lungo atteso questa opportunità di stare davanti a voi come testimone del Salvatore risorto, ed incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente".

Di tutti questi sentimenti si è fatto portavoce, all’inizio della celebrazione di stamattina, il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, rivolgendo il suo saluto al Papa a nome di tutti i cittadini giordani, musulmani e cristiani, dell’Assemblea dei vescovi e patriarchi della Terra Santa, e con tutti i fedeli giunti dai Paesi arabi vicini. “Siamo ansiosi di mostrarLe, ha aggiunto, la nostra ospitalità arabo-giordana". Riferendosi poi alla giornata di preghiera per le vocazioni che si celebra oggi in Giordania, il Patriarca ha scherzato dicendo che c’è un problema con i seminaristi in Terra Santa, perchè il seminario di Beit Jala, per la prima volta, è troppo pieno! Il Patriarca Twal ha ricordato anche le migliaia di migranti che sono giunte in Giordania per lavoro, specialmente dall’Asia, come pure i milioni di rifugiati, in gran parte palestinesi, che sono stati accolti in questo Paese. A cui si sono aggiunti circa un milione gli iracheni, tra cui quarantamila cristiani, ai quali la Chiesa insieme alla Caritas assicura assistenza materiale e spirituale. Una realtà ben presente al Papa, che ne ha preso spunto per rivolgere un forte invito alla Chiesa giordana e a tutta la Terra Santa:


"Fidelity to your Christian roots, fidelity to the Church’s mission...
La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società".


Questo, ha proseguto il Papa, significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a "sacrificare" la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano lo "stroncare" vite innocenti.

Ed al tema dell’amore, quello con il quale Dio ci ha amati, Benedetto XVI ha poi dedicato l’altra parte della sua omelia, parlando della vocazione della famiglia e della dignità e della missione delle donne nel piano di Dio:


"The strong Christian families of these lands are a great legacy...
Le forti famiglie cristiane di queste terre sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni. Possano le famiglie di oggi essere fedeli a questa grande eredità e non venga mai a mancare il sostegno materiale e morale di cui hanno bisogno per attuare il loro insostituibile ruolo a servizio della società".

Benedetto XVI ha poi voluto rendere omaggio alle donne della Terra Santa, ricordando che la Chiesa in queste terre deve molto alla loro testimonianza di fede e di amore. Innumerevoli madri cristiane, suore, maestre e infermiere, e tutte quelle donne , ha detto ancora il Papa, che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere l'amore!


"Sadly, this God-given dignity and role of women has not always...
Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava 'il carisma profetico' delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29)".


Un carisma che si manifesta nel loro essere portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Nel dare una pubblica testimonianza di rispetto per le donne e nella difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, ha concluso, la Chiesa in Terra Santa porta un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.


(Canto)






Un bilancio molto positivo: così padre Lombardi sulla tappa giordana del pellegrinaggio di Benedetto XVI


Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa in Terra Santa ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi raggiunto telefonicamente ad Amman da Sergio Centofanti:

R. – Il bilancio è necessariamente molto positivo, perché il Papa ha potuto svolgere tutti gli incontri che erano in programma con grandissima serenità, con un’accoglienza molto calda, molto amichevole, da parte sia delle autorità dello Stato, della famiglia reale, sia da parte del mondo musulmano e poi anche grazie agli incontri con la comunità cristiana. Mi pare molto saggio avere iniziato questo viaggio attraverso una porta di pace, una porta di serenità. In questo momento, la Giordania è nel quadro del Medio Oriente un Paese sostanzialmente sereno e quindi il fatto di iniziare l’itinerario del Medio Oriente da questo punto, credo che abbia reso l’avvio di questo viaggio di pace particolarmente positivo.


D. – Quali finora le immagini più forti di questo pellegrinaggio?


R. – Di immagini dal punto di vista visivo, direi il Papa sul Monte Nebo, il Papa che guarda verso la valle del Giordano, verso la Terra Promessa, dal luogo da cui Mosè ha guardato: è stato un momento di grandissima intensità, di evocazione spirituale profondissima e anche uno sguardo verso le altre tappe del viaggio e al rapporto con il mondo ebraico. Poi, direi, naturalmente il Papa nella Moschea – la sua seconda Moschea dopo quella di Istanbul – dove si vede che diventa, in un certo senso, sempre più normale, naturale, che il Papa in atteggiamento amichevole entri in un luogo di preghiera dei musulmani. Questo è un segno del progresso del rapporto positivo tra cristiani e musulmani nel corso di questi anni. Un’altra immagine bella, che riguarda il calore della comunità cristiana che accoglie il Papa, è quella nella cattedrale dei greco-melkiti, in cui veramente l’entusiasmo dell’accoglienza è stato impressionante.


D. – Quindi, con i musulmani si possono dire definitivamente superati i fraintendimenti di Ratisbona…


R. – Io credo che fossero già stati superati da un bel po’, perché i chiarimenti erano stati dati abbondantemente. Però, come sappiamo, quando c’è un malinteso che tocca profondamente, ci vuole poi tutta una serie di passi, di tempi, per risanare completamente tutte le conseguenze. E quindi, non c’è poi neanche da stupirsi che continuino dei riferimenti a quel momento difficile. Abbiamo, però, già più di due anni di esperienze positive, che da quel momento sono cominciate. Il principe Gazi, nel suo discorso, ha evocato Regensburg, ma ha detto chiaramente che è un capitolo definitivamente superato e poi ha salutato il Papa come Successore di Pietro, il che in bocca ad un capo autorevole del mondo musulmano è un saluto molto significativo.


D. – Il Papa ha avuto parole di grande incoraggiamento e apprezzamento per la minoranza cristiana in Giordania...


R. – Certamente. E’ una Chiesa che è viva e ha potuto dimostrarlo qui al Papa, non solo con l’accoglienza e con la cordialità e l’intensità dei momenti di preghiera insieme, ma sono anche state solennizzate alcune circostanze importanti: al Centro Regina Pacis per i giovani e gli handicappati è stata inaugurata una nuova ala. Nell’Università di Madaba è stata posta la prima pietra ed è un’iniziativa di grandissimo rilievo, non solo per la Giordania, ma per tutto il Medio Oriente, in cui lo sviluppo che potrà avere il contributo che la Chiesa dà alla cultura nel Paese sarà estremamente significativo. E poi le due pietre delle due chiese latina e greco-melkita, nella zona del Battesimo di Cristo, significano che anche fisicamente crescono i luoghi in cui la Chiesa si incontra. Certamente, il fatto che il passaggio del Papa sia stato collegato a queste belle circostanze, dice che è una Chiesa che si sente viva, vitale, e che guarda in avanti.


D. – Ora il pellegrinaggio in Terra Santa prosegue in Israele e nei Territori palestinesi. Quali le speranze?


R. – Le speranze sono che gli scopi che il Papa ha già detto molte volte, anche prima di partire, vengano raggiunti: che possa essere veramente un messaggio di pace, di riconciliazione, di incoraggiamento per le comunità cristiane che si trovano in difficoltà, che un messaggio di speranza, un messaggio di fiducia, un messaggio di amore possa dare un contributo efficace per migliorare la situazione in tutta l’area.






L'appello del Papa a non dimenticare i cristiani iracheni. Najim: speriamo che la comunità internazionale si svegli


Benedetto XVI durante il suo viaggio in Giordania più volte ha espresso la sua vicinanza ai cristiani iracheni: quelli che sono rimasti nel loro Paese e quanti sono fuggiti. Ha chiesto il sostegno per i profughi e ha lanciato un nuovo appello alla comunità internazionale perché faccia “tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini”. In Giordania sono oltre 40 mila sono cristiani. Quali sono le loro difficoltà? Sergio Centofanti lo ha chiesto al corepiscopo Philip Najim, visitatore per i fedeli Caldei in Europa:

R. – Le difficoltà sono enormi e, essendo ospiti in quel Paese, approfitto dell’occasione per ringraziare il governo e Sua Maestà, il Re di Giordania, per questa accoglienza ai nostri iracheni sia musulmani che cristiani. Nonostante tutto, sappiamo che il Paese è piccolo e limitato nelle sue risorse, quindi gli iracheni si trovano in grande difficoltà e in grande sofferenza: è molto difficile per loro vivere una vita normale. Speriamo che un giorno la comunità internazionale si svegli, attraverso anche l’appello del Santo Padre, e dia una mano a questi profughi iracheni, perché possano vivere la loro vita con dignità.


D. – Qual è la situazione pastorale di questi profughi cristiani?


R. – E’ una situazione veramente molto difficile, perché non si trova un luogo di culto specifico per questi migranti iracheni. Noi abbiamo una un sacerdote messo a loro disposizione, al loro servizio, perché possa dare ancora questa speranza: che la Chiesa vive e vive ancora nel cammino di fede di queste persone che speriamo possano anche attraverso la loro sofferenza dare una testimonianza di Cristo, la testimonianza di essere attaccati a Cristo e di vivere la Parola di Cristo.


D. – Il Papa ha lanciato un appello a non abbandonare i cristiani in Iraq, che vivono momenti di grandi difficoltà...


R. – Questi cristiani devono essere sostenuti, devono essere incoraggiati, devono essere aiutati e non devono essere dimenticati. Tutto l’Iraq non deve essere dimenticato. La comunità internazionale deve continuare a sostenere questo popolo che ancora soffre.


D. – Continuano le violenze anticristiane in Iraq?


R. – Ci sono violenze non soltanto anticristiane, ci sono violenze anche contro le altre etnie. Ci sono delle forze oscure che vogliono creare una divisione del popolo iracheno, perché creando queste divisioni rallentano il processo di pace, rallentano il processo dello sviluppo dell’Iraq. Perciò chiediamo al popolo iracheno di essere unito e di dimenticare gli interessi personali, per alleviare questa sofferenza.






Domani il Papa a Gerusalemme con la visita allo Yad Vashem, Memoriale dell'Olocausto


Questo pomeriggio il Papa visita il Sito del Battesimo sul Giordano dove operava San Giovanni Battista: qui benedice le prime pietre delle Chiese dei Latini e dei Greco-Melkiti. Domani inizia la seconda tappa del pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa: il Pontefice partirà in mattinata per Tel Aviv dove sarà accolto dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Benjamin Netanyahu. Nel pomeriggio, a Gerusalemme, la visita allo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto, e più tardi l'incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso. Ma ascoltiamo il servizio del nostro inviato a Gerusalemme Roberto Piermarini:

Il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa ha un carattere esclusivamente spirituale ma – come hanno ribadito il nunzio in Israele mons. Franco ed il Patriarca latino di Gerusalemme mons. Twal – in questa regione, religione e politica si sovrappongono. Il governo israeliano - che ha riempito Gerusalemme di striscioni di benvenuto e di bandiere vaticane – sta dando grande risalto a questa visita papale. La pagina web in sette lingue, del Ministero del Turismo, definisce la visita “un ponte per la pace”. Il sito, offrendo informazioni sul programma della visita e dati pratici per i pellegrini che la seguiranno, sottolinea come quello di Benedetto XVI sia un pellegrinaggio di pace e di riconciliazione”.


Il Servizio Filatelico israeliano ha preparato due serie di francobolli per la visita papale: la prima con immagini dei luoghi santi e riferimenti biblici, mentre la seconda sarà emessa dopo la visita e sarà realizzata con foto scattate durante il viaggio in Terra Santa di Benedetto XVI. Dalla Cisgiordania il governo israeliano ha concesso migliaia di visti, ma non altrettanto ha fatto con i cristiani di Gaza che ancora non sanno se potranno partecipare alle celebrazioni pubbliche del Papa. La stampa israeliana ha annunciato – suscitando tra l’altro reazioni negative all’interno del mondo politico del Paese – che il presidente Shimon Peres avrebbe il desiderio di restituire alla Chiesa la sala del Cenacolo sul Monte Sion. Ma gli stessi francescani della Custodia di Terra Santa sono molto scettici in proposito. Ha destato tra l’altro molta impressione l’annuncio che duecento rabbini di varie denominazioni, firmeranno un messaggio di benvenuto al Papa, che verrà pubblicato sulle pagine del noto quotidiano israeliano “Haaretz”.


Sul fronte della Chiesa locale, fervono gli ultimi preparativi per accogliere nel migliore dei modi il Papa ma – come dicono alcuni degli organizzatori – “la nostra povera Chiesa ha avuto poco meno di due mesi per accoglierlo”. Quello che si teme, è che le ossessionanti misure di sicurezza messe a punto a Gerusalemme dalle autorità israeliane, possano “blindare” il pellegrinaggio “creando un clima così pesante – ci confessa un francescano di Terra Santa – che costringerà il Papa a non sentire la presenza dei nostri fedeli, ma a passare tra due ali di soldati. Durante la visita verranno chiusi tutti gli accessi alla Città Vecchia ed anche l’immenso bazar. I cristiani sono stati invitati a partecipare alle messe pubbliche che si terranno a Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, - ha detto il religioso - ma se continuerà a persistere un clima di paura, molti di loro preferiranno seguire le celebrazioni in televisione”. In Terra Santa intanto, stanno giungendo dall’Europa, dagli Stati Uniti, dall’America Latina e dall’Australia, 7 mila giovani del Cammino neocatecumenale, che avranno incontri di preghiera con la Chiesa locale di Israele e Palestina nelle parrocchie latine, greco-cattoliche e maronite; visiteranno anche ospedali, scuole cattoliche e case di riposo. Un segno di comunione e di incoraggiamento per questa piccola Chiesa di Terra Santa, che guarda con speranza all’arrivo del Papa.







Il rabbino Rosen: la visita del Papa, evento d'importanza enorme. Padre Manns: un messaggio di riconciliazione


Ma in che modo la società israeliana sta attendendo la visita del Papa? Ci risponde il rabbino David Rosen, presidente del "Comitato ebraico internazionale per le relazioni inter-religiose", al microfono di Sara Fornari:


R. – You know, it’s very difficult thing, maybe an impossible thing, …
Vede, è cosa molto difficile, forse addirittura impossibile, parlare della società israeliana. Avrà sicuramente sentito la battuta che dice: “dove ci sono due ebrei, ci sono tre opinioni”. Ci sono molti elementi diversi, in questa società. Ma il Papa è una figura mondiale, e la sua visita è un evento d’importanza enorme ed io credo che la grande maggioranza di israeliani siano molto emozionati e molto felici e che abbiano grandi aspettative per quanto riguarda la sua visita. Credo che ci sia stata una comprensione di fondo che questa visita abbia una grandissima importanza per l’immagine stessa di Israele nonché per quanto riguarda i suoi rapporti con la Chiesa.


D. – In particolare, quali sono le attese delle comunità religiose ebraiche?


R. – Yes … well, you know the other joke: just because I am paranoid, it doesn’t mean …
Sì … bè, conosce anche l’altra battuta: “solo perché sono paranoico, non significa che non cercheranno di uccidermi”. Cioè: noi ebrei abbiamo una storia tragica. E le ferite della nostra storia sono molto profonde. E la nostra memoria è molto antica. Ora, coloro che sono più “moderni” e si muovono nel mondo, sanno che il mondo “fuori” è cambiato e che il mondo cristiano è cambiato e che c’è stato un cambiamento enorme per quanto riguarda i rapporti cattolico-ebraici. Invece, coloro che non vivono nel mondo, inteso come concetto più ampio, ma vivono nel loro proprio mondo, hanno minori possibilità di conoscere tutto questo. Ed è per questo che pensano che il mondo cristiano sia se non proprio ostile, sicuramente piuttosto “freddo” nei riguardi della gente ebraica e delle tradizioni ebraiche. E quindi, la loro reazione è una reazione dovuta alla mancanza di familiarità con i cambiamenti che ci sono stati. Ed ecco perché la visita di Giovanni Paolo II, nel 2000, ed ora la visita di Papa Benedetto XVI sono così importanti: perché contribuiscono a cambiare gli atteggiamenti, aiuta la gente a comprendere che esiste un rapporto positivo. Invece, molta gente, ancora oggi – specialmente nell’ambito di comunità religiose più chiuse, specialmente nelle comunità ultraortodosse – è meno consapevole di tutto ciò e quindi un po’ più diffidente e conseguentemente un po’ meno interessata. Non saranno ostili alla visita: potrebbero essere un po’ più distaccati dal suo significato.


D. – Personalmente, cosa si aspetta da questa visita?


R. – Well, let me tell you what Pope Benedict XVI told to us when we last ..
Le racconterò cosa ci ha detto Papa Benedetto XVI l’ultima volta che lo abbiamo incontrato: eravamo in quattro ed eravamo una delegazione dei rabbini capo d’Israele, eravamo con lui nel suo studio privato. Lui ci disse di sperare che la sua visita potesse ulteriormente far progredire le relazioni cattolico-ebraiche e che potesse anche far progredire il processo di pace in Terra Santa e in tutta la regione. Anche io spero che questo accada: sarà un po’ più difficile far progredire il processo di pace, perché non credo che dipenda soltanto da Benedetto XVI. Ma per quanto riguarda i rapporti tra cattolici ed ebrei, non c’è alcun dubbio che la sua visita potrà rappresentare un grande progresso sulla via dei cambiamenti storici che sono già avvenuti negli ultimi 50 anni.


Sul messaggio che il Papa porterà in Israele e nei Territori palestinesi ascoltiamo, al microfono di Roberto Piermarini, il padre francescano Frederick Manns, storico della Custodia di Terra Santa:

R. – Il Papa parlerà di nuovo di riconciliazione tra questi due popoli. Non c’è riconciliazione senza perdono: questo è il messaggio di Gesù. Bisogna perdonare anche ai nemici ed è molto difficile, perché il giudaismo e l’islam accettano il perdono, ma solo Dio può perdonare. Per gli ebrei è il giorno del Kippur, per i musulmani è la misericordia di Dio, che può perdonare. Che l’uomo sia chiamato a perdonare, questa è la novità dei cristiani: “Amatevi come io ho amato voi”, dice il Signore. L’amore autentico significa dare la vita per gli altri. Il Buon Pastore, abbiamo visto al Sepolcro, ha dato la vita per le pecore. Qui, in questa terra vivono due popoli, che sono chiamati a riconciliarsi. I figli di Ismaele e i figli di Isacco, riconciliandosi porteranno la gioia al padre Abramo, che finalmente potrà rallegrarsi di vedere il giorno del Signore, che sarà il giorno della grande riconciliazione. Per questo motivo – il Papa l’ha ripetuto – bisogna pregare molto. Solo con l’aiuto dello Spirito del Signore, l’uomo potrà avere un cuore nuovo e uno spirito nuovo, e con questo cuore nuovo e questo spirito nuovo la riconciliazione sarà possibile. Non c’è riconciliazione senza perdono: questo è il messaggio che il Papa proclama da anni. Bisogna però ripeterlo.




Il Papa sul Monte Nebo: profezia per un mondo che cerca Dio
Spiega l'amministratore delegato dell'ORP

di Mercedes de la Torre

AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita che Benedetto XVI ha compiuto questo sabato al Monte Nebo, dal quale si dice che Mosè poté vedere la Terra Promessa, si è trasformata in una profezia per il mondo attuale che cerca Dio alla cieca, considera padre Caesar Atuire, amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Il sacerdote, che accompagna il Santo Padre nel suo pellegrinaggio in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi, ha spiegato il motivo per il quale il Papa ha deciso di iniziare la sua visita in Terra Santa visitando la montagna alta poco più di 800 metri dalla quale si possono vedere la valle del Giordano, la città di Gerico e a volte, quando non c'è nebbia, anche Gerusalemme. Il 9 marzo 2000 si recò in questo luogo anche Giovanni Paolo II.

"Ogni Papa è come un Mosè che porta il popolo all'incontro con Dio", ha spiegato a ZENIT il sacerdote, ricordando che ciascun pellegrinaggio ha come obiettivo ultimo l'incontro con il Signore. Nel caso del Vescovo di Roma, constata, accanto a lui peregrina il popolo cristiano, anche i mezzi di comunicazione del mondo che lo accompagnano.

Come pastore della Chiesa, cerca di dissipare quelle nubi che, come sul Monte Nebo, impediscono alla gente di vedere la propria meta, "la terra promessa", ha affermato.

Il luogo in cui è morto Mosè, ha ricordato padre Atuire, è la porta privilegiata alla Terra Santa. "Ogni pellegrino che si incammina verso Gerusalemme, seguendo le orme del popolo di Israele che ha camminato 40 anni nel deserto, iniziando dal Monte Nebo, realizza lo stesso percorso alla ricerca della città di Dio e della terra che Dio ha promesso".

Alla luce di questo incontro con Dio, il sacerdote commenta la storica visita realizzata questo sabato da Benedetto XVI alla moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, il secondo tempio islamico che visita nel suo pontificato.

Con questo gesto, ha osservato, il Papa "sottolinea una realtà comune a tutte le religioni: come persone credenti, in qualche modo abbiamo davanti a noi una sfida, perché viviamo in un mondo sempre più secolarizzato".

Con la visita, constata, il Papa ha superato parte dei pregiudizi promossi negli ultimi anni da alcune persone che l'hanno voluto presentare come una persona chiusa al dialogo.

"Il Papa è un uomo aperto all'incontro con l'altro senza paure, senza pregiudizi, perché insieme possiamo fare qualcosa per migliorare questo mondo", ha concluso padre Atuire.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]




Il Papa permette ai cattolici di sentirsi "arabi, giordani e cristiani"
Lascia in eredità la riscoperta del luogo del Battesimo di Gesù

di Mercedes de la Torre

AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI in Giordania permette ai cattolici del Paese di sentirsi "arabi, giordani e cristiani", riconosce Nader Twal, guida turistica, in un buon italiano imparato in sette anni di studio a Roma.

Nato a Madaba, nella stessa parrocchia di Sua Beatitudine Fouad Twal, con il quale condivide il cognome, ha confessato a ZENIT che in questi giorni sta vivendo momenti unici e che questo pellegrinaggio rappresenta un sostegno decisivo per i cristiani che vivono nel Paese.

"I cristiani del settore pubblico potranno andare alla Messa del Papa di domenica, anche se per loro è un giorno di lavoro. E' una decisione del Governo per promuovere la convivenza tra cristiani", ha spiegato.

"Io come cristiano dico sempre: sono arabo, sono giordano e sono cristiano", spiega Twal. "Come cristiani siamo il 3%, come cattolici l'1,5%. Vediamo in questa visita un sostegno alla presenza dei cristiani, perché noi portiamo questa religione da 2000 anni", ha detto emozionato.

La visita, ha aggiunto, "è importante anche perché ha permesso l'incontro con il Re e la Regina, con i capi dei musulmani, e questo è decisivo per parlare di convivenza, di cose umane, non dogmatiche; argomenti che toccano questa zona del Medio Oriente che è sempre in conflitto".

Secondo Twal, abituato a mostrare ai pellegrini la ricchezza biblica del suo Paese, questa domenica si vivrà uno dei momenti più simbolici per il futuro del cristianesimo giordano quando il Papa si avvicinerà alle rive del fiume Giordano, in quello che è considerato il luogo del Battesimo di Cristo, per benedire le prime pietre delle chiese dei latini e dei greco-melchiti.

"Purtroppo questo sito che ha fatto nascere la fede cristiana è ancora dimenticato anche dalla Chiesa. La benedizione è un richiamo, visto che ci saranno più di 1.300 giornalisti che coprono questa visita, un richiamo per la Chiesa in tutto il mondo. La visita al Giordano dovrebbe essere una meta importante nei pellegrinaggi in Terra Santa", ha concluso Twal.




www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=828&sett...
+PetaloNero+
00domenica 10 maggio 2009 20:41
Discorso del Papa sul luogo del Battesimo di Gesù al Giordano
"La prima pietra di una chiesa è simbolo di Cristo"



AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica pomeriggio a Betania oltre il Giordano, nella zona in cui predicò Giovanni il Battista e che fu testimone della vita pubblica di Gesù, dopo aver benedetto le prime pietre di due chiese cattoliche, una latina e l'altra greco-melchita.

* * *

Altezze Reali,

Cari Fratelli Vescovi,

Cari Amici,
è con grande gioia spirituale che vengo a benedire le prime pietre delle due Chiese Cattoliche che saranno costruite al di là del fiume Giordano, un posto segnato da molti avvenimenti memorabili nella storia biblica. Il profeta Elia, il Tisbita, proveniva da questa area non lontano dal nord di Galaad. Qui vicino, di fronte a Gerico, le acque del Giordano si aprirono davanti ad Elia che fu portato via dal Signore in un carro di fuoco (cfr 2 Re 2,9-12). Qui lo Spirito del Signore chiamò Giovanni, figlio di Zaccaria, a predicare la conversione dei cuori. Giovanni l'Evangelista pose in questa area anche l'incontro tra il Battista e Gesù, che in occasione del battesimo venne "unto" dallo Spirito di Dio disceso come colomba, e fu proclamato amato Figlio del Padre (cfr Gv 1,28; Mc 1,9-11).

Saluto con gioia Sua Beatitudine Gregorio III Laham, Patriarca di Antiochia per la Chiesa Greco-Melchita. Saluto con affetto anche Sua Beatitudine l'Arcivescovo Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme. Estendo con calore i miei migliori saluti a Sua Beatitudine Michel Sabbah, ai Vescovi Ausiliari presenti, particolarmente all'Arcivescovo Joseph Jules Zerey e al Molto Reverendo Salim Sayegh, che ringrazio per le sue gentili parole di benvenuto. Sono lieto di salutare tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici che ci accompagnano oggi. Rallegriamoci nel riconoscere che i due edifici, uno Latino, l'altro Greco-Melchita, serviranno ad edificare, ognuno secondo le tradizioni della propria comunità, l'unica famiglia di Dio.

La prima pietra di una chiesa è simbolo di Cristo. La Chiesa poggia su Cristo, è sostenuta da Lui e non può essere da Lui separata. Egli è l'unico fondamento di ogni comunità cristiana, la pietra viva, rigettata dai costruttori ma preziosa agli occhi di Dio e da Lui scelta come pietra angolare (cfr 1 Pt 2,4-5.7). Con Lui anche noi siamo pietre vive costruite come edificio spirituale, luogo di dimora per Dio (cfr Ef 2,20-22; 1 Pt 2,5). Sant'Agostino amava riferirsi al mistero della Chiesa come al Christus totus, il Cristo intero, il pieno e completo Corpo di Cristo, Capo e membra. Questa è la realtà della Chiesa; essa è Cristo e noi, Cristo con noi. Egli è con noi come la vite è con i suoi tralci (cfr Gv 15,1-8). La Chiesa è in Cristo una comunità di vita nuova, una dinamica realtà di grazia che promana da Lui. Attraverso la Chiesa Cristo purifica i nostri cuori, illumina le nostre menti, ci unisce con il Padre e, nell'unico Spirito, ci conduce ad un quotidiano esercizio di amore cristiano. Confessiamo questa gioiosa realtà come l'Una, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa.

Entriamo nella Chiesa mediante il Battesimo. La memoria del battesimo stesso di Cristo è vivamente presente davanti a noi in questo luogo. Gesù si mise in fila con i peccatori ed accettò il battesimo di penitenza di Giovanni come un segno profetico della sua stessa passione, morte e resurrezione per il perdono dei peccati. Nel corso dei secoli, molti pellegrini sono venuti al Giordano per cercare la purificazione, rinnovare la loro fede e stare più vicini al Signore. Così fece la pellegrina Egeria che ha lasciato uno scritto sulla sua visita alla fine del quarto secolo. Il Sacramento del Battesimo, che trae il suo potere dalla morte e resurrezione di Cristo, sarà particolarmente tenuto in considerazione dalle comunità cristiane che si raccoglieranno nelle nuove chiese. Possa il Giordano ricordarvi sempre che siete stati lavati nelle acque del Battesimo e siete divenuti membri della famiglia di Gesù. Le vostre vite, in obbedienza alla sua parola, sono trasformate nella sua immagine e somiglianza. Sforzandovi di essere fedeli al vostro impegno battesimale di conversione, testimonianza e missione, sappiate che siete fortificati dal dono dello Spirito Santo.

Cari Fratelli e Sorelle, possa la contemplazione di questi misteri arricchirvi di gioia spirituale e coraggio morale. Con l'Apostolo Paolo, vi esorto a crescere nella intera serie di nobili atteggiamenti che vanno sotto il nome benedetto di agape, amore Cristiano ( cfr 1 Cor 13,1-13). Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo, ispirato dall'esempio di Gesù, di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità. Continuate ad essere grati a coloro che vi guidano e vi servono fedelmente come ministri di Cristo. Fate bene ad accettare la loro guida nella fede sapendo che nel ricevere l'insegnamento apostolico che essi trasmettono, accogliete Cristo e accogliete l'Unico che l'ha inviato ( cfr Mt 10,40).

Miei cari Fratelli e Sorelle, procediamo ora a benedire queste due pietre, l'inizio di due nuovi edifici sacri. Voglia il Signore sostenere, rafforzare ed incrementare le comunità che in essi eserciteranno il loro culto. E benedica tutti voi con il suo dono di pace. Amen!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]




La visita al Sito del Battesimo. Il Papa: promuovete il dialogo anche quando rivendicate diritti legittimi

Nel pomeriggio il Papa si è trasferito nella regione di Betania al di là del Giordano, per una visita al “Sito del Battesimo” dove operava San Giovanni Battista. Qui ha presieduto il rito di Benedizione delle prime pietre delle chiese dei Latini e dei Greco-Melkiti. “La prima pietra di una chiesa – ha detto il Pontefice - è simbolo di Cristo. La Chiesa poggia su Cristo, è sostenuta da Lui e non può essere da Lui separata. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana”. Poi si è rivolto ai fedeli con questo invito: “Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo, ispirato dall’esempio di Gesù, di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità”.




Una domenica di grande festa per Il Santo Padre in Giordania


E’ stata una festa grande oggi ad Amman per la messa celebrata da Papa Benedetto nello Stadio della città. Trentamila le persone che hanno trovato posto all’interno della struttura sportiva e hanno potuto pregare con il Papa di domenica, nel ‘Giorno del Signore’. E’ stata l’occasione anche per esprimergli tutta la gioia e la riconoscenza per la sua presenza e il suo incoraggiamento.‘Ho pregato, ha detto infatti il Papa, perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità.”

E grande è stata anche la festa che ha accolto il Papa nel pomeriggio durante la sua visita al sito del battesimo, a Betania dell’oltre Giordano.

Il servizio di Pietro Cocco



L’immagine è di quelle che rimangono a futura memoria. In modo del tutto inaspettato, ad attendere il Papa al sito del battesimo, oltre a una folla numerosa, c’erano il Re Abdullah, la regina Rania e il Principe Ghazi che lo hanno accompagnato lungo tutto il percorso archeologico. Benedetto XVI è salito su una delle macchine elettriche preparate per l’occasione, insieme ai suoi ospiti, ed al Patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal; mentre uno dei responsabili del sito, alla guida, illustrava loro alcune delle più significative scoperte di archeologia biblica avvenute in quell’area, dove l’evangelista Giovanni pose l’incontro tra il Battista e Gesù. Il convoglio di dodici macchine elettriche si è snodato per una decina di minuti lungo il percorso che corre di fianco al Giordano, che segna il confine tra la Giordania e Israele, mostrando un’immagine di grande familiarità e cordialità.

Ed una grande gioia e festa ha poi accompagnato il momento della benedizione delle prime pietre delle due nuove chiese, una latina e l’altra greco-melkita, che sorgeranno nell’area del sito del batteimo. C’era infatti una folla numerosa insieme ai Patriarchi di Antiochia e di Gerusalemme, Gregorio III Laham e Fouad Twal, i loro ausiliari e gli ordinari di Terra Santa.
E gioia e coraggio sono stati i due sentimenti a cui si è riferito il Papa, più volte, per invitare i cristiani della Terra Santa ad essere pietre vive della Chiesa e costruttori di ponti tra le persone di diverse fedi e culture, e così arricchire il tessuto della società.

La prima pietra di una chiesa, ha detto, è simbolo di Cristo. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana, la pietra viva, che fa della Chiesa una comunità di vita nuova, una dinamica realtà di grazia, luogo di dimora per Dio. E’ questa realtà che può donare la gioia e il coraggio per crescere in quei nobili atteggiamenti, ha detto ancora Papa Benedetto, che vanno sotto il nome di agape, amore cristiano:

"Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità."

Ed al tema dell’amore, Benedetto XVI aveva dedicato l’omelia del mattino, alla Messa celebrata nello stadio di Amman, parlando della vocazione della famiglia e della dignità e della missione delle donne nel piano di Dio.
In particolare il Papa ha ricordato che la Chiesa in Terra Santa deve molto alla testimonianza di fede e di amore di tante donne, che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere l'amore:

"Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava "il carisma profetico" delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29). "

Nel dare una pubblica testimonianza di rispetto per le donne e nella difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, ha concluso, la Chiesa in Terra Santa porta un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.



Da Amman, Pietro Cocco, RV
+PetaloNero+
00lunedì 11 maggio 2009 02:09
Il luogo del Battesimo di Gesù torna ad essere meta di pellegrinaggi
Il Papa benedice la prima pietra di due chiese



AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- Con la benedizione delle prime pietre di due chiese, Benedetto XVI ha voluto riscoprire e rilanciare questa domenica pomeriggio i pellegrinaggi al luogo in cui Gesù vene battezzato da Giovanni il Battista, sulle rive del fiume Giordano.

L'importanza di questo gesto non solo per la Chiesa ma anche per la stessa Giordania è stata sottolineata dalla partecipazione all'incontro dei sovrani del Paese, Abdallah II e Rania, che non era stata prevista.

I sovrani hanno accolto il Santo Padre e insieme sono saliti su una macchina da golf perché il re, seduto accanto al Papa, gli potesse illustrare le scoperte che si stanno effettuando in questo importantissimo sito archeologico, ufficialmente noto come Sito del Battesimo (Baptism site), che si trova sotto il controllo di una commissione giordana.

Le scoperte, iniziate alla fine degli anni Novanta, hanno evidenziato come il luogo sia stato meta di pellegrinaggi fin dagli inizi del cristianesimo, come dimostrano più di venti chiese, grotte e piscine battesimali risalenti ai periodi romano e bizantino. Le vicissitudini storiche, ad ogni modo, avevano interrotto i pellegrinaggi in questo luogo.

Gli archeologi sostengono che si tratti della località che il Vangelo di Giovanni (capitolo I, versetto 28) definisce "Betania oltre il Giordano", una Betania diversa da quella che si trova vicino Gerusalemme (dove ha avuto luogo il miracolo della resurrezione di Lazzaro) e che gli esegeti fino a pochi anni fa non sapevano situare.

"Nel corso dei secoli, molti pellegrini sono venuti al Giordano per cercare la purificazione, rinnovare la loro fede e stare più vicini al Signore. Così fece la pellegrina Egeria che ha lasciato uno scritto sulla sua visita alla fine del quarto secolo", ha affermato il Papa.

Per questo, ha aggiunto, "il Sacramento del Battesimo, che trae il suo potere dalla morte e resurrezione di Cristo, sarà particolarmente tenuto in considerazione dalle comunità cristiane che si raccoglieranno nelle nuove chiese".

"Possa il Giordano ricordarvi sempre che siete stati lavati nelle acque del Battesimo e siete divenuti membri della famiglia di Gesù", ha augurato ai cristiani locali.

Il re Abdallah II progetta di far costruire in questo luogo cinque chiese per accogliere i pellegrini, una per ogni confessione cristiana. Due sono cattoliche, quella latina e quella greco-melchita, le cui prime pietre sono state benedette questa domenica dal Papa.

Come ha spiegato a ZENIT Nader Twal, cristiano, guida turistica, "purtroppo questo sito che ha fatto nascere la fede cristiana è ancora dimenticato anche dalla Chiesa", motivo per il quale si spera che quale la visita del Papa permetta ai pellegrini di tutto il mondo di riscoprirlo.





Portavoce vaticano: in Giordania il Papa raggiunge due obiettivi
Bilancio della prima tappa del pellegrinaggio papale in Terra Santa



AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha raggiunto gli obiettivi che si era proposto in Giordania, Paese dal quale si congederà questo lunedì per recarsi in Israele, considera il portavoce vaticano.

Padre Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa vaticana, osserva che il bilancio di questo pellegrinaggio "è necessariamente molto positivo, perché il Papa ha potuto svolgere tutti gli incontri che erano in programma con grandissima serenità, con un'accoglienza molto calda, molto amichevole, da parte sia delle autorità dello Stato, della famiglia reale, sia da parte del mondo musulmano e poi anche grazie agli incontri con la comunità cristiana".

"Mi pare molto saggio avere iniziato questo viaggio attraverso una porta di pace, una porta di serenità - riconosce il sacerdote, che è anche direttore della "Radio Vaticana" -. In questo momento, la Giordania è nel quadro del Medio Oriente un Paese sostanzialmente sereno e quindi il fatto di iniziare l'itinerario del Medio Oriente da questo punto credo che abbia reso l'avvio di questo viaggio di pace particolarmente positivo".


Oltre alla visita al Monte Nebo, da cui Mosè vide la Terra Promessa, tra i grandi eventi del soggiorno nel Paese padre Lombardi ha sottolineato la visita di questo sabato alla moschea nazionale giordana.

Una crisi superata con l'islam

"Si vede che diventa, in un certo senso, sempre più normale, naturale, che il Papa in atteggiamento amichevole entri in un luogo di preghiera dei musulmani - ha commentato -. Questo è un segno del progresso del rapporto positivo tra cristiani e musulmani nel corso di questi anni".

In questo senso, padre Lombardi afferma che già da tempo era stata superata la crisi nelle relazioni con l'islam seguita al discorso pronunciato dal Papa nel 2006 a Ratisbona.

"Come sappiamo, quando c'è un malinteso che tocca profondamente, ci vuole poi tutta una serie di passi, di tempi, per risanare completamente tutte le conseguenze - ha ammesso -. E quindi, non c'è poi neanche da stupirsi che continuino dei riferimenti a quel momento difficile".

"Abbiamo, però, già più di due anni di esperienze positive, che da quel momento sono cominciate", ricorda. Il principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, cugino e consigliere del re di Giordania, ha evocato Ratisbona nel discorso che ha rivolto al Papa dopo la visita alla moschea, "ma ha detto chiaramente che è un capitolo definitivamente superato e poi ha salutato il Papa come Successore di Pietro, il che in bocca ad un capo autorevole del mondo musulmano è un saluto molto significativo".

Sostegno alla minoranza cattolica

L'altro obiettivo che il Papa si prefiggeva di raggiungere in Giordania era il sostegno all'esigua comunità cristiana (circa il 3% della popolazione) e a quella cattolica in particolare (poco più dell'1,5%).

"Un'altra immagine bella" che il Papa porta nel cuore, ha aggiunto il portavoce, "riguarda il calore della comunità cristiana che accoglie il Papa", come è avvenuto "nella cattedrale dei greco-melkiti, in cui veramente l'entusiasmo dell'accoglienza è stato impressionante".

La Chiesa cattolica nel Paese, sostiene, è "una Chiesa che è viva e ha potuto dimostrarlo qui al Papa, non solo con l'accoglienza e con la cordialità e l'intensità dei momenti di preghiera insieme", ma anche grazie ad "alcune circostanze importanti: al Centro Regina Pacis per i giovani e gli handicappati è stata inaugurata una nuova ala. Nell'Università di Madaba è stata posta la prima pietra ed è un'iniziativa di grandissimo rilievo, non solo per la Giordania, ma per tutto il Medio Oriente, in cui lo sviluppo che potrà avere il contributo che la Chiesa dà alla cultura nel Paese sarà estremamente significativo".

"E poi le due pietre delle due chiese latina e greco-melkita, nella zona del Battesimo di Cristo, significano che anche fisicamente crescono i luoghi in cui la Chiesa si incontra. Certamente, il fatto che il passaggio del Papa sia stato collegato a queste belle circostanze, dice che è una Chiesa che si sente viva, vitale, e che guarda in avanti".

Messaggio di pace a israeliani e palestinesi

Giungendo in Israele e nei Territori palestinesi, ha concluso padre Lombardi, il Papa spera che la visita "possa essere veramente un messaggio di pace, di riconciliazione, di incoraggiamento per le comunità cristiane che si trovano in difficoltà, che un messaggio di speranza, un messaggio di fiducia, un messaggio di amore possa dare un contributo efficace per migliorare la situazione in tutta l'area".
+PetaloNero+
00lunedì 11 maggio 2009 17:29
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XI)


CERIMONIA DI CONGEDO DALLA GIORDANIA ALL’AEROPORTO QUEEN ALIA DI AMMAN



Questa mattina, celebrata la Santa Messa in privato, alle ore 9.15 il Santo Padre Benedetto XVI si congeda dalla Nunziatura Apostolica e si trasferisce in auto all’aeroporto internazionale Queen Alia di Amman dove alle ore 10.00 ha luogo la Cerimonia di congedo dalla Giordania.

Dopo il discorso del Re di Giordania, Sua Maestà Abdallah II Bin Al-Hussein, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Maestà,
Eccellenze,
Cari Amici,

accingendomi alla prossima tappa del mio pellegrinaggio nelle terre della Bibbia, desidero ringraziare tutti voi per la calorosa accoglienza che ho ricevuto in Giordania in questi giorni. Ringrazio Sua Maestà il Re Abdullah II per avermi invitato a visitare il Regno Ascemita, per la sua ospitalità e le sue gentili parole. Esprimo anche il mio apprezzamento per il grande lavoro fatto al fine di rendere possibile la mia visita e di assicurare lo svolgimento ordinato dei vari incontri e delle celebrazioni che hanno avuto luogo. Le pubbliche autorità, assistite da un gran numero di volontari, hanno lavorato a lungo e strenuamente per dirigere le folle e organizzare i diversi eventi. La copertura dei mass-media ha consentito a innumerevoli persone di seguire le celebrazioni, anche se non hanno potuto essere fisicamente presenti. Mentre ringrazio coloro che hanno reso possibile questo, desidero estendere un particolare ringraziamento a tutti coloro che stanno ascoltando la radio o guardando la televisione, specialmente agli ammalati e a coloro che sono costretti a restare in casa.

È stata una particolare gioia per me essere presente all’avvio di numerose importanti iniziative promosse dalla comunità cattolica qui in Giordania. La nuova ala del Centro Regina Pacis aprirà concrete possibilità di recare speranza a coloro che lottano con difficoltà di vario tipo, ed alle loro famiglie. Le due chiese che saranno costruite a Betania renderanno possibile alle rispettive comunità di accogliere pellegrini e promuovere la crescita spirituale di coloro che pregheranno in quel luogo santo. L’Università di Madaba deve offrire un contributo particolarmente importante alla comunità più ampia, formando giovani di varie tradizioni nelle competenze che li abiliteranno a modellare il futuro della società civile. A tutti coloro che sono impegnati in questi progetti porgo i migliori auguri e la promessa delle mie preghiere.

Un giorno particolarmente luminoso tra quelli che sto vivendo è stato quello della mia visita alla Moschea al-Hussein bin-Talal, dove ho avuto il piacere di incontrare i capi religiosi Musulmani assieme ai membri dei Corpi diplomatici e ai Rettori dell’Università. Desidererei incoraggiare tutti i Giordani, sia Cristiani che Musulmani, a costruire sulle solide fondamenta della tolleranza religiosa che rende capaci i membri delle diverse comunità di vivere insieme in pace e mutuo rispetto. Sua Maestà il Re è stato molto attivo nel promuovere il dialogo inter-religioso e desidero rilevare quanto il suo impegno a questo riguardo sia apprezzato. Prendo anche atto con gratitudine della particolare considerazione che egli dimostra verso la comunità cristiana in Giordania. Questo spirito di apertura non solo aiuta i membri delle diverse comunità etniche in questo Paese a vivere insieme in pace e concordia, ma ha anche contribuito alle iniziative politiche lungimiranti della Giordania per costruire la pace in tutto il Medio Oriente.

Cari Amici, come sapete è soprattutto come pellegrino e pastore che sono venuto in Giordania. Di conseguenza, le esperienze di questi giorni che rimarranno più fermamente incise nella mia memoria sono le mie visite ai luoghi santi ed i momenti di preghiera che abbiamo celebrato insieme. Ancora una volta desidero esprimere l’apprezzamento di tutta la Chiesa verso coloro che custodiscono i luoghi di pellegrinaggio in questa terra e desidero anche ringraziare le molte persone che hanno contribuito alla preparazione dei Vespri di Sabato nella Cattedrale di san Giorgio e della Messa di ieri nello Stadio Internazionale. E’ stata veramente una gioia per me sperimentare queste celebrazioni Pasquali con fedeli Cattolici di diverse tradizioni, uniti nella comunione della Chiesa e nella loro testimonianza a Cristo. Li incoraggio tutti insieme a rimanere fedeli al loro impegno battesimale, ricordando che Cristo stesso ha ricevuto il battesimo da Giovanni nelle acque del fiume Giordano.

Nel congedarmi da voi, desidero sappiate che io porto nel mio cuore il popolo del Regno Ascemita e tutti coloro che vivono in questa regione. Prego perché abbiate la gioia della pace e della prosperità, adesso e per le generazioni future. Ancora una volta, grazie. E che Dio vi benedica tutti!


Alle ore 10.30, al termine della cerimonia di congedo, il Papa parte a bordo di un Airbus 321 della Royal Jordanian diretto a Tel Aviv in Israele. L’arrivo all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv è previsto per le ore 11.00 locali (le 10.00 ora di Roma).


PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XII)


CERIMONIA DI BENVENUTO IN ISRAELE ALL’AEROPORTO BEN GURION DI TEL AVIV



L’aereo con a bordo il Santo Padre, proveniente da Amman, arriva a Tel Aviv alle ore 11.00 locali (le 10.00 ora di Roma).

All’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv il Santo Padre Benedetto XVI è accolto dal Presidente dello Stato di Israele, S.E. il Sig. Shimon Peres, e dal Primo Ministro, S.E. il Sig. Benjamin Netanyahu. Sono presenti Autorità politiche e civili e gli Ordinari di Terra Santa.

Dopo la presentazione delle Delegazioni e il discorso del Presidente di Israele, Shimon Peres, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Presidente,
Signor Primo Ministro,
Eccellenze, Signore e Signori,

grazie per la vostra calorosa accoglienza nello Stato di Israele, in questa terra che è considerata santa da milioni di credenti in tutto il mondo. Sono grato al Presidente, il Sig. Shimon Peres, per le sue gentili parole ed apprezzo l’opportunità offertami di compiere questo pellegrinaggio ad una terra resa santa dalle orme di patriarchi e profeti, una terra che i Cristiani tengono in particolare venerazione quale luogo degli eventi della vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Prendo il mio posto in una lunga fila di pellegrini cristiani a questi luoghi, una fila che risale indietro nel tempo fino ai primi secoli della storia cristiana e che, ne sono sicuro, continuerà a prolungarsi nel futuro. Come molti altri prima di me, vengo per pregare nei luoghi santi, a pregare in modo speciale per la pace – pace qui nella Terra Santa e pace in tutto il mondo.

Signor Presidente, la Santa Sede e lo Stato di Israele condividono molti valori, primo fra tutti l’impegno di riservare alla religione il suo legittimo posto nella vita della società. Il giusto ordine delle relazioni sociali presuppone ed esige il rispetto per la libertà e la dignità di ogni essere umano, che Cristiani, Musulmani ed Ebrei credono ugualmente essere creato da un Dio amorevole e destinato alla vita eterna. Quando la dimensione religiosa della persona umana viene negata o posta ai margini, viene messo in pericolo il fondamento stesso di una corretta comprensione dei diritti umani inalienabili.

Tragicamente, il popolo ebraico ha sperimentato le terribili conseguenze di ideologie che negano la fondamentale dignità di ogni persona umana. È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo.

Durante la mia permanenza a Gerusalemme, avrò anche il piacere di incontrare molti distinti leader religiosi di questo paese. Una cosa che le tre grandi religioni monoteistiche hanno in comune è una speciale venerazione per questa Città Santa. È mia fervida speranza che tutti i pellegrini ai luoghi santi abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni, di prendere parte a cerimonie religiose e di promuovere il degno mantenimento degli edifici di culto posti nei sacri spazi. Possano adempiersi le parole della profezia di Isaia, secondo cui molte nazioni affluiranno al monte della Casa del Signore, così che Egli insegni loro le sue vie ed esse possano camminare sui suoi sentieri, sentieri di pace e di giustizia, sentieri che portano alla riconciliazione e all’armonia (cfr Is 2,2-5).

Anche se il nome Gerusalemme significa "città della pace", è del tutto evidente che per decenni la pace ha tragicamente eluso gli abitanti di questa terra santa. Gli occhi del mondo sono sui popoli di questa regione, mentre essi lottano per giungere ad una soluzione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze. Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini per un futuro più sicuro e più stabile dipendono dall’esito dei negoziati di pace fra Israeliani e Palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti. A tale riguardo, spero e prego che si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità.

Ai Vescovi e ai fedeli cattolici oggi qui presenti porgo una speciale parola di saluto. In questa terra dove Pietro ha ricevuto il compito di pascere le pecorelle del Signore, giungo come successore di Pietro per compiere in mezzo a voi il mio ministero. Sarà mia speciale gioia unirmi a voi per concludere le celebrazioni dell’Anno della Famiglia, che si svolgeranno a Nazareth, patria della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Come ho detto nel mio Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, la famiglia è "la prima ed indispensabile maestra di pace" (n. 3), e pertanto ha un ruolo vitale da svolgere nel sanare le divisioni presenti nella società umana ad ogni livello. Alle comunità cristiane della Terra Santa dico: attraverso la vostra fedele testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, attraverso il vostro impegno a difendere la sacralità di ogni vita umana, potrete recare un particolare contributo perché terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra. Prego che la vostra continua presenza in Israele e nei Territori Palestinesi porti molto frutto nel promuovere la pace e il rispetto reciproco fra tutte le genti che vivono nelle terre della Bibbia.

Signor Presidente, Signore e Signori, ancora una volta vi ringrazio per la vostra accoglienza e vi assicuro dei miei sentimenti di buona volontà. Dio dia forza al suo popolo! Dio benedica il suo popolo con la pace!


Al termine, il Santo Padre si trasferisce in elicottero a Jerusalem. L’arrivo all’eliporto di Jerusalem sul Monte Scopus è previsto per le ore 12.15. Qui il Papa è accolto dal Sindaco della Città, Sig. Nir Barkat. Quindi si reca in auto alla Delegazione Apostolica di Jerusalem dove pranza in privato.




Discorso del Papa al Palazzo presidenziale di Gerusalemme


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI nel giardino interno del Palazzo presidenziale di Gerusalemme per la visita di cortesia al Presidente Shimon Peres.

* * *

Signor Presidente,

Eccellenze,

Signore e Signori,

come gentile atto di ospitalità, il Presidente Peres ci ha accolti qui nella sua residenza, offrendo a me la possibilità di salutare tutti voi e di condividere, al tempo stesso, con voi qualche breve considerazione. Signor Presidente, La ringrazio per la cortese accoglienza e per le sue calorose parole di saluto, che di cuore contraccambio. Ringrazio inoltre i musicisti che ci hanno intrattenuto con la loro elegante esecuzione.

Signor Presidente, nel messaggio augurale che Le inviai in occasione del Suo insediamento, avevo di buon grado ricordato la Sua illustre testimonianza nel pubblico servizio contrassegnato da un forte impegno nel perseguire la giustizia e la pace. Oggi desidero assicurare a Lei insieme al Primo Ministro Netanyahu ed il suo Governo appena formato, come pure a tutti gli abitanti dello Stato di Israele, che il mio pellegrinaggio ai Luoghi Santi è un pellegrinaggio di preghiera in favore del dono prezioso dell’unità e della pace per il Medio Oriente e per tutta l’umanità. In verità, ogni giorno prego affinché la pace che nasce dalla giustizia ritorni in Terra Santa e nell’intera regione, portando sicurezza e rinnovata speranza per tutti.

La pace è prima di tutto un dono divino. La pace infatti è la promessa dell’Onnipotente all’intero genere umano e custodisce l’unità. Nel libro del profeta Geremia leggiamo: "Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza" (29,11). Il profeta ci ricorda la promessa dell’Onnipotente che "si lascerà trovare", che "ascolterà", che "ci radunerà insieme". Ma vi è anche una condizione: dobbiamo "cercarlo", e "cercarlo con tutto il cuore" (cfr ibid. 12-14).

Ai leader religiosi oggi presenti vorrei dire che il contributo particolare delle religioni nella ricerca di pace si fonda primariamente sulla ricerca appassionata e concorde di Dio. Nostro è il compito di proclamare e testimoniare che l’Onnipotente è presente e conoscibile anche quando sembra nascosto alla nostra vista, che Egli agisce nel nostro mondo per il nostro bene, e che il futuro della società è contrassegnato dalla speranza quando vibra in armonia con l’ordine divino.

È la presenza dinamica di Dio che raduna insieme i cuori ed assicura l’unità. Di fatto, il fondamento ultimo dell’unità tra le persone sta nella perfetta unicità e universalità di Dio, che ha creato l’uomo e la donna a propria immagine e somiglianza per condurci entro la sua vita divina, così che tutti possano essere una cosa sola.

Pertanto, i leader religiosi devono essere coscienti che qualsiasi divisione o tensione, ogni tendenza all’introversione o al sospetto fra credenti o tra le nostre comunità può facilmente condurre ad una contraddizione che oscura l’unicità dell’Onnipotente, tradisce la nostra unità e contraddice l’Unico che rivela se stesso come "ricco di amore e di fedeltà" (Es 34, 6; Sal 138,2; Sal 85, 11). Cari Amici, Gerusalemme, che da lungo tempo è stata un crocevia di popoli di diversa origine, è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio; di svelare il piano dell’Onnipotente, annunciato ad Abramo, per l’unità della famiglia umana; e di proclamare la vera natura dell’uomo quale cercatore di Dio. Impegniamoci dunque ad assicurare che, mediante l’ammaestramento e la guida delle nostre rispettive comunità, le sosterremo nell’essere fedeli a ciò che veramente sono come credenti, sempre consapevoli dell’infinita bontà di Dio, dell’inviolabile dignità di ogni essere umano e dell’unità dell’intera famiglia umana.

La Sacra Scrittura ci offre anche una sua comprensione della sicurezza. Secondo il linguaggio ebraico, sicurezza – batah – deriva da fiducia e non si riferisce soltanto all’assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza. Nel libro del profeta Isaia leggiamo di un tempo di benedizione divina: "Infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre" (32, 15-17). Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili. Lungi dall’essere semplicemente il prodotto dello sforzo umano, esse sono valori che promanano dalla relazione fondamentale di Dio con l’uomo, e risiedono come patrimonio comune nel cuore di ogni individuo.

Vi è una via soltanto per proteggere e promuovere tali valori: esercitarli! viverli! Nessun individuo, nessuna famiglia, nessuna comunità o nazione è esente dal dovere di vivere nella giustizia e di operare per la pace. Naturalmente, ci si aspetta che i leader civili e politici assicurino una giusta e adeguata sicurezza per il popolo a cui servizio essi sono stati eletti.

Questo obiettivo forma una parte della giusta promozione dei valori comuni all’umanità e pertanto non possono contrastare con l’unità della famiglia umana. I valori e i fini autentici di una società, che sempre tutelano la dignità umana, sono indivisibili, universali e interdipendenti (cfr Discorso alle Nazioni Unite, 18 aprile 2008). Non si possono pertanto realizzare quando cadono preda di interessi particolari o di politiche frammentarie. Il vero interesse di una nazione viene sempre servito mediante il perseguimento della giustizia per tutti.

Gentili Signore e Signori, una sicurezza durevole è questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell’integrità, suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il "Tu" come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella. In tale maniera non diventerà forse la società stessa un "giardino ricolmo di frutti" (cfr Is 32,15), segnato non da blocchi e ostruzioni, ma dalla coesione e dall’armonia? Non può forse divenire una comunità di nobili aspirazioni, dove a tutti di buon grado viene dato accesso all’educazione, alla dimora familiare, alla possibilità d’impiego, una società pronta ad edificare sulle fondamenta durevoli della speranza?

Per concludere, desidero rivolgermi alle comuni famiglie di questa città, di questa terra. Quali genitori vorrebbero mai violenza, insicurezza o divisione per il loro figlio o per la loro figlia? Quale umano obiettivo politico può mai essere servito attraverso conflitti e violenze? Odo il grido di quanti vivono in questo Paese che invocano giustizia, pace, rispetto per la loro dignità, stabile sicurezza, una vita quotidiana libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza. So che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto.

Signor Presidente, La ringrazio per la cortesia dimostratami e La assicuro ancora una volta delle mie preghiere per il Governo e per tutti i cittadini di questo Stato. Possa un’autentica conversione dei cuori di tutti condurre ad un sempre più deciso impegno per la pace e la sicurezza attraverso la giustizia per ciascuno.

Shalom!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]




Benedetto XVI al congedo ad Amman: cristiani e musulmani lavorino per il dialogo e la pace in Medio Oriente


Pace e prosperità: è l’augurio che Benedetto XVI ha rivolto alla Giordania nella cerimonia di congedo, stamani all’aeroporto Queen Alia di Amman. Il Papa ha ricordato i momenti forti della sua visita in terra giordana ed ha rinnovato il suo appello per la tolleranza religiosa. Dal canto suo, re Abdullah II ha ringraziato il Papa per aver onorato la Giordania della sua visita ed ha auspicato che si rafforzi il dialogo tra cristiani e musulmani. Il servizio di Alessandro Gisotti:


“Porto nel mio cuore il popolo” del Regno di Giordania “e tutti coloro che vivono in questa regione. Prego perché abbiate la gioia della pace e della prosperità”: con questo auspicio, Benedetto XVI ha lasciato Amman alla volta di Israele. Nel suo discorso di congedo, il Papa ha ringraziato tutti coloro che, dai sovrani ai volontari, si sono prodigati per il successo della visita. Quindi, ha levato un nuovo appello in favore del dialogo e della tolleranza:


“I would like to encourage all Jordanians…”
“Desidererei incoraggiare tutti i Giordani - ha detto - sia Cristiani che Musulmani, a costruire sulle solide fondamenta della tolleranza religiosa che rende capaci i membri delle diverse comunità di vivere insieme in pace e mutuo rispetto”. Il Papa ha lodato il Re Abdullah II per il suo impegno “nel promuovere il dialogo inter-religioso”. Ed ha preso atto “con gratitudine della particolare considerazione” che dimostra verso la comunità cristiana in Giordania. “Questo spirito di apertura – ha ribadito Benedetto XVI - non solo aiuta i membri delle diverse comunità etniche in questo Paese a vivere insieme in pace e concordia, ma ha anche contribuito alle iniziative politiche lungimiranti della Giordania per costruire la pace in tutto il Medio Oriente”. Ha così ripercorso idealmente le tappe principali della sua visita in Giordania:


“One of the highlights of these days…”
“Un giorno particolarmente luminoso tra quelli che sto vivendo – ha affermato - è stato quello della mia visita alla Moschea al-Hussein bin-Talal, dove ho avuto il piacere di incontrare i capi religiosi musulmani”. Ed ha espresso “particolare gioia” per essere stato presente "all’avvio di numerose importanti iniziative promosse dalla comunità cattolica" in Giordania. Ha citato la nuova ala del Centro Regina Pacis, che “aprirà concrete possibilità di recare speranza a coloro che lottano con difficoltà di vario tipo, ed alle loro famiglie”. Ancora, le due chiese che saranno costruite a Betania e che, ha rilevato, “renderanno possibile alle rispettive comunità di accogliere pellegrini e promuovere la crescita spirituale di coloro che pregheranno in quel luogo santo”. Infine, il Pontefice ha parlato dell’Università di Madaba chiamata ad “offrire un contributo particolarmente importante alla comunità più ampia, formando giovani di varie tradizioni nelle competenze che li abiliteranno a modellare il futuro della società civile”. Il Papa è poi ritornato sul significato profondo di questo viaggio apostolico:


“Dear friends: as you know, it is principally as a pilgrim…”
“Cari amici – ha spiegato - come sapete è soprattutto come pellegrino e pastore che sono venuto in Giordania”. Per questo, ha confidato, “le esperienze di questi giorni che rimarranno più fermamente incise nella mia memoria sono le mie visite ai luoghi santi ed i momenti di preghiera che abbiamo celebrato insieme”. E qui ha espresso l’apprezzamento di tutta la Chiesa verso coloro che custodiscono i luoghi di pellegrinaggio ringraziando le molte persone che hanno contribuito alla preparazione dei Vespri di Sabato nella Cattedrale di san Giorgio e della Messa domenicale nello Stadio Internazionale di Amman:


“It was truly a joy for me to experience…”“E’ stata veramente una gioia per me sperimentare queste celebrazioni Pasquali con fedeli Cattolici di diverse tradizioni, uniti nella comunione della Chiesa e nella loro testimonianza a Cristo”, ha detto. Quindi, ha incoraggiato i cristiani giordani a rimanere fedeli, tutti insieme, al loro impegno battesimale, ricordando che Cristo stesso ha ricevuto il battesimo da Giovanni nelle acque del fiume Giordano. Dal canto suo, il re Abdullah II ha sottolineato l’importanza della visita del Papa:


“It is vital that we continue the dialogue of respect that we have begun …”“E’ di vitale importanza – ha affermato il sovrano - che continuiamo il dialogo di rispetto che noi abbiamo intrapreso”, ribadendo l’impegno “ad ogni livello per diffondere la comprensione, in particolare tra i giovani”. E’ importante, ha concluso, che noi credenti “condividiamo le ricchezze morali delle nostre fedi, affinché possiamo incontrarci per sanare le divisioni e per creare un mondo migliore per tutti”.





Benedetto XVI in Israele: vengo per pregare per la pace in Terra Santa e in tutto il mondo. Mai più crimini come la Shoah


Una preghiera accorata per la pace in Terra Santa e nel mondo, la durissima condanna della Shoah e una vera e propria supplica per il raggiungimento di una soluzione giusta al conflitto israelo-palestinese: così Benedetto XVI si è presentato in Israele durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Ben Gurion a Tel Aviv. Il Papa è stato accolto dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Benjamin Netanyahu. Linea al nostro inviato Roberto Piermarini:

“I come, to pray at the holy places to pray…”
“Vengo per pregare nei luoghi santi, a pregare in modo speciale per la pace – pace qui nella Terra Santa e pace in tutto il mondo”.


Nel suo primo discorso in Israele, Benedetto XVI ha voluto ribadire lo scopo del suo pellegrinaggio e non ha mancato di lanciare un accorato appello per rilanciare il negoziato di pace tra israeliani e palestinesi:

“In union with people of good everywhere...”
“In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico – ha detto il Papa – quanti sono investiti di responsabilità, ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti”.

In questo momento in cui il processo di pace nella regione si sta sgretolando tra rivendicazioni ed estremismi, Benedetto XVI ha detto di sperare e pregare affinché “si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità”.


Parlando al presidente Peres il Papa non ha mancato di annunciare che in questa visita onorerà la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah e pregherà “affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità”. Inoltre ha condannato con forza il risorgere dell’antisemitismo che va combattuto dovunque si trovi, promuovendo il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo. Riferendosi alla città di Gerusalemme, il Papa ha espresso la speranza che in questa Città Santa “tutti i pellegrini ai luoghi santi delle tre grandi religioni monoteiste, abbiamo la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni per prendere parte a cerimonie religiose”. Accesso che spesso le autorità israeliane limitano per motivi di sicurezza.


Infine un pensiero alla piccola Chiesa locale che è una minoranza e che è chiamata attraverso la testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, a difendere la sacralità della vita ed a recare un “particolare contributo perché terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra":


“I pray that your continuing presence in Israel...”
“Prego che la vostra continua presenza in Israele e nei Territori Palestinesi – ha concluso Benedetto XVI - porti molto frutto nel promuovere la pace ed il rispetto reciproco fra tutte le genti che vivono nelle terre della Bibbia”.

Ad accogliere il Papa in Israele, oltre al presidente Peres e al premier Netanyahu, anche tutti i presuli di Terra Santa. Il presidente Peres nel suo discorso ha parlato di “importante missione di pace” del Papa, ha incoraggiato il dialogo ebraico-cristiano, ha sottolineato la convivenza in Israele di diversi popoli che pregano lo stesso Dio ed ha annunciato che dopo la pace con Egitto e Giordania, Israele è impegnata in negoziati di pace con i palestinesi. I giornali scrivono che Benedetto XVI viene in Israele per una visita storica come uomo di pace. Il “Jerusalem Post” parla di visita “epocale” e da più parti si sottolinea che il caso Williamson è superato. Singolare un titolo sul quotiano “Haaretz” che parla di “Mission possible”, missione possibile, la missione di pace che fa da sfondo a questo pellegrinaggio papale.





L'incontro con Shimon Peres. Il Papa: una sicurezza durevole è questione di fiducia alimentata nella giustizia


“Ogni giorno prego affinché la pace che nasce dalla giustizia ritorni in Terra Santa e nell’intera regione, portando sicurezza e rinnovata speranza per tutti”: così Benedetto XVI durante la visita di cortesia oggi pomeriggio al presidente israeliano Shimon Peres, nella sua residenza a Gerusalemme. “Cari Amici – ha detto il Pontefice - Gerusalemme, che da lungo tempo è stata un crocevia di popoli di diversa origine, è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio”. Poi ha aggiunto: “il vero interesse di una nazione viene sempre servito mediante il perseguimento della giustizia per tutti… una sicurezza durevole è questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell’integrità, suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il ‘Tu’ come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella. In tale maniera non diventerà forse la società stessa un “giardino ricolmo di frutti” (cfr Is 32,15), segnato non da blocchi e ostruzioni, ma dalla coesione e dall’armonia?”. E infine ha concluso: “So che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto”.




Il rabbino Di Segni: importanti le parole del Papa contro l'antisemitismo


Sui primi momenti del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Israele e, in particolare sulle parole del Papa all’arrivo a Tel Aviv, Fabio Colagrande ha raccolto il commento del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni:

R. – Io ho seguito la cerimonia di arrivo, e devo dire che ho l’impressione che si sia svolto tutto molto bene, che sia cominciata bene, con espressioni di rispetto reciproco, sincere e positive.


D. – “Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo; questo è totalmente inaccettabile, ogni sforzo dev’essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi”. Il Papa aveva già espresso questo concetto altre volte, magari con parole diverse; che impressione le ha fatto ascoltarle, oggi, proprio per la prima volta che Benedetto XVI arriva nello Stato d’Israele?


R. – E’ importante che questi concetti – che peraltro sappiamo ben condivisi e non formali da parte di questo Papa – siano riaffermati; certamente, nel pensiero di questo Papa, la parola antisemitismo non significa soltanto ostilità razzistica antiebraica, ma l’ostilità profonda – anche teologica -. Questo Papa si è adoperato contro l’ostilità antigiudaica teologica, e quindi che lo dica adesso, in terra d’Israele, è una cosa ulteriormente importante.


D. – Quanto, secondo lei, rabbino Di Segni, questo viaggio del Papa potrà rinsaldare ancora di più i rapporti fra le due religioni?


R. - Io credo sia una tappa necessaria e indispensabile, e per questo l’auspicio è appunto che tutto vada bene, perché queste presenze, chiaramente più di ogni altra dichiarazione o documento o cerimonia, sono dati reali che fanno impressione sul grande pubblico e che per questo hanno un impatto positivo.


D. – Si parla ancora su alcuni giornali degli effetti che ha avuto il caso Williamson. Adesso che il Papa è in Israele quel caso secondo lei si può considerare chiuso, anche dopo le parole pronunciate dal Pontefice nei mesi scorsi?


R. – Io credo che il caso sia chiuso da un pezzo, nel senso che una volta che è stata chiarita la dimensione della cosa e che il Papa stesso con un gesto inconsueto ha chiesto praticamente scusa per quello che era successo, mi pare che non ci debbano essere assolutamente equivoci.



Mons. Sayegh: un pellegrinaggio che dà alla minoranza cristiana una nuova speranza


Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa, ascoltiamo mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania, al microfono di Pietro Cocco:

R. – E’ stata, prima di tutto, una benedizione del Signore per tutto il Paese, per tutti gli abitanti cristiani e musulmani, che ci dà questa forza, questa speranza di continuare veramente a sperare e a vivere insieme come fratelli e sorelle. L’incontro nella Moschea con il principe Ghazi e con la comunità musulmana ha mostrato che la fratellanza è viva in Giordania e speriamo che continui a crescere come una sola famiglia continui, perché la gente sia veramente sempre in pace, guardando al futuro.


D. – Che comunità cristiana ha incontrato il Papa?


R. – Penso che il Santo Padre abbia scoperto che i cristiani di Giordania sono una comunità, una Chiesa che cresce, che guarda verso il futuro con speranza, e nel benedire le pietre di tre o quattro Chiese, due nel Sito del Battesimo, vuol dire che è una Chiesa che guarda verso il futuro, che non ha paura di niente, che programma per il futuro, mette in pratica questa fratellanza tra musulmani e cristiani nel vivere insieme, nel rispettarsi gli uni gli altri, nel costruire la Chiesa e costruire la patria. E’ una cosa veramente necessaria per tutto il Paese, per tutti i musulmani e i cristiani.


D. – Benedetto XVI ha invitato ad avere la gioia spirituale, ma il coraggio anche di costruire ponti tra persone che hanno fedi e culture diverse. E quindi ha invitato ad essere presenti nella società civile...


R. – Nel Centro Regina Pacis il 99 per cento è musulmano, e lì non guardiamo ai musulmani o ai cristiani, guardiamo all’essere umano uscito dalle mani del Signore, che riflette la presenza del Signore, di Dio creatore, che sia musulmano o cristiano. E l’incontro del Re e della Regina con il Santo Padre nella visita del Sito del Battesimo, dove Cristo è stato battezzato, è stata una cosa molto, molto bella che aiuta la convivenza e la fratellanza tra musulmani e cristiani. Il Re e il popolo giordano rispettano i luoghi santi, sia cristiani sia musulmani.


D. – La celebrazione dei Vespri nella chiesa greco-melkita e la grande Messa, il grande abbraccio della comunità cristiana nello stadio di Amman domenica, sono stati anche di grande incoraggiamento per la comunità cristiana...


R. – La Messa allo stadio è stata una bella testimonianza: tutta la Chiesa, il successore di San Pietro, il rappresentante di Gesù Cristo, il pastore di tutto il popolo di Dio, tutti a pregare insieme. Il raduno nella Chiesa melkita era per la vita consacrata: tutti i religiosi e le religiose, ma anche i maestri di catechismo erano presenti ed hanno avuto il messaggio del Santo Padre per il futuro, per penetrare più fortemente nelle anime dei giovani e ben educarle e dare loro davvero un’educazione cristiana.


D. – Il Papa si trova a Gerusalemme, la seconda tappa del suo pellegrinaggio, ha raggiunto Israele. Lei lo raggiungerà lì. Qual è il suo auspicio per questo nuovo momento che sta vivendo il Papa?


R. – Lì certamente tutto il popolo cristiano, sia in Israele, sia in Palestina, e anche tutti i responsabili dei governi in Israele e Palestina, sono sicuro che faranno tutto il possibile per ben ricevere il Santo Padre, perché faccia il suo pellegrinaggio ai luoghi santi per dare una voce che aiuti la gente ad ascoltare la ragione e ad indirizzarsi verso una pace vera, che dà speranza ai giovani, alle generazioni di oggi e del futuro, perché senza pace né Israele né la Palestina possono vivere tranquille. La vera soluzione è una pace giusta, che soddisfi tutti quanti.





Le testimonianze del patriarca caldeo Delly e del patriarca latino di Gerusalemme Twal


Gli appelli lanciati da Benedetto XVI a sostegno dei tanti rifugiati presenti in Giordania sono stati accolti con gioia e gratitudine dai profughi cristiani iracheni. Sean Patrick Lovett al seguito del Papa ha raccolto il commento del patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly:

R. – Sono molto grato al nostro Santo Padre che mi ha detto: “Noi preghiamo per voi sempre, specialmente per l’Iraq, affinché la pace e la tranquillità siano sempre in questo Paese”. Io, a nome di tutti gli iracheni, ed a nome di tutti i cristiani dell’Iraq, ringrazio di cuore il Santo Padre per tutto ciò che sta facendo per l’Oriente. A lui rivolgo a Dio le mie umili preghiere e così tutti i nostri fedeli. In particolar modo, questa visita contribuirà molto per la pace in questi Paesi che da tanti anni sono torturati da tanti drammi.

Durante questo pellegrinaggio in Terra Santa il Papa sta incoraggiando la minoranza cristiana a perseverare nella testimonianza di fede e di amore. Ascoltiamo in proposito il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, sempre al microfono di Sean Patrick Lovett:

R. – Chiediamo sempre la vostra preghiera, la vostra solidarietà. La mia impressione è quella di tutto il popolo di Giordania e, oso dire, dei musulmani e dei cristiani: un’impressione molto, molto positiva. Stando accanto al Santo Padre, lui ha manifestato la sua gioia nel vedere questa comunità cristiana, una minoranza, anche se non abbiamo l’impressione di esserlo. Tutti cantano, tutti sono felici, tutti si sentono a casa, con rispetto ed amore per la nostra identità di arabi, giordani, cristiani. Andiamo avanti e con l’appoggio del Santo Padre, con la preghiera della Chiesa universale, tutto andrà bene. Speriamo che anche nella seconda parte di questo pellegrinaggio le cose andranno bene come qui in Giordania, speriamo bene. Siamo preparati al massimo, con tutta la nostra fragilità: però non perdiamo mai la speranza e la presenza del Santo Padre certamente sarà per noi tutti una benedizione.



Lo statu quo in Terra Santa: intervista con padre Macora


Durante la sua visita in Terra Santa il Papa visiterà alcuni luoghi, come il Santo Sepolcro, regolati dal cosiddetto “statu quo”. Si tratta di un aspetto molto delicato, soprattutto a livello ecumenico. Roberto Piermarini ne ha parlato con padre Atanasio Macora, segretario per la Commissione dello “statu quo” della Custodia di Terra Santa:

R. – Lo “statu quo” in senso stretto riguarda determinati santuari della Terra Santa, tra cui il Santo Sepolcro, la chiesa della Natività a Betlemme, il Santuario dell’Ascensione e la Tomba della Vergine, che sono condivisi da diverse comunità cristiane. Lo “statu quo” regola questa condivisione, nel senso che lo “statu quo” è un decreto che obbliga ciascuna delle diverse comunità a rimanere nel suo stato attuale, e non è consentito ad una comunità di andare oltre il proprio confine. Si tratta di questioni di pulizia, di mantenimento, di proprietà, di uso. Per esempio, per quanto riguarda il tempo liturgico: ogni comunità è obbligata a pregare nel tempo ad essa riservato e a non andare oltre.


D. – Chi regola lo “statu quo” nei Luoghi Santi?


R. – Lo “statu quo” è regolato … nell’anno 1852 dal sultano turco, che obbligava ciascuna comunità a rimanere al proprio posto, e questo veniva a confermare – a sua volta – una situazione precedente che risaliva al 1757. Quindi, lo “statu quo” non è un codice ma è l’imposizione di un cessate-il-fuoco, in cui ciascuno rimane al proprio posto. Ma è importante sottolineare che di per sé non è un codice, non c’è un testo unico al quale ciascuna comunità possa rivolgersi per provare i propri diritti.


D. – Padre Macora, il problema – secondo lei – è lo “statu quo” o la sua interpretazione?


R. – Di per sé, il problema è che non esiste un codice. Cioè, lo “statu quo” è vago, è in se stesso una cosa vaga, perché non è definito. Non abbiamo un codice comune. Per essere più precisi: negli anni Sessanta, le tre comunità maggiori del Santo Sepolcro, cioè i greci-ortodossi, i latini rappresentati dai Francescani e gli armeni, si sono messi d’accordo per fare i restauri. Per fare i restauri della Basilica, hanno dovuto stilare degli accordi scritti. Questi accordi scritti, a mio parere, prendono il posto dello “statu quo”: ormai, in alcune situazioni, esiste una specie di codice scritto al quale possiamo appellarci, dicendo: questo è nostro perché l’abbiamo aggiustato nel 1962. Quindi, lì lo “statu quo” non presenta alcun problema, c’è chiarezza. Ma lo “statu quo” è un grande problema. Ultimamente, a novembre, c’è stato grande conflitto tra armeni e greci causato da una interpretazione: ecco, queste parti vaghe creano difficoltà.


D. – La difficile questione di Gerusalemme, che sembra quasi inestricabile, influisce sullo “statu quo”?


R. – Di per sé, no. Lo “statu quo” in senso stretto, è riferito ai Luoghi Santi. Ciò nonostante, ogni tanto qualcuno usa questa espressione di “statu quo” per indicare che le potenze politiche di oggi rimangono sulle loro posizioni.


D. – Ultima domanda, padre Macora: c’è stato un problema – dovuto alla presenza di Benedetto XVI – qui, per quanto riguarda lo “statu quo”, o è stato superato ogni problema?


R. – Non c’è stato nessun problema: io ho trovato i greci e gli armeni disponibilissimi, al massimo; noi abbiamo dovuto chiedere – per esempio – qualche cortesia, qualche eccezione alle regole dello “statu quo”: ad esempio, i microfoni, perché nella Basilica del Santo Sepolcro è proibito l’uso di altoparlanti, per ovvi motivi. Se tutti ne facessero uso, non si riuscirebbe più a pregare. Però, in via eccezionale, possiamo usarli con il consenso delle altre due comunità che hanno acconsentito all’uso degli altoparlanti. Sono stati veramente bravi e io sono loro riconoscente.




La visita al Memoriale dell'Olocausto: intervista con una storica dello Yad Vashem


Benedetto XVI nel pomeriggio visiterà lo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto. Nella Sala della Rimembranza incontrerà sei sopravvissuti e terrà il suo discorso. Ma con quale spirito lo Yad Vashem accoglie il Papa? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Iael Nidam Orvieto, storica dell'Istituto internazionale per la ricerca del Memoriale dell'Olocausto:

R. – Con uno spirito molto positivo e con uno spirito di benvenuto. Questa visita è estremamente importante per entrambe le parti ed il Papa rappresenta un leader spirituale molto importante nel mondo. Quindi, questa visita ha un’importanza simbolica, spirituale e non solo.


D. – Qual è la particolarità di questa visita?


R. – Dal punto di vista organizzativo, proprio perché ci rendiamo conto che si tratta di un leader spirituale molto importante, abbiamo scelto dall’inizio una modalità esattamente uguale alla visita di Giovanni Paolo II. E' divisa in due parti: una parte, diciamo, cerimoniale, che vuole dare un tributo e mantenere la memoria delle vittime della Shoah; e una seconda parte durante la quale ci sono dei discorsi – appunto il discorso del Papa – ed anche questa è unica perché la visita di Giovanni Paolo II e la visita del Papa attuale sono e resteranno le uniche occasioni durante le quali, nella Tenda della Rimembranza, si sono fatti dei discorsi.


D. – Cosa significa “Yad Vashem” e cosa rappresenta questo Memoriale per il popolo di Israele?


R. – Yad Vashem significa “il monumento e la memoria”. Rappresenta il luogo, possiamo dire simbolico – molti lo vedono anche come la tomba simbolica – dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti e dai loro collaboratori. Dobbiamo ricordarci che la maggior parte delle vittime non ha una tomba e proprio nel luogo dove avverrà la cerimonia, la Tenda della Rimembranza, sono seppelliti sei calici pieni di ceneri che sono state raccolte nei sei campi di sterminio nel ’45; nel ’46 poi, sono stati portati qui in Israele e sono stati seppelliti in maniera temporanea fino all’apertura della Tenda della Rimembranza. Da quando la tenda della rimembranza è stata costruita, quella è diventata veramente la tomba simbolica dei sei milioni di vittime. Proprio per questo, scegliamo quel luogo come luogo più adatto per questo tipo di cerimonie.




I cristiani d'Israele, in attesa del Papa
Preparano la Messa che verrà celebrata martedì nel Getsemani

di Chiara Santomiero


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- “Stiamo aspettando il Papa come dei figli aspettano il padre”: riassume così Eli Hajjar, il senso della grande attesa dei cristiani di Terra Santa per la visita di Benedetto XVI da poco arrivato all’aereoporto di Tel Aviv.

Eli abita a Gerusalemme, ha 21 anni e frequenta l’Università di Betlemme. Il suo gruppo parrocchiale – una ventina tra ragazzi e ragazze – è impegnato nel catechismo per i bambini e in attività sociali a favore degli anziani soli.

In questi giorni molti di essi sono occupati nella preparazione all’accoglienza del Santo padre che domani celebrerà la Messa nel Getsemani.

“Stiamo decorando le strade attraverso le quali passerà il Papa – spiega Eli – ed alcuni partecipano alle prove del coro che animerà la liturgia. Altri provvederanno alle Letture e alla raccolta delle offerte mentre gli scout si occuperanno di suonare gli strumenti musicali e del servizio d’ordine. Tutti stiamo pregando perché il Papa abbia un viaggio tranquillo”.

“Oggi i cristiani, e specialmente noi cattolici – racconta Eli – viviamo la grande speranza che il Papa porti di nuovo pace nelle nostre vite. Anche ebrei e musulmani, da parte loro, attendono di conoscere chi è questo grande uomo, chi è il successore di Pietro”.

Un’attesa ancora più speciale per i giovani, per molti dei quali – bambini durante la visita di Giovanni Paolo II nel 2000 – è la prima occasione di incontrare un Pontefice.

Se ne avessero l’opportunità, cosa chiederebbero a Benedetto XVI? “Di non lasciarci soli. Sapere che il Papa ci è accanto, ci dà la speranza necessaria per portare avanti la nostra croce. Per piacere Santità, non smetta di avere attenzione per noi, di fare qualcosa: abbiamo bisogno di pace”.

Betlemme

Un’attesa ancora maggiore, se possibile, si vive in queste ore per la Santa Messa che il Papa celebrerà il 13 maggio nella Piazza della Mangiatoia di Betlemme. Vincenzo Bellomo, laico fidei donum della diocesi di Mazara del Vallo, è qui da tre anni come responsabile dei progetti di aiuto sociale della Custodia di Terra Santa nel territorio di Betlemme.

“La visita a Betlemme – spiega – è la visita a un territorio chiuso e circondato, da cui si può uscire solo con i permessi. E’ un po’ come fare visita a dei carcerati, sebbene si tratti di un luogo molto speciale”.

“C’è un’attesa molto bella – racconta Bellomo – con un grande entusiasmo e una grande fiducia in questo Papa, che riesce a venire in Terra Santa all’inizio del suo pontificato. Si aspettano da lui parole di verità molto forti su Gaza e sulla situazione dei cristiani qui”.

Attualmente nel territorio di Betlemme vivono circa 15 mila cristiani, di cui 6 mila latini cioè cattolici: “I problemi economici sono rilevanti – spiega Bellomo – perché Betlemme è sempre stata satellite di Gerusalemme dal punto di vista lavorativo; questa trafila dei permessi per potervisi recare è talmente complessa, che anche chi non ha perso il lavoro in seguito alla seconda Intifada, vi ha rinunciato, con gravi ripercussioni per la situazione delle famiglie”.

Negli ultimi tempi, però, si manifesta qualche segnale di ripresa: “i pellegrinaggi sono ricominciati e si sono riavviate, di conseguenza, le attività legate all’accoglienza dei pellegrini e all’artigianato del legno di olivo, che sono le uniche risorse del territorio”.

Bellomo spera che la grande attesa dei palestinesi, anche dei non cristiani, per la visita del Santo Padre non venga delusa dai pochi posti disponibili per partecipare alle celebrazioni: “la piazza della Mangiatoia – spiega – non può accogliere più di 5 mila persone, cioè un terzo dei cristiani, senza tener conto dei musulmani e degli ebrei che pure avrebbero voluto essere presenti”.

“Alla messa di Gerusalemme, inoltre, molti posti sono stati riservati alle delegazioni straniere ma queste, a differenza dei palestinesi, possono incontrare il Papa in altre occasioni”, aggiunge.

Un ringraziamento particolare Bellomo vuole indirizzarlo a Benedetto XVI “per il suo coraggio nell’intraprendere questa visita in un momento in cui, per molti versi, sembrava sconsigliabile”.

Nazaret

L’ultima grande celebrazione eucaristica del Papa in Terra Santa sarà a Nazaret, il 14 maggio, sul Monte del Precipizio. Qui lo attenderanno i fedeli dell’Alta Galilea; padre Renato Rosso, appartenente all’ordine dei carmelitani scalzi, si sta occupando di organizzare i pullman per i fedeli della parrocchia di S. Joseph, l’unica parrocchia latina di Haifa.

Anche ad Haifa l’attesa è grande “per la visita del Papa vissuta come gesto di vicinanza e comunione ecclesiale”.

Padre Rosso è responsabile del gruppo giovani di Azione cattolica della parrocchia, frequentato da un centinaio di ragazzi e ragazze: “Per la maggior parte di loro è la prima occasione, non solo di incontrare il Papa, ma anche di entrare in contatto con altri cristiani di varie parti del mondo”.

“Come chiesa minoritaria nel contesto della Terra Santa – aggiunge – sentiamo molto il legame con la chiesa universale e anche con l’Azione cattolica: i giovani di Haifa ricordano con molta simpatia il pellegrinaggio dei giovani di Ac di tutto il mondo arrivati qui lo scorso anno”.

Ancora pace nella speranza di tutti: “Anche da parte ebraica e musulmana – conclude padre Rosso - si guarda a questo viaggio come a un segno per riaffermare la volontà di pace e trovare una soluzione per i grandi problemi della comunità palestinese”.





Israele accoglie il Papa come "vero amico" del popolo ebraico
Messaggio del Ministero degli Esteri



GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il Governo israeliano, attraverso un messaggio diffuso dal Ministero degli Esteri, ha dato il benvenuto al Papa definendolo "un vero amico dello Stato di Israele e del popolo ebraico".

Questa visita, sottolinea il comunicato, "segnerà un passo importante nello sviluppo delle relazioni tra il Vaticano e Israele", oltre a rappresentare "un enorme contributo per rafforzare il dialogo tra il cristianesimo, l'ebraismo e l'islam, come parte dello sforzo per raggiungere la pace nella regione".

In questo senso il testo, in linea con le parole pronunciate dal Papa sulla libertà religiosa nel suo discorso appena giunto all'aeroporto di Tel Aviv, afferma che Israele "è impegnato a garantire la completa libertà di culto per tutti, e a salvaguardare il libero accesso a tutti i luoghi santi".

Le autorità israeliane invitano inoltre i cristiani di tutto il mondo a "imitare l'esempio del Papa" e a recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa, per "un'esperienza spirituale unica": "Israele comprende l'importanza di queste visite, e farà tutto il possibile per favorirle".

"Il pellegrinaggio in Israele costituisce un ponte di pace tra i popoli e le religioni", aggiunge il comunicato. "Israele esorta i cristiani di tutto il mondo a sostenere il messaggio della visita del Papa e a seguire il suo esempio sperimentando in prima persona un pellegrinaggio in Terra Santa".

Il pellegrinaggio, insiste, "ha il valore aggiunto di unire persone di credo diversi, grazie al loro sfondo comune a livello storico e culturale. E' questa la chiave per iniziare un dialogo di pace tra credenti di religioni e credo differenti". In particolare, il Ministero propone come mete Gerusalemme e Nazareth.

Il messaggio completo è consultabile sulla pagina del Ministero: www.mfa.gov.il/MFA




Pioniere del dialogo analizza la visita papale in Israele
Baruch Tenembaum auspica un'approfondimento delle relazioni ebraico-cattoliche



GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Baruch Tenembaum, fondatore della Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg, spera che la visita iniziata questo lunedì da Benedetto XVI serva ad approfondire il dialogo tra cattolici ed ebrei.

In alcune dichiarazioni a ZENIT, questo pioniere del dialogo interreligioso dai tempi di Paolo VI, negli anni Sessanta, ha parlato di un'opportunità storica per intavolare “un dialogo profondo con coloro che si preoccupano davvero di consolidare il vincolo di fratellanza che unisce queste due grandi religioni”.

In occasione della visita del Santo Padre, la Fondazione Wallenberg ha rivolto un appello mondiale per ottenere testimonianze sui cattolici che salvarono gli ebrei dalla persecuzione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale (www.raoulwallenberg.net).

“Il livello di risposta è sorprendentemente alto”, informa Tenembaum. “Stiamo ricevendo decine di risposte al nostro appello, e le nostre équipes di ricercatori le stanno valutando”.

“In Israele vivono ancora molti sopravvissuti all'Olocausto, che devono la propria vita a salvatori cattolici... sarebbe un'eccellente opportunità perché il Sommo Pontefice conosca personalmente alcuni di loro”, ha aggiunto.

Uno degli attuali Ministri del Governo israeliano, Yossi Peled, è un sopravvissuto all'Olocausto. E' stato salvato in Belgio, insieme alle sue sorelle, da una famiglia cattolica.

Il fondatore della Fondazione Wallenberg ha sottolineato che “la creazione dello Stato di Israele si deve in gran parte ad Angelo Roncalli (in seguito noto come Papa Giovanni XXIII), che ha voluto intercedere presso Papa Pio XII perché non ponesse ostacoli alla votazione a favore della creazione dello Stato ebraico”.

“Angelo Roncalli, come Nunzio Apostolico a Istanbul, salvò la vita a migliaia di ebrei. La nostra Fondazione ha creato un comitato speciale per promuovere il suo riconoscimento come salvatore e preparare programmi educativi per sottolineare la sua eredità”.

Tenembaum ha anche ricordato l'importanza del dialogo autentico tra i rappresentanti delle due religioni, esortando il Vaticano ad aprire i suoi archivi e chiedendo lo stesso ad alcune istituzioni ebraiche, come lo Yad Vashem di Gerusalemme, per permettere agli storici di approfondire le loro ricerche.

A suo avviso, un dialogo fruttuoso tra la Chiesa cattolica e i leader spirituali dell'ebraismo deve abbracciare anche i grandi rabbini, come il rabbino Meir Lau (sopravvissuto all'Olocausto) e il rabbino Sha´ar Yshuv di Haifa.

“In passato, sono state commesse grandi ingiustizie, come l'espulsione degli ebrei dalla Spagna, ed è necessario approfondire questi temi – propone –. E' anche importante che quanti devono chiedere perdono lo facciano, anche se le loro vittime non sono più tra noi per perdonarli”.

“Dall'altro lato – sottolinea Tenembaum –, il popolo ebraico deve manifestare la sua eterna gratitudine per quei cattolici, uomini e donne, che rischiarono la vita per salvare i loro fratelli perseguitati dal mostro nazista”.





Concerto per la Riconciliazione a Gerusalemme
Iniziativa di Sat2000, in occasione della visita del Papa



ROMA, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il 13 maggio, in occasione della visita del Santo Padre in Terra Santa, avrà luogo a Gerusalemme un grande evento internazionale di musica e danza per favorire l'unità e la pace tra i popoli: il Concerto per la Riconciliazione.

Il concerto, patrocinato dal Comune di Roma, è stato organizzato da Sat2000, l'emittente satellitare dei Vescovi italiani. L'evento avrà come scenario l'anfiteatro romano di Bet She'an, che potrà ospitare oltre 7000 persone.

Lo spettacolo, di 120 minuti circa, vedrà sul palco musicisti e cantanti che si alterneranno alla suggestive coreografie dello spettacolo di teatro-danza Beresheet-In principio di Angelica Calo' Livne'. Ad accompagnare gli artisti il coro dell'istituto Magnificat, composto da 20 bambine ebree, cristiane e musulmane, i Gregorian e la Simphonet Raanana Orchestra.

Tra gli artisti italiani saranno presenti: Lucio Dalla, Alessandro Safina, Francesco D’Orazio e gli ItalianQuintet.

Il Presidente israeliano, Shimon Peres, sarà presente per salutare questo evento eccezionale a cui presenzieranno autorità italiane e giordane.

Verranno inoltre proiettati i videomessaggi registrati di Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma, del Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e dell'Imam della moschea di Roma, Al Ghobaishi.

Sat2000 - presente sul satellite, in chiaro, al canale 801 di Sky e sul digitale terrestre - trasmetterà il concerto mercoledì, 13 maggio, alle ore 21:30.






www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=831&sett...

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=830&sett...
+PetaloNero+
00lunedì 11 maggio 2009 20:04
Discorso di Benedetto XVI al Memoriale di "Yad Vashem"

GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI durante la sua visita al Memoriale di "Yad Vashem", monumento alla Memoria dell’Olocausto a Gerusalemme.

* * *

"Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato" (Is 56,5).

Questo passo tratto dal Libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: yad – "memoriale"; shem – "nome". Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente.

Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano.

La Sacra Scrittura ci insegna l’importanza dei nomi quando viene affidata a qualcuno una missione unica o un dono speciale. Dio ha chiamato Abram "Abraham" perché doveva diventare il "padre di molti popoli" (Gn 17,5). Giacobbe fu chiamato "Israele" perché aveva "combattuto con Dio e con gli uomini ed aveva vinto" (cfr Gn 32,29). I nomi custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham.

Come avvenne per Abraham, anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta fra il bene e il male, mentre lottavano per discernere i disegni dell’Onnipotente. Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!

La Chiesa Cattolica, impegnata negli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione – le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro speranza di giustizia. Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ribadisco – come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr Sal 85,9).

Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Sal 9,9).

Fissando lo sguardo sui volti riflessi nello specchio d’acqua che si stende silenzioso all’interno di questo memoriale, non si può fare a meno di ricordare come ciascuno di loro rechi un nome. Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che ne sarà di lui o di lei? Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati ad un così lacrimevole destino!

Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente. Nel professare la nostra incrollabile fiducia in Dio, diamo voce a quel grido con le parole del Libro delle Lamentazioni, così cariche di significato sia per gli ebrei che per i cristiani:

"Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie;
Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà;
«Mia parte è il Signore – io esclamo –, per questo in lui spero».
Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore" (3,22-26).

Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





Discorso del Papa al "Notre Dame of Jerusalem Center"


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI nell’Auditorium del "Notre Dame of Jerusalem Center", dove si è incontrato con i rappresentanti di alcune Organizzazioni per il dialogo interreligioso.

* * *

Cari Fratelli Vescovi,

Distinti Capi Religiosi,

Cari Amici,

è motivo di grande gioia per me incontrarvi questa sera. Desidero ringraziare Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le sue gentili parole di benvenuto espresse a nome di tutti i presenti. Ricambio i calorosi sentimenti espressi e cordialmente saluto tutti voi e i membri dei gruppi ed organizzazioni che rappresentate.

" Il Signore disse ad Abramo, ‘ Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò’... Allora Abramo partì...e prese la moglie Saràh" con sé (Gn 12,1-5). L’irruzione della chiamata di Dio, che segna gli inizi della storia delle tradizioni della nostra fede, venne udita nel mezzo dell’ordinaria esistenza quotidiana dell’uomo. E la storia che ne conseguì fu plasmata, non nell’isolamento, ma attraverso l’incontro con la cultura Egiziana, Hittita, Sumera, Babilonese, Persiana e Greca.

La fede è sempre vissuta in una cultura. La storia della religione ci mostra che una comunità di credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio, prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola. Questa stessa dinamica si riscontra in singoli credenti delle tre grandi tradizioni monoteistiche: in sintonia con la voce di Dio, come Abramo, rispondiamo alla sua chiamata e partiamo cercando il compimento delle sue promesse, sforzandoci di obbedire alla sua volontà, tracciando un percorso nella nostra particolare cultura.

Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo, l’incontro di religioni con la cultura si realizza non semplicemente su un piano geografico. Certi aspetti della globalizzazione ed in particolare il mondo dell’internet hanno creato una vasta cultura virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è stato realizzato per creare un senso di vicinanza e di unità all'interno dell’universale famiglia umana. Tuttavia, allo stesso tempo, l'uso illimitato di portali attraverso i quali le persone hanno facile accesso a indiscriminate fonti di informazioni può divenire facilmente uno strumento di crescente frammentazione: l’unità della conoscenza viene frantumata e le complesse abilità di critica, discernimento e discriminazione apprese dalle tradizioni accademiche ed etiche sono a volte aggirate o trascurate.

La domanda che poi sorge naturalmente è quale contributo porti la religione alle culture del mondo che contrasti la ricaduta di una così rapida globalizzazione. Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune.

Il primo passo di Abramo nella fede, e i nostri passi verso o dalla sinagoga, la chiesa, la moschea o il tempio, percorrono il sentiero della nostra singola storia umana, spianando la strada, potremmo dire, verso l’eterna Gerusalemme (cfr Ap 21,23). Similmente ogni cultura con la sua specifica capacità di dare e ricevere dà espressione all'unica umana natura. Tuttavia, ciò che è proprio dell’individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra. E’ invece la partecipata convinzione che queste realtà trascendenti hanno la loro fonte nell’Onnipotente e ne portano tracce – quell’Onnipotente che i credenti innalzano l’uno di fronte all’altro, alle nostre organizzazioni, alla nostra società e al nostro mondo. In questo modo, non solo noi possiamo arricchire la cultura ma anche plasmarla: vite di religiosa fedeltà echeggiano l’irrompente presenza di Dio e formano così una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo ma fondamentalmente plasmate dai principi e dalle azioni che provengono dalla fede.

La fede religiosa presuppone la verità. Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un criterio di giudizio e di discernimento che è divino nella sua origine e destinato a tutta l’umanità, allora non possiamo stancarci di portare tale conoscenza ad influire sulla vita civile. La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società. Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica, e permea la ragione con la forza di andare oltre i suoi limiti per dare espressione alle nostre più profonde aspirazioni comuni. Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito e apre la strada alla pace. Promuovendo la volontà di essere obbedienti alla verità, di fatto, allarga il nostro concetto di ragione e il suo ambito di applicazione e rende possibile il dialogo genuino delle culture e delle religioni di cui c’è oggi particolarmente bisogno.

Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel "vuoto" non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca. Possiamo noi allora creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio, in cui la sua verità può essere scoperta all’interno dell’universalità della ragione, in cui ogni individuo, senza distinzione di luogo dove abita, o di gruppo etnico, o di tinta politica, o di credenza religiosa, può essere rispettato come persona, come un essere umano, un proprio simile? In un’epoca di accesso immediato all’informazione e di tendenze sociali che generano una specie di monocultura, la riflessione profonda che contrasti l’allontanamento della presenza di Dio rafforzerà la ragione, stimolerà il genio creativo, faciliterà la valutazione critica delle consuetudini culturali e sosterrà il valore universale della credenza religiosa.

Cari amici, le istituzioni e i gruppi che voi rappresentate s’impegnano nel dialogo interreligioso e nella promozione di iniziative culturali in un vasto ambito di livelli. Dalle istituzioni accademiche – e qui voglio fare speciale menzione delle eccezionali conquiste dell’Università di Betlemme – ai gruppi di genitori in difficoltà, da iniziative mediante la musica e le arti all’esempio coraggioso di madri e padri ordinari, dai gruppi di dialogo alle organizzazioni caritative, voi quotidianamente dimostrate la vostra convinzione che il nostro dovere davanti a Dio non si esprime soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella cura per la società, per la cultura, per il nostro mondo e per tutti coloro che vivono in questa terra. Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre differenze sono necessariamente causa di divisione e pertanto al più da tollerarsi. Alcuni addirittura sostengono che le nostre voci devono semplicemente essere ridotte al silenzio. Ma noi sappiamo che le nostre differenze non devono mai essere mal rappresentate come un’inevitabile sorgente di frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più in largo, nella società. Al contrario, esse offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio. Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]






Il Papa presenta il dialogo interreligioso come via per la pace
La sicurezza è più che assenza di minacce

di Inma Álvarez


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI è tornato a chiedere la pace in Terra Santa nel suo secondo discorso in Israele, durante la cerimonia offerta questo lunedì pomeriggio dal Presidente Shimon Peres nel Palazzo presidenziale di Gerusalemme, insistitendo in particolare sull'importanza del dialogo interreligioso.

Alla cerimonia, durante la quale il Papa ha piantato simbolicamente un albero nel giardino interno del Palazzo, erano presenti numerose personalità politiche e religiose. Grazie alle telecamere, il mondo ha potuto assistere a momenti spontanei tra il Papa e il leader israeliano.

Il Pontefice ha ricordato che la pace “è prima di tutto un dono divino” che bisogna cercare con tutto il cuore.

“Il contributo particolare delle religioni nella ricerca di pace si fonda primariamente sulla ricerca appassionata e concorde di Dio”, ha detto il Papa ai presenti. “È la presenza dinamica di Dio che raduna insieme i cuori ed assicura l’unità”.

I leader religiosi, ha aggiunto, “devono essere coscienti che qualsiasi divisione o tensione, ogni tendenza all’introversione o al sospetto fra credenti o tra le nostre comunità può facilmente condurre ad una contraddizione che oscura l’unicità dell’Onnipotente, tradisce la nostra unità e contraddice l’Unico che rivela se stesso come 'ricco di amore e di fedeltà'”.

Nel suo discorso, il Vescovo di Roma ha citato le Sacre Scritture per ricordare che in esse la sicurezza “non si riferisce soltanto all’assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza”.

“Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili”, ha aggiunto.

“Vi è una via soltanto per proteggere e promuovere tali valori: esercitarli! viverli! Nessun individuo, nessuna famiglia, nessuna comunità o nazione è esente dal dovere di vivere nella giustizia e di operare per la pace”, ha esclamato.

Il Pontefice ha anche insistito sul fatto che non si raggiungerà la pace se ogni popolo cerca solo i propri interessi, perché “i valori e i fini autentici di una società, che sempre tutelano la dignità umana, sono indivisibili, universali e interdipendenti”.

In questo senso, ha affermato che bisogna “guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il 'Tu' come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella”, assicurando il diritto di tutti “all’educazione, alla dimora familiare, alla possibilità d’impiego”.

“Quali genitori vorrebbero mai violenza, insicurezza o divisione per il loro figlio o per la loro figlia? Quale umano obiettivo politico può mai essere servito attraverso conflitti e violenze?”, ha chiesto.

“Odo il grido di quanti vivono in questo Paese che invocano giustizia, pace, rispetto per la loro dignità, stabile sicurezza, una vita quotidiana libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza”.

Un numero considerevole di uomini, donne e giovani, ha aggiunto, sta “lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto”.

Il Papa ha infine ricordato che la stessa Gerusalemme “è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio”.

“Impegniamoci dunque ad assicurare che, mediante l’ammaestramento e la guida delle nostre rispettive comunità, le sosterremo nell’essere fedeli a ciò che veramente sono come credenti, sempre consapevoli dell’infinita bontà di Dio, dell’inviolabile dignità di ogni essere umano e dell’unità dell’intera famiglia umana”, ha concluso.




Il Papa al Memoriale dell'Olocausto: milioni di ebrei hanno perso la vita ma non i nomi. Le loro sofferenze non siano mai negate, sminuite o dimenticate


Il Papa ha iniziato oggi la seconda parte del suo pellegrinaggio: ha lasciato la Giordania ed è giunto in Israele. A Tel Aviv la cerimonia di benvenuto. Poi l'attesa visita allo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto. Ecco le sue parole nella Sala della Rimembranza: “Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi... Possano i nomi di queste vittime non perire mai! – ha aggiunto il pontefice - Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!”. Quindi ha aggiunto: “Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente”. Poi ha concluso con queste parole: “Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare”.




I credenti di tutte le religioni promuovano ciò che li unisce per annunciare insieme al mondo che Dio esiste: così il Papa nell'incontro interreligioso


“Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune”: così benedetto XVI nell’ultimo impegno della giornata, l’Incontro con le Organizzazioni per il Dialogo Interreligioso, presso l’Auditorium del “Notre Dame of Jerusalem Centre” di Gerusalemme. “Noi – ha detto il Pontefice - vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra”. Poi ha aggiunto: “non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo…Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca”. E ha così concluso: “Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!”.



[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00lunedì 11 maggio 2009 20:12
PAPA: INCONTRA GENITORI SOLDATO SHALIT

(ASCA-AFP) - Gerusalemme, 11 mag - Papa Benedetto XVI ha incontrato i genitori di Gilad Shalit, il soldato israeliano prigioniero di Hamas dall'estate del 2006.

Noam e Aviva Shalit sono stati accolti dal pontefice alla residenza del presidente israeliano Shimon Peres di Gerusalemme.

''L'ufficio del presidente ha dato grande rilevanza all'incontro tra il Papa e la famiglia Shalit, proprio perche' Benedetto XVI rappresenta il miliardo di credenti cattolici di tutto il mondo'', ha precisato l'ufficio di Peres.

Israele e Hamas hanno avuto mesi di colloqui indiretti, grazie alla mediazione dell'Egitto, sulla questione della liberazione di Shalit in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi.

ghi/sam/bra

+PetaloNero+
00martedì 12 maggio 2009 02:01
Dichiarazione del Direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, a proposito dell'incontro interreligioso presso il Centro Notre Dame di Gerusalemme


L’intervento dello sceicco Tayssir Attamimi non era previsto dagli organizzatori dell’incontro. In un evento dedicato al dialogo, tale intervento è stato una negazione del dialogo. Ci si augura che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni, come egli ha chiaramente affermato in molti discorsi di questo viaggio. Ci si augura anche che il dialogo interreligioso nella Terra Santa non venga compromesso da questo incidente.





Portavoce vaticano: gli attacchi del delegato islamico negano il dialogo
Sull'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi al "Notre Dame of Jerusalem Center"

di Mirko Testa


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Padre Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala Stampa vaticana, ha commentato negativamente l'intervento fuori programma dello sceicco Taysir Al-Tamimi, che questo lunedì sera, durante l'incontro svoltosi presso il "Notre Dame of Jerusalem Center”, ha pronunciato parole d'accusa nei confronti d'Israele.

Dopo il discorso del Pontefice, lo sceicco Al-Tamimi, Presidente del Tribunale Supremo palestinese, scelto come delegato palestinese per il dialogo interreligioso, si è avvicinato al podio pronunciando un discorso in arabo, accolto con proteste degli esponenti ebraici presenti che minacciavano di abbandonare l'aula.

L'esponente islamico ha affermato all'inizio: “do il benvenuto a sua Santità, il Papa, nella città di Gerusalemme, la capitale eterna della Palestina politica, nazionale e spirituale”.

Subito dopo, nonostante i ripetuti interventi del Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, Al-Tamimi ha proseguito dicendo che “da quando Israele ha occupato Gerusalemme, nel 1967, ha trasgredito tutte le leggi religiose e civili, ha distrutto le case, ha occupato le terre e vi ha edificato case per gli israeliani, cacciando via migliaia dei suoi abitanti originari”.

“Israele – ha continuato – ha fatto di Gerusalemme una prigione, vietando ai musulmani e ai cristiani di accedervi e vietando le preghiere nelle sue chiese e moschee”.

“Ha scavato sotto la Moschea di Al-Aqsa con l'intento di distruggerla per edificare la sinagoga al suo posto, rubando da essa anche i monumenti archeologici – ha affermato –. Ha scavato le tombe dei morti. Ha picchiato i credenti che pregavano e ha picchiato anche i monaci nella Chiesa della Risurrezione a Pasqua”.

“Per quanto riguarda la questione di Gaza – ha detto Al-Tamimi –, Israele non ha rispettato i diritti umani: una mancanza di rispetto dei diritti umani come mai era accaduto prima in questo secolo”.

“Santità – ha aggiunto –, vi supplico nel nome dell'Unico Dio, di condannare questi crimini, di far pressione sul Governo israeliano per fermare le offensive contro il popolo palestinese, di liberare le migliaia di detenuti nelle prigioni dell'occupazione, di distruggere il muro di separazione etnica, di rimuovere gli insediamenti e di ridare le terre occupate ai loro legittimi proprietari”.

Al-Tamimi ha quindi chiesto al Santo Padre di intercedere “per arrivare ad una pace giusta che riconosca pieni diritti al popolo palestinese nella sua libertà e indipendenza, e permettere ai rifugiati di far ritorno alle case che sono stati obbligati ad abbandonare, così da ricreare uno Stato libero per il popolo palestinese con Gerusalemme come sua capitale eterna”.

“Gerusalemme – ha concluso – è una parte importantissima della vita di oltre un miliardo e mezzo di musulmani e di oltre due miliardi di cristiani, e tutti loro devono difendere Gerusalemme e la sua identità”.

Il Papa, che non ha potuto ascoltare la traduzione del discorso, è rimasto seduto fino alla fine accennando di tanto in tanto un sorriso imbarazzato, conscio del clima teso suscitato dall'intervento dell'esponente islamico.

“L'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi – ha commentato padre Lombardi – non era previsto dagli organizzatori dell'incontro. In un evento dedicato al dialogo, tale intervento è stato una negazione del dialogo”.

“Ci si augura – ha aggiunto – che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni, come egli ha chiaramente affermato in molti discorsi di questo viaggio”.

“Ci si augura anche che il dialogo interreligioso nella Terra Santa non venga compromesso da questo incidente”, ha poi concluso.

In una dichiarazione, Aviv Shiron, portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, ha detto che “è una vergogna che lo sceicco Taysir Al-Tamimi abbia approfittato di un incontro interreligioso finalizzato a promuovere il dialogo e la comprensione tra cristiani, ebrei e musulmani con l'intento di incitare contro Israele”.

Dura la reazione anche del Ministro incaricato della visita del Papa in Israele, Stas Misezhnikov, secondo il quale “la provocazione dello sceicco offende, in primo luogo e principalmente, Papa Benedetto XVI che è venuto in Terra Santa per promuovere la pace e l'unità tra i popoli della regione e di tutti gli uomini di fede”.

“Israele – ha continuato – condanna le parole di odio pronunciate dallo sceicco, che invece di promuovere la pace e la coesistenza ha scelto di piantare i semi della divisione e dello scontro tra israeliani e palestinesi e tra ebrei, musulmani e cristiani”.

“E' una vergogna che siano stati gli estremisti a rappresentare i palestinesi e i musulmani in questo importante evento in presenza della Santa Sede”, ha detto infine.

[Con informazioni di Tony Assaf, Mariaelena Finessi e Mercedes de la Torre]




Mons. Sayegh: un pellegrinaggio che dà alla minoranza cristiana una nuova speranza


Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa, ascoltiamo mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania, al microfono di Pietro Cocco:

R. – E’ stata, prima di tutto, una benedizione del Signore per tutto il Paese, per tutti gli abitanti cristiani e musulmani, che ci dà questa forza, questa speranza di continuare veramente a sperare e a vivere insieme come fratelli e sorelle. L’incontro nella Moschea con il principe Ghazi e con la comunità musulmana ha mostrato che la fratellanza è viva in Giordania e speriamo che continui a crescere come una sola famiglia continui, perché la gente sia veramente sempre in pace, guardando al futuro.

D. – Che comunità cristiana ha incontrato il Papa?

R. – Penso che il Santo Padre abbia scoperto che i cristiani di Giordania sono una comunità, una Chiesa che cresce, che guarda verso il futuro con speranza, e nel benedire le pietre di tre o quattro Chiese, due nel Sito del Battesimo, vuol dire che è una Chiesa che guarda verso il futuro, che non ha paura di niente, che programma per il futuro, mette in pratica questa fratellanza tra musulmani e cristiani nel vivere insieme, nel rispettarsi gli uni gli altri, nel costruire la Chiesa e costruire la patria. E’ una cosa veramente necessaria per tutto il Paese, per tutti i musulmani e i cristiani.

D. – Benedetto XVI ha invitato ad avere la gioia spirituale, ma il coraggio anche di costruire ponti tra persone che hanno fedi e culture diverse. E quindi ha invitato ad essere presenti nella società civile...

R. – Nel Centro Regina Pacis il 99 per cento è musulmano, e lì non guardiamo ai musulmani o ai cristiani, guardiamo all’essere umano uscito dalle mani del Signore, che riflette la presenza del Signore, di Dio creatore, che sia musulmano o cristiano. E l’incontro del Re e della Regina con il Santo Padre nella visita del Sito del Battesimo, dove Cristo è stato battezzato, è stata una cosa molto, molto bella che aiuta la convivenza e la fratellanza tra musulmani e cristiani. Il Re e il popolo giordano rispettano i luoghi santi, sia cristiani sia musulmani.

D. – La celebrazione dei Vespri nella chiesa greco-melkita e la grande Messa, il grande abbraccio della comunità cristiana nello stadio di Amman domenica, sono stati anche di grande incoraggiamento per la comunità cristiana...

R. – La Messa allo stadio è stata una bella testimonianza: tutta la Chiesa, il successore di San Pietro, il rappresentante di Gesù Cristo, il pastore di tutto il popolo di Dio, tutti a pregare insieme. Il raduno nella Chiesa melkita era per la vita consacrata: tutti i religiosi e le religiose, ma anche i maestri di catechismo erano presenti ed hanno avuto il messaggio del Santo Padre per il futuro, per penetrare più fortemente nelle anime dei giovani e ben educarle e dare loro davvero un’educazione cristiana.

D. – Il Papa si trova a Gerusalemme, la seconda tappa del suo pellegrinaggio, ha raggiunto Israele. Lei lo raggiungerà lì. Qual è il suo auspicio per questo nuovo momento che sta vivendo il Papa?

R. – Lì certamente tutto il popolo cristiano, sia in Israele, sia in Palestina, e anche tutti i responsabili dei governi in Israele e Palestina, sono sicuro che faranno tutto il possibile per ben ricevere il Santo Padre, perché faccia il suo pellegrinaggio ai luoghi santi per dare una voce che aiuti la gente ad ascoltare la ragione e ad indirizzarsi verso una pace vera, che dà speranza ai giovani, alle generazioni di oggi e del futuro, perché senza pace né Israele né la Palestina possono vivere tranquille. La vera soluzione è una pace giusta, che soddisfi tutti quanti.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00martedì 12 maggio 2009 16:57
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVI)


VISITA DELLA CUPOLA DELLA ROCCIA E VISITA DI CORTESIA AL GRAN MUFTI, ALLA SPIANATA DELLE MOSCHEE DI JERUSALEM



Alle 8.45 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI lascia la Delegazione Apostolica e si trasferisce in auto alla Spianata delle Moschee di Jerusalem. Alle ore 9 il Papa arriva alla Cupola della Roccia, il più antico monumento islamico in Terra Santa. Qui è accolto dal Gran Mufti e dal Presidente del Consiglio del "Waqf" (beni religiosi islamici). Dopo una breve visita del luogo, il Santo Padre è accompagnato all’edificio di "al-Kubbah al-Nahawiyya" dove sono presenti importanti esponenti della Comunità musulmana.

Dopo il saluto del Gran Mufti e del Presidente del Consiglio del Waqf, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Amici Musulmani,

As-salámu ‘aláikum! Pace a voi!

Ringrazio cordialmente il Gran Muftì, Muhammad Ahmad Hussein, insieme con il Direttore del Jerusalem Islamic Waqf, Sheikh Mohammed Azzam al-Khatib al-Tamimi e il Capo del Awquaf Council, Sheikh Abdel Azim Salhab, per le parole di benvenuto che essi mi hanno rivolto a vostro nome. Sono profondamente grato per l’invito a visitare questo sacro luogo e volentieri porgo i miei ossequi a voi e ai capi della comunità Islamica in Gerusalemme.

La Cupola della Roccia conduce i nostri cuori e le nostre menti a riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo. Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto. Ciascuna riconosce Abramo come proprio antenato, un uomo di fede al quale Dio ha concesso una speciale benedizione. Ciascuna ha raccolto schiere di seguaci nel corso dei secoli ed ha ispirato un ricco patrimonio spirituale, intellettuale e culturale.

In un mondo tristemente lacerato da divisioni, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno.

Poiché gli insegnamenti delle tradizioni religiose riguardano ultimamente la realtà di Dio, il significato della vita ed il destino comune dell’ umanità – vale a dire, tutto ciò che è per noi molto sacro e caro – può esserci la tentazione di impegnarsi in tale dialogo con riluttanza o ambiguità circa le sue possibilità di successo. Possiamo tuttavia cominciare col credere che l’Unico Dio è l’infinita sorgente della giustizia e della misericordia, perché in Lui entrambe esistono in perfetta unità. Coloro che confessano il suo nome hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana.

Per questa ragione, è scontato che coloro che adorano l’Unico Dio manifestino essi stessi di essere fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana. In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana.

Questo pone una grave responsabilità su di noi. Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I Cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità. L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto.

Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta.

Cari Amici, sono venuto a Gerusalemme in un pellegrinaggio di fede. Ringrazio Dio per questa occasione che mi è data di incontrarmi con voi come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ma anche come figlio di Abramo, nel quale "tutte le famiglie della terra si diranno benedette" (Gn 12,3; cfr Rm 4,16-17). Vi assicuro che è ardente desiderio della Chiesa di cooperare per il benessere dell’umana famiglia. Essa fermamente crede che la promessa fatta ad Abramo ha una portata universale, che abbraccia tutti gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza o da loro stato sociale. Mentre Musulmani e Cristiani continuano il dialogo rispettoso che già hanno iniziato, prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana. Sottomettendosi al suo amabile piano della creazione, studiando la legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell’uomo, riflettendo sul misterioso dono dell’autorivelazione di Dio, possano tutti coloro che vi aderiscono continuare a tenere lo sguardo fisso sulla sua bontà assoluta, mai perdendo di vista come essa sia riflessa sul volto degli altri.

Con questi pensieri, umilmente chiedo all’Onnipotente di donarvi pace e di benedire tutto l’amato popolo di questa regione. Impegniamoci a vivere in spirito di armonia e di cooperazione, dando testimonianza all’Unico Dio mediante il servizio che generosamente ci rendiamo l’un l’altro. Grazie!


Al termine, il Santo Padre si trasferisce in auto al "Western Wall" di Jerusalem.




PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVII)

VISITA AL "WESTERN WALL" DI JERUSALEM


Alle ore 10 il Santo Padre giunge al "Western Wall", comunemente detto "Muro del Pianto", un frammento del muro di sostegno del lato occidentale della Spianata del Tempio, ed è accolto dal Rabbino Capo e dal Presidente della Fondazione che gestisce il luogo sacro.

Il Rabbino Capo legge un salmo in ebraico, quindi il Santo Padre ne legge uno in latino e sosta poi in silenziosa preghiera davanti al Muro.

Di seguito pubblichiamo il testo della preghiera scritta sul biglietto che il Santo Padre Benedetto XVI depone tra le fenditure del Muro del Pianto:

TESTO DELLA PREGHIERA

God of all the ages,

on my visit to Jerusalem, the "City of Peace",

spiritual home to Jews, Christians and Muslims alike,

I bring before you the joys, the hopes and the aspirations,

the trials, the suffering and the pain of all your people throughout the world.

God of Abraham, Isaac and Jacob,

hear the cry of the afflicted, the fearful, the bereft;

send your peace upon this Holy Land, upon the Middle East,

upon the entire human family;

stir the hearts of all who call upon your name,

to walk humbly in the path of justice and compassion.

"The Lord is good to those who wait for him,

to the soul that seeks him" (Lam 3:25)!



VISITA DI CORTESIA AI DUE GRAN RABBINI DI JERUSALEM

Conclusa la visita al "Western Wall", alle ore 10.45 il Papa si reca in auto al Centro "Hechal Shlomo", sede del Gran Rabbinato a Gerusalemme per la Visita di cortesia ai due Rabbini Capo di Israele: il Gran Rabbino askenazita Yona Metzger e il Gran Rabbino sefardita Shlomo Amar.

La visita inizia con il colloquio privato. Successivamente, nel corso della parte pubblica dell’incontro, dopo i discorsi dei due Gran Rabbini, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Distinti Rabbini,
Cari Amici,

vi sono riconoscente per l’invito fattomi a visitare Hechal Shlomo e ad incontrarmi con voi durante questo mio viaggio in Terra Santa come Vescovo di Roma. Ringrazio Sephardi Rabbi Shlomo Amar e Ashknazi Rabbi Yona Metzger per le loro calorose parole di benvenuto e per il desiderio da loro espresso di continuare a fortificare i vincoli di amicizia che la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato si sono impegnati così diligentemente a far avanzare nell’ultimo decennio. Le vostre visite in Vaticano nel 2003 e 2005 sono un segno della buona volontà che caratterizza le nostre relazioni in crescita.

Distinti Rabbini, contraccambio tale atteggiamento esprimendo a mia volta i miei personali sentimenti di rispetto e di stima per voi e per le vostre comunità. Vi assicuro del mio desidero di approfondire la vicendevole comprensione e la cooperazione fra la Santa Sede, il Gran Rabbinato di Israele e il popolo Ebraico in tutto il mondo.

Un grande motivo di soddisfazione per me fin dall’inizio del mio pontificato è stato il frutto prodotto dal dialogo in corso tra la Delegazione della Commissione della Santa Sede per le Relazioni Religiose con gli Ebrei e il Gran Rabbinato della Delegazione di Israele per le Relazioni con la Chiesa Cattolica. Desidero ringraziare i membri di entrambe le Delegazioni per la loro dedizione e il faticoso lavoro nel perfezionare questa iniziativa, così sinceramente desiderata dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, come egli volle affermare nel Grande Giubileo del 2000.

Il nostro odierno incontro è un’occasione molto appropriata per rendere grazie all’Onnipotente per le tante benedizioni che hanno accompagnato il dialogo condotto dalla Commissione Bilaterale, e per guardare con speranza alle sue future sessioni. La buona volontà dei delegati nel discutere apertamente e pazientemente non solo i punti di intesa, ma anche i punti di disaccordo, ha anche spianato la strada per una più efficace collaborazione nella vita pubblica. Ebrei e Cristiani sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana. Questi temi di dialogo rappresentano solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione.

Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell’avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali. Possa il dialogo che è stato avviato continuare a generare idee su come sia possibile a Cristiani ed Ebrei lavorare insieme per accrescere l'apprezzamento della società per i contributi caratteristici delle nostre tradizioni religiose ed etiche. Qui in Israele i Cristiani, dal momento che costituiscono solamente una piccola parte della popolazione totale, apprezzano in modo particolare le opportunità di dialogo con i loro vicini ebrei.

La fiducia è innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo. Oggi ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei. Come la Dichiarazione Nostra Aetate ha chiarito, la Chiesa continua a valorizzare il patrimonio spirituale comune a Cristiani ed Ebrei e desidera una sempre più profonda mutua comprensione e stima tanto mediante gli studi biblici e teologici quanto mediante i dialoghi fraterni. I sette incontri della Commissione Bilaterale che già hanno avuto luogo tra la Santa Sede e il Gran Rabbinato possano costituirne una prova! Vi sono così molto grato per la vostra condivisa assicurazione che l’amicizia fra la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato continuerà in futuro a svilupparsi nel rispetto e nella comprensione.

Amici miei, esprimo ancora una volta il mio profondo apprezzamento per il benvenuto che mi avete rivolto oggi. Confido che la nostra amicizia continui a porsi come esempio di fiducia nel dialogo per gli Ebrei e i Cristiani di tutto il mondo. Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità – insieme con tutte le persone di buona volontà – nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo. Prego Iddio, che scruta i nostri cuori e conosce i nostri pensieri ( Sl 139,23), perché continui ad illuminarci con la sua sapienza, così che possiamo seguire i suoi comandamenti di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (cfr Dt 6,5) e di amare il nostro prossimo come noi stessi (Lev 19,18). Grazie !


Al termine, il Papa si reca in auto al Cenacolo.




PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVIII)

PREGHIERA DEL "REGINA COELI" NEL CENACOLO CON GLI ORDINARI DI TERRA SANTA


Lasciato il Centro "Hechal Shlomo", il Santo Padre Benedetto XVI si reca in auto al Cenacolo, luogo storico della Pentecoste, dove giunge alle ore 11.50 per la recita del "Regina Coeli" con gli Ordinari di Terra Santa.

L’incontro inizia con il canto del "Veni Creator" e il saluto del Custode di Terra Santa, P. Pierbattista Pizzaballa, OFM.

Prima di guidare la recita del "Regina Coeli", il Papa pronuncia il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,
Caro Padre Custode,

è con grande gioia che io vi saluto, Ordinari della Terra Santa, in questo Cenacolo dove, secondo la tradizione, Dio aprì il suo cuore ai discepoli da Lui scelti e celebrò il Mistero Pasquale, e dove lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste ispirò i primi discepoli ad uscire e a predicare la Buona Novella. Ringrazio Padre Pizzaballa per le calorose parole di benvenuto che mi ha rivolto a vostro nome. Voi rappresentate le comunità cattoliche della Terra Santa che, nella loro fede e devozione, sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi cristiani, onorati un tempo dalla presenza di Gesù, il nostro Dio vivente. Questo particolare privilegio dà a voi e al vostro popolo un posto speciale nell’affetto del mio cuore come Successore di Pietro. "Quando Gesù seppe che la sua ora era venuta di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Il Cenacolo ricorda l'Ultima Cena di nostro Signore con Pietro e gli altri Apostoli ed invita la Chiesa ad orante contemplazione. Con questo stato d’animo ci ritroviamo insieme, il Successore di Pietro con i Successori degli Apostoli, in questo stesso luogo dove Gesù rivelò nell'offerta del suo corpo e del suo sangue le nuove profondità dell'alleanza di amore stabilita tra Dio e il suo popolo. Nel Cenacolo il mistero di grazia e di salvezza, del quale siamo destinatari ed anche araldi e ministri, può essere espresso solamente in termini di amore. Poiché Egli ci ha amati per primo e continua ad amarci, noi possiamo rispondere con l’amore (cfr Deus caritas est, 2). La nostra vita come cristiani non è semplicemente uno sforzo umano di vivere le esigenze del Vangelo imposte a noi come doveri. Nell'Eucaristia noi siamo tirati dentro il mistero dell’amore divino. Le nostre vite diventano un'accettazione grata, docile ed attiva del potere di un amore che ci viene donato. Questo amore trasformante, che è grazia e verità (cfr Gv 1,17), ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri. Ci porta come comunità cristiane ad essere fedeli alla nostra missione con franchezza e coraggio (cfr At 4,13). Nel Buon Pastore che dona la sua vita per il suo gregge, nel Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli, voi, miei cari Fratelli, trovate il modello del vostro stesso ministero nel servizio del nostro Dio che promuove amore e comunione.

L’invito alla comunione di mente e di cuore, così strettamente collegato col comandamento dell’amore e col centrale ruolo unificante dell'Eucaristia nelle nostre vite, è di speciale rilevanza nella Terra Santa. Le diverse Chiese cristiane che qui si trovano rappresentano un patrimonio spirituale ricco e vario e sono un segno delle molteplici forme di interazione tra il Vangelo e le diverse culture. Esse ci ricordano anche che la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio. Un nuovo impulso spirituale verso la comunione nella diversità nella Chiesa Cattolica ed una nuova consapevolezza ecumenica hanno segnato il nostro tempo, specialmente a partire dal Concilio Vaticano Secondo. Lo Spirito conduce dolcemente i nostri cuori verso l'umiltà e la pace, verso l'accettazione reciproca, la comprensione e la cooperazione. Questa disposizione interiore all’unità sotto l’impulso dello Spirito Santo è decisiva perché i Cristiani possano realizzare la loro missione nel mondo (cfr Gv 17, 21).

Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa, la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva. Questa presenza è di importanza vitale per il bene della società nel suo insieme. Le parole chiare di Gesù sull'intimo legame tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, sulla misericordia e sulla compassione, sulla mitezza, la pace e il perdono sono un lievito capace di trasformare i cuori e plasmare le azioni. I Cristiani nel Medio Oriente, insieme alle altre persone di buona volontà, stanno contribuendo, come cittadini leali e responsabili, nonostante le difficoltà e le restrizioni, alla promozione ed al consolidamento di un clima di pace nella diversità. Mi piace ripetere ad essi quello che affermai nel Messaggio di Natale del 2006 ai cattolici nel Medio Oriente: "Esprimo con affetto la mia personale vicinanza in questa situazione di insicurezza umana, di sofferenza quotidiana, di paura e di speranza che state vivendo. Ripeto alle vostre comunità le parole del Redentore: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno' (Lc 12,32). " (Messaggio di Natale di Sua Santità Papa Benedetto XVI ai cattolici che vivono nella Regione del Medio Oriente, 21 dicembre 2006).

Cari Fratelli Vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace. Apprezzo i vostri sforzi di offrir loro, come a cittadini maturi e responsabili, assistenza spirituale, valori e principi che li aiutino nello svolgere il loro ruolo nella società. Mediante l’istruzione, la preparazione professionale ed altre iniziative sociali ed economiche la loro condizione potrà essere sostenuta e migliorata. Da parte mia, rinnovo il mio appello ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo a sostenere e ricordare nelle loro preghiere le comunità cristiane della Terra Santa e del Medio Oriente. In questo contesto desidero esprimere il mio apprezzamento per il servizio offerto ai molti pellegrini e visitatori che vengono in Terra Santa in cerca di ispirazione e rinnovamento sulle orme di Gesù. La storia del Vangelo, contemplata nel suo ambiente storico e geografico, diviene viva e ricca di colore, e si ottiene una comprensione più chiara del significato delle parole e dei gesti del Signore. Molte memorabili esperienze di pellegrini della Terra Santa sono state possibili grazie anche all’ospitalità e alla guida fraterna offerte da voi, specialmente dai Frati francescani della Custodia. Per questa servizio, vorrei assicurarvi l'apprezzamento e la gratitudine della Chiesa Universale e esprimo il desiderio che, nel futuro, pellegrini in numero ancora maggiore vengano qui in visita.

Cari Fratelli, nell’indirizzare insieme la nostra gioiosa preghiera a Maria, Regina del Cielo, mettiamo con fiducia nelle sue mani il benessere e il rinnovamento spirituale di tutti i Cristiani in Terra Santa, così che, sotto la guida dei loro Pastori, possano crescere nella fede, nella speranza e nella carità, e perseverare nella loro missione di promotori di comunione e di pace.



BREVE VISITA ALLA CONCATTEDRALE LATINA DI JERUSALEM

Conclusa la visita al Cenacolo, il Santo Padre raggiunge in auto il Patriarcato Latino di Gerusalemme e alle ore 12.30 compie una breve visita alla Concattedrale latina dedicata al Santissimo Nome di Gesù. Nella Concattedrale sono riunite circa 300 persone, tra cui alcune religiose contemplative.

Dopo un breve momento di Adorazione del Santissimo Sacramento e il saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, S.B. Fouad Twal, il Santo Padre pronuncia il saluto che pubblichiamo di seguito:

SALUTO DEL SANTO PADRE

Beatitudine, La ringrazio per le Sue parole di benvenuto. Ringrazio anche il Patriarca emerito ed assicuro entrambi dei miei fraterni auguri e delle mie preghiere.

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo, sono lieto di essere qui con voi oggi in questa Concattedrale, dove la comunità cristiana di Gerusalemme continua a riunirsi come ha fatto da secoli, fin dai primi giorni della Chiesa. Qui, in questa città, Pietro per primo predicò la Buona Novella di Gesù Cristo il giorno di Pentecoste, quando circa tremila anime si unirono al numero dei discepoli. Ancora qui i primi cristiani "erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere" ( At 2,42). Da Gerusalemme il Vangelo si è diffuso "per tutta la terra...fino ai confini del mondo" (Salmo 19, 4), ed in ogni tempo lo sforzo dei missionari del Vangelo è stato sostenuto dalle preghiere dei fedeli, raccolti attorno all’altare del Signore, per invocare la forza dello Spirito Santo sull’opera della predicazione.

Soprattutto sono state le preghiere di coloro la cui vocazione, secondo le parole di Santa Teresa di Lisieux, è di essere "l’amore profondo nel cuore della Chiesa" (Lettera alla sorella Maria del Sacro Cuore), che sostiene l’opera dell’evangelizzazione. Desidero esprimere una particolare parola di apprezzamento per l’apostolato nascosto delle persone di vita contemplativa che sono qui presenti, e ringraziarvi per la vostra generosa dedizione ad una vita di preghiera e di abnegazione. Sono particolarmente grato per le preghiere che offrite per il mio ministero universale e vi chiedo di continuare a raccomandare al Signore il mio servizio al popolo di Dio in tutto il mondo. Con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di "pregare per la pace di Gerusalemme" ( Sal 122,6), di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione. Ed ora vi imparto la mia Benedizione.


Al termine, il Papa pranza con gli Ordinari di Terra Santa, con gli Abati e con i Membri del Seguito papale, nel Patriarcato Latino di Jerusalem. Quindi rientra alla Delegazione Apostolica.




Omelia di Benedetto XVI nella valle di Giosafat di Gerusalemme



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo pomeriggio la Santa Messa nella valle di Giosafat di Gerusalemme, che si trova di fronte alla Basilica del Gethsemani e all’Orto degli Ulivi.

* * *

Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

"Cristo è risorto, alleluia!". Con queste parole vi saluto con grande affetto. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal per le sue parole di benvenuto a vostro nome, e prima di tutto esprimo anche la mia gioia di essere qui a celebrare questa Eucarestia con voi, Chiesa in Gerusalemme. Ci siamo raccolti qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere "la via della pace" (cfr Lc 19,42), qui donde egli tornò al Padre, dando la sua ultima benedizione terrena ai suoi discepoli e a noi. Accogliamo oggi questa benedizione. Egli la dona in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle, che siete collegati in una ininterrotta linea con quei primi discepoli che incontrarono il Signore Risorto nello spezzare il pane, che sperimentarono l’effusione dello Spirito Santo nella "stanza al piano superiore", che furono convertiti dalla predicazione di San Pietro e degli altri apostoli. I miei saluti vanno anche a tutti i presenti, e in modo speciale a quei fedeli della Terra Santa che per varie ragioni non hanno potuto essere oggi con noi.

Come successore di san Pietro, ho ripercorso i suoi passi per proclamare il Signore Risorto in mezzo a voi, per confermarvi nella fede dei vostri padri ed invocare su di voi la consolazione che è il dono del Paraclito. Trovandomi qui davanti a voi oggi, desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre. Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa.

Nella seconda lettura di oggi, l’Apostolo Paolo chiede ai Colossesi di "cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio" (Col 3,1). Queste parole risuonano con particolare forza qui, sotto il Giardino del Getsemani, dove Gesù ha accettato il calice della sofferenza in completa obbedienza alla volontà del Padre e dove, secondo la tradizione, è asceso alla destra del Padre per intercedere continuamente per noi, membra del suo Corpo. San Paolo, il grande araldo della speranza cristiana, ha conosciuto il prezzo di questa speranza, il suo costo in sofferenza e persecuzione per amore del Vangelo, e mai vacillò nella sua convinzione che la risurrezione di Cristo era l’inizio della nuova creazione. Come egli dice a noi: "Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria" (Col 3,4)!

L’esortazione di Paolo di "cercare le cose di lassù" deve continuamente risuonare nei nostri cuori. Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr Is 25,6-8; Ap 21,2-4).

Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese. Per questa ragione, la comunità cristiana in questa Città che ha visto la risurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito deve fare tutto il possibile per conservare la speranza donata dal Vangelo, tenendo in gran conto il pegno della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, testimoniando la forza del perdono e manifestando la natura più profonda della Chiesa quale segno e sacramento di una umanità riconciliata, rinnovata e resa una in Cristo, il nuovo Adamo.

Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, Musulmani e Cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una "città della pace" per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, "una voce che parla di pace" ( cf. Sl 85,8)!

Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana. Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.

Vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa Città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città. Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.

Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, San Pietro e San Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, "vide e credette" (Gv 20,8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di "toccare" le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio. La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a "vedere e credere" nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad "ascoltare" con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a "toccare" le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.

Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo. Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni "pietra pesante" posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo. Cristo è risorto, alleluia! Egli è davvero risorto, alleluia!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





La preghiera del Papa nel Cenacolo: sostenere le comunità cattoliche in Terra Santa


La presenza dei cristiani nei luoghi in cui visse Gesù è “vitale” e va sostenuta e consolidata perché sia promotrice di pace. L’appello di Benedetto XVI è risuonato questa mattina fra le mura del Cenacolo, nel quale il Papa ha recitato il Regina Coeli assieme agli ordinari di Terra Santa. Poco dopo, nella Concattedrale latina di Gerusalemme, la nuova preghiera di Benedetto XVI per la fine del conflitto e delle sofferenze che patisce il Medio Oriente. Il servizio di Alessandro De Carolis:

(Canto Veni Creator)

“Fare tutto quello che è in vostro potere”. E’ la frase-chiave di un discorso che considera la realtà dei cristiani di Terra Santa di oggi dal luogo in cui quelli di venti secoli fa, sparuti e impauriti, prendevano coscienza della loro missione. Tra le mura in stile gotico e sotto le arcate e le volte a crociera che danno volto alla Sala superiore del Cenacolo, Benedetto XVI ha affrontato come pastore supremo della Chiesa la questione delle comunità cattoliche della Terra Santa. Comunità, ha detto con riconoscenza, che “nella loro fede e devozione, sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi cristiani”. Tuttavia, al Papa sono ben noti i bisogni concreti e le difficoltà ambientali che costellano la quotidianità della Chiesa locale. E dunque, ha affermato il Pontefice:


“Dear brother bishops, count on my support…
Cari fratelli vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace (...) Da parte mia, rinnovo il mio appello ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo a sostenere e ricordare nelle loro preghiere le comunità cristiane della Terra Santa e del Medio Oriente.”

Assistenza spirituale, valori e principi, ma anche istruzione, preparazione professionale, iniziative sociali ed economiche. Tutto questo la Chiesa di Terra Santa mette in campo per migliorare la condizione dei cristiani del posto. Ma Benedetto XVI guarda più in alto. “Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa - ha detto - la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva. Questa presenza è di importanza vitale per il bene della società nel suo insieme”:


“The different christian Churches found here…
Le diverse Chiese cristiane che qui si trovano rappresentano un patrimonio spirituale ricco e vario e sono un segno delle molteplici forme di interazione tra il Vangelo e le diverse culture. Esse ci ricordano anche che la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio".


“Un nuovo impulso spirituale verso la comunione nella diversità nella Chiesa Cattolica ed una nuova consapevolezza ecumenica hanno segnato il nostro tempo - ha riconosciuto il Papa - specialmente a partire dal Concilio Vaticano II”. Un impulso proprio del luogo che vide irradiare gli Apostoli della forza e della luce dello Spirito Santo. E “questo amore trasformante, che è grazia e verità”, ha ribadito il Papa:


“Prompt us, as individuals and communities…
Ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri. Ci porta come comunità cristiane ad essere fedeli alla nostra missione con franchezza e coraggio”.

(Canto Regina Coeli)


Dal Cenacolo alla Concattedrale latina di Gerusalemme, edificata nel 1847 e dedicata al Santissimo Nome di Gesù. Affetto e calore hanno accolto Benedetto XVI, al quale ha rivolto un indirizzo di saluto il Patriarca, mons. Fouad Twal, sottolineando, fra l’altro che:

“I sacerdoti, seminaristi, religiosi, religiose e laici che Lei vede davanti a sé hanno passato lunghi anni- talvolta tutta la loro vita- a pregare e a servire in Terra Santa. Essi rappresentato un tesoro inestimabile, dediti e implicati come sono nella vita della nostra famiglia cristiana di Terra Santa”.


Il Papa ha nuovamente ringraziato tutti i presenti per la loro testimonianza di fede e in particolare le religiose contemplative - alcune delle quali presenti nella Concattedrale - per le preghiere a sostegno del suo ministero. Ed ha concluso:


“In the words of the Psalmist, I ask you also…
Con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di ‘pregare per la pace di Gerusalemme’, di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione. Ed ora vi imparto la mia Benedizione."

(Canto)






Il Papa sulla Spianata delle Moschee e al Muro del Pianto: ragione, libertà e carità liberano l'uomo da odio e vendetta


Giornata intensa e fitta d’impegni quella odierna. La quinta giornata del pellegrinaggio in Terra Santa ha portato il Papa in tre luoghi simbolo delle tre grandi religioni monoteistiche: la Spianata delle Moschee, il Muro del Pianto, il Cenacolo. Parlando al Gran Muftì, Benedetto XVI ha sottolineato che ragione, libertà e carità liberano l’uomo dall’odio e dalla vendetta. Al Muro del Pianto poi il Papa ha elevato la sua accorata preghiera di pace. Ai Gran Rabbini d’Israele ha ricordato che ebrei e cristiani sono chiamati a difendere insieme la vita, la famiglia e la libertà religiosa. Ma diamo la linea al nostro inviato Roberto Piermarini:

Nell’incanto di minareti, sinagoghe e campanili, in una splendida giornata di sole che solo Gerusalemme sa offrire nelle giornate importanti, Benedetto XVI è entrato oggi nel cuore della vecchia Città Santa, un viaggio nei ‘santuari’ per eccellenza delle altre due religioni monosteiste: la Spianata delle Moschee, il più grande centro islamico dopo La Mecca e Medina e il Muro del Pianto, cuore della vita ebraica ed ultimo bastione del vecchio tempio di Gerusalemme. Nell’incantevole cornice della Cupola della Roccia, Benedetto XVI come è nella tradizione islamica, si è tolto le scarpe per entrare nel Mausoleo sovrastato dalla grande cupola dorata. Rivolgendosi al Gran Muftì - che ha parlato al Papa sulle violazioni e sulle limitazioni di Israele contro il popolo palestinese ed i luoghi santi - il Papa ha detto che la Cupola della Roccia fa riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo ed è qui che le vie delle tre grandi religioni si incontrano:


“In a world sadly torn by divisions...”
“In un mondo tristemente lacerato da divisioni - ha affermato - questo luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato ed a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno”.

Benedetto XVI ha ricordato che la fedeltà all’unico Dio ci porta a riconoscere che gli esseri umani sono legati l’uno all’altro, perchè tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. “Marcati con l’indelebile immagine del divino – ha detto il Papa – essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana. Questo pone una grave responsabilità ma i cristiani affermano che i doni divini della reagione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa ed il destino comune della famiglia umana mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro ed a servirlo nella carità. “Questa è la ragione – ha sottolineato il Papa – perchè operiamo per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta”. Dalla Spianata delle Moschee Benedetto XVI si è quindi spostato al Muro dei Pianto – che contiene pietre del tempio di Erode - dove lo attendeva il Rabbino Capo. Insieme hanno letto un salmo in ebraico e in latino: un’invocazione di pace per Gerusalemme. Benedetto XVI si è quindi raccolto in preghiera davanti al Muro ed ha lasciato un messaggio tra le fessure delle grandi pietre levigate. Ecco il testo:


Dio di tutti i tempi,
nella mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”,
dimora spirituale per ebrei, cristiani e musulmani,
porto davanti a Te le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le angosce, le sofferenze e le pene di tutto il Tuo popolo sparso nel mondo.
Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, degli impauriti, dei disperati,
manda la Tua pace su questa Terra Santa, sul Medio Oriente,
sull’intera famiglia umana;
risveglia il cuore di tutti coloro che chiamano il Tuo nome
affinché vogliano camminare umilmente sul cammino della giustizia e della pietà.
“Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l`anima che lo cerca”. (Lam 3, 25)



(Canto – Centro Shlomo)


Nel vicino Centro “Hechal Shlomo” sede del Gran Rabbinato d’Israele, Benedetto XVI ha espresso la soddisfazione per i frutti del dialogo ed ha incoraggiato una più convinta cooperazione fra le due comunità nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo:


“Jews and Christians alike concerned...”
“Ebrei e Cristiani – ha detto auspicando un dialogo sempre più intenso - sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana”.




Il commento di padre Lombardi sul pellegrinaggio del Papa a Gerusalemme


Sugli eventi del Papa a Gerusalemme ascoltiamo il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Roberto Piermarini:

D. - Padre Lombardi, come ha vissuto il Papa la visita allo Yad Vashem?

R. - Naturalmente è uno dei momenti culminanti di questi giorni perché è un Memoriale di una tragedia immensa e sappiamo che posto ha questa tragedia nella storia del popolo di Israele ed anche nella coscienza dell’umanità di oggi. Quindi, il Papa l’ha vissuto in un modo estremamente compreso, estremamente profondo, con la più chiara e viva intenzione di dimostrare la sua partecipazione alla grande tragedia passata di questo popolo, ed anche alla sua sensibilità di ricordare quello che è avvenuto, per evitare che si possa ripetere qualche cosa di simile in futuro, evitarlo assolutamente in ogni modo.

D. - La stampa israeliana parla di “discorso tiepido” del Papa allo Yad Vashem...

R. - Ovviamente io non sono d’accordo cioè è un discorso detto con la consueta finezza e delicatezza del Papa che non usa toni reboanti o teatrali ma che toccava un tema profondissimo che è quello della memoria e del nome; il nome, come sappiamo, da un punto di vista biblico, dice l’identità delle persone. Quindi, ricordare tutte queste persone che sono nel cuore di Dio e che sono nell’eternità, che devono rimanere anche nella nostra memoria proprio anche come monito per il futuro. Il Papa ha avuto dei momenti intensissimi nel discorso quando ricordava l’esperienza dei genitori che pensano quale nome dare al loro bambino. Quindi era un discorso di profondissima sensibilità ed emozione, però espresso con toni sempre misurati e moderati come il Papa fa. Questo è il suo stile che però, chi lo conosce, apprezza moltissimo.

D. - In che clima si è svolta la visita alla Spianata delle Moschee?

R. – Un clima piuttosto sereno. Questa immensa spianata fa molto impressione, la Cupola della Roccia è un edificio splendido e il Papa è stato accolto all’ingresso di questa moschea; si è tolto le scarpe come è abituale in questi luoghi musulmani di culto, è entrato e, accompagnato dal Gran Muftì e da un altro dignitario e da alcuni loro collaboratori, gli è stata data un’ampia spiegazione della moschea e del suo significato anche spirituale, per tutti i musulmani del mondo. Purtroppo ci sono lavori in corso quindi, in realtà, si vedevano dei grandi tendaggi, la famosa Roccia custodita sotto la Cupola non l’abbiamo potuta vedere.

D. - Superato l’incidente dello sceicco che ha arringato contro Israele nell’incontro interreligioso?

R. – Per noi, sì, bisogna vedere se anche la stampa o gli altri, lo considereranno un incidente di percorso o continueranno a girarci attorno. Certamente è stato un incidente spiacevole che ha turbato il clima dell’incontro di ieri sera e noi, come dicevo, speriamo che non turbi, in seguito, i rapporti interreligiosi nella Terra Santa che sono difficili. Gli incontri di questi giorni fanno capire come effettivamente fare un cammino di comprensione mutua fra le diverse religioni, qui, costruire veramente la pace, è molto difficile. Il Papa dà un esempio di pazienza, di ascolto, di invito fiducioso ad atteggiamenti dello spirito che possano costruire la via alla pace. Speriamo che venga ascoltato.





Domani il Papa a Betlemme


Oggi pomeriggio il Papa presiederà la Messa nella Valle di Giosafat: domani il trasferimento nei Territori Autonomi Palestinesi. Benedetto XVI giungerà in mattinata a Betlemme dove incontrerà il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Subito dopo celebrerà la Messa nella Piazza della Mangiatoia. Nel pomeriggio il Pontefice visiterà la Grotta della Natività e, a seguire, il Caritas Baby Hospital di Betlemme e il campo profughi di Aida. In serata il rientro a Gerusalemme. Sul significato di questa visita ascoltiamo padre Jerzy Kraj, guardiano di Betlemme, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Per noi e per la popolazione di Betlemme è un segno della storia di 20 secoli della cristianità, come presenza di una comunità viva. Abbiamo una Basilica che ricorda l’inizio della vita terrena di Gesù, ma accanto a questa Basilica, da sempre, c’è una comunità viva. E allora noi siamo qui per testimoniare l’amore di Dio per tutti gli uomini, compresi quelli che vengono come pellegrini in Terra Santa.


D. – Padre Jerzy, che cosa chiede il pellegrino che viene a Betlemme?


R. – Il pellegrino che viene tocca soprattutto i luoghi santi, come sorgenti della fede. Qui si tocca l’inizio della vita di Dio in mezzo a noi. Allora, il pellegrino arriva qui, per toccare con mano quella viva presenza di Dio. Io credo che adorando nella grotta della Natività, il luogo storico che ricorda l’inizio della presenza di Gesù in mezzo a noi, si celebra l’amore di Dio, che si è rivelato in mezzo a noi.


D. – All’interno della Basilica, qual è il rapporto con le altre confessioni cristiane?


R. – Abbiamo tre comunità qui: i francescani come rappresentanti della Chiesa cattolica, i greco-ortodossi e gli armeni. I rapporti sono relativamente buoni. Ci sono alle volte delle tensioni, ma nell’insieme bisogna riconoscere che c’è una buona collaborazione, perchè nel cuore di tutti c’è forse un amore troppo geloso di questo luogo e in questo amore geloso a volte c’è una specie di rivalità, ma rivalità, credo, guidata soprattutto dall’autenticità del luogo santo.


D. – E' rimasto ancora qualcosa dell’assedio che c’è stato qui in questa Basilica per molti giorni? E’ rimasto qualche segno o è tutto cancellato ormai?


R. – Ci sono segni sul muro esterno della Basilica di qualche pallottola volante, che ha lasciato schegge sulla pietra antica. Il resto è stato soprattutto cancellato dalla memoria positiva, memoria di una testimonianza di custodire il luogo e offrirlo a tutti i pellegrini e anche ai cristiani locali.


D. – Gesù Cristo si è incarnato a Betlemme per portare al mondo la pace, ma è veramente difficile la pace in questa terra così travagliata?


R. – La pace è soprattutto un impegno morale. E’ difficile perchè l’uomo ancora non ha colto la pace di Dio, di Gesù, che porta ad un rinnovamento del cuore. Finché noi cercheremo di costruire la pace sugli accordi politici, non arriverà mai un’autentica pace, collaborazione, riconciliazione dei popoli qui in Terra Santa, tra i palestinesi e gli israeliani. Occorre un rinnovamento interiore. I cristiani sono segno di questo ponte, di questa visione positiva, di fermento dall’interno per costruire una pace non basata sulle dichiarazioni, ma soprattutto sull’amore che Cristo ci ha portato.


D. – E lei personalmente che cosa si aspetta da questa visita del Papa?


R. – Un segno positivo per noi custodi dei luoghi santi. I francescani quest’anno ricordano i 700 anni dei documenti delle autorità musulmane per poter custodire questo luogo. Ci ricordiamo le storie non facili, gli anni difficili. Ricordo con tanta gioia la visita del Santo Padre Giovanni Paolo II nel 2000. La stessa attesa, la stessa gioia in questa visita di Benedetto XVI, come segno del terzo Papa dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II, che viene qui a confermare la comunità cristiana e a seminare segni di pace e anche di riconciliazione tra la popolazione locale.







“Giustizia” e “misericordia”, bussola per i credenti nell'unico Dio
Visita di Benedetto XVI alla “Cupola della Roccia”

di Mirko Testa


GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- I fedeli delle tre grandi religioni monoteistiche hanno il compito di spendersi per l'edificazione di un modo di pace, guidati dalla giustizia e dalla misericordia che discendono dall'unico Dio.

E' quanto ha detto, questo martedì mattina, Benedetto XVI nell'incontrarsi con importanti esponenti della comunità musulmana nell'edificio "al-Kubbah al-Nahawiyya", che si trova sulla Spianata delle Moschee.

Anche Giovanni Paolo II visitò il 26 marzo 2000 la Spianata delle Moschee, però rispetto al suo predecessore Benedetto XVI ha avuto l'opportunità questa volta di varcare la soglia della “Cupola della Roccia” (detta anche Moschea di Omar), accompagnato dal Gran Mufti di Gerusalemme Muhammad Ahmad Husayn, sunnita, considerato la suprema autorità giuridica islamica a Gerusalemme e del popolo arabo-musulmano in Palestina.

La "Cupola della Roccia", costruita fra il 687 e il 691, è il più antico monumento islamico in Terra Santa. E' stato stato eretto dove, secondo la tradizione, sorgeva il tempio di Salomone, distrutto nel 70 d.C. sotto l'impero di Tito.

In questo luogo, ha detto il Papa, “le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto”.

L'area infatti “al-Haram al-Sharif” (Nobile Santuario), su cui sorge la Moschea di Omar è un suolo sacro per le tre religioni monoteistiche abramitiche.

I musulmani ritengono che la "roccia" al centro della moschea sia il punto da cui Maometto sarebbe asceso al cielo (la stessa su cui Abramo avrebbe offerto Ismaele in sacrificio a Dio). Per gli ebrei è terra sacra in quanto sede del Tempio di Salomone. Per i cristiani ricorda le numerose visite di Gesù al Tempio e le sue dispute con i sacerdoti e altri episodi della sua vita pubblica.

“In un mondo tristemente lacerato da divisioni – ha aggiunto –, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno”.

Il punto di partenza, ha indicato, deve essere la fede nell’Unico Dio, “infinita sorgente della giustizia e della misericordia”.

“Coloro che confessano il suo nome – ha detto – hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana”.

Da qui, ha incoraggiato il Santo Padre, discende il pressante appello a lavorare per “l’unità dell’intera famiglia umana”.

“L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto”, ha continuato.

“Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta”, ha aggiunto il Papa.

“Impegniamoci a vivere in spirito di armonia e di cooperazione, dando testimonianza all’Unico Dio mediante il servizio che generosamente ci rendiamo l’un l’altro”, ha infine concluso.





La stampa laica trascura i tesori dei discorsi papali
Padre Thomas Wiliams commenta il pellegrinaggio in Terra Santa



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il sacerdote della Congregazione dei Legionari di Cristo, padre Thomas Williams (www.thomasdwilliams.com), un teologo statunitense che vive a Roma, segue per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione offrirà una cronaca del suo viaggio anche a ZENIT. Di seguito riportiamo il suo primo commento.

* * *

Sono arrivato in Israele domenica sera, per essere qui per l'arrivo di Benedetto XVI lunedì mattina. Il proverbiale sistema di sicurezza israeliano è stato aumentato per la visita del Santo Padre, ma nonostante polizia e telecamere ovunque siamo riusciti ad attraversare l'aeroporto con ritardi minimi. Per fortuna non ero andato in Messico la settimana scorsa, visto che dei cartelli invitavano quanti c'erano stati a recarsi al posto sanitario dell'aeroporto per gli accertamenti contro l'influenza A.

Gerusalemme dista solo 30 miglia dall'Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, per cui il viaggio non è durato più di 45 minuti. Il mio taciturno autista Hezi mi dava segnalazioni occasionali durante il viaggio (indicando anche il suo quartiere) mentre attraversavamo rombando l'autostrada con la sua malridotta Subaru bianca, ma è diventato estremamente cordiale quando gli ho detto che non mi dava fastidio se fumava in macchina.

Quando la Città Santa di Gerusalemme è apparsa all'orizzonte, emergendo dal panorama come una versione bianco-mediterraneo della Città di Smeraldo di Oz, mi ha tolto il fiato. E' solo la mia seconda visita in Terra Santa, e camminare dove ha camminato Gesù e guardare la città che ha amato così profondamente è una sensazione indescrivibile.

La città è abbellita per la visita del Papa con bandiere bianche e gialle che costellano il viale principale intorno alla Città Vecchia, intervallate dalle bandiere dello Stato di Israele, bianche con la stella di Davide blu. Gli emblemi papali non sono gli unici segni da notare, ovviamente, e molti cartelloni annunciano l'arrivo sugli schermi della versione cinematografica di “Angeli e demoni”. Ovunque, qui, il sacro e il profano sono fianco a fianco.

In questo pellegrinaggio papale precedente all'arrivo del Pontefice in Israele sono già avvenute molte cose. Benedetto XVI ha trascorso tre giorni proficui nel Regno di Giordania, dove ha visitato il Monte Nebo, da dove Mosè fece spaziare lo sguardo dal fiume Giordano alla Terra Promessa, così come la Moschea Al-Hussein Bin Talal, dove ha pronunciato un brillante discorso sul dialogo interreligioso e interculturale.

Questo mi fa venire in mente una riflessione per me ricorrente in questi giorni. Molte persone hanno sentore di ciò che Papa Benedetto dice o scrive quando qualche sua frase o qualche azione suscita proteste e viene ripresa dai media secolari. Ciò porta a una visione del tutto parziale e ingiustamente negativa del Papa. Quasi chiunque, quindi, sa che un commento a Ratisbona (Germania) nel 2006 ha infastidito i musulmani, e che ha rimesso la scomunica a quattro Vescovi scismatici, uno dei quali nega l'Olocausto, ma pochi hanno letto le sue Encicliche sull'amore e sulla speranza, o ascoltato i suoi discorsi su San Paolo e i Padri della Chiesa.

Questa domenica Benedetto XVI ha celebrato una Messa all'aperto nell'International Stadium di Amman, dove un altro gioiello di questo tipo è sfuggito all'attenzione dei media. In questo Paese a maggioranza musulmana, il Papa ha scelto di esporre un'approfondita riflessione sulla dignità delle donne, riferendosi al loro “carisma profetico” e lodandole come “portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace”.

“Con la sua pubblica testimonianza di rispetto per le donne e con la sua difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore”, ha aggiunto.

Arrivando in Israele questo lunedì mattina, il Papa ha subito voluto dissipare ogni dubbio residuo circa la sua posizione sull'Olocausto ebraico. Nel suo primo discorso, all'aeroporto di Tel Aviv, ha affermato: “È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo”.

Il Papa non vuole che resti un'ombra di dubbio sulla sua ripugnanza nei confronti dell'antisemitismo, e sta cercando di uccidere rapidamente il drago prima che sollevi la sua terribile testa. Si spera che la sua evidente buona volontà ne susciti una uguale da parte di tutti coloro che lo ascoltano.

La sua toccante visita al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem lunedì pomeriggio ha offerto un'ulteriore conferma del suo impegno per promuovere le relazioni tra ebrei e cristiani e presentare una posizione unita a favore dei diritti umani. Dopo l'incontro, ho parlato con molti ebrei per la strada e la maggior parte di loro è stata soddisfatta di come sono andate le cose, anche se un uomo mi ha detto che il Papa avrebbe dovuto dire che milioni di ebrei sono stati “assassinati” e non “uccisi”. Onestamente ho qualche problema nel percepire questo livello di cavillosità semantica, ma ovviamente lui pensava che fosse importante.

Finora nelle sue varie attività in Terra Santa il Papa non solo ha evitato i problemi che molti avevano previsto, ma ha anche perseguito attivamente una via molto più elevata, sfidando i suoi ascoltatori alla pace, alla giustizia, al dialogo e al rispetto reciproco. Nei prossimi giorni ci si aspetta ancor di più.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]






www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=837&sett...

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=836&sett...

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+PetaloNero+
00mercoledì 13 maggio 2009 01:53
Gerusalemme sia la città della pace non della discriminazione e della violenza! Così il Papa alla Messa nella Valle di Giosafat


“Nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede”. È quanto ha detto il Papa nella Santa Messa presieduta nella Josafat Valley a Gerusalemme. Benedetto XVI è tornato a parlare dell’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa definita “un grande impoverimento culturale e spirituale”. “Trovandomi qui davanti a voi oggi – ha detto - desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre”. Bisogna davvero rendere Gerusalemme una “città della pace” ha aggiunto: “Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati”.


[Radio Vaticana]



Il Papa chiede di evitare l'esodo dei cristiani dalla Terra Santa
La Messa nella Valle di Giosafat diventa un forte gesto di sostegno



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- La Messa che Benedetto XVI ha celebrato questo martedì pomeriggio nella Valle di Giosafat si è trasformata in una manifestazione di sostegno della Chiesa universale ai cattolici sofferenti di Terra Santa e in una richiesta alle autorità perché pongano le condizioni per evitarne l'esodo.

Per la prima volta nella storia, un Papa ha celebrato una Messa all'aperto a Gerusalemme con la partecipazione di circa 6.000 fedeli. Il luogo non poteva essere più suggestivo: l'Orto degli Ulivi, in cui Gesù agonizzò prima della morte.

"Desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e - Dio non lo permetta - possono ancora conoscere", ha detto il Pontefice.

Il Patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, all'inizio della Messa ha descritto la situazione in cui vivono i cattolici di Terra Santa.

"Assistiamo da un lato all'agonia del popolo palestinese, che sogna di vivere in uno Stato palestinese libero e indipendente, ma non ci riesce - ha affermato il Patriarca -; e assistiamo dall'altro lato all'agonia di un popolo israeliano che sogna una vita normale in pace e sicurezza ma, nonostante la potenzia mediatica e militare, non le ottiene".

Il Papa ha auspicato "che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre".

"Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa".

Benedetto XVI ha rivolto un energico appello perché si eviti la migrazione dei cristiani di Terra Santa. Secondo dati della Custodia di Terra Santa, nel 1946, due anni prima della fondazione dello Stato di Israele, la comunità cristiana di Gerusalemme contava circa 31.000 membri, il 20% della popolazione. Oggi i cristiani rappresentano il 2% della popolazione, sono circa 14.000, compresi religiosi e i sacerdoti stranieri.

"Vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà - che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa Città e questa terra - della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città", ha osservato.

Il Papa ha ribadito un messaggio che aveva già espresso in passato: "Nella Terra Santa c'è posto per tutti!".

"Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell'amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede", ha constatato.

Amnon Ramon, dell'Istituto di Gerusalemme per gli Studi di Israele, autore di vasti studi sulle comunità cristiane del Paese, sostiene che la comunità cattolica (a Gerusalemme) è la più numerosa con circa 4.500 membri; i greci ortodossi sono 3.500, gli armeni 1.500. I protestanti, delle varie denominazioni, sono 850, i siriano-copti 250, gli etiopi 60.

La Messa è stata celebrata in varie lingue, soprattutto in latino e in arabo. Nella preghiera dei fedeli si è pregato in ebraico, francese, spagnolo, inglese e italiano.

Il messaggio lasciato dal Papa nella sua omelia, applaudita fin dal primo istante, è stato innanzitutto di speranza.

"In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall'egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese", ha dichiarato.

Questo mercoledì il Pontefice si recherà nella città cisgiordana di Betlemme, dove celebrerà la Messa nella Piazza della Mangiatoia e visiterà la Grotta della Natività e il campo di rifugiati di Aida, venendo ricevuto dall'Autorità Nazionale Palestinese.





Il Papa: i cristiani di Terra Santa, promotori di pace e comunione
Visita al Cenacolo e alla Concattedrale latina di Gerusalemme

di Mirko Testa


GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- La missione affidata ai cristiani di Terra Santa è quella di essere promotori di pace e comunione, nell'impegno sociale come nella vita contemplativa.

E' questo il messaggio sottolineato da Benedetto XVI in due incontri successivi tenutisi questo martedì, nel Cenacolo per la preghiera del Regina Coeli con gli Ordinari di Terra Santa e durante la visita presso la chiesa "madre" della diocesi di Gerusalemme.

Lasciato il Centro "Hechal Shlomo", il Santo Padre si è recato nel luogo dove, secondo il Vangelo, Gesù apparve agli apostoli dopo la sua risurrezione e dove si ritrovano uniti in preghiera con Maria, quando discese su di loro lo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste.

Il Cenacolo è una ex moschea di proprietà dello Stato di Israele, visitabile come fosse un museo, anche perché nella parte inferiore del fabbricato si trova una tomba venerata dagli ebrei come la sepoltura di Davide.

Qui i francescani, già stabilititisi a Gerusalemme nel 1229, fondarono il primo convento nel 1335. In seguito, nel 1551, furono espulsi definitivamente dal Cenacolo dovendo lasciarlo ai musulmani. Ci ritorneranno, scegliendo un'abitazione non lontana dal Cenacolo, solo nel 1936.

Nel fare gli onori di casa il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, OFM, ha detto al Santo Padre: “Qui, proprio in questo luogo così semplice si è celebrata la Cena di Pasqua del Signore Gesù con gli Apostoli, prima della Passione, e ci richiama ogni volta l’istituzione dell’Eucaristia, ma anche il gesto di testimonianza del Signore e Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli, il comandamento nuovo, la promessa dello Spirito, e la sua grande preghiera”.

“Cenacolo è il timore che fa chiudere le porte agli Apostoli, e il Cristo risorto che entra e dice: Pace a voi. Cenacolo è l’attesa nella preghiera, con Maria, è lo Spirito che irrompe come vento gagliardo e la nascita della Chiesa, una e indivisa…”, ha continuato, denunciando poi lo stato di abbandono dell'edificio.

Prendendo la parola, Benedetto XVI ha ricordato che “la nostra vita come cristiani non è semplicemente uno sforzo umano di vivere le esigenze del Vangelo imposte a noi come doveri. Nell'Eucaristia noi siamo tirati dentro il mistero dell’amore divino”.

E “questo amore trasformante”, ha continuato il Santo Padre, “ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri”.

“L'invito alla comunione di mente e di cuore, così strettamente collegato col comandamento dell’amore e col centrale ruolo unificante dell'Eucaristia nelle nostre vite, è di speciale rilevanza nella Terra Santa”, ha poi aggiunto.

Infatti, “la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio”.

“Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa, la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva”, ha ricordato.

In conclusione, il Papa ha auspicato che i cristiani di Terra Santa possano continuare a “perseverare nella loro missione di promotori di comunione e di pace”.

Dopo il suo discorso e la recita della preghiera mariana del Regina Coeli, il Santo Padre ha raggiunto dapprima in auto il Patriarcato Latino di Gerusalemme per poi compiere una breve visita alla Concattedrale latina dedicata al Santissimo Nome di Gesù, alla presenza di circa 300 persone, tra cui alcune religiose contemplative.


Nell'accogliere il Papa in questo luogo, già onorato dalle visite di Paolo VI (6 gennaio 1964) e di Giovanni Paolo II (26 marzo 2000), il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, ha rivolto un breve saluto in francese.


Nelle sue parole, il Patriarca ha elogiato i tanti sacerdoti, seminaristi, religiosi, religiose e laici impegnati nei diversi ambiti del sociale, dall'insegnamento, all'assistenza ai poveri, ai malati e ai portatori di handicap, e che rappresentano “un tesoro inestimabile” in Terra Santa.

Una piccola Chiesa se si pensa che la comunità cattolica – la più numerosa – a Gerusalemme conta circa 4.500 membri, mentre i cristiani sono circa 14.000, compresi religiosi e i sacerdoti stranieri (il 2% della popolazione).

Dopo aver quindi ricordato il contributo dei cattolici al benessere comune, Sua Beatitudine Fouad Twal ha quindi sottolineato che “la presenza di preghiera e di contemplazione non è meno preziosa”.


“Tra le molte congregazioni religiose presenti nel nostro patriarcato – ha spiegato -, riunite nell'Unione delle religiose di Terra Santa, una quindicina hanno una vocazione esclusivamente contemplativa. Questi fratelli e sorelle sono le 'sentinelle dell'invisibile'”.

“Nel segreto della preghiera e di una vita tutta offerta, invisibilmente portano sulle loro braccia la nostra Chiesa e la Terra Santa tutta intera – ha detto –. Essi intercedono per la missione e l'unità della Chiesa, e per la riconciliazione tra i popoli e le religioni”.

A questo proposito, nel suo discorso, il Papa ha sottolineato che da sempre a sostenere l'opera di evangelizzazione della Chiesa sono state “le preghiere di coloro la cui vocazione, secondo le parole di Santa Teresa di Lisieux, è di essere 'l’amore profondo nel cuore della Chiesa'".

Per questo ha espresso il proprio “apprezzamento per l’apostolato nascosto delle persone di vita contemplativa”: “con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di 'pregare per la pace di Gerusalemme', di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione”.




La Chiesa continua il cammino di riconciliazione fra cristiani ed ebrei
Visita del Papa al Muro del Pianto e alla sede del Gran Rabbinato d'Israele

di Mirko Testa


GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- Nel secondo giorno della sua visita a Gerusalemme, Benedetto XVI ha voluto sottolineare con le parole e i gesti simbolici il comune patrimonio spirituale di ebrei e cristiani, ribadendo l'intenzione della Chiesa di proseguire il cammino di riconciliazione avviato con il Concilio Vaticano II.

Seguendo le orme del suo predecessore, Giovanni Paolo II, il Papa tedesco ha visitato il Muro Occidentale, chiamato anche Muro del Pianto o "Muro al-Buraq" (dai musulmani), il muro di cinta risalente all'epoca del primo Tempio di Gerusalemme (il Tempio di Salomone), costruito nel X secolo a.C. e distrutto dai babilonesi nel 586 a.C.

Giunto in questo luogo, il Papa ha trovato ad accoglierlo Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Muro Occidentale e dei Luoghi Sacri d'Israele, che ha detto: “Le pietre del Muro Occidentale recano testimonianza del glorioso passato del popolo ebraico, stillando in esso la forza di resistere alle avversità e alla persecuzione”.

“Proprio come queste pietre sono sopravvissute ad eventi difficili – ha aggiunto –, così il popolo ebraico ha patito le persecuzioni e le torture, rimanendo un popolo eterno e morale, ancora invitto. E' compito di ogni persona di fede assicurare che nessuno danno venga recato al popolo ebraico”.

Il Rabbino ha poi recitato in ebraico alcuni versi tratti dalla invocazione di Re Salomone per la dedicazione del Tempio di Gerusalemme (1Re 8), in cui il sovrano chiede che ogni supplica e preghiera elevata da un ebreo come da un non ebreo possa essere accolta nel Sacro Tempio.

Il Papa ha invece recitato in latino il Salmo 122 (121), l'Inno in onore di Gerusalemme, in cui si dice: "Gerusalemme, città ben costruita, raccolta entro le tue mura! A te salgono le tribù, le tribù del Signore. Qui Israele deve lodare il nome del Signore. Qui, nel palazzo di Davide, siedono i re a rendere giustizia. Pregate per la pace di Gerusalemme".

Successivamente, Benedetto XVI si è avvicinato al Muro del Pianto per appoggiare in una fenditura – come vuole la tradizione ebraica – una preghiera al Signore sostando poi in silenziosa preghiera.

Nel messaggio il Papa, rivolgendosi al “Dio di tutti i tempi”, supplica: “Ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati; manda la pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente, su tutta la famiglia umana”.

“Smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome, affinché camminino umilmente nel sentiero di giustizia e compassione”, si legge ancora nel testo.

Il messaggio si chiude poi con una verso tratta dai poemetti delle Lamentazioni, che descrivono la situazione di Gerusalemme, dopo la sua distruzione nel 587 a.C., pur aprendosi alla speranza in Dio: “Buono è il Signore con chi spera in Lui, con colui che lo cerca”.

Gran Rabbinato d'Israele

Più tardi, Benedetto XVI si è quindi recato in auto al Centro "Hechal Shlomo", sede del Gran Rabbinato a Gerusalemme per la visita di cortesia ai due Rabbini Capo di Israele: il Gran Rabbino askenazita Yona Metzger e il Gran Rabbino sefardita Shlomo Amar.

Il suo nome, “Hechal Shlomo”, in ebraico significa “Residenza di Salomone”, e infatti ricorda per la sua imponente struttura il Tempio di Salomone. Il Gran Rabbinato di Israele è l'organo religioso supremo ebraico dello Stato di Israele.

La sinagoga che c’è all’interno dell’edificio custodisce inoltre un'Arca dell'Alleanza traslata da Padova.

Nel prendere la parola il Rabbino Capo sefardita Shlomo Amar ha detto: "Lei rappresenta una vasta nazione di fedeli che conosce che cos'è la Bibbia, ed è suo compito far giungere il messaggio che il popolo ebraico merita una rinascita e un po' di rispetto per poter vivere in questa terra”.

Il Gran Rabbino askenazita Yona Metzger, dal canto suo, ha poi aggiunto: "Mi sono detto che se solo un evento storico come questo, in cui il Capo della più grande religione al mondo si fosse incontrato a Gerusalemme con i Capi dell'Ebraismo, e se solo questo fosse accaduto molti anni prima, tanto sangue innocente sarebbe stato risparmiato”.

Nel prendere successivamente la parola il Santo Padre ha espresso la propria gioia per i passi avanti nel dialogo compiuti dalla Chiesa Cattolica e dal Gran Rabbinato attraverso la Commissione bilaterale avviata a Gerusalemme nel 2002.

“Ebrei e cristiani – ha quindi detto – sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana”.

Parlando poi delle minacce attuali rappresentate dal “relativismo morale” e dalle “offese che esso genera contro la dignità della persona umana”, “le nostre due comunità – ha aggiunto – si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali”.

“Oggi – ha continuato – ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra cristiani ed ebrei”.

“Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità – insieme con tutte le persone di buona volontà – nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo”, ha poi concluso.





Benedetto XVI non ha mai fatto parte della Gioventù hitleriana
Il portavoce lamenta informazioni errate o lacune informative



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il portavoce della Santa Sede ha smentito che Benedetto XVI abbia fatto parte della "Hitlerjugend" (la Gioventù hitleriana), chiarendo alcune notizie pubblicate dai mezzi di informazione di Israele durante il suo pellegrinaggio.

P. Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha spiegato questo martedì durante una conferenza stampa a Gerusalemme: "Ho letto una cosa non vera: il Papa non è mai, mai stato nella Hitlerjugend, che era un corpo di volontari fanatici e ideologici".

Benedetto XVI "non ha niente a che fare con la violenza, è una persona gentile e umile, dolce. Non è mai stato contro gli ebrei", ha spiegato il portavoce.

Il sacerdote ha sottolineato che il Papa in quel momento "era un seminarista che studiava teologia e, all'età di 16 anni, è stato coscritto nei corpi ausiliari della contraerea, come tutte le persone della sua età. Nulla a che vedere con la Hitlerjugend e l'ideologia nazista".

Il portavoce ha anche risposto alle critiche apparse sulla stampa israeliana e internazionale contro il Papa per non aver menzionato nel suo discorso al Memoriale di Yad Vashem i milioni di morti nell'Olocausto o la sua origine tedesca.

P. Lombardi ha spiegato che il Pontefice non può ripetere gli stessi concetti in ogni discorso. "Ha scelto il tema della memoria e ha sviluppato la questione dei nomi. Non è che dovesse fare un trattato sull'Olocausto. Della Germania, del suo passato e del nazismo ha già parlato altre volte. La mattina, inoltre, aveva già detto che ci sono sei milioni di ebrei morti che non possiamo dimenticare, che c'è ancora l'antisemitismo".

P. Lombardi ha rivelato che il Papa non si offende quando i mezzi di comunicazione alterano le sue parole.

"Non è uno che reagisca in modo superficiale o immediato, è molto paziente e pronto ad ascoltare gli altri, ognuno può fare il suo discorso. Certo sente che non è stato capito, io sento lo stesso, ma sappiamo cosa è il mondo e quali sono gli atteggiamenti. Non si è sempre pronti a capire bene, a volte ci sono pregiudizi, e non tutti sono pronti a un atteggiamento di ascolto", ha concluso.
+PetaloNero+
00mercoledì 13 maggio 2009 16:14
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XX)


CERIMONIA DI BENVENUTO NEI TERRITORI PALESTINESI, A BETHLEHEM



Questa mattina, alle ore 8.45, il Santo Padre Benedetto XVI lascia la Delegazione Apostolica di Jerusalem e si trasferisce in auto al Palazzo Presidenziale dell’Autorità Palestinese a Bethlehem. Il Papa passa il confine tra Israele e i Territori Autonomi Palestinesi alla Porta della Tomba di Rachele.

Alle ore 9, nel piazzale antistante il Palazzo Presidenziale di Bethlehem, ha luogo la Cerimonia di benvenuto nei Territori Palestinesi. Il Santo Padre è accolto dal Presidente dell’Autorità Palestinese, Sig. Mahmoud Abbas alias Abu Mazen, dalle Autorità politiche, civili e religiose.

Dopo la presentazione delle rispettive Delegazioni e il saluto del Presidente dell’Autorità Palestinese, il Papa pronuncia il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Presidente,
Cari amici,

saluto tutti voi dal profondo del cuore, e vivamente ringrazio il Presidente, il Sig. Mahmoud Abbas, per le sue parole di benvenuto. Il mio pellegrinaggio nelle terre della Bibbia non sarebbe stato completo senza una visita a Betlemme, la Città di Davide e il luogo di nascita di Gesù Cristo. Né avrei potuto venire in Terra Santa senza accettare il gentile invito del Presidente Abbas a visitare questi Territori per salutare il popolo Palestinese. So quanto avete sofferto e continuate a soffrire a causa delle agitazioni che hanno afflitto questa terra per decine di anni. Il mio cuore si volge a tutte le famiglie che sono rimaste senza casa. Questo pomeriggio farò una visita all’Aida Refugee Camp per esprimere la mia solidarietà con il popolo che ha perduto così tanto. A quelli fra voi che piangono la perdita di familiari e di loro cari nelle ostilità, particolarmente nel recente conflitto di Gaza, offro l’assicurazione della più profonda compartecipazione e del frequente ricordo nella preghiera. In effetti, io prendo con me tutti voi nelle mie preghiere quotidiane, ed imploro ardentemente l'Eccelso per la pace, una pace giusta e durevole, nei Territori Palestinesi e in tutta la regione.

Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti. Anche se al presente questo obiettivo sembra lontano dall’essere realizzato, io incoraggio Lei e tutto il Suo popolo a tenere viva la fiamma della speranza, speranza che si possa trovare una via di incontro tra le legittime aspirazioni tanto degli Israeliani quanto dei Palestinesi alla pace e alla stabilità. Per usare le parole del precedente Papa Giovanni Paolo II, non vi può essere "pace senza giustizia, né giustizia senza perdono" ( Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002). Supplico tutte le parti coinvolte in questo conflitto di vecchia data ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione, per arrivare a tutti ugualmente con generosità e compassione, senza discriminazione. Una coesistenza giusta e pacifica fra i popoli del Medio Oriente può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazione e mutuo rispetto, in cui i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e rispettati. Chiedo a tutti voi, chiedo ai vostri capi, di riprendere con rinnovato impegno ad operare per questi obiettivi. In particolare, chiedo alla Comunità internazionale di usare della sua influenza in favore di una soluzione. Credo e confido che tramite un onesto e perseverante dialogo, con pieno rispetto delle aspettative di giustizia, si possa raggiungere in queste terre una pace durevole.

E’ mia ardente speranza che i gravi problemi riguardanti la sicurezza in Israele e nei Territori Palestinesi vengano presto decisamente alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, con speciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi. I Palestinesi, così come ogni altra persona, hanno un naturale diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all’educazione e all’assistenza sanitaria. Prego anche perché, con l’assistenza della Comunità internazionale, il lavoro di ricostruzione possa procedere rapidamente dovunque case, scuole od ospedali siano stati danneggiati o distrutti, specialmente durante il recente conflitto in Gaza. Questo è essenziale affinché il popolo di questa terra possa vivere in condizioni che favoriscano pace durevole e benessere. Una stabile infrastruttura offrirà ai vostri giovani opportunità migliori per acquisire valide specializzazioni e per ottenere impieghi remunerativi, abilitandoli a svolgere la loro parte nella promozione della vita delle vostre comunità. Rivolgo questo appello ai tanti giovani presenti oggi nei Territori Palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo. Al contrario, fate in modo che quanto avete sperimentato rinnovi la vostra determinazione a costruire la pace. Fate in modo che ciò vi riempia di un profondo desiderio di offrire un durevole contributo per il futuro della Palestina, così che essa possa avere il suo giusto posto nello scenario del mondo. Che ciò ispiri in voi sentimenti di compassione per tutti coloro che soffrono, impegno per la riconciliazione ed una ferma fiducia nella possibilità di un più luminoso futuro.

Signor Presidente, cari amici riuniti qui a Betlemme, invoco su tutto il popolo Palestinese le benedizioni e la protezione del nostro Padre celeste, ed elevo la fervida preghiera che il canto degli angeli risuonato in questo luogo si compia: "pace sulla terra agli uomini di buona volontà". Grazie. E Dio sia con voi.


Al termine della Cerimonia di benvenuto, il Santo Padre si reca in auto alla "Manger Square" di Bethlehem.







PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXI)


SANTA MESSA NELLA "MANGER SQUARE" DI BETHLEHEM



Conclusa la cerimonia di benvenuto, il Santo Padre Benedetto XVI raggiunge in auto la "Manger Square" - la Piazza della Mangiatoia - di Bethlehem, antistante alla Basilica della Natività, ove, alle ore 10, ha luogo la Celebrazione Eucaristica.

Nel corso della Santa Messa, introdotta dall’indirizzo di saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, dopo la proclamazione del Vangelo il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

ringrazio Dio Onnipotente per avermi concesso la grazia di venire a Betlemme, non solo per venerare il posto dove Cristo è nato, ma anche per essere al vostro fianco, fratelli e sorelle nella fede, in questi Territori Palestinesi. Sono grato al Patriarca Fouad Twal per i sentimenti che ha espresso a nome vostro, e saluto con affetto i confratelli Vescovi e tutti i sacerdoti, religiosi e fedeli laici che faticano ogni giorno per confermare questa Chiesa locale nella fede, nella speranza, nell’amore. Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra: vi chiedo di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto.

"Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore" (Lc 2,10-11). Il messaggio della venuta di Cristo, recato dal cielo mediante la voce degli angeli, continua ad echeggiare in questa città, come echeggia nelle famiglie, nelle case e nelle comunità del mondo intero. È una "grande gioia", hanno detto gli angeli, "che sarà di tutto il popolo" (Lc 2,10). Questo messaggio di gioia proclama che il Messia, Figlio di Dio e figlio di Davide, è nato "per voi": per te e per me, e per tutti gli uomini e donne di ogni tempo e luogo. Nel piano di Dio, Betlemme, "così piccola per essere fra i villaggi di Giudea" (Mic 5,1) è divenuta un luogo di gloria immortale: il posto dove, nella pienezza dei tempi, Dio ha scelto di divenire uomo, per concludere il lungo regno del peccato e della morte e per portare vita nuova ed abbondante ad un mondo che era divenuto vecchio, affaticato, oppresso dalla disperazione.

Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta! Quanto distante appare quel Regno di ampio dominio e di pace, sicurezza, giustizia ed integrità, che il profeta Isaia aveva annunciato, secondo quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr Is 9,7) e che proclamiamo come fondato in maniera definitiva con la venuta di Gesù Cristo, Messia e Re!

Dal giorno della sua nascita, Gesù è stato "segno di contraddizione" (Lc 2,34) e continua ad essere tale anche oggi. Il Signore degli eserciti, "le cui origini è dall’antichità, dai giorni più remoti" (Mic 5,2), volle inaugurare il suo Regno nascendo in questa piccola città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e giacendo, come bimbo bisognoso di tutto, in una mangiatoia. Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa "buona novella", il messaggio di redenzione che questa città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo. Qui infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è mostrato fedele alle sue promesse. Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un Regno d’amore: un amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella gloriosa risurrezione a nuova vita. Cristo ha portato un Regno che non è di questo mondo, eppure è un Regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà. Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!

"Nella speranza siamo stati salvati" dice l’apostolo Paolo (Rm 8,24). E tuttavia afferma con grande realismo che la creazione continua a gemere nel travaglio, anche se noi, che abbiamo ricevuto le primizie dello Spirito, attendiamo pazientemente il compimento della redenzione (cfr Rm 8,22-24). Nella seconda lettura odierna, Paolo trae dall’Incarnazione una lezione che può essere applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in Betlemme, state sperimentando: "È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà", nell’attesa della venuta della nostra beata speranza, il Salvatore Cristo Gesù (Tt 2,11-13).

Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili. La cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune. E poi la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza: perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo per dimorare sulla terra.

"Non abbiate paura!". Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo. Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire. Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.

Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura "spirituale", capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!

L’antica basilica della Natività, provata dai venti della storia e dal peso dei secoli, si erge di fronte a noi quale testimone della fede che permane e trionfa sul mondo (cfr 1 Gv 5,4). Nessun visitatore di Betlemme potrebbe fare a meno di notare che nel corso dei secoli la grande porta che introduce nella casa di Dio è divenuta sempre più piccola. Preghiamo oggi affinché, con la grazia di Dio e il nostro impegno, la porta che introduce nel mistero della dimora di Dio tra gli uomini, il tempio della nostra comunione nel suo amore, e l’anticipo di un mondo di perenne pace e gioia, si apra sempre più ampiamente per accogliere ogni cuore umano e rinnovarlo e trasformarlo. In questo modo, Betlemme continuerà a farsi eco del messaggio affidato ai pastori, a noi, all’umanità: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama"! Amen.


Al termine della Santa Messa, il Papa si reca a piedi al Convento di Casa Nova a Bethlehem - la Casa francescana per i pellegrini - dove pranza con gli Ordinari di Terra Santa, con la Comunità dei Francescani e con i Membri del Seguito papale.






Il Papa a Betlemme: il luogo della nascità di Gesù invita a testimoniare il trionfo dell'amore sull'odio. Solidarietà ai pellegrini di Gaza: sia tolto l'embargo



Attraverso il check point che separa lo Stato israeliano dai Territori palestinesi, il Papa è giunto stamani in auto a Betlemme poco prima delle 8.00. Dopo la cerimonia di benvenuto con il presidente Abbas si è trasferito nella Piazza della Mangiatoia per celebrare la Santa Messa. Il Papa ha avuto parole di speranza pur in mezzo alle grandi sofferenze di queste popolazioni: il luogo della nascità di Gesù – ha detto - invita a testimoniare il trionfo dell'amore sull'odio. Ha quindi espresso la sua solidarietà ai pellegrini giunti da Gaza chiedendo che sia tolto l'embargo. Alla celebrazione ha partecipato anche il presidente Abbas e decine di musulmani. Molte le bandiere palestinesi tra la folla. Per le strade di Betlemme non c’era la gente del 2000 per Giovanni Paolo II ma il blocco imposto da Israele non favorisce gli spostamenti. Linea al nostro inviato Roberto Piermarini:

(canto)

Una giornata nel cuore del popolo palestinese per rinnovare l’appello di pace e di speranza nella cittadina che oltre 2000 anni fa ha visto la nascita di Gesù. Dalla Piazza della Mangiatoia di Betlemme, di fronte alla Basilica della Natività, sullo sfondo delle aride colline del Neghev e davanti a 10 mila fedeli, Benedetto XVI ha lanciato una forte invocazione a “non avere paura”, richiamando l’appello che nove anni fa lanciò Giovanni Paolo II nell’anno del Grande Giubileo del Duemila.


“Per gli uomini e le donne di ogni luogo – ha detto il Papa – Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta! Quanto distante appare quel Regno di ampio dominio e di pace, sicurezza, giustizia ed integrità. Dal giorno della sua nascita – ha osservato il Papa – Gesù è stato ‘segno di contraddizione’ e qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo”. Questo è il messaggio di Betlemme: una chiamata ad essere testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione tra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire.


“Do not be afraid!...”
Non abbiate paura! - ha ripetuto il Papa - Adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire, soprattutto ai giovani che sono il futuro di questo popolo”.


I cristiani a Betlemme rappresentavano l’80% della popolazione, ora sono poco più del 15-20% ed emigrano per la precarietà del lavoro, per l’instabilità politica nella regione e per le minacce dell’integralismo islamico. Benedetto XVI ha invitato i cristiani ad “essere ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali – ha esortato – facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità. ‘Non abbiate paura’, la vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche ma di una nuova infrastruttura spirituale da mettere al servizio dell’educazione dello sviluppo e della promozione del bene comune.


All’omelia il Papa non ha voluto dimenticare la presenza dei pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza, a causa della guerra:

“I ask you to bring back to your families...
Vi chiedo di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto”.


A Betlemme, ne sono arrivati da Gaza una cinquantina sui 250 cristiani che ne avevano fatto richiesta alle autorità israeliane; con loro il parroco padre Musallam.


(preghiera dei fedeli in arabo)

Anche alla preghiera dei fedeli si è pregato in arabo per i bambini palestinesi di Gaza rimasti uccisi nel conflitto, orfani e che vivono nella miseria e nella paura. E del dopoguerra a Gaza ha parlato nel suo indirizzo di saluto al Papa, anche il Patriarca latino di Gerusalemme mons. Twal il quale ha ricordato l’ingiustizia, l’occupazione e la mancanza di speranza – soprattutto per i giovani - causa di emigrazione di molti cristiani dalla Terra Santa:

“No one can pretend to own this land...
Nessuno può pretendere di possedere questa terra al posto degli altri ed escludendo gli altri. – ha detto – Dio stesso ha scelto questa terra e vuole che tutti i suoi figli vi vivano insieme”.

Ma – ha ribadito mons. Twal – finché l’instabilità politica perdura, finchè si estende il muro che separa Betlemme da Gerusalemme e dal resto del mondo, noi non potremo trovare la pace per la nostra terra”.


(canto)




Il Papa al presidente Abbas: la Santa Sede appoggia i diritti dei palestinesi. Ai giovani: resistere alla tentazione del terrorismo


Benedetto XVI partecipa la speranza che il popolo palestinese possa avere una “patria sovrana”, implorando una “pace giusta e durevole” in tutta la regione mediorientale: sono questi i temi affrontati dal Papa durante l'incontro col presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas nella cerimonia di benvenuto a Betlemme che si è svolta nel piazzale antistante il Palazzo presidenziale. Il servizio di Roberta Gisotti.

“So quanto avete sofferto e continuate a soffrire” per le agitazioni “che hanno afflitto questa terra per decine di anni”, ha esordito Benedetto XVI rivolto al presidente Abbas e a tutti gli amici palestinesi, incontrati a Betlemme, nella città natale di Gesù, raccogliendo l’invito a visitare i Territori autonomi. Benedetto XVI ha espresso solidarietà al popolo palestinese “che ha perduto così tanto”, partecipando alla sofferenza di quanti “piangono la perdita di familiari e di loro cari nelle ostilità”, ed offrendo il conforto delle sue preghiere quotidiane per loro. “Imploro ardentemente” – ha invocato il Papa - “una pace giusta e durevole, nei Territori palestinesi e in tutta la regione”.


“Mr President, the Holy See supports the right of your people...”
Benedetto XVI ha rassicurato il presidente Abbas che la Santa Sede appoggia “il diritto del popolo palestinese ad una “sovrana patria” nella terra degli antenati, “sicura e in pace” con i vicini, “entro confini internazionalmente riconosciuti”. E se questo obiettivo oggi sembra ancora “lontano dall’essere realizzato”, il Papa ha incoraggiato “a tenere viva la fiamma della speranza”,“che si possa trovare una via di incontro tra le legittime aspirazioni tanto degli Israeliani quanto dei Palestinesi alla pace e alla stabilità”.


Da qui la supplica a “tutte le parti coinvolte in questo conflitto di vecchia data ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto” perché “i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e rispettati”.


“I ask all of you, I ask your leaders, to make a renewed commitment...”
Ha chiesto il Santo Padre “di riprendere con rinnovato impegno ad operare per questi obiettivi”, con il sostegno della comunità internazionale, confidando che “un onesto e perseverante dialogo, con pieno rispetto delle aspettative di giustizia”, possa portare “in queste terre una pace durevole”. E condizione essenziale è risolvere “i gravi problemi” della sicurezza in Israele e nei Territori palestinesi “cosi da permettere maggiore libertà di movimento”, specie per i contatti familiari e l’accesso ai luoghi santi. “I Palestinesi così come ogni altro popolo – ha ricordato il Papa - hanno un naturale diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all’educazione e all’assistenza sanitaria”. E così anche ha sollecitato Benedetto XVI, la ricostruzione di case, scuole, ospedali danneggiati o distrutti, specie nel recente conflitto di Gaza. Infine un appello ai giovani:


“Do not allow the loss of life and the destruction that you have witnessed...
Non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo. Al contrario, fate in modo che quanto avete sperimentato rinnovi la vostra determinazione a costruire la pace”.


Da parte sua il presidente palestinese ha ribadito “la necessità di due Stati sovrani Israele e Palestina che vivano accanto in un clima di pace e stabilità”. Siamo per la pace - ha detto - e continuiamo ad avere speranza in un domani senza più occupazione, profughi o prigionieri, fondato sulla coesistenza pacifica e la prosperità. Ma ha poi lamentato che in quella Terra si costruiscono ancora muri e non ponti, riferendosi in particolare al muro che circonda Gerusalemme est, acuendo quindi le sofferenze del popolo palestinese; ha parlato anche di aggressione israeliana a Gaza e del tentativo– a suo dire - per mezzo dell’occupazione di costringere cristiani e musulmani all’esilio.





Commento da Betlemme: le parole piene di amore del Papa ci danno coraggio e speranza!


Benedetto XVI è stato accolto a Betlemme, il luogo della nascita di Gesù, in un clima di grande commozione. Sulle parole pronunciate dal Santo Padre si sofferma, al microfono di Fabio Colagrande, il dottor Geries Sa’ed Khourry, direttore del Centro Al-Liqa’ di Betlemme per la promozione della tolleranza e dell’amicizia tra cristiani, musulmani ed ebrei:

R. – Le parole di Sua Santità hanno commosso tutti: hanno commosso non soltanto i giovani, ma tutti noi. Quando ha detto: “Bisogna resistere, non bisogna scappare, bisogna sperare, bisogna rimanere qua!”. E’ un messaggio molto importante per la Chiesa locale. Noi crediamo nel dialogo, crediamo nell’incontro sia religioso sia culturale; noi crediamo nella costruzione di ponti e non muri tra popoli e tra religioni. Perciò, i giovani sono molto importanti per il futuro della presenza viva della Chiesa locale.


D. – Lei crede davvero che, nonostante le grandi difficoltà che stanno vivendo i Territori palestinesi, questo seme di speranza e di pace possa maturare?


R. – Come popolo palestinese, abbiamo sofferto per più di 60 anni, e tuttora stiamo soffrendo. Ma quando sentiamo queste parole, che danno coraggio, quando sentiamo parole che sono piene di amore, piene di fede, per noi sono veramente parole che ci danno speranza per un futuro migliore. Noi palestinesi cristiani dobbiamo continuare a far sentire la nostra voce profetica che chiede la giusta pace in Terra Santa sia per il popolo palestinese sia per i nostri fratelli israeliani, noi vogliamo solo una cosa: uno Stato palestinese per il nostro popolo che ha sofferto, affianco allo Stato israeliano: che vivano in pace l’uno vicino all’altro!





Padre Shomali e suor Nobs sulla visita del Papa al Campo profughi di Aida e al Caritas Baby Hospital


Nel pomeriggio il Pontefice visiterà la Grotta della Natività e, a seguire, il Caritas Baby Hospital di Betlemme e il Campo profughi di Aida, dove incontrerà - come è stato a Gerusalemme per la famiglia del soldato Shalit prigioniero di Hamas - due coppie, una cristiana e l’altra musulmana, che hanno i propri figli detenuti in Israele. Inoltre il Papa donerà 50 mila euro al Campo, che li utilizzerà per la costruzione di tre aule scolastiche che saranno intitolate a suo nome. Secondo l’Onu i profughi palestinesi sono circa 4 milioni e 600 mila. Nei territori palestinesi gli sfollati sono un milione e 300 mila. Il campo profughi di Aida accoglie circa 7 mila persone. Sulla situazione in questo campo ci parla padre William Shomali rettore del seminario di Beit Jala, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Il Campo profughi di Aida è uno dei tre campi che si trovano a Betlemme; era un terreno che apparteneva alla popolazione cristiana di Beit Jala. Hanno costruito prima di tutto qualche tenda, all’inizio, nel ’48; dopo hanno costruito delle case che adesso sono come tutte le altre case di Betlemme, quelle più povere, con strade malmesse: le fognature sono spesso inesistenti. La popolazione non arriva a più di sei, sette mila persone, per la maggior parte musulmana eccetto qualche famiglia cristiana che aveva dei terreni là e vi ha costruito.


D. – Come vivono queste poche famiglie cristiane all’interno di questo campo profughi, a maggioranza musulmana?


R. – Dipende. C’è qualcuno che vive meglio: non sono mendicanti, direi che sono persone normali.


D. – Sono in armonia con la comunità musulmana?


R. – Direi di sì perché ogni volta che noi cristiani siamo minoritari, non c’è problema. Il problema arriva quando siamo maggioritari, come a Betlemme o in altre città dove il numero è consistente: ma quando siamo un due per cento, non siamo oggetto di minaccia per nessuno.


D. – Quali problematiche ci sono all’interno di questo campo di Aida?


R. – Questa gente vuol ritornare alla sua casa di origine: hanno lasciato la propria terra, la casa, i familiari. Ogni anno la situazione diventa più difficile perché i primi profughi, quelli del ’48, sono quasi tutti morti. Ci sono i figli, ma dopo tre generazioni, la possibilità di ritornare, diventa meno probabile. Dunque, una certa disperazione di ritornare, esiste, sapendo che gli israeliani non vogliono il ritorno dei profughi. Hanno messo questa condizione per qualsiasi soluzione al problema. Forse permetteranno il ritorno dei profughi all’interno dei Territori palestinesi, ma mai all’interno di Israele. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


Prima di arrivare al Campo profughi di Aida, il Papa si reca al Caritas Baby Hospital di Betlemme: un ospedale pediatrico fondato nel 1978 e sostenuto dai vescovi svizzeri e tedeschi. Assicura circa 30 mila prestazioni ambulatoriali e 4 mila degenze all’anno anche grazie all’impegno delle Suore Francescane Elisabettiane di Padova. Roberto Piermarini ne ha parlato con suor Erika Nobs, direttrice delle infermiere dell’ospedale:

R. – Assistiamo i bambini palestinesi che vengono da Betlemme e dalla circoscrizione di Hebron, dalla parte sud del West Bank.


D. – Quindi, sono tutti bambini musulmani, la maggior parte?


R. – La maggior parte sono bambini musulmani, la stragrande maggioranza: il 90 per cento e anche più.


D. – Che rapporto avete con le famiglie musulmane che portano a voi questi bambini?


R. – Di solito un buon rapporto: loro sono contenti e grati per il servizio che diamo. Siamo l’unico ospedale ed hanno veramente bisogno di noi. Ed anche per questo sono grati.


D. – Cosa curate in particolare?


R. – Curiamo tutte le malattie interne e anche tante malattie genetiche, malattie metaboliche, malattie del cuore, dovute al matrimonio tra consanguinei.


D. – Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate nel vostro lavoro, nell’ospedale?


R. – Le difficoltà sono quelle del trasferimento a Gerusalemme, quando un bambino ha bisogno di un intervento chirurgico. E’ una grande difficoltà, perché senza permessi non possono partire. Si devono, poi, coordinare le ambulanze. Una nostra ambulanza deve andare al check-point e dall’altra parte deve venire l’ambulanza da Israele, e questo crea difficoltà, perché i bambini a volte sono molto ammalati, ma devono, in ogni caso, cambiare l’ambulanza.


D. – I bambini che voi accogliete nel vostro ospedale, la maggior parte non pagano, non hanno la possibilità di pagare. Ma come va avanti l’ospedale economicamente, avete dei donatori?


R. – Noi abbiamo tanti donatori e siamo grati a tutti gli amici che ci aiutano a portare avanti l’opera: amici dall’Italia, amici dalla Germania, dalla Svizzera, dall’Europa e anche altrove. Possiamo veramente fare una buona opera.


D. – Suor Erika, perché questa visita del Papa al Caritas Baby Hospital? Come vede lei questa visita?


R. – Devo dire che siamo tanto contenti di questa visita, di questa sorpresa che ci fa il Santo Padre. Ma io penso che oltre a visitare i luoghi santi, cioè il luogo dove Gesù è nato, lui voglia vedere anche i bambini Gesù viventi, che abbiamo nel nostro ospedale. (Montaggio a cura di Maria Brigini)




Domani la visita a Nazareth: intervista con mons. Marcuzzo


Domani Benedetto XVI visiterà Nazareth, nella penultima giornata del suo pellegrinaggio in Terra Santa. Nella mattinata presiederà la Messa presso il Monte del Precipizio. Nel pomeriggio incontrerà i capi religiosi della Galilea nella Basilica dell’Annunciazione e visiterà la Grotta del “sì” di Maria all’Arcangelo Gabriele. La celebrazione dei Vespri nel Santuario concluderà la giornata. Sul significato di questa visita del Papa a Nazareth, Roberto Piermarini ha sentito mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale latino per Israele:


R. – Il tema principale è la famiglia, per due motivi. Prima di tutto, naturalmente, perché Nazareth è il luogo della Sacra Famiglia di Nazareth, e anche perché la Chiesa locale di Terra Santa – Giordania, Israele, Palestina – conclude quest’anno l’Anno della Famiglia: è da tre anni che noi stiamo concentrando tutti i nostri sforzi intorno alla Famiglia e siamo contentissimi che il Papa possa anche benedire la prima pietra di un progetto molto caro a Giovanni Paolo II: il famoso Centro internazionale per la spiritualità della famiglia, che si costruirà a Nazareth.


D. – In ogni viaggio del Papa si parla di attentati, di minacce – immancabilmente. Perché in questo viaggio si fa riferimento però anche a minacce fatte a Nazareth?


R. – Perché Nazareth, negli anni tra il 1997 e il 2002, ha vissuto momenti poco belli nella coesistenza interreligiosa. Grazie a Dio, questi momenti ora sono superati: adesso le relazioni sono buone – tradizionalmente erano ottime! Infatti, quell’episodio della famosa moschea da costruirsi nel centro di Nazareth era qualcosa veramente di non naturale, venuto quasi da fuori e soprattutto molto politicizzato. Allora, queste tensioni sono un po’ collegate a quei ricordi che adesso sono sorpassati, e adesso la comunità di Nazareth – i cristiani, naturalmente, ma anche i musulmani – accolgono con amore, con calore, il Papa.


D. – Lei, eccellenza, personalmente, che cosa si aspetta da questa visita del Papa a Nazareth?


R. – Abbiamo in Terra Santa ancora oggi una comunità di cristiani composta dai discendenti della prima comunità cristiana fondata da Gesù Cristo stesso. Che il Papa venga e possa incontrare questa comunità è molto, molto significativo! Per noi il Papa è Pietro, la roccia sulla quale vogliamo fondare la nostra presenza, il nostro radicamento qui, le nostre relazioni con gli altri. E’ la pietra sicura …





Padre Lombardi: giornata splendida a Betlemme!


Sulla visita del Papa a Betlemme ascoltiamo il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti:

R. – E’ una giornata splendida, c’è un’accoglienza molto calorosa … La Messa è una vera, grande festa con una partecipazione estremamente cordiale dei cristiani che non solo sono quelli di Betlemme ma sono anche venuti dalla West Bank e un gruppo è venuto anche da Gaza … quindi, è un momento veramente di gioia. E nonostante le difficoltà che qui le comunità cristiane vivono e che sono state ricordate con molta efficacia anche dal Santo Padre - oltre che dal patriarca latino Twal - però è un messaggio di speranza, quello che porta il Papa, di grande solidarietà della Chiesa universale con queste comunità cristiane, e anche di speranza, perché continuino ad impegnarsi qui, ad essere ponti di riconciliazione in Paesi di tensione, e ad essere testimoni, i custodi – diciamo – come comunità viva dei Luoghi più santi della nostra religione.


D. – Come sono state accolte dai palestinesi le espressioni di solidarietà del Papa?


R. – Bè, naturalmente sono state accolte con grandissima gioia: è quello che loro desiderano, è quello di cui sentono il bisogno; però, bisogna notare sempre che le espressioni di solidarietà del Papa sono unite ad un incoraggiamento, ad uno spirito di pace e di riconciliazione. Ci sono state le parole chiare del Papa soprattutto per i giovani, di non cedere alla tentazione del terrorismo e della violenza. Quindi, il Papa continua a dare un messaggio che è chiarissimamente orientato alla pace e al superamento delle divisioni. Lo ha fatto in Israele, lo ha fatto con i musulmani e lo fa anche qui con i palestinesi.


D. – E’ un pellegrinaggio di pace che cerca di mettere insieme le legittime aspirazioni dei palestinesi e degli israeliani …


R. – Certamente: questo il Papa lo ha ripetuto molto chiaramente, soprattutto nel discorso all’arrivo qui, al Palazzo presidenziale di Mahmoud Abbas, dicendo chiaramente il sostegno della Santa Sede per la linea di due Stati sovrani, indipendenti, con confini internazionalmente riconosciuti che vivano in pace. Tra l’altro, due Stati che vivono così vicini sono anche interrelati da tantissimi rapporti di carattere sociale, economico, umano … Ecco, la pace può essere fatta solo se queste entità statali crescono in un clima in cui poi anche tutti i tessuti umani siano di riconciliazione e di pace.





Gerusalemme: concerto per la riconciliazione


In occasione della visita del Santo Padre in Terra Santa, si terrà stasera a Gerusalemme un grande evento internazionale di musica e danza per favorire l'unità e la pace tra i popoli: il concerto per la Riconciliazione, patrocinato dal Comune di Roma, ed organizzato da Sat2000, l'emittente satellitare dei Vescovi italiani. Il concerto avrà come scenario l'anfiteatro romano di Bet She'an, che potrà ospitare oltre 7000 persone. Sul palco canteranno star e reciteranno e balleranno ragazzi di fede ebraica, cristiana e musulmana. Il servizio di Debora Donnini:


(musica)

“Se l’Eden si trova in Israele le sue porte sono a Bet She’an” dice la tradizione ebraica. E’ proprio questa cittadina della Galilea infatti ad ospitare il concerto per la Riconciliazione. Nello splendido palco dell’anfiteatro romano musicisti e cantanti, ballerini professionisti e ragazzi di fede musulmana, ebraica e cristiana daranno vita ad uno spettacolo per parlare della pace, anzi per mostrare come si costruisce la pace: dai cuori delle persone, come tante volte ha ricordato il Papa in questo viaggio. Tanti gli artisti attesi. Presente anche il coro del Magnificent Institute composto da 20 bambine ebree, cristiane e musulmane, così come l’orchestra di 150 persone. Francesco Porcelli, produttore esecutivo del concerto e responsabile delle produzioni di Sat 2000.


“E’ una risposta concreta che si vuol dare: questa sensibilizzazione che il Santo Padre cerca di fare sul processo di pace in Terra Santa. Quindi, si è partiti da questa considerazione e si è arrivati appunto alla conclusione che bisogna frapporre fra i due popoli uno spartito, l’arte, che comunque li accomuna”.


Uno dei pezzi forti dello spettacolo è senz’altro la performance del gruppo di teatro della Fondazione “Beereshit-In principio la Shalom” fondato da Angelica Livne Calò, che da anni insegna a bambini ebrei e arabi, cristiani e musulmani, a dialogare attraverso le arti, prima fra tutte il teatro. I ragazzi appaiono sul palco con maschere e tuniche bianche, ma questo momento sarà spezzato da un litigio e dallo strappo delle tuniche sotto le quali si accorgeranno di essere vestiti chi di viola, chi di arancione, i due colori più lontani fra loro nella scala cromatica. Scoppia dunque la guerra. Quando però due ragazzi usciti dal gruppo si tolgono la maschera, scoprono di avere un volto, infrangendo una convenzione anche teatrale. Allora prende il via una bellissima danza, due di loro però non riescono a togliersi la maschera.


Ad aiutarli una voce fuori campo che legge un brano di Anna Frank: perché, si chiedeva la giovane ragazza ebrea, si spendono tanti soldi per le armi e non per i poveri. Dopo queste parole e l’offerta del pane da parte di un bimbo, anche gli ultimi due ragazzi riescono a togliersi la maschera. E il pane viene distribuito a tutto il pubblico. Vedere il volto dell’altro, la sua umanità, è il primo passo, come ci spiega la stessa Angelica Livne Calò:

“Nel momento in cui ti togli la maschera vedi il volto, vedi che c’è un sorriso, vedi che ci sono delle gote come le tue, vedi che puoi parlare con questa persona e questa persona è diversa dalla tua identità, ma è un essere umano come te. Per cui tu hai meno paura. Le guerre nascono dalle paure. Noi siamo nati per amare, per vivere, siamo nati per creare, per procreare, per cui si spera che togliendoci una maschera, sia poi quello che ci aiuta ad avvicinarci”.

Gran finale le note di “we are the world”, cantato in ebraico, arabo e inglese perché come ricorda il filo conduttore della serata, lì dove non arrivano le parole, posso arrivare l’arte. Ad Angelica abbiamo chiesto ancora cosa suscita in lei questa visita del Papa:

“Suscita molta speranza e tutto ciò che può creare amicizia, il calare di certe maschere, l’avvicinamento di persone è la cosa più inestimabile e più importante che abbiamo in questo momento. Io spero che questa visita porti una buona svolta nella storia, che ci aiuti, in un momento come questo così difficile, a creare nuovi orizzonti, diversi per lo meno per le nuove generazioni. Poi questo spettacolo, secondo me, è una cosa molto importante perché è attraverso l’arte, la musica, tutti i gesti universali che si possono unire le persone. Riusciamo per lo meno a dare un buon esempio di speranza per il futuro, che è quello che di cui tutti abbiamo bisogno in questo momento. Abbiamo bisogno di piccoli miracoli”.





Il saluto del patriarca Twal: finché il muro separerà Betlemme dal mondo, non ci potrà essere pace


All'inizio della Messa nella Piazza della Mangiatoia di Betlemme il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal ha rivolto il suo indirizzo di saluto al Papa. Ecco il testo integrale di questo saluto.

Santissimo Padre,

In nome dei miei fratelli i vescovi cattolici di Terra Santa; in nome di tutte le Chiese locali di Gesù Cristo presenti su questa terra; in nome di tutti gli abitanti e visitatori di questa terra santificata dalla nascita, dalla vita, dalla morte e dalla resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, Le do il benvenuto oggi a Betlemme.

Noi L’accogliamo come successore di san Pietro, al quale il Cristo ha dato la missione di “confermare i suoi fratelli”: Lei è tra noi come nostre padre e nostro fratello. La sua presenza qui oggi significa che noi siamo sempre presenti nel cuore e nello spirito della Chiesa universale, che la Chiesa cattolica tutta intera è con noi e per noi. Le Sue preghiere e le preghiere della Chiesa ci sostengono e ci danno un coraggio rinnovato per servire Nostro Signore in questa terra.

Solamente ad alcuni metri di qui, Nostro Signore Gesù Cristo è nato; il Verbo di Dio s’è reso visibile. Dio ha visitato il suo popolo per essere l’Emmanuele, per “essere con noi”; ed egli continua a venire, per essere con noi tutti i giorni. In questa terra, il messaggio degli angeli di Dio è stato sentito dai più poveri e dai più piccoli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace al suo popolo”. Tale è stato il messaggio celeste ricevuto dai nostri antenati, i pastori di Betlemme. Tale è il messaggio che continua ad essere proclamato tutti i giorni. Se tale è il messaggio della nostra terra e di Betlemme per il mondo, la nostra vocazione-missione in questa terra martirizzata è quella di glorificare Dio e di espandere la Sua pace sulla terra. Questo messaggio rappresenta un compito e una missione quotidiana. Esso si traduce nell’impegno della Chiesa a servire la pace e la riconciliazione, a sostenere i poveri, a fortificare i deboli, a comunicare la speranza a coloro che disperano. Per questa missione, noi abbiamo bisogno del Suo sostegno e delle Sue preghiere.

Santissimo Padre, questa terra dove Gesù ha scelto di vivere per salvare il mondo, ha bisogno di pace, di giustizia e di riconciliazione. Le nostre ferite hanno bisogno di essere guarite, i prigionieri d’essere rilasciati, i nostri cuori d’essere purificati dall’odio, e il nostro popolo di vivere in pace e in sicurezza. Il nostro popolo soffre e continua a soffrire l’ingiustizia, la guerra (la guerra di Gaza è ancora una ferita aperta per centinaia di migliaia di persone), l’occupazione e la mancanza di speranza in un avvenire migliore. Quando noi abbiamo accolto il Suo predecessore, il papa Giovanni Paolo II, noi avevamo la speranza di pervenire alla pace, ma questa pace non è mai venuta. Molti hanno allora abbandonato ogni speranza e hanno lasciato la Terra Santa per andare in cerca di un avvenire migliore in altri paesi. Ecco perché il numero dei Palestinesi, soprattutto cristiani, è diminuito e continua a diminuire. Finché noi non troveremo la pace e la tranquillità, ho paura che questo continui. Finché l’instabilità politica perdura, finché si estende il muro che separa Betlemme da Gerusalemme e dal resto del mondo, noi non potremo trovare la pace per la nostra terra.

Santissimo Padre, i cittadini di Betlemme e dei Territori palestinesi sono venuti ad accoglierLa e a pregare con Lei: cattolici e cristiani di tutte le Chiese, mussulmani e rappresentanti dell’Autorità palestinese, noi siamo venuti tutti per rinnovare il nostro impegno a favore di una pace giusta, una pace che dia a ciascun individuo e ad ogni popolo di vivere degnamente in questa terra; una pace che permetta ai genitori di non avere paura per i loro figli e la loro sicurezza; una pace che dia ai giovani di condurre una vita normale e di costruire il loro avvenire; una pace che permetta a questa Terra Santa di adempiere la sua vocazione: glorificare Dio e vivere in pace.

Noi siamo coscienti della vocazione di questa terra di essere aperta a tutti i credenti, a lodare Dio, a essere una terra di armonia e di coesistenza pacifica, una terra dove tutti i credenti in uno stesso Dio possono sperimentare che essi “sono nati qui” (Sm 87). Nessuno può pretendere di possedere questa terra al posto degli altri ed escludendo gli altri. Dio stesso ha scelto questa terra, e vuole che tutti i suoi figli vi vivano insieme.

Santissimo Padre, noi siamo venuti qui per pregare con Lei e per ascoltarLa. Noi tutti vediamo in Lei un messaggero di pace, un capo spirituale che difende i poveri e gli oppressi, un padre e un fratello che porta un messaggio d’amore e di solidarietà.

Per finire, noi vogliamo ridirLe il nostro impegno a vivere e ad espandere la Buona Novella di Gesù Cristo: alla Sua presenza, la Chiesa cattolica rinnova la sua fede in Nostro Signore Gesù Cristo, il suo amore per Dio e per il prossimo, e la sua speranza nei disegni misericordiosi di Dio per noi tutti.

Che Dio e il nostro Salvatore siano con Lei, che La sostengano e La guidino nella Sua missione e nella Sua opera costante in favore della pace e della riconciliazione.





Benedetto XVI cammina su un filo religioso
Cercando di portare avanti il suo messaggio nonostante le critiche
di padre Thomas D. Williams, LC



GERUSALEMME, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Questa mattina ci siamo svegliati a Gerusalemme con i titoli dei giornali che sottolineavano la presunta inadeguatezza del rimorso di Papa Benedetto XVI nella sua visita al Memoriale dell'Olocausto Yad Vashem questo lunedì e nel suo incontro con sei sopravvissuti all'Olocausto. Le critiche avevano più a che vedere con le omissioni – ciò che i critici pensavano avrebbe dovuto essere detto – che con ciò che il Papa ha effettivamente fatto e detto.

Nonostante il suo ricordo esplicito della Shoah nel primo discorso pronunciato in Israele e la sua inequivocabile condanna dell'antisemitismo (“Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l'antisemitismo dovunque si trovi”), molti commentatori hanno affermato che non è stato abbastanza. Alcuni hanno detto che le parole “nazista” e “assassinio” non erano comparse nel suo discorso allo Yad Vashem, altri hanno dichiarato che il Papa avrebbe dovuto scusarsi per la presunta complicità cattolica nell'Olocausto. Altri ancora hanno criticato il Pontefice per essere stato arruolato nell'esercito tedesco (anche se poi ha disertato) e per aver mostrato una scarsa emozione nel suo discorso allo Yad Vashem.

Di fronte a questa ondata di critiche si sa a malapena da dove iniziare (ho solo grattato la superficie). Sembra che alcuni degli ascoltatori del Santo Padre non sarebbero mai stati soddisfatti per ciò che poteva dire o fare, a meno che non fosse caduto in ginocchio pregando la terra di inghiottirlo nella vergogna più totale. In cambio di quello che mi è sembrato un approccio sincero e umile di pace e riconciliazione, il Santo Padre è stato rimproverato come se fosse personalmente responsabile della sofferenza ebraica nel mondo.

Ho cercato invano di spiegare a molti israeliani che il Papa non è un uomo che esprime apertamente le sue emozioni, per cui qualunque dimostrazione di angoscia che si aspettavano da lui non corrisponderebbe alla sua natura. Li ho invitati a guardare maggiormente alla decisione personale del Pontefice di affrontare la questione in un modo così franco e di visitare il Memoriale dell'Olocausto come momento forte del suo primo giorno in Israele (il che non gli era stato certo richiesto), come dimostrazione della sua profonda vicinanza. Purtroppo queste argomentazioni non sono servite.

Nel frattempo, dall'altro estremo, le reazioni sono altrettanto appassionate. Questa mattina ho ricevuto una forte e-mail di un cristiano di Gaza che mi aveva visto al telegiornale e ha obiettato nei confronti dell'attenzione quasi esclusiva data agli ebrei nei resoconti di questa visita. Il suo lungo messaggio, intitolato “E noi?”, elencava una serie di lamentele contro il trattamento dei palestinesi da parte dello Stato di Israele. “Forse lei ha dimenticato”, ha scritto, “che Israele è stato costruito sul sangue e sulle case di migliaia di palestinesi cattolici e cristiani”. “Forse ha dimenticato che Israele sta costruendo un muro di apartheid, in qualche modo peggiore del muro di Berlino e di quello sudafricano”, ha aggiunto.

Per un momento mi sono sentito in piccola parte partecipe di ciò che il Santo Padre deve sperimentare mentre cerca di navigare per le secche estremamente difficili del teso sentimento religioso che permea questa regione. Come un uomo che cammina su un filo spirituale, basta che si pieghi leggermente a sinistra o a destra e viene immediatamente etichettato come insensibile o malvagio. Ancora peggio, anche quando cerca di raggiungere il perfetto equilibrio non è mai sufficiente. Sembra che molti osservatori non si interessino minimamente delle reali intenzioni del Papa per questo pellegrinaggio o del contenuto positivo del suo messaggio, e passano tutte le sue parole e le sue azioni al microscopio alla ricerca di qualcosa in cui trovare un errore.

Malgrado tutto questo, il Papa sembra notevolmente sicuro di sé e sereno, segno della profondità delle sue convinzioni spirituali e della sua grande fiducia che la grazia di Dio porti abbondanti frutti da questa visita. Le sue giornate sono letteralmente piene di attività, a volte una ogni ora, e nonostante questo ha un costante buonumore.

Un uomo che almeno in apparenza è sembrato più in sintonia con Papa Benedetto è stato il Presidente di Israele, Shimon Peres. In un importante passaggio del suo discorso di benvenuto al Santo Padre, è sembrato che abbia captato meglio di chiunque altro l'importanza della sua visita apostolica. “I leader spirituali possono spianare la strada ai leader politici”, ha detto. “Possono liberare i campi minati che ostacolano la via per la pace. I leader spirituali dovrebbero ridurre l'animosità, così che i leader politici non ricorrano a mezzi distruttivi”. A quanti hanno criticato il viaggio papale definendolo inefficace, le parole di Peres sono sembrate incisive e lungimiranti. “Non abbiamo bisogno di più veicoli blindati”, ha aggiunto Peres, “ma di una leadership spirituale ispirata”. E' ciò che Benedetto XVI sta rappresentando in questa terra martoriata.

Da un punto di vista più “leggero”, mi sono piaciute le mie frequenti corse in ascensore a Gerusalemme per via di una piccola placca ironica che vi ho trovato. Gli ascensori in Israele sono perlopiù costruiti da una compagnia che si chiama Schindler. E visto che qui viene usato l'inglese britannico, chi viaggia in ascensore viene portato su e giù dagli “Schindler Lifts”.

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*Padre Thomas D. Williams, Legionario di Cristo, è un teologo statunitense che vive a Roma. Attualmente sta seguedo per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione ha deciso di scivere una cronaca del viaggio anche per ZENIT.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]






www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=839&sett...

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=840&sett...
+PetaloNero+
00mercoledì 13 maggio 2009 18:32
Saluto di Benedetto XVI nel visitare il "Caritas Baby Hospital"


BETLEMME, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole di saluto che il Papa ha pronunciato questo mercoledì durante la visita al "Caritas Baby Hospital", un ospedale pediatrico fondato nel 1978 e sostenuto dall’Associazione svizzera "Kinderhilfe Bethlehem".

* * *

Cari Amici,

vi saluto affettuosamente nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, "che è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio ed intercede per noi" (cfr Rm 8,34). Possa la vostra fede nella sua Risurrezione e nella sua promessa di nuova vita mediante il Battesimo riempire i vostri cuori di gioia in questo tempo pasquale!

Sono grato per il caloroso benvenuto rivoltomi a vostro nome da Padre Michael Scheiger, Presidente dell'Associazione di Kinderhilfe, da Mr. Ernesto Langensand, il quale sta completando il suo periodo di Amministratore Capo della Caritas Baby Hospital, e da Madre Erika Nobs, Superiora di questa locale comunità delle Suore Elisabettine Francescane di Padova. Saluto anche cordialmente l’Arcivescovo Robert Zollisch ed il Vescovo Kurt Koch, che rappresentano rispettivamente le Conferenze Episcopali tedesca e svizzera, che hanno fatto avanzare la missione del Caritas Baby Hospital mediante la loro generosa assistenza finanziaria.

Dio mi ha benedetto con questa opportunità di esprimere agli amministratori, medici, infermiere e personale del Caritas Baby Hospital il mio apprezzamento per l’inestimabile servizio che hanno offerto - e continuano ad offrire - ai bambini della regione di Betlemme e di tutta la Palestina da più di cinquant’anni. Padre Ernst Schnydrig fondò questa struttura nella convinzione che i bambini innocenti meritano un posto sicuro da tutto ciò che può far loro del male in tempi e luoghi di conflitto. Grazie alla dedizione del Children’s Relief Bethlehem, questa istituzione è rimasta un'oasi quieta per i più vulnerabili, e ha brillato come un faro di speranza circa la possibilità che l’amore ha di prevalere sull’odio e la pace sulla violenza.

Ai giovani pazienti ed ai membri delle loro famiglie che traggono beneficio dalla vostra assistenza, desidero semplicemente dire: "Il Papa è con voi"! Oggi egli è con voi in persona, ma ogni giorno egli accompagna spiritualmente ciascuno di voi nei suoi pensieri e nelle sue preghiere, chiedendo all'Onnipotente di vegliare su di voi con la sua premurosa attenzione.

Padre Schnydrig descrisse questo luogo come "uno dei più piccoli ponti costruiti per la pace". Ora, essendo cresciuto da quattordici brande ad ottanta letti, e curandosi delle necessità di migliaia di bambini ogni anno, questo non è più un ponte piccolo! Esso accoglie insieme persone di origini, lingue e religioni diverse, nel nome del Regno di Dio, il Regno della Pace (cfr Rm 14,17). Di cuore vi incoraggio a perseverare nella vostra missione di manifestare amore per tutti gli ammalati, i poveri e i deboli.

In questa Festa di Nostra Signora di Fatima, gradirei concludere invocando l'intercessione di Maria mentre imparto la Benedizione Apostolica ai bambini e a tutti voi. Preghiamo:

Maria, Salute degli Infermi, Rifugio dei Peccatori, Madre del Redentore: noi ci uniamo alle molte generazioni che ti hanno chiamata "Benedetta". Ascolta i tuoi figli mentre invochiamo il tuo nome. Tu hai promesso ai tre bambini di Fatima: "Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà". Che così avvenga! Che l’amore trionfi sull’odio, la solidarietà sulla divisione e la pace su ogni forma di violenza! Possa l’amore che hai portato a tuo Figlio insegnarci ad amare Dio con tutto il nostro cuore, con tutte le forze e con tutta l’anima. Che l’Onnipotente ci mostri la sua misericordia, ci fortifichi con il suo potere, e ci ricolmi di ogni bene (cfr Lc 1,46-56). Noi chiediamo al tuo Figlio Gesù di benedire questi bambini e tutti i bambini che soffrono in tutto il mondo. Possano ricevere la salute del corpo, la forza della mente e la pace dell’anima. Ma soprattutto, che sappiano che sono amati con un amore che non conosce confini né limiti: l'amore di Cristo che supera ogni comprensione (cfr Ef 3,19). Amen.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]




Discorso del Papa in un campo profughi nei Territori Palestinesi


BETLEMME, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI nel visitare l’"Aida Refugee Camp" di Betlemme, uno dei campi profughi nei Territori Palestinesi, dove convivono musulmani e cristiani.

* * *

Signor Presidente,

Cari Amici,

la mia visita al Campo Profughi di Aida questo pomeriggio mi offre la gradita opportunità di esprimere la mia solidarietà a tutti i Palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria. Grazie, Signor Presidente, per il suo cortese saluto. E grazie anche a Lei, Signora Abu Zayd, e agli altri speaker. A tutti gli ufficiali della United Nations Relief and Works Agency (Agenzia per il soccorso e il sostegno delle Nazioni Unite), che si prendono cura dei profughi, manifesto l’apprezzamento che provano innumerevoli uomini e donne di tutto il mondo per l’opera fatta qui ed in altri campi nella regione.

Estendo un saluto particolare ai bambini e agli insegnanti della scuola. Attraverso il vostro impegno nell’educazione esprimete speranza nel futuro. A tutti i giovani qui presenti dico: rinnovate i vostri sforzi per prepararvi al tempo in cui sarete responsabili degli affari del popolo Palestinese negli anni a venire. I genitori hanno qui un ruolo molto importante. A tutte le famiglie presenti in questo campo dico: non mancate di sostenere i vostri figli nei loro studi e nel coltivare i loro doni, così che non vi sia scarsità di personale ben formato per occupare nel futuro posizioni di responsabilità nella comunità Palestinese. So che molte vostre famiglie sono divise – a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di movimento – e che molti tra voi hanno sperimentato perdite nel corso delle ostilità. Il mio cuore si unisce a quello di coloro che, per tale ragione, soffrono. Siate certi che tutti i profughi Palestinesi nel mondo, specie quelli che hanno perso casa e persone care durante il recente conflitto di Gaza, sono costantemente ricordati nelle mie preghiere.

Desidero dare atto del buon lavoro svolto da molte agenzie della Chiesa nel prendersi cura dei profughi qui e in altre parti dei Territori Palestinesi. La Missione Pontificia per la Palestina, fondata circa sessant’anni orsono per coordinare l’assistenza umanitaria cattolica ai rifugiati, continua la propria opera molto necessaria fianco a fianco di altre simili organizzazioni. In questo campo la presenza delle Suore Missionarie Francescane del Cuore Immacolato di Maria richiama alla mente la figura carismatica di san Francesco, grande apostolo di pace e di riconciliazione. A questo proposito, voglio esprimere il mio particolare apprezzamento per l’enorme contributo dato dai diversi membri della Famiglia francescana nel prendersi cura della gente di queste terre, facendo di se stessi "strumenti di pace", secondo la nota espressione attribuita al Santo di Assisi.

Strumenti di pace. Quanto le persone di questo campo, di questi Territori e dell’intera regione anelano alla pace! In questi giorni tale desiderio assume una particolare intensità mentre ricordate gli eventi del maggio del 1948 e gli anni di un conflitto tuttora irrisolto, che seguirono a quegli eventi. Voi ora vivete in condizioni precarie e difficili, con limitate opportunità di occupazione. È comprensibile che vi sentiate spesso frustrati. Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue. Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità. Incombente su di noi, mentre siamo qui riuniti questo pomeriggio, è la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra Israeliani e Palestinesi – il muro.

In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!

Da entrambe le parti del muro è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia, se si vuole contrastare il bisogno di vendetta per perdite o ferimenti. Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni, prendendo sul serio gli interessi e le preoccupazioni degli altri e cercando decisamente di costruire un’atmosfera di fiducia. Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative.

L’aiuto umanitario, come quello che viene offerto in questo campo, ha un ruolo essenziale da svolgere, ma la soluzione a lungo termine ad un conflitto come questo non può essere che politica. Nessuno s’attende che i popoli Palestinese e Israeliano vi arrivino da soli. È vitale il sostegno della comunità internazionale. Rinnovo perciò il mio appello a tutte le parti coinvolte perché esercitino la propria influenza in favore di una soluzione giusta e duratura, nel rispetto delle legittime esigenze di tutte le parti e riconoscendo il loro diritto di vivere in pace e con dignità, secondo il diritto internazionale. Allo stesso tempo, tuttavia, gli sforzi diplomatici potranno avere successo soltanto se gli stessi Palestinesi e Israeliani saranno disposti a rompere con il ciclo delle aggressioni. Mi vengono alla mente le splendide parole attribuite a san Francesco: "Dove c’è odio, che io porti amore; dove c’è l’offesa il perdono… dove c’è tenebra, luce, dove c’è tristezza, gioia".

A ciascuno di voi rinnovo l’invito ad un profondo impegno nel coltivare la pace e la non violenza, seguendo l’esempio di san Francesco e di altri grandi costruttori di pace. La pace deve aver inizio nel proprio ambiente, nella propria famiglia, nel proprio cuore. Continuo a pregare perché tutte le parti in conflitto in questa terra abbiano il coraggio e l’immaginazione di perseguire l’esigente ma indispensabile via della riconciliazione. Possa la pace fiorire ancora una volta in queste terre! Dio benedica il suo popolo con la pace!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





Commovente incontro con i piccoli malati del Caritas Baby Hospital


Il Papa nel pomeriggio si è recato al Caritas Baby Hospital di Betlemme: un ospedale pediatrico fondato nel 1978 e sostenuto dai vescovi svizzeri e tedeschi. Assicura circa 30 mila prestazioni ambulatoriali e 4 mila degenze all’anno anche grazie all’impegno delle Suore Francescane Elisabettiane di Padova. L’incontro con i piccoli dell’ospedale è stato toccante. Era presente anche il presidente Abbas. Il Papa ha visitato i piccoli malati e si è soffermato con un bambino nato prematuro, di due chili e mezzo di nome Elias. Dopo il discorso ha regalato all'ospedale un respiratore per bambini prematuri. Benedetto XVI ha parlato di questa struttura come di “un'oasi quieta per i più vulnerabili” che “ha brillato come un faro di speranza circa la possibilità che l’amore ha di prevalere sull’odio e la pace sulla violenza”. Ai giovani pazienti ha detto: "Il Papa è con voi!”.





Il Papa al Campo profughi di Aida: tragica la costruzione del muro. Per la pace occorre andare oltre le recriminazioni e rompere il ciclo delle violenze


Esprimo “la mia solidarietà a tutti i Palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria”. Con queste parole il Papa ha salutato i profughi del Campo di Aida dove vivono circa 7 mila persone. Secondo l’Onu i profughi palestinesi sono circa 4 milioni e 600 mila. Nei territori palestinesi gli sfollati sono un milione e 300 mila. L’incontro si è svolto proprio a ridosso del muro di separazione eretto da Israele. Nel Campo - Benedetto XVI ha incontrato - come è stato a Gerusalemme per la famiglia del soldato Shalit prigioniero di Hamas - due bambine, una cristiana e l’altra musulmana, figlie di genitori detenuti in Israele. Il Pontefice ha sottolineato la sua solidarietà per la sofferenza della popolazione palestinese. “È comprensibile – ha detto - che vi sentiate spesso frustrati. Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue”. Ha quindi rilevato “dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra Israeliani e Palestinesi – il muro. In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!”. Quindi ha aggiunto: “Da entrambe le parti del muro è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia, se si vuole contrastare il bisogno di vendetta per perdite o ferimenti. Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni, prendendo sul serio gli interessi e le preoccupazioni degli altri e cercando decisamente di costruire un’atmosfera di fiducia. Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative”. Ha ribadito la necessità di un intervento della comunità internazionale perché “nessuno s’attende che i popoli Palestinese e Israeliano” arrivino da soli ad una soluzione del conflitto.





Vivere in un campo profughi


Della situazione del Campo profughi di Aida ci parla padre William Shomali rettore del seminario di Beit Jala, al microfono di Roberto Piermarini:
R. – Il Campo profughi di Aida è uno dei tre campi che si trovano a Betlemme; era un terreno che apparteneva alla popolazione cristiana di Beit Jala. Hanno costruito prima di tutto qualche tenda, all’inizio, nel ’48; dopo hanno costruito delle case che adesso sono come tutte le altre case di Betlemme, quelle più povere, con strade malmesse: le fognature sono spesso inesistenti. La popolazione non arriva a più di sei, sette mila persone, per la maggior parte musulmana eccetto qualche famiglia cristiana che aveva dei terreni là e vi ha costruito.
D. – Come vivono queste poche famiglie cristiane all’interno di questo campo profughi, a maggioranza musulmana?
R. – Dipende. C’è qualcuno che vive meglio: non sono mendicanti, direi che sono persone normali.
D. – Sono in armonia con la comunità musulmana?
R. – Direi di sì perché ogni volta che noi cristiani siamo minoritari, non c’è problema. Il problema arriva quando siamo maggioritari, come a Betlemme o in altre città dove il numero è consistente: ma quando siamo un due per cento, non siamo oggetto di minaccia per nessuno.
D. – Quali problematiche ci sono all’interno di questo campo di Aida?
R. – Questa gente vuol ritornare alla sua casa di origine: hanno lasciato la propria terra, la casa, i familiari. Ogni anno la situazione diventa più difficile perché i primi profughi, quelli del ’48, sono quasi tutti morti. Ci sono i figli, ma dopo tre generazioni, la possibilità di ritornare, diventa meno probabile. Dunque, una certa disperazione di ritornare, esiste, sapendo che gli israeliani non vogliono il ritorno dei profughi. Hanno messo questa condizione per qualsiasi soluzione al problema. Forse permetteranno il ritorno dei profughi all’interno dei Territori palestinesi, ma mai all’interno di Israele. (Montaggio a cura di Maria Brigini)






Il Caritas Baby Hospital


Dell'opera del Caritas Baby Hospital di Betlemme ci suor Erika Nobs, superiora di questa locale comunità delle Suore Elisabettine Francescane di Padova. L'intervista è di Roberto Piermarini:
R. – Assistiamo i bambini palestinesi che vengono da Betlemme e dalla circoscrizione di Hebron, dalla parte sud del West Bank.
D. – Quindi, sono tutti bambini musulmani, la maggior parte?
R. – La maggior parte sono bambini musulmani, la stragrande maggioranza: il 90 per cento e anche più.
D. – Che rapporto avete con le famiglie musulmane che portano a voi questi bambini?
R. – Di solito un buon rapporto: loro sono contenti e grati per il servizio che diamo. Siamo l’unico ospedale ed hanno veramente bisogno di noi. Ed anche per questo sono grati.
D. – Cosa curate in particolare?
R. – Curiamo tutte le malattie interne e anche tante malattie genetiche, malattie metaboliche, malattie del cuore, dovute al matrimonio tra consanguinei.
D. – Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate nel vostro lavoro, nell’ospedale?
R. – Le difficoltà sono quelle del trasferimento a Gerusalemme, quando un bambino ha bisogno di un intervento chirurgico. E’ una grande difficoltà, perché senza permessi non possono partire. Si devono, poi, coordinare le ambulanze. Una nostra ambulanza deve andare al check-point e dall’altra parte deve venire l’ambulanza da Israele, e questo crea difficoltà, perché i bambini a volte sono molto ammalati, ma devono, in ogni caso, cambiare l’ambulanza.
D. – I bambini che voi accogliete nel vostro ospedale, la maggior parte non pagano, non hanno la possibilità di pagare. Ma come va avanti l’ospedale economicamente, avete dei donatori?
R. – Noi abbiamo tanti donatori e siamo grati a tutti gli amici che ci aiutano a portare avanti l’opera: amici dall’Italia, amici dalla Germania, dalla Svizzera, dall’Europa e anche altrove. Possiamo veramente fare una buona opera.
D. – Suor Erika, perché questa visita del Papa al Caritas Baby Hospital? Come vede lei questa visita?
R. – Devo dire che siamo tanto contenti di questa visita, di questa sorpresa che ci fa il Santo Padre. Ma io penso che oltre a visitare i luoghi santi, cioè il luogo dove Gesù è nato, lui voglia vedere anche i bambini Gesù viventi, che abbiamo nel nostro ospedale. (Montaggio a cura di Maria Brigini)



[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00giovedì 14 maggio 2009 01:53
Discorso di congedo di Benedetto XVI dai Territori Palestinesi

BETLEMME, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì sera da Benedetto XVI nel cortile del Palazzo Presidenziale di Betlemme, dove ha avuto luogo la cerimonia di congedo dai Territori Palestinesi.

* * *

Signor Presidente,

Cari Amici,

vi ringrazio per la grande gentilezza che mi avete dimostrato in questo giorno che ho trascorso in vostra compagnia, qui nei Territori Palestinesi. Sono grato al Presidente, il Sig. Mahmoud Abbas, per la sua ospitalità e le sue gentili parole. E’ stata una profonda emozione per me ascoltare anche le testimonianze dei residenti che ci hanno parlato delle condizioni di vita qui nella Zona Ovest ed in Gaza. Assicuro tutti voi che vi porto nel mio cuore e bramo di vedere pace e riconciliazione in queste terre tormentate.

E’ stato davvero uno dei giorni più memorabili, fin da quando sono arrivato a Betlemme questa mattina, ed ho avuto la gioia di celebrare la Messa con una grande moltitudine di fedeli nel luogo dove nacque Gesù Cristo, luce delle nazioni e speranza del mondo. Ho visto la cura prestata ai bambini di oggi nel Caritas Baby Hospital. Con angoscia, ho visto la situazione dei rifugiati che, come la Santa Famiglia, hanno dovuto abbandonare le loro case. Ed ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie, circondare il vicino campo e nascondere molta parte di Betlemme.

Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, noi tutti sappiamo che non durano per sempre. Essi possono essere abbattuti. Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo. Ecco perché, nelle mie conclusive parole, voglio fare un rinnovato appello all’apertura e alla generosità di spirito, perché sia posta fine all'intolleranza ed all’esclusione. Non importa quanto intrattabile e profondamente radicato possa apparire un conflitto, ci sono sempre dei motivi per sperare che esso possa essere risolto, che gli sforzi pazienti e perseveranti di quelli che operano per la pace e la riconciliazione, alla fine portino frutto. Il mio vivo augurio per voi, popolo della Palestina, è che ciò accada presto, e che voi finalmente possiate godere la pace, la libertà e la stabilità che vi sono mancate per così tanto tempo.

Vi assicuro che coglierò ogni opportunità per esortare coloro che sono coinvolti nei negoziati di pace a lavorare per una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di entrambi, Israeliani e Palestinesi. Come importante passo in questa direzione, la Santa Sede desidera stabilire presto, in accordo con l'Autorità Palestinese, la Commissione Bilaterale di Lavoro Permanente che è stata delineata nell'Accordo di base, firmato in Vaticano il 15 febbraio 2000 (cfr Accordo di base tra la Santa Sede e l’Organizzazione di Liberazione della Palestina, art. 9). Signor Presidente, cari Amici, ancora una volta vi ringrazio e affido tutti voi alla protezione dell'Onnipotente. Che Dio rivolga il suo sguardo d’amore su ognuno di voi, sulle vostre famiglie e su tutti coloro che vi sono cari. Che egli benedica il popolo Palestinese con la pace.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





Il Papa incoraggia gli sforzi del “Caritas Baby Hospital” di Betlemme


ROMA, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Questo mercoledì Benedetto XVI ha visitato il “Caritas Baby Hospital” di Betlemme, che da più di cinquant’anni si prende cura dei bambini della regione di Betlemme e di tutta la Palestina.

Il “Caritas Baby Hospital”, nato originariamente da due semplici stanze grazie all'impegno infaticabile di padre Ernst Schnydrig, crebbe molto nel tempo fino a quando nel 1978 venne inaugurato come ospedale vero proprio.

Con ottanta letti assicura oggi circa 30 mila prestazioni ambulatoriali e 4 mila degenze all’anno anche grazie al sostegno indispensabile delle sei religiose dell’Istituto “Suore Terziarie Francescane elisabettine” di Padova.

Il “Caritas Baby Hospital”, attualmente l’unico ospedale pediatrico esistente in Cisgiordania, non gode di nessuna sovvenzione né da parte del governo palestinese e neppure da quello israeliano, né riceve aiuti da nessun ente pubblico o umanitario internazionale.

Il suo fondatore ha dato vita infatti a una associazione che si chiama “Kinderhilfe Bethlehem” (“Aiuto Bambini Betlemme”), con sede a Lucerna, che gestisce economicamente l’ospedale, attraverso gli aiuti che riceve dalla gente e grazie al sostegno dei Vescovi svizzeri e tedeschi.

“Padre Ernst Schnydrig – ha detto il Papa nel suo saluto – fondò questa struttura nella convinzione che i bambini innocenti meritano un posto sicuro da tutto ciò che può far loro del male in tempi e luoghi di conflitto”.

“Grazie alla dedizione del Children’s Relief Bethlehem – ha aggiunto –, questa istituzione è rimasta un'oasi quieta per i più vulnerabili, e ha brillato come un faro di speranza circa la possibilità che l’amore ha di prevalere sull’odio e la pace sulla violenza”.

“Ai giovani pazienti ed ai membri delle loro famiglie che traggono beneficio dalla vostra assistenza – ha poi continuato –, desidero semplicemente dire: 'Il Papa è con voi'!”.

“Oggi egli è con voi in persona – ha sottolineato –, ma ogni giorno egli accompagna spiritualmente ciascuno di voi nei suoi pensieri e nelle sue preghiere, chiedendo all'Onnipotente di vegliare su di voi con la sua premurosa attenzione”.

Dopo il suo discorso, il Papa ha quindi regalato all’ospedale un respiratore per bambini prematuri, per poi visitare i piccoli malati, soffermandosi in particolare davanti a un bambino nato prematuro, di due chili e mezzo, di nome Elias.

Presente all'incontro anche il Presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Burkhard Redeski del “Kinderhilfe Bethlehem”ha detto a ZENIT che “Papa Benedetto ha fatto sì che i riflettori venissero puntati sui bambini e sulle mamme. Ha visitato coloro che sono nell'ombra, che si sentono dimenticati e non si lamentano” e ci ricorda che “mai più, in un luogo così simbolico per noi cristiani come Betlemme, dovrà essere negata l'assistenza medica a un bambino”.

“Prestiamo il nostro aiuto per le tipiche malattie infantili, perché molte famiglie non possono più permettersi un pediatra”, ha detto perché infatti “le malattie della povertà stanno aumentando e i bambini malnutriti sono più soggetti alle infezioni”.

Nella regione di Betlemme ed Hebron vivono oltre 100.000 bambini al di sotto dei quattro anni e per la stragrande maggioranza non esiste un'assistenza sanitaria garantita, mentre il tasso di natalità nella zona di Betlemme raggiunge il 3,1% e a Gaza addirittura il 3,7%.

“In futuro – ha detto il membro di 'Kinderhilfe Bethlehem' –, grazie alla nostra clinica ambulante, che è ancora in fase di costruzione, vogliamo offrire delle maggiori specializzazioni. In modo che tutti i bambini a Betlemme possano avere accesso a una assistenza medica qualificata”.

Al momento ospita 75 ricoverati, assistiti da 200 tra medici, infermieri e personale amministrativo.

[Intervista raccolta da Dominik Hartig]




Benedetto XVI abbraccia la martoriata terra di Gaza
Nella sua visita di un giorno a Betlemme

di Mirko Testa

ROMA, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Nella sua sola e unica tappa di dieci ore nei Territori palestinesi, Benedetto XVI ha rivolto questo mercoledì il suo pensiero alla terra di Gaza, segnata dalle rovine del recente conflitto conclusosi il 18 gennaio scorso con un bilancio di oltre 1300 morti.

Proprio a Betlemme, in Cisgiordania, luogo di nascita di Gesù e capitale dell’omonimo Governatorato, il Papa ha affrontato sin dall'inizio i temi caldi legati alla Palestina occupata e il groviglio di contenziosi che oppongono il popolo palestinese a quello israeliano.

Lo ha fatto, in particolare, durante la Messa celebrata a Betlemme nella “Piazza della Mangiatoia”, l’area antistante la Chiesa della Natività, ricoperta dal mare di colore, volti e bandiere delle circa 10 mila persone presenti, che hanno gremito anche le vie laterali.

“Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra”, ha detto il Santo Padre allo sparuto gruppo di palestinesi cattolici giunti dalla striscia di territorio controllata dal 2007 dagli estremisti islamici di Hamas.

Dei 93 cattolici di Gaza che avevano ricevuto dalle autorità israeliane il permesso di raggiungere Betlemme, solo in 48 dopo mesi di attesa, incertezze e proteste sono riusciti ad ottenere in extremis l'autorizzazione per raggiungere la Piazza della Mangiatoia. Gli altri sono stati invece fermati al valico di Eretz e rispediti indietro.

“Vi chiedo di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare”, ha detto il Pontefice parlando al milione e mezzo di persone che vivono nella Striscia di Gaza, dove la comunità cattolica locale non conta più di 300 fedeli.

“Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto”, ha continuato il Santo Padre, riferendosi al blocco imposto a Gaza da Israele da quando Hamas ha preso il potere nella Striscia, eliminando gli oppositori di al-Fatah, legati al Presidente Mamoud Abbas.

Prima durante la cerimonia di benvenuto nei Territori palestinesi, svoltasi nel piazzale antistante il Palazzo presidenziale di Betlemme, il Papa aveva detto di condividere il dolore di quanti hanno sofferto e continuano a soffrire “a causa delle agitazioni che hanno afflitto questa terra per decine di anni” e di tutte le “famiglie che sono rimaste senza casa”.


Rivolgendosi poi al Presidente Mamoud Abbas aveva assicurato che “la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti”.

Subito dopo ha denunciato i “gravi problemi riguardanti la sicurezza in Israele e nei Territori Palestinesi”, chiedendo che “vengano presto decisamente alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, con speciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi”.

Tutte problematiche che hanno aggravato la forte emigrazione dei cristiani della regione, che secondo le stime del governo palestinese, da 10 mila potrebbero dimezzarsi in sette anni.

Inoltre, Benedetto XVI ha fatto appello alla Comunità internazionale affinché vangano avviati in tempi rapidi i lavori di ricostruzione.

A questo proposito ha però anche invitato i cittadini palestinesi a lasciare da parte “qualsiasi rancore e contrasto” e a intraprendere un rinnovato cammino di riconciliazione con “spirito di cooperazione e mutuo rispetto”.

Il Presidente palestinese, dal canto suo, aveva denunciato in maniera severa chi erige muri anziché gettare ponti e tenta di costringere musulmani e cristiani ad andarsene.

“Questa è la terra dei muri che dividono le popolazioni”, aveva detto esprimendo poi propositi di dialogo: “Il popolo palestinese che vive affianco al popolo israeliano desidera vivere in pace nello Stato d'Israele così come premevano le Risoluzioni dell'ONU”.

“E' arrivato il tempo della pace e della fine delle sofferenze”, aveva aggiunto infine.


Una giovane speranza

Durante la celebrazione eucaristica nella Pizza della Mangiatoia, alla presenza di quasi tutti gli Ordinari di Terra Santa, il Papa si è quindi rivolto direttamente ai giovani a coloro che costruiranno il futuro di questa regione: “non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori”.

“Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo – ha aggiunto – . Al contrario, fate in modo che quanto avete sperimentato rinnovi la vostra determinazione a costruire la pace”.

Nella città di Betlemme, dove ancora oggi “le pietre continuano a gridare questa 'buona novella'”, questo “gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà”, il Papa ha quindi riecheggiato le parole che hanno fatto un po' da filo rosso al pontificato di Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura!".

“Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione”, li ha incoraggiati.

“Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica”, ha poi aggiunto.

“La vostra terra – ha continuato il Santo Padre – non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura 'spirituale', capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune”.

“Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!”, ha poi concluso.




La Santa Sede istituirà una Commissione Bilaterale con i palestinesi
Afferma Benedetto XVI congedandosi da Mahmoud Abbas



BETLEMME, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- “La Santa Sede desidera stabilire presto, in accordo con l'Autorità Palestinese, la Commissione Bilaterale di Lavoro Permanente che è stata delineata nell'Accordo di base, firmato in Vaticano il 15 febbraio 2000”.

Lo ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì durante la cerimonia di congedo da Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, svoltasi nel pomeriggio nel Palazzo Presidenziale di Betlemme.

La visita al Campo di Rifugiati Aida, poco a nord di Betlemme, che ospita 5.000 rifugiati palestinesi musulmani e cristiani ed è situato a ridosso del muro di separazione costruito dagli israeliani, ha reso Benedetto XVI ancor più consapevole della necessità di favorire una pace giusta e duratura in Terra Santa.

“Vi assicuro che coglierò ogni opportunità per esortare coloro che sono coinvolti nei negoziati di pace a lavorare per una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di entrambi, israeliani e palestinesi”, ha affermato.

“Come importante passo in questa direzione”, il Papa ha annunciato l'intenzione della Santa Sede di stabilire la Commissione Bilaterale di Lavoro Permanente, riferendosi all'art. 9 dell'Accordo di base tra la Santa Sede e l’Organizzazione di Liberazione della Palestina del 2000.

Il Pontefice ha confessato di aver provato “una profonda emozione” nel visitare i Territori palestinesi, ascoltando le testimonianze dei residenti che hanno parlato delle condizioni di vita nella West Bank e a Gaza.

“Assicuro tutti voi che vi porto nel mio cuore e bramo di vedere pace e riconciliazione in queste terre tormentate”, ha affermato nel suo discorso di congedo dal Presidente.

Questo mercoledì, ha ammesso Benedetto XVI, “è stato davvero uno dei giorni più memorabili, fin da quando sono arrivato a Betlemme questa mattina, ed ho avuto la gioia di celebrare la Messa con una grande moltitudine di fedeli nel luogo dove nacque Gesù Cristo, luce delle nazioni e speranza del mondo”.

“Ho visto la cura prestata ai bambini di oggi nel Caritas Baby Hospital – ha aggiunto –. Con angoscia, ho visto la situazione dei rifugiati che, come la Santa Famiglia, hanno dovuto abbandonare le loro case. Ed ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie, circondare il vicino campo e nascondere molta parte di Betlemme”.

Il Papa ha sottolineato che “anche se i muri possono essere facilmente costruiti, noi tutti sappiamo che non durano per sempre. Essi possono essere abbattuti”.

Perché ciò accada, tuttavia, “è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo”.

Per questo, ha lanciato “un rinnovato appello all’apertura e alla generosità di spirito, perché sia posta fine all'intolleranza ed all’esclusione”.

“Non importa quanto intrattabile e profondamente radicato possa apparire un conflitto – ha continuato –, ci sono sempre dei motivi per sperare che esso possa essere risolto, che gli sforzi pazienti e perseveranti di quelli che operano per la pace e la riconciliazione, alla fine portino frutto”.

Poco prima Benedetto XVI si era recato al Palazzo presidenziale per una visita di cortesia al Presidente Mahmoud Abbas, intrattenendosi con lui in colloquio privato.

Quello di questo mercoledì è stato il terzo incontro tra il Papa e Mahmoud Abbas. I due precedenti risalgono al 3 dicembre 2005 e al 24 aprile 2007.




Il Papa denuncia il “tragico” muro di separazione in Terra Santa
Esorta israeliani e palestinesi a spezzare “il ciclo delle aggressioni”

di Roberta Sciamplicotti


BETLEMME, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- “In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte”, “è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri”. E' quanto ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì pomeriggio visitando l'Aida Refugee Camp, situato poco a nord di Betlemme, che ospita 5.000 rifugiati palestinesi, musulmani e cristiani.

Anche se l'ambiente era assai diverso da quello degli incontri che ha avuto in questi giorni, visto che il Campo si trova a ridosso del muro di separazione eretto dagli israeliani, il Papa ha ricevuto come sempre una calorosa accoglienza. Sui muri spiccavano infatti scritte colorate in arabo e in inglese che davano il benvenuto al Pontefice, mentre da più parti sventolavano bandierine vaticane e palestinesi.

L'incontro si è svolto nel campo di basket di una delle scuole dell'Aida Camp, nato nel 1948 e che ha visto un nuovo afflusso di rifugiati dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, passando da una tendopoli a una vera e propria cittadina, anche se mancano servizi basici come l'ospedale.

In questa situazione drammatica, Benedetto XVI ha voluto compiere un gesto di solidarietà concreta donando ai rifugiati del Campo 50.000 euro, che verranno utilizzati per costruire tre nuove aule per la scuola maschile.

Il Papa è stato accolto con uno spettacolo di una compagnia di danza e canto palestinese. Un gruppo di ragazze e ragazzi ha eseguito musiche e balli tradizionali, avvicinandosi poi per stringere la mano al Pontefice e alle autorità civili presenti accanto a lui sul palco

Il Papa vicino ai profughi

Nel suo discorso, pronunciato alla presenza di autorità civili, militari e religiose, il Papa ha voluto esprimere in primo luogo la propria “solidarietà a tutti i Palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria”.

“Siate certi che tutti i profughi Palestinesi nel mondo, specie quelli che hanno perso casa e persone care durante il recente conflitto di Gaza, sono costantemente ricordati nelle mie preghiere”, ha dichiarato mentre soffiava una brezza leggera, rinfrancante dopo il forte caldo che ha caratterizzato gli incontri della mattinata.

Nei giorni in cui si commemora il 61° anniversario della “nakba”, cioè la “tragedia” palestinese della privazione della propria terra, il Papa ha confessato di comprendere i sentimenti della popolazione.

“Quanto le persone di questo campo, di questi Territori e dell’intera regione anelano alla pace!”, ha esclamato.

“Voi ora vivete in condizioni precarie e difficili, con limitate opportunità di occupazione. È comprensibile che vi sentiate spesso frustrati. Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue”.

“Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità”, ha affermato.

La tragedia del muro di separazione

Il Papa ha quindi ammesso “la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi – il muro”.

Da entrambe le parti, ha dichiarato, “è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia, se si vuole contrastare il bisogno di vendetta per perdite o ferimenti. Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati”.

“La soluzione a lungo termine ad un conflitto come questo non può essere che politica”, ha riconosciuto, sottolineando che “nessuno s’attende che i popoli palestinese e israeliano vi arrivino da soli”, per cui “è vitale il sostegno della comunità internazionale”.

Gli sforzi diplomatici, ad ogni modo, “potranno avere successo soltanto se gli stessi palestinesi e israeliani saranno disposti a rompere con il ciclo delle aggressioni”.

“Continuo a pregare perché tutte le parti in conflitto in questa terra abbiano il coraggio e l’immaginazione di perseguire l’esigente ma indispensabile via della riconciliazione”, ha concluso.

La visita del Papa, fonte di speranza

Nel suo saluto al Papa, il responsabile dell'Aida Camp ha ricordato come la Santa Sede abbia sempre sostenuto la causa palestinese, difendendo i diritti della sua popolazione, e ha auspicato che la visita di Benedetto XVI possa favorire una soluzione giusta e duratura al conflitto.

La presenza del Pontefice, ha aggiunto, invita a “rafforzare lo spirito di resistenza” per chiedere la difesa dei propri diritti, di fronte a un muro che “blocca gli orizzonti”.

Il Presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, ha ringraziato dal canto suo il Papa per il suo “gesto generoso” di visitare il Campo, denunciando lo “strangolamento” provocato dal muro di separazione e chiedendo che la Santa Sede si adoperi per favorire il rilancio dei negoziati per la pace, soprattutto l'applicazione della Road Map.

Il Pontefice ha poi ricevuto due doni, frutto del lavoro degli artigiani locali: una scatola finemente intarsiata e contenente una stola con decori simbolici, come la stella a ricordare la stella di Betlemme, e una mappa dei Territori palestinesi.





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00giovedì 14 maggio 2009 16:55
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXV)


SANTA MESSA PRESSO IL MONTE DEL PRECIPIZIO A NAZARETH



Questa mattina, alle ore 8.15, il Santo Padre Benedetto XVI lascia la Delegazione Apostolica di Jerusalem e si trasferisce in auto all’eliporto di Mount Scopus da dove parte in elicottero per Nazareth. All’arrivo all’eliporto di Nazareth, alle 9.15, il Santo Padre è accolto dal Sindaco di Nazareth, Sig. Ramiz Jaraisy, dall’Ausiliare di Gerusalemme dei Latini per Israele, S.E. Mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, e da S.E. Mons. Paul Nabil El-Sayah, Arcivescovo di Haifa e di Terra Santa dei Maroniti.

Il Papa si reca quindi in auto al Monte del Precipizio per la Santa Messa. La celebrazione, secondo il rito latino, conclude l’Anno per la Famiglia indetto dalla Chiesa Cattolica in Terra Santa.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, che inizia alle ore 10 ed è introdotta dal saluto dell’Ordinario Greco-Melkita per la Galilea, S.E. Mons. Elias Chacour, Arcivescovo di Akka, dopo la proclamazione del Vangelo il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:


OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!

"La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo!" (Col 3,15). Con queste parole dell’apostolo Paolo, saluto tutti voi con affetto nel Signore. Mi rallegro di essere venuto a Nazareth, luogo benedetto dal mistero dell’Annunciazione, il posto che ha visto gli anni nascosti della crescita di Cristo in sapienza, età e grazia (cfr Lc 2,52). Ringrazio l’Arcivescovo Elia Chacour per le cortesi parole di benvenuto, ed abbraccio con il segno della pace i miei confratelli Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli della Galilea, che, nella diversità dei riti e delle tradizioni, danno espressione all’universalità della Chiesa di Cristo. Desidero ringraziare in modo speciale quanti hanno reso possibile questa celebrazione, particolarmente coloro che sono stati coinvolti nella pianificazione e nella costruzione di questo nuovo teatro con il suo splendido panorama.

Qui nella città di Gesù, Maria e Giuseppe, siamo riuniti per segnare la conclusione dell’Anno della Famiglia celebrato dalla Chiesa nella Terra Santa. Come segno promettente per il futuro, benedirò la prima pietra di un Centro internazionale per la Famiglia, che sarà costruito a Nazareth. Preghiamo affinché esso promuova una forte vita familiare in questa regione, offra sostegno ed assistenza alle famiglie ovunque, e le incoraggi nella loro insostituibile missione nella società.

È inoltre mia speranza che questa tappa del mio pellegrinaggio attiri l’attenzione di tutta la Chiesa verso questa città di Nazareth. Abbiamo tutti bisogno, come disse qui il Papa Paolo VI, di tornare a Nazareth, per contemplare sempre di nuovo il silenzio e l’amore della Sacra Famiglia, modello di ogni vita familiare cristiana. Qui, sull’esempio di Maria, di Giuseppe e di Gesù, possiamo giungere ad apprezzare ancor di più la santità della famiglia, che, nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna, consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di Dio di nuove vite. Quanto hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo di riappropriarsi di questa verità fondamentale, che è alla base della società, e quanto importante è la testimonianza di coppie sposate in ordine alla formazione di coscienze mature e alla costruzione della civiltà dell’amore!

Nella prima lettura odierna, tratta dal Siracide, la parola di Dio presenta la famiglia come la prima scuola della sapienza, una scuola che educa i propri membri nella pratica di quelle virtù che portano alla felicità autentica e ad un durevole appagamento. Nel piano divino per la famiglia, l’amore del marito e della moglie porta frutto in nuove vite, e trova quotidiana espressione negli amorevoli sforzi dei genitori di assicurare un’integrale formazione umana e spirituale per i loro figli. Nella famiglia ogni persona, sia che si tratti del bambino più piccolo o del genitore più anziano, viene considerata per ciò che è in se stessa e non semplicemente come un mezzo per altri fini. Qui iniziamo a vedere qualcosa del ruolo essenziale della famiglia come primo mattone di costruzione di una società ben ordinata e accogliente. Possiamo inoltre giungere ad apprezzare, all’interno della società più ampia, il ruolo dello Stato chiamato a sostenere le famiglie nella loro missione educatrice, a proteggere l’istituto della famiglia e i suoi diritti nativi, come pure a far sì che tutte le famiglie possano vivere e fiorire in condizioni di dignità.

Scrivendo ai Colossesi, l’apostolo Paolo parla istintivamente della famiglia quando cerca di illustrare le virtù che edificano "l’unico corpo", che è la Chiesa. Quali "scelti da Dio, santi e amati", siamo chiamati a vivere in armonia e in pace l’uno con l’altro, mostrando anzitutto magnanimità e perdono, con l’amore quale più alto vincolo di perfezione (cfr Col 3,12-14). Come nel patto coniugale, l’amore dell’uomo e della donna viene innalzato dalla grazia fino a divenire condivisione ed espressione dell’amore di Cristo e della Chiesa (cfr Ef 5,32), così anche la famiglia fondata sull’amore viene chiamata ad essere una "Chiesa domestica", luogo di fede, di preghiera e di preoccupazione amorevole per il bene vero e durevole di ciascuno dei propri membri.

Mentre riflettiamo su tali realtà in questa che è la città dell’Annunciazione, il nostro pensiero si volge naturalmente a Maria, "piena di grazia", la Madre della Santa Famiglia e nostra Madre. Nazareth ci ricorda il dovere di riconoscere e rispettare dignità e missione concesse da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti. Sia come madri di famiglia, come una vitale presenza nella forza lavoro e nelle istituzioni della società, sia nella particolare chiamata a seguire il Signore mediante i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare quella "ecologia umana" (cfr Centesimus annus, 39) di cui il mondo, e anche questa terra, hanno così urgente bisogno: un ambiente in cui i bambini imparino ad amare e ad apprezzare gli altri, ad essere onesti e rispettosi verso tutti, a praticare le virtù della misericordia e del perdono.

Qui pensiamo pure a san Giuseppe, l’uomo giusto che Dio pose a capo della sua casa. Dall’esempio forte e paterno di Giuseppe, Gesù imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro. Nel falegname di Nazareth poté vedere come l’autorità posta al servizio dell’amore sia infinitamente più feconda del potere che cerca di dominare. Quanto bisogno ha il nostro mondo dell’esempio, della guida e della calma forza di uomini come Giuseppe!

Infine, nel contemplare la Sacra Famiglia di Nazareth, rivolgiamo lo sguardo al bambino Gesù, che nella casa di Maria e di Giuseppe crebbe in sapienza e conoscenza, sino al giorno in cui iniziò il ministero pubblico. Qui vorrei lasciare un pensiero particolare ai giovani presenti. Il Concilio Vaticano II insegna che i bambini hanno un ruolo speciale nel far crescere i loro genitori nella santità (cfr Gaudium et spes, 48). Vi prego di riflettere su questo e di lasciare che l’esempio di Gesù vi guidi non soltanto nel mostrare rispetto ai vostri genitori, ma anche nell’aiutarli a scoprire più pienamente l’amore che dà alla nostra vita il senso più completo. Nella Sacra Famiglia di Nazareth fu Gesù ad insegnare a Maria e Giuseppe qualcosa della grandezza dell’amore di Dio, suo celeste Padre, la sorgente ultima di ogni amore, il Padre da cui ogni paternità in cielo e in terra prende nome (cfr Ef 3,14-15).

Cari amici, nella colletta della Messa odierna abbiamo chiesto al Padre di "aiutarci a vivere come la Sacra Famiglia, unita nel rispetto e nell’amore". Rinnoviamo qui il nostro impegno ad essere lievito di rispetto e di amore nel mondo che ci attornia. Questo Monte del Precipizio ci ricorda, come lo ha fatto con generazioni di pellegrini, che il messaggio del Signore fu talvolta sorgente di contraddizione e di conflitto con i propri ascoltatori. Purtroppo, come il mondo sa, Nazareth ha sperimentato tensioni negli anni recenti che hanno danneggiato i rapporti fra le comunità cristiana e musulmana. Invito le persone di buona volontà di entrambe le comunità a riparare il danno che è stato fatto, e in fedeltà al comune credo in un unico Dio, Padre dell’umana famiglia, ad operare per edificare ponti e trovare modi per una pacifica coesistenza. Ognuno respinga il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio, che uccidono l’anima umana prima ancora che il corpo!

Permettetemi di concludere con una parola di gratitudine e di lode per quanti si adoperano per portare l’amore di Dio ai bambini di questa città e per educare le generazioni future nelle vie della pace. Penso in modo speciale agli sforzi delle Chiese locali, particolarmente nelle loro scuole e nelle istituzioni caritative, per abbattere i muri e per essere fertile terreno d’incontro, di dialogo, di riconciliazione e di solidarietà. Incoraggio i sacerdoti, i religiosi, i catechisti e gli insegnanti che sono impegnati, insieme con i genitori e quanti si dedicano al bene dei nostri ragazzi, a perseverare nel dare testimonianza al Vangelo, ad aver fiducia nel trionfo del bene e della verità e a confidare che Dio farà crescere ogni iniziativa destinata a diffondere il suo Regno di santità, solidarietà, giustizia e pace. Al tempo stesso riconosco con gratitudine la solidarietà che tanti nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo mostrano verso i fedeli della Terra Santa, sostenendo i lodevoli programmi ed attività del Catholic Near East Welfare Association.

"Si faccia di me secondo la tua parola" (Lc 1,38). La Vergine dell’Annunciazione, che coraggiosamente aprì il cuore al misterioso piano di Dio, e divenne Madre di tutti i credenti, ci guidi e ci sostenga con la sua preghiera. Ottenga per noi e le nostre famiglie la grazia di aprire le orecchie a quella parola del Signore che ha il potere di edificarci (cfr At 20,32), di ispirarci decisioni coraggiose e di guidare i nostri passi sulla via della pace!


Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Papa benedice le prime pietre per il Centro Internazionale della Famiglia, il Parco Memoriale Giovanni Paolo II e la "University of Pope Benedict XVI".

Quindi si trasferisce in auto al Convento dei Francescani di Nazareth dove pranza con gli Ordinari locali, con la Comunità dei Francescani e con i Membri del Seguito papale.




Discorso di Benedetto XVI ai Capi religiosi della Galilea



NAZARET, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo giovedì da Benedetto XVI, nell’Auditorium del Santuario dell’Annunciazione di Nazaret, in occasione dell'incontro con i Capi religiosi della Galilea, tra i quali erano presenti cristiani, musulmani, ebrei, drusi.

* * *

Cari Amici,

grato per le parole di benvenuto del Vescovo Giacinto-Boulos Marcuzzo e per la vostra calorosa accoglienza, saluto cordialmente i leaders delle diverse comunità presenti, comprendenti Cristiani, Musulmani, Giudei, Drusi ed altre persone religiose.

Avverto come una particolare benedizione il poter visitare questa città venerata dai Cristiani come il luogo dove l’Angelo annunciò alla Vergine Maria che avrebbe concepito per opera dello Spirito Santo. Qui anche Giuseppe, suo promesso sposo, vide in sogno un Angelo e gli fu indicato di chiamare il bambino "Gesù". Dopo questi meravigliosi eventi che accompagnarono la sua nascita, il bambino venne portato in questa città da Giuseppe e Maria, dove egli "cresceva e si fortificava pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui" (Lc 2, 40).

La convinzione che il mondo è un dono di Dio e che Dio è entrato nelle svolte e nei tornanti della storia umana, è la prospettiva dalla quale i Cristiani vedono che la creazione ha una ragione ed uno scopo. Lungi dall'essere il risultato di un fato cieco, il mondo è stato voluto da Dio e rivela il suo splendore glorioso.

Al cuore di ogni tradizione religiosa c’è la convinzione che la pace stessa è un dono di Dio, anche se non può essere raggiunta senza lo sforzo umano. Una pace durevole proviene dal riconoscimento che il mondo non è ultimamente nostra proprietà, ma piuttosto l'orizzonte entro il quale noi siamo invitati a partecipare all'amore di Dio e a cooperare nel guidare il mondo e la storia sotto la sua ispirazione. Non possiamo fare con il mondo tutto quello che ci piace; anzi, siamo chiamati a conformare le nostre scelte alle complesse e tuttavia percettibili leggi scritte dal Creatore nell'universo e a modellare le nostre azioni secondo la bontà divina che pervade il regno del creato.

La Galilea, una terra conosciuta per la sua eterogeneità etnica e religiosa, è la patria di un popolo che ben conosce gli sforzi richiesti per vivere in armoniosa coesistenza. Le nostre diverse tradizioni religiose hanno in sé potenzialità notevoli in ordine alla promozione di una cultura della pace, specialmente attraverso l’insegnamento e la predicazione dei valori spirituali più profondi della nostra comune umanità. Plasmando i cuori dei giovani, noi plasmiamo il futuro della stessa umanità. I Cristiani volentieri si uniscono ad Ebrei, Musulmani, Drusi e persone di altre religioni nel desiderio di salvaguardare i bambini dal fanatismo e dalla violenza, mentre li preparano ad essere costruttori di un mondo migliore.

Miei cari Amici, so che voi accogliete gioiosamente e con il saluto della pace i molti pellegrini che giungono in Galilea. Vi incoraggio a continuare ad esercitare il vicendevole rispetto, mentre vi adoperate ad alleviare le tensioni concernenti i luoghi di culto, garantendo così un ambiente sereno per la preghiera e la meditazione, qui e in tutta la Galilea. Rappresentando diverse tradizioni religiose, condividete il comune desiderio di contribuire al miglioramento della società e di testimoniare così i valori religiosi e spirituali che aiutano a corroborare la vita pubblica. Vi assicuro che la Chiesa Cattolica è impegnata a partecipare a questa nobile impresa. Cooperando con uomini e donne di buona volontà, essa cercherà di assicurare che la luce della verità, della pace e della bontà continui a risplendere dalla Galilea e a guidare le persone del mondo intero a cercare tutto ciò che promuove l'unità della famiglia umana. Dio vi benedica tutti!


[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





Il Papa a Nazareth: lo Stato sostenga l'insostituibile missione della famiglia nella società. In 45 mila alla Messa


Nello splendido scenario del Monte del Precipizio a Nazareth, che si apre ad anfiteatro sulle colline della Galilea, il Papa ha presieduto stamani la Messa per la conclusione dell’Anno della Famiglia indetto dalla Chiesa cattolica in Terra Santa. Oltre 45 mila i fedeli presenti. Al termine del rito la benedizione delle Prime pietre del Centro internazionale della Famiglia, del Parco memoriale Giovanni Paolo II e della University of Pope Benedict XVI. Nella sua omelia ha ribadito che la famiglia ha una “missione insostituibile nella società” che va sostenuta dallo Stato. Qui a Nazareth – ha detto – “sull’esempio di Maria, di Giuseppe e di Gesù, possiamo giungere ad apprezzare ancor di più la santità della famiglia, che, nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna, consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di Dio di nuove vite. Quanto hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo di riappropriarsi di questa verità fondamentale, che è alla base della società, e quanto importante è la testimonianza di coppie sposate in ordine alla formazione di coscienze mature e alla costruzione della civiltà dell’amore!”. Il Papa parlando di Maria ha ribadito “il dovere di riconoscere e rispettare dignità e missione” delle donne. Riferendosi a Giuseppe ha sottolineato “come l’autorità posta al servizio dell’amore sia infinitamente più feconda del potere che cerca di dominare”. Riguardo alla vita familiare di Gesù ha invece notato come “i bambini hanno un ruolo speciale nel far crescere i loro genitori nella santità”. In merito alle passate tensioni tra cristiani e musulmani a Nazareth ha detto queste parole: “Ognuno respinga il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio, che uccidono l’anima umana prima ancora che il corpo!”.





Il Papa a Nazareth: lo Stato sostenga la missione insostituibile della famiglia. Appello a respingere il potere distruttivo dell'odio


Nello splendido scenario del Monte del Precipizio a Nazareth, che si apre ad anfiteatro sulle colline della Galilea, il Papa ha presieduto stamani la Messa per la conclusione dell’Anno della Famiglia indetto dalla Chiesa cattolica in Terra Santa. Oltre 45 mila i fedeli presenti. Nella sua omelia Benedetto XVI ha ribadito che la famiglia ha una “missione insostituibile nella società” che va sostenuta dallo Stato. Poi, in merito alle passate tensioni tra cristiani e musulmani a Nazareth, ha invitato a respingere "il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio”. Linea al nostro inviato Roberto Piermarini:

(Canti ed effetto folla)


Con un entusiasmo travolgente e in un clima di festa e di allegria, 45 mila fedeli hanno accolto in Galilea Benedetto XVI per la Messa sulla Spianata del Monte del Precipizio a Nazareth, la più grande città araba d’Israele e con il maggior numero di cattolici di tutta la Terra Santa. Adagiata tra le colline della Galilea che la circondano e la proteggono, è qui che la Vergine Maria ha ricevuto l’annuncio dell’Angelo, è qui che ha vissuto Gesù nella famiglia di Nazareth. Una celebrazione – alla presenza di 40 vescovi e 250 concelebranti - che ha concluso l’Anno per la famiglia, indetto dalla Chiesa di Terra Santa. Nella sua omelia Benedetto XVI ha esaltato la santità della famiglia cristiana che nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna, consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di Dio di nuove vite. “Il mondo ha bisogno di riappropriarsi di questa verità – ha detto il Papa – per la costruzione della civiltà dell’amore. La famiglia infatti è il primo mattone della costruzione di una società ben ordinata ed accogliente, per questo lo Stato è chiamato a sostenerla nella sua missione educatrice. Così la famiglia fondata sull’amore diventa una ‘Chiesa domestica’, luogo di fede, di preghiera e di preoccupazione amorevole per il bene vero e durevole di ciascuno dei propri membri”. E qui il Papa ha ricordato il ruolo fondamentale delle madri, dei padri e dei figli, innanzitutto guardando a Maria:


“Nazareth reminds us of our need to acknowledge...
Nazareth ci ricorda il dovere di riconoscere e rispettare dignità e missione concesse da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti: sia come madri di famiglia che come chiamate ad una vocazione religiosa. Le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare un ambiente in cui i bambini imparino ad amare e ad apprezzare gli altri, ad essere onesti e rispettosi verso tutti, a praticare la virtù della misericordia e del perdono”.


In Giuseppe, l’uomo giusto che Dio pose a capo della sua casa, Gesù imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro e potè vedere in lui come l’autorità posta al servizio dell’amore, sia infinitamente più feconda del potere che cerca di dominare.


“How much our world needs the example...
Quanto ha bisogno il nostro mondo dell’esempio, della guida e della calma forza di uomini come Giuseppe!”.


E sull’esempio di Gesù, il Papa ha invitato i giovani non soltanto a mostrare rispetto ai genitori ma anche ad aiutarli a scoprire più pienamente l’amore che dà alla nostra vita il senso completo.

“In the Holy Family of Nazareth....
Nella Sacra Famiglia di Nazareth fu Gesù ad insegnare a Maria e Giuseppe qualcosa della grandezza dell’amore di Dio, suo celeste Padre, la sorgente ultima di ogni amore”.


Nella sua omelia Benedetto XVI ha ricordato anche le tensioni degli anni scorsi a Nazareth, tra cristiani a musulmani, a causa del progetto di costruire una moschea a ridosso della Basilica della Natività ed ha invitato le due comunità ad adoperarsi per edificare ponti e trovare modi per una pacifica coesistenza. “Ognuno – ha detto – respinga il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio, che uccidono l’anima umana prima ancora che il corpo!”. Al termine, il ringraziamento del Papa per gli sforzi della chiesa nelle istituzioni caritative e nelle scuole. “Scuole – ha detto nel suo indirizzo di saluto, il vescovo greco-melkita per la Galilea mons. Elias Chacour, che “sono la prima priorità per la Chiesa perchè sono lo strumento per diffondere il messaggio di Gesù e la riconciliazione. Lottiamo per la loro sopravvivenza – ha detto - facendo grandi sacrifici, ma andiamo avanti”.


(Parole in arabo)


Il presule ha parlato anche del doloroso fenomeno dell’esodo all’estero dei cristiani e del dramma degli sfollati di alcuni villaggi della Galilea espropriati da Israele, che chiedono di ritornare nelle proprie case ed ha denunciato le grandi difficoltà e pericoli che minacciano la presenza della Chiesa in Terra Santa. Al termine della Messa il Papa ha benedetto le prime pietre di tre istituzioni: il Centro Internazionale per la Famiglia che sorgerà a Nazareth; la prima Università araba cristiana di Terra Santa che sarà intitolata a Benedetto XVI e il “Parco Memoriale Giovanni Paolo II”, voluto e realizzato dal governo israeliano sul Monte delle Beatitudini, sullo stesso luogo dove nel 2000 il Pontefice celebrò l’Eucarestia.


(Canto)





L'incontro con i capi religiosi. Il Papa: salvaguardare i bambini da fanatismo e violenza


Nel pomeriggio il Papa, dopo l’incontro col premier israeliano Netanyahu presso il Convento dei francescani di Nazareth, si è recato nel Santuario dell’Annunciazione per un saluto ai capi religiosi della Galilea, in rappresentanza di cristiani, musulmani, ebrei e drusi. “Al cuore di ogni tradizione religiosa – ha detto il Pontefice - c’è la convinzione che la pace stessa è un dono di Dio, anche se non può essere raggiunta senza lo sforzo umano. Una pace durevole proviene dal riconoscimento che il mondo non è ultimamente nostra proprietà, ma piuttosto l'orizzonte entro il quale noi siamo invitati a partecipare all'amore di Dio e a cooperare nel guidare il mondo e la storia sotto la sua ispirazione. Non possiamo fare con il mondo tutto quello che ci piace; anzi, siamo chiamati a conformare le nostre scelte alle complesse e tuttavia percettibili leggi scritte dal Creatore nell'universo e a modellare le nostre azioni secondo la bontà divina che pervade il regno del creato”. Quindi ha aggiunto: “I Cristiani volentieri si uniscono ad Ebrei, Musulmani, Drusi e persone di altre religioni nel desiderio di salvaguardare i bambini dal fanatismo e dalla violenza, mentre li preparano ad essere costruttori di un mondo migliore”.





Commento da Nazareth: cristiani in sofferenza ma la visita del Papa aiuterà moltissimo


Sulla Messa di questa mattina ascoltiamo il commento di don Rino Rossi, direttore della Domus Galilaeae, il Centro internazionale gestito dal Cammino neocatecumenale nei pressi del Lago di Tiberiade. Fabio Colagrande lo ha raggiunto telefonicamente a Nazareth subito dopo la fine della celebrazione:

R. – E’ stato un evento molto importante per la Chiesa che è presente soprattutto qui, in Galilea, perché la maggior parte dei cristiani si trovano qui, in Galilea. Alla Messa erano presenti i cattolici dei vari riti e poi i fratelli ortodossi, anglicani… E’ stato veramente un momento ecclesiale molto, molto importante. Noi anche abbiamo voluto accompagnare il pellegrinaggio del Santo Padre, come abbiamo fatto nel 2000, con 8 mila giovani provenienti da tutta Europa. E’ stato davvero uno spettacolo, in questi giorni, perché abbiamo potuto – d’accordo con i vescovi, con i parroci – avere degli incontri in tutte le parrocchie. Ci hanno accolto benissimo i parroci, i viceparroci, i fedeli. Abbiamo fatto un incontro di preparazione per questa Eucaristia, abbiamo messo in comune la nostra fede, la nostra esperienza, i giovani hanno dato la loro testimonianza, hanno cantato, sono state delle cose bellissime! E la cosa anche più bella è che in alcune parrocchie ortodosse ci hanno accolto, si è fatto lo stesso incontro, anche nelle parrocchie anglicane … siamo andati negli ospedali, siamo andati anche nei collegi, con i giovani … E’ stato un momento bellissimo culminato con questa Eucaristia.

D. – Don Rino, quali sono le difficoltà delle comunità cristiane in Galilea e quanto il Papa ha potuto incoraggiare proprio queste comunità?

R. – Il fatto che i cristiani, come sapete, sono una minoranza ... io vedo che c’è una sofferenza, soprattutto nelle zone dell’Autonomia palestinese. Però, qui in Galilea io penso che ci sia un atteggiamento più tranquillo, c’è – secondo me – una migliore collaborazione, sia con i musulmani e anche con gli ebrei. L’ambiente è molto più sereno in tutta la Galilea del Nord. In questo senso penso che le cose stiano andando meglio. Senz’altro, la visita del Papa ha portato anche un’aria di pacificazione, aiuterà moltissimo: perché egli ha potuto incontrare le autorità ebraiche e anche le autorità musulmane; ha cercato di creare questi ponti di comunione che senz’altro nel tempo daranno frutto.





Twal: è possibile abbattere i muri nei cuori. Pizzaballa: importante l'incontro del Papa con Netanyahu


Sulla visita al Campo profughi di Aida, il nostro inviato Roberto Piermarini ha sentito il commento del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal:

R. – Mi è piaciuto prima di tutto il discorso del Santo Padre, perchè è andato al cuore dei bisogni, in modo speciale alla reintegrazione, alla riunificazione delle famiglie, dando speranza ai giovani che desiderano creare una famiglia, avere una casa e poter vivere insieme, sia a Gerusalemme, sia a Ramallah. Tutti devono sapere che la Chiesa è sempre stata accanto agli oppressi, ai poveri e a quelli che soffrono. E là francamente c’è gente che soffre. I discorsi sono stati ben preparati dalle persone e hanno toccato tutti gli argomenti, sia la separazione delle famiglie, sia la questione dei prigionieri: noi abbiamo 12 mila prigionieri in Israele. Abbiamo il più vecchio prigioniero nel mondo, che sta dentro da 32 anni ed il più giovane nel mondo, in carcere da due mesi, perché una donna ha partorito lì. E’ una ferita nel cuore della Terra Santa. Noi saremo più felici se tutti godranno della libertà di movimento.


D. – La visita ad Haida si è svolta praticamente a ridosso del muro di separazione. Il Papa ha detto che bisogna abbattere i muri nei nostri cuori. E’ difficile in questa terra abbattere questi muri?


R. – Non deve mai essere difficile. Niente è impossibile a Dio. Manca solamente la buona volontà umana. D’altronde, questo muro che vediamo non è che la realizzazione di questi altri muri nei cuori, muri di odio, di sfiducia, di paura. Tutto ciò è stato messo in pratica con un muro che è visibile, ma ci sono tanti altri muri invisibili. Dobbiamo cominciare con il cuore umano. Il Santo Padre lo ha detto molto, molto bene con questa frase.


E sulla giornata di ieri a Betlemme ascoltiamo il custode di Terra Santa, il padre francescano Pierbattista Pizzaballa, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – E’ stata una bellissima giornata: la Messa è stata molto bella, molto partecipata, molto viva, che ha portato un’iniezione di fiducia, di entusiasmo ai cristiani di Betlemme. Gli incontri politici sono stati di alto livello e di contenuto, ma anche molto sereni. Quindi, non c’era, grazie a Dio, quella dose forte di rancore, che spesso si può avere. E così anche l’incontro ad Aida, vicino al muro, un luogo drammatico, dove la ferita dentro la geografia, la storia, la vita dei palestinesi è così evidente, è stato fatto dicendo le cose con molta chiarezza, sia da parte dei palestinesi, come anche del Santo Padre, però sempre con una dose di coraggio e di incoraggiamento e di serenità, senza erigere barriere psicologiche. Questo è stato un aspetto, penso, molto positivo, e credo che sia un esempio di come si possano dire le cose, senza chiudere la porta in faccia a nessuno.


D. – Tra poco ci sarà l’incontro con il premier Netanyahu. C’è molta attesa qui in Terra Santa, soprattutto nella Chiesa di Terra Santa. Che cosa chiede questa Chiesa?


R. – L’incontro con il primo ministro è importante, perché non sarà solo un incontro di cortesia, come è giusto che sia, ma anche operativo, nel senso che si dovranno mettere sul tavolo alcuni problemi. Adesso non si può anticipare troppo, ma penso che i problemi siano noti: c’è la trattativa, c’è la questione dei visti per i religiosi, ci sono anche molte famiglie che hanno bisogno di essere riunificate e così via. Sono problemi concreti, specifici che penso usciranno fuori. Non ci attendiamo risposte definitive, ma almeno un rafforzamento e una spinta nel trovare una soluzione.





Domani il Papa al Santo Sepolcro: intervista con padre Manns


Domani il Papa concluderà il suo pellegrinaggio in Terra Santa iniziato l’8 maggio ad Amman. La visita al Santo Sepolcro a Gerusalemme sarà il momento centrale della giornata che terminerà con la cerimonia di congedo a Tel Aviv alle 12.30, ora italiana. Del Santo Sepolcro ci parla padre Frederick Manns, storico della Custodia di Terra Santa. Roberto Piermarini gli ha chiesto se è davvero sicuro che Gesù sia stato sepolto in questo luogo:

R. - Molti pellegrini fanno la Via Crucis che finisce al Santo Sepolcro e si può dire che, di tutte le stazioni della Via Crucis, l’unica assolutamente sicura, al cento per cento, è il Calvario, il “luogo della sepoltura”. Dico bene, il luogo della sepoltura, perché la tomba fu distrutta e questo divenne il motivo della prima crociata. Il luogo rimane ed è assolutamente sicuro. Ormai gli scavi hanno permesso di vedere una grande spaccatura in questa roccia. Quando Gesù morì, infatti, ci fu il grande terremoto. Anche se adesso si trova all’interno delle mura, all’epoca di Gesù era fuori delle mura ed era il grande cimitero. I cimiteri erano sempre fuori ma il terzo muro fu aggiunto soltanto dopo la morte di Cristo.


D. – Padre Manns, qual è il significato teologico del Santo Sepolcro?


R. – Noi sappiamo che gli ebrei avevano una tradizione bellissima legata al Tempio di Gerusalemme; dicevano che Adamo era stato creato con la polvere dell’altare del Tempio. Dio sapeva che Adamo sarebbe stato peccatore e che, portando sacrifici sull’altare, avrebbe avuto il perdono dei suoi peccati. Quando il Tempio è stato distrutto, nel 70 d.C., i primi cristiani – che in gran parte erano giudeo cristiani, ebrei messianici che credevano in Gesù, lo riconoscevano come Messia di Israele - hanno ripreso questa tradizione della creazione di Adamo e hanno scavato addirittura una piccola grotticella sotto il calvario per dire: “Ecco la tomba di Adamo”. Volevano soltanto illustrare l’idea teologica che Cristo è il nuovo Adamo, e che il sangue di Cristo doveva passare attraverso la spaccatura della roccia ed arrivare sul cranio di Adamo. Per questo, l’iconografia rappresenta anche il Calvario con il cranio di Adamo sotto. Cristo che ricrea tutta l’umanità ed il Vangelo di Giovanni lo dice in modo meraviglioso: “Sotto la croce di Cristo c’erano quattro pagani, quattro soldati che si sono divisi le vesti di Gesù e c’erano quattro donne ebree. Quindi, la salvezza portata a Cristo, vale per i pagani, i romani, e per gli ebrei, per gli uomini e per le donne. La salvezza è universale, Cristo nuovo Adamo, porta la creazione nuova a tutta l’umanità.


D. – La Basilica è retta dai francescani di Terra Santa, ortodossi ed armeni; ma come mai, è una famiglia musulmana che ogni mattina ne apre il portone?


R. – Il sultano voleva dare la chiave del Santo Sepolcro al console di Francia ma il console rispose: “Io non sono il sacrestano”. Allora il sultano si arrabbiò e la diede ad una famiglia musulmana e fino ad oggi bisogna pagare questa famiglia musulmana. Sono le meraviglie dell’Oriente! (Montaggio a cura di Maria Brigini)






Il Papa in Terra Santa parla a tutti e a nome di tutti
di padre Thomas D. Williams, LC


GERUSALEMME, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha lasciato Gerusalemme per recarsi a Betlemme questo mercoledì mattina, tra le continue cavillosità dei commentatori locali. Non ho potuto fare a meno di levare il mio cuore a Dio, grato per questo gentile Papa tedesco. Ho capito quanto sia unica la sua missione in questa terra lacerata che vede continui battibecchi su tutto, dalla terra alle minuzie dottrinali.

Il fatto è che il Santo Padre non è venuto in Terra Santa per avere un ruolo politico, nemmeno per il suo “partito” personale. Non è venuto semplicemente come rappresentante della Chiesa cattolica, ma a nome di ogni persona coinvolta, a nome dell'umanità stessa.

Benedetto XVI parla a nome degli ebrei, lodando la loro eredità religiosa e difendendo il loro diritto alla sicurezza e all'autogoverno. Parla a nome dei palestinesi e del loro diritto alla sovranità e alla libertà. Parla a nome dei musulmani richiamandoli al meglio della loro tradizione, con le profonde convinzioni religiose e il culto sentito nei confronti dell'unico Dio. Parla per i cristiani, nel loro difficile status di minoranza esigua e sofferente. In poche parole, parla a tutti e a nome di tutti.

E' questo l'aspetto singolare della voce e del messaggio del Papa. Paradossalmente, tra tutte le manipolazioni del messaggio di Benedetto XVI e tra tutte le lamentele per il fatto di non sostenere sufficientemente alcun gruppo, vediamo la grandezza e l'unicità della sua presenza qui. Nessun altro leader del mondo può parlare con la stessa autorità morale o con la sua autentica imparzialità. Il suo rifiuto di giocare un ruolo politico è la ragione per la quale il suo messaggio è spesso respinto, e anche il motivo per cui questo è così disperatamente importante.

Tra coloro che hanno sollevato il maggior clamore per la presunta assenza di rimorso da parte di Benedetto XVI nei confronti della Shoah c'è il rabbino Ysrael Meir Lau, presidente del Memoriale dello Yad Vashem, che ha criticato il discorso del Papa perché “privo di ogni compassione, di ogni rimorso, di ogni dolore per la terribile tragedia dei sei milioni di vittime”. Se vi capita di guardare le trasmissioni, Lau è la persona che stava alla destra del Papa con un atteggiamento tale da far pensare che avesse appena mangiato qualcosa che il suo stomaco trovava particolarmente indigesto.

Il rabbino Lau non è nuovo alle critiche contro il papato. E' stato anche un instancabile denigratore di Papa Pio XII, anche quando questo significava distorcere la verità. Durante le commemorazioni del 1998 a Berlino per il 60° anniversario della Notte dei Cristalli – il 9 novembre 1938, evento che ha aperto l'era delle persecuzioni contro gli ebrei in Germania –, Lau, allora rabbino capo di Israele, è stato invitato a parlare.

Durante il suo discorso appassionato, ha formulato la domanda incriminante: “Pio XII, dov'eri? Perché sei rimasto in silenzio riguardo alla Notte dei Cristalli?”. Il giorno successivo, due giornali italiani riportavano quella domanda come titolo, con questo catenaccio: “Il vergognoso silenzio di Pio XII”. L'unico problema è che Pio XII non è stato eletto fino al marzo 1939, quattro mesi dopo la Notte dei Cristalli, ma non ho ancora visto il rabbino Lau affrettarsi ad esprimere rimorso per la sua diffamazione di Papa Pio XII.

Mentre mi recavo in Israele, ho avuto l'occasione di rileggere l'autobiografia di Benedetto XVI, "Memorie 1927-1977". Sono rimasto ancora una volta colpito da come la sua infanzia sia stata brutalmente interrotta dall'ascesa al potere di Hitler, e da come tanti tedeschi di buona volontà siano stati ingiustamente accusati di nazismo. Se bisogna credere alle critiche contro il Papa, chiunque sia vissuto in Germania negli anni Trenta e Quaranta è necessariamente colpevole di connivenza.

Fortunatamente, alcune autorevoli voci ebraiche stanno iniziando ad essere ascoltate a Gerusalemme quando chiedono ai critici di lasciare in pace il Papa. Ad esempio, Noah Frug, leader del Consorzio delle Organizzazioni dei Sopravvissuti all'Olocausto in Israele, ha affermato che le critiche contro il Papa sono esagerate. “E' venuto qui per avvicinare la Chiesa e l'ebraismo, e dovremmo considerare la sua visita positiva e importante”, ha dichiarato.

Questo mercoledì l'attenzione si è spostata su Betlemme, la Città di Davide e il luogo di nascita di Gesù, ma anche parte dei Territori palestinesi. Arrivando a Betlemme, Benedetto XVI ha espresso subito la propria sentita solidarietà con i palestinesi sofferenti, e ha ribadito la posizione della Santa Sede circa il loro diritto alla sovranità. “Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti”, ha detto.

In teoria questo non dovrebbe provocare alcun disaccordo, visto che la posizione ufficiale dello Stato di Israele coincide con quella della Santa Sede. Anche Israele sostiene il diritto dei palestinesi a una patria sovrana, se questa soluzione potesse essere realizzata senza detrimento per la sicurezza israeliana. Ovviamente il punto è proprio questo.

Qui in Terra Santa ho parlato con molte persone di vari background, e l'unica cosa che sembrano avere in comune è la sofferenza. Ognuno mi voleva parlare delle difficoltà e delle ingiustizie che subisce, a livello personale o storico. Ognuno aveva una storia di dolore da raccontare. Nessuno sembra ricordare di aver mai commesso ingiustizie, ma tutti ricordano di averle subite. E non posso fare a meno di chiedermi, in una terra di tanto dolore, una terra la cui gente si fregia del fatto di “ricordare”, se a volte il perdono non sia una virtù ancor più necessaria.

A Betlemme Benedetto XVI ha chiesto ai cristiani di essere “un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione”. E' ciò che egli stesso cerca di essere – con la sua presenza, le sue parole e la sua determinazione paziente a predicare costantemente la Buona Novella “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2 Tim 4:2).



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*Padre Thomas D. Williams, Legionario di Cristo, è un teologo statunitense che vive a Roma. Attualmente sta seguedo per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione ha deciso di scivere una cronaca del viaggio anche per ZENIT.


[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]





Il sindaco di Betlemme: la visita del Papa aiuterà la pace
Spera almeno che freni l'esodo dei cristiani

di Mercedes de la Torre


BETLEMME, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Per il sindaco di Betlemme, la visita di questo mercoledì di Benedetto XVI nella sua città può dare un impulso alla pace e fermare l'esodo dei cristiani dalla Terra Santa.

In alcune dichiarazioni a ZENIT dopo la Messa che il Papa ha presieduto nella Piazza della Mangiatoia, Victor Batarseh ha affermato: “Come fratelli e sorelle di Betlemme, speriamo che questa visita porti pace e amore a tutto il popolo”.

Batarseh, sindaco dal 2005 della città in cui nacque Gesù e medico in pensione di religione cattolica, è stato eletto come candidato del blocco Fratellanza e Sviluppo di Betlemme.

Circa la visita papale, spera che “incoraggi i cristiani palestinesi ad essere fedeli alla loro terra e li esorti a restare”.

La “Radio Vaticana” ha spiegato questo mercoledì che “in passato i cristiani a Betlemme rappresentavano l’80% della popolazione, ora sono poco più del 15-20% ed emigrano per la precarietà del lavoro, per l’instabilità politica nella regione e per le minacce dell’integralismo islamico”.

Il sindaco ha confessato a ZENIT di aver regalato come gesto di gratitudine al Papa un Vangelo di San Luca in arabo, scritto a mano con colori biologici.


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]




Benedetto XVI vede in Betlemme una stella di speranza
Riflessione di padre Caesar Atuire sulle parole e sui gesti papali

di Mercedes de la Torre


BETLEMME giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI a Betlemme ha avuto l'obiettivo principale di dare speranza alla popolazione, spiega padre Caesar Atuire, amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Il sacerdote constata che la città in cui nacque Gesù “ha vissuto questa giornata come se fosse il giorno di Natale”, e infatti nella Messa che il Papa ha celebrato nella Piazza della Mangiatoia si sono ascoltati canti natalizi.

“Vedendo la gente che è qui, ascoltando i suoi canti, ci rendiamo conto che oggi il Papa ha portato in questa terra un messaggio di pace, un messaggio di gioia, per incoraggiare questo popolo che vive con tante contraddizioni”, ha spiegato il presbitero, che promuove pellegrinaggi da tutto il mondo in questa terra.

“Il Papa ha ricordato ciò che dice il Vangelo di San Luca, cioè che Gesù sarebbe stato un segno di contraddizione. Anche oggi la realtà di Betlemme è un segno di contraddizione, ma non può essere segno di contraddizione senza speranza. Ciò che il Papa ha detto, quindi, è che il messaggio di Gesù può essere una speranza per la pace e per il futuro di questo popolo”, ha osservato.

Padre Atuire, che accompagna il Vescovo di Roma nel suo viaggio in Terra Santa, si è sentito particolarmente toccato dalle parole che il Pontefice ha rivolto a tutte le persone che hanno subito i bombardamenti su Gaza a gennaio.

“Il Santo Padre ha offerto la sua solidarietà a tutte le persone che sono state vittime di quel conflitto, e per questo dopo la Messa si è intrattenuto a salutare una delegazione giunta da Gaza per partecipare a questa celebrazione eucaristica”, ha ricordato.

Il sacerdote ha inserito in questo contesto anche la visita del Papa all'Aida Refugee Camp, mercoledì pomeriggio.

“I campi di rifugiati sono un ricordo della sofferenza di questo popolo, che a causa del conflitto tra israeliani e palestinesi vive nei campi senza alcuna speranza e senza terra”, ha dichiarato.

“Facendogli visita, il Papa sta dando un messaggio di speranza”, una speranza, osserva, che passa per il riconoscimento dei giusti diritti del popolo palestinese.

Per questo motivo, venendo ricevuto dal Presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, il Papa ha chiesto di lavorare per arrivare alla soluzione di due Stati e due Nazioni, Israele e Palestina.

In questo modo, ha affermato padre Atuire, “il popolo della Palestina potrà raggiungere quella sovranità necessaria per mettere in pratica progetti di sviluppo, giustizia e pace per tutto il popolo di questo territorio”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=844&sett...

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=843&sett...
+PetaloNero+
00giovedì 14 maggio 2009 20:49
Il Papa per i Vespri nel Santuario dell’Annunciazione di Nazaret

NAZARET, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo giovedì da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica Superiore del Santuario dell’Annunciazione di Nazaret, la celebrazione dei Vespri con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i movimenti ecclesiali e gli operatori pastorali della Galilea.

* * *

Fratelli Vescovi,

Padre Custode,

cari fratelli e sorelle in Cristo!

E’ per me fonte di profonda commozione essere presente con voi oggi proprio nel luogo dove la Parola di Dio si è fatta carne ed è venuta ad abitare fra noi. Quanto è opportuno trovarci qui riuniti per cantare la Preghiera dei Vespri della Chiesa, dando lode e grazie a Dio per le meraviglie che egli ha fatto per noi! Ringrazio l’Arcivescovo Sayah per le parole di benvenuto, e, tramite lui, saluto tutti i membri della comunità Maronita qui in Terra Santa. Saluto i sacerdoti, i religiosi, i membri dei movimenti ecclesiali e gli operatori pastorali venuti da tutta la Galilea. Ancora una volta rendo lode alla cura dimostrata dai Frati della Custodia, nel corso di molti secoli, nel provvedere ai luoghi santi come questo. Saluto il Patriarca Latino emerito, Sua Beatitudine Michel Sabbah, che per più di venti anni ha guidato il suo gregge in queste terre. Saluto i fedeli del Patriarcato Latino ed il loro attuale Patriarca, Sua Beatitudine Fouad Twal, così come i membri della comunità Greco-Melchita, qui rappresentata dall’Arcivescovo Elias Chacour. Ed in questo luogo dove Gesù stesso crebbe fino alla maturità ed imparò la lingua ebraica, saluto i Cristiani di lingua ebraica, che sono per noi un richiamo alle radici ebraiche della nostra fede.

Ciò che accadde qui a Nazareth, lontano dagli sguardi del mondo, è stato un atto singolare di Dio, un potente intervento nella storia attraverso il quale un bambino fu concepito per portare la salvezza al mondo intero. Il prodigio dell'Incarnazione continua a sfidarci ad aprire la nostra intelligenza alle illimitate possibilità del potere trasformante di Dio, del suo amore per noi, del suo desiderio di essere in comunione con noi. Qui l'eterno Figlio di Dio divenne uomo, e rese così possibile a noi, suoi fratelli e sorelle, di condividere la sua figliolanza divina. Quel movimento di abbassamento di un amore che si è svuotato di sé ha reso possibile il movimento inverso di esaltazione nel quale anche noi siamo elevati a condividere la vita stessa di Dio (cfr Fil 2,6-11).

Lo Spirito che "discese su Maria" (cfr Lc 1,35) è lo stesso Spirito che si librò sulle acque all'alba della Creazione (cfr Gn 1,2). Questo ci ricorda che l'Incarnazione è stata un nuovo atto creativo. Quando nostro Signore Gesù Cristo fu concepito per opera dello Spirito Santo nel seno verginale di Maria, Dio si unì con la nostra umanità creata, entrando in una permanente nuova relazione con noi e inaugurando una nuova Creazione. Il racconto dell'Annunciazione illustra la straordinaria gentilezza di Dio (cfr Madre Julian di Norwich, Rivelazioni 77-79). Egli non impone se stesso, non predetermina semplicemente la parte che Maria avrà nel suo piano per la nostra salvezza, egli cerca innanzitutto il suo assenso. Nella Creazione iniziale ovviamente non era questione che Dio chiedesse il consenso delle sue creature, ma in questa nuova Creazione egli lo chiede. Maria sta al posto di tutta l’umanità. Lei parla per tutti noi quando risponde all'invito dell'angelo. San Bernardo descrive come l’intera corte celeste stesse aspettando con ansiosa impazienza la sua parola di consenso grazie alla quale si compì l'unione nuziale tra Dio e l’umanità. L'attenzione di tutti i cori degli angeli s’era concentrata su questo momento, nel quale ebbe luogo un dialogo che avrebbe dato avvio ad un nuovo e definitivo capitolo della storia del mondo. Maria disse: "Avvenga di me secondo la tua parola". E la Parola di Dio divenne carne. Il riflettere su questo gioioso mistero ci dà speranza, la sicura speranza che Dio continuerà a condurre la nostra storia, ad agire con potere creativo per realizzare gli obiettivi che al calcolo umano sembrano impossibili. Questo ci sfida ad aprirci all’azione trasformatrice dello Spirito Creatore che ci fa nuovi, ci rende una cosa sola con Lui e ci riempie con la sua vita. Ci invita, con squisita gentilezza, a consentire che egli abiti in noi, ad accogliere la Parola di Dio nei nostri cuori, rendendoci capaci di rispondere a Lui con amore ed andare con amore l’uno verso l'altro. Nello Stato di Israele e nei Territori Palestinesi i Cristiani formano una minoranza della popolazione. Forse a volte vi sembra che la vostra voce conti poco. Molti dei vostri amici cristiani sono emigrati, nella speranza di trovare altrove maggiore sicurezza e migliori prospettive. La vostra situazione richiama alla mente quella della giovane vergine Maria, che condusse una vita nascosta a Nazareth, con ben poco per il suo quotidiano quanto a ricchezza e ad influenza mondana. Per citare le parole di Maria nel suo grande inno di lode, il Magnificat, Dio ha guardato alla sua serva nella sua umiltà, ha ricolmato di beni l’affamato. Prendiamo forza dal cantico di Maria, che tra poco canteremo in unione con la Chiesa intera in tutto il mondo! Abbiate il coraggio di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui nella terra che Egli ha santificato con la sua stessa presenza! Come Maria, voi avete un ruolo da giocare nel piano divino della salvezza, portando Cristo nel mondo, rendendo a Lui testimonianza e diffondendo il suo messaggio di pace e di unità. Per questo, è essenziale che siate uniti fra voi, così che la Chiesa nella Terra Santa possa essere chiaramente riconosciuta come "un segno ed uno strumento di comunione con Dio e di unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium, 1). La vostra unità nella fede, nella speranza e nell’amore è un frutto dello Spirito Santo che dimora in voi e vi rende capaci di essere strumenti efficaci della pace di Dio, aiutandovi a costruire una genuina riconciliazione tra i diversi popoli che riconoscono Abramo come loro padre nella fede. Perché, come Maria ha gioiosamente proclamato nel suo Magnificat, Dio è sempre memore "della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza per sempre" (Lc 1,54-55).

Cari Amici in Cristo, siate certi che io continuamente vi ricordo nella mia preghiera, e vi chiedo di fare lo stesso per me. Volgiamoci ora verso il nostro Padre celeste, che in questo luogo ha guardato all’umiltà della sua serva, e cantiamo le sue lodi in unione con la Beata Vergine Maria, con tutti i cori degli angeli e dei santi e con tutta la Chiesa in ogni parte del mondo.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]






Il Pontefice prega per la pace con i leader religiosi della Galilea
Nell’Auditorium del Santuario dell’Annunciazione di Nazareth

di Roberta Sciamplicotti


NAZARETH, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI e i leader religiosi della Galilea si sono presi per mano questo giovedì pomeriggio chiedendo a Dio il dono più prezioso per la Terra Santa: la pace.

L'incontro è stato uno dei più toccanti del viaggio papale e ha avuto luogo nell’Auditorium del Santuario dell’Annunciazione di Nazareth. Il Pontefice ha confessato di avvertire “una particolare benedizione” per il fatto di poter visitare la città, dove l’Angelo annunciò alla Vergine Maria che avrebbe concepito per opera dello Spirito Santo.

Il Papa ha preso posto su un palco insieme ai rappresentanti cristiani, ebrei, musulmani e drusi, ricevendo il saluto del Vicario del Patriarca di Gerusalemme dei latini per Israele, monsignor Giacinto-Boulos Marcuzzo, che ha ricordato che “il dialogo rende cooperatores veritatis” e che la diversità non è un limite ma una “sinfonia”.

La guida spirituale dei drusi ha osservato che la visita del Pontefice è “fonte di santità” e “di benedizione” e ha espresso la propria preoccupazione per chi sfrutta la religione per scopi politici, sottolineando che “la religione deve essere per Dio e la terra per tutti”.

Dal canto suo, il rappresentante musulmano ha affermato che da Nazareth deve partire un messaggio di convivenza per tutta l'umanità, e che chi accusa l'islam guarda a “comportamenti sbagliati”, perché il vero islam è basato sulla pace. Il rabbino che rappresentava l'ebraismo ha quindi ricordato l'importanza del dialogo interreligioso per il raggiungimento della pace.

La pace, dono di Dio

Nel suo discorso, Benedetto XVI ha ricordato che al cuore di ogni tradizione religiosa c’è la convinzione che la pace “è un dono di Dio, anche se non può essere raggiunta senza lo sforzo umano”.

“Una pace durevole proviene dal riconoscimento che il mondo non è ultimamente nostra proprietà, ma piuttosto l'orizzonte entro il quale noi siamo invitati a partecipare all'amore di Dio e a cooperare nel guidare il mondo e la storia sotto la sua ispirazione”, ha osservato.

“Le nostre diverse tradizioni religiose hanno in sé potenzialità notevoli in ordine alla promozione di una cultura della pace, specialmente attraverso l’insegnamento e la predicazione dei valori spirituali più profondi della nostra comune umanità”.

“Plasmando i cuori dei giovani, noi plasmiamo il futuro della stessa umanità”, ha aggiunto il Pontefice, rimarcando l'importanza di “salvaguardare i bambini dal fanatismo e dalla violenza” preparandoli “ad essere costruttori di un mondo migliore”.

In una Galilea “conosciuta per la sua eterogeneità etnica e religiosa” e “patria di un popolo che ben conosce gli sforzi richiesti per vivere in armoniosa coesistenza”, il Papa ha incoraggiato i leader religiosi “a continuare ad esercitare il vicendevole rispetto, mentre vi adoperate ad alleviare le tensioni concernenti i luoghi di culto, garantendo così un ambiente sereno per la preghiera e la meditazione”.

“Rappresentando diverse tradizioni religiose, condividete il comune desiderio di contribuire al miglioramento della società e di testimoniare così i valori religiosi e spirituali che aiutano a corroborare la vita pubblica”, ha riconosciuto, assicurando l'impegno della Chiesa Cattolica a “partecipare a questa nobile impresa”.

“Cooperando con uomini e donne di buona volontà”, ha dichiarato, la Chiesa “cercherà di assicurare che la luce della verità, della pace e della bontà continui a risplendere dalla Galilea e a guidare le persone del mondo intero a cercare tutto ciò che promuove l'unità della famiglia umana”.

Preghiera per la pace

Al termine del suo discorso, Benedetto XVI ha ricevuto in dono una scultura in legno scolpito che raffigurava anche una colomba, simbolo della pace.

Un rappresentante ebraico ha poi preso posto sul palco invitando le centinaia di persone presenti alla cerimonia a chiudere gli occhi e a unirsi a lui nel chiedere cantando a Dio il dono della pace.

“The Lord grant us peace”, “Il Signore ci dia pace”, è stata l'invocazione che è risuonata più volte, alternata alle parole “pace” in arabo e in israeliano, “salam” e “shalom”, alla frase in latino “Dona nobis pacem” e alla traduzione in tedesco “Gib uns deine Friede”.

La cerimonia ha visto il suo momento più toccante quando il Papa e gli altri leader religiosi presenti sul palco si sono alzati e si sono presi per mano, unendosi al canto. Il Pontefice, visibilmente felice, aveva alla sua sinistra il rappresentante druso e alla destra un rabbino.

Al termine dell'evento, Benedetto XVI si è spostato all'interno della Basilica per la celebrazione dei Vespri. Al suo ingresso, è stato accolto da fragorosi applausi da parte dei presenti.

Nazareth è la più grande città araba all’interno dello Stato di Israele, con circa 70.000 abitanti, 40.000 dei quali arabi. L'auditorium del Santuario dell'Annunciazione fa parte del complesso della Basilica e ospita dibattiti, convegni e congressi.

Nel corso della sua visita, il Papa ha visionato anche i resti della “Casa di Maria”, attualmente in restauro.





Il Papa nella Grotta di Nazareth, dove iniziò l'avventura cristiana
“Qui l'eterno Figlio di Dio divenne uomo”, spiega



NAZARETH, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il silenzio di Benedetto XVI davanti alla grotta in cui la giovane Maria di Nazareth seppe che sarebbe diventata la madre del Salvatore è diventato questo giovedì pomeriggio uno dei momenti forti del pellegrinaggio in Terra Santa, che si concluderà venerdì.

“Qui l'eterno Figlio di Dio divenne uomo”, ha detto il Pontefice, che sta scrivendo il secondo volume del suo libro “Gesù di Nazaret” e che ha dato a questo viaggio innanzitutto una dimensione di preghiera.

Per lui sono stati momenti importanti, perché come ha affermato in seguito “il riflettere su questo gioioso mistero ci dà speranza, la sicura speranza che Dio continuerà a condurre la nostra storia, ad agire con potere creativo per realizzare gli obiettivi che al calcolo umano sembrano impossibili”.

Padre José Carballo ofm, ministro generale dell'Ordine dei Frati Minori, i religiosi che custodiscono i Luoghi Santi, ha spiegato al Papa nel suo saluto di benvenuto che “gli scavi archeologici qui compiuti ci mostrano chiaramente come lungo i secoli quanti ci hanno preceduto si sono continuamente adoperati per abbellire uno dei luoghi più cari alla cristianità”.

Nonostante i numerosi adattamenti subiti lungo i secoli, si riconosce che la Grotta dell'Annunciazione, che si trova nella Basilica inferiore di Nazareth, è stata in origine parte di un complesso abitativo meglio osservabile all’esterno della Basilica.

Un’altra piccola grotta, con pitture e graffiti lasciati dagli antichi pellegrini sulle pareti, l’affianca a ovest. Pavimenti in mosaico, dove si vede più volte rappresentata la croce in diverse forme, ornavano gli edifici cultuali (chiesa-sinagoga, III-IV sec.) che hanno preceduto la Basilica bizantina.

I francescani entrarono in possesso della Grotta e delle rovine della chiesa crociata - distrutta nel XIII secolo per ordine del sultano Baybars ad-Dhahir - nel 1620, quando l’emiro druso della montagna libanese Fakr ed-Din le donò a padre Tommaso Obicini da Novara, Custode di Terra Santa, scrivendo una bella pagina delle relazioni amichevoli tra i non cristiani e la Custodia francescana dei Luoghi Santi.

Dopo questo momento chiave del suo pellegrinaggio spirituale, il Papa è salito alla Basilica Superiore del Santuario dell’Annunciazione di Nazareth, il tempio più grande dell'Oriente cristiano, consacrato il 25 marzo 1969, per presiedere la celebrazione dei Vespri con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i movimenti ecclesiali e gli operatori pastorali della Galilea

“Ciò che accadde qui a Nazareth, lontano dagli sguardi del mondo, è stato un atto singolare di Dio, un potente intervento nella storia attraverso il quale un bambino fu concepito per portare la salvezza al mondo intero”, ha detto il Papa nel discorso che ha pronunciato nell'atto di preghiera.

“Il prodigio dell'Incarnazione continua a sfidarci ad aprire la nostra intelligenza alle illimitate possibilità del potere trasformante di Dio, del suo amore per noi, del suo desiderio di essere in comunione con noi”.

“Lo Spirito che 'discese su Maria' è lo stesso Spirito che si librò sulle acque all'alba della Creazione”, ha affermato. “Questo ci sfida ad aprirci all’azione trasformatrice dello Spirito Creatore che ci fa nuovi, ci rende una cosa sola con Lui e ci riempie con la sua vita”.

Alla luce del mistero centrale del cristianesimo, il Papa ha tratto alcune conclusioni per la vita dell'esigua minoranza cristiana che vive nello Stato di Israele e nei Territori Palestinesi.

“Forse a volte vi sembra che la vostra voce conti poco. Molti dei vostri amici cristiani sono emigrati, nella speranza di trovare altrove maggiore sicurezza e migliori prospettive. La vostra situazione richiama alla mente quella della giovane vergine Maria, che condusse una vita nascosta a Nazareth, con ben poco per il suo quotidiano quanto a ricchezza e ad influenza mondana”, ha sottolineato.

Il Pontefice ha quindi citato un passaggio del Magnificat, in cui la Vergine dice che Dio ha guardato all'umiltà della sua serva, per dare “forza” ai cattolici.

“Abbiate il coraggio di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui nella terra che Egli ha santificato con la sua stessa presenza!”, li ha esortati.

“Come Maria, voi avete un ruolo da giocare nel piano divino della salvezza, portando Cristo nel mondo, rendendo a Lui testimonianza e diffondendo il suo messaggio di pace e di unità”.

Per questo, ha concluso, “è essenziale che siate uniti fra voi, così che la Chiesa nella Terra Santa possa essere chiaramente riconosciuta come un segno ed uno strumento di comunione con Dio e di unità di tutto il genere umano”.

Al termine dei Vespri, l'ambiente di raccoglimento si è trasformato in un'atmosfera festosa quando i presenti hanno cantato in italiano, tra versi arabi, “Benedetto, Benvenuto a Nazareth”.

Questo venerdì, ultimo giorno della visita del Papa in Terra Santa, verrà dedicato alla promozione del dialogo ecumenico, perché al mattino, nella sede del Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, il Pontefice incontrerà i rappresentanti delle altre Chiese e comunità cristiane. Dopo aver visitato il Santo Sepolcro, culmine del suo pellegrinaggio spirituale, e aver fatto visita al Patriarca armeno apostolico, si dirigerà all'aeroporto di Tel Aviv, da dove è previsto che parta per Roma alle 14.00 ora locale.





Il Papa: la società valorizzi la missione della famiglia e delle donne
Durante la Messa presso il Monte del Precipizio a Nazareth

di Mirko Testa


NAZARETH, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Da Nazareth, dove Maria ascoltò l'annuncio dell'Arcangelo Gabriele e dove Gesù mosse i suoi primi passi, Benedetto XVI ha levato la sua voce per ricordare il ruolo insostituibile della famiglia nella società e il dovere di riconoscere e rispettare la dignità e la missione delle donne.

Circondato dallo splendido scenario del Monte del Precipizio a Nazareth e alla presenza di oltre 40 mila fedeli, il Papa ha presieduto questo giovedì mattina la Messa per la conclusione dell’Anno della Famiglia indetto dalla Chiesa cattolica in Terra Santa.

La nuovissima struttura all'aperto che ha accolto il Santo Padre è stata realizzata nel luogo, dove secondo la tradizione cristiana ricalcata sul racconto dell'evangelista Luca, la folla tentò di far precipitare Gesù dalla rupe.

Tra gli alti prelati che hanno concelebrato insieme al Papa la messa di rito latino - con preghiere e canti in greco, arabo e inglese - era presente anche il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

All'inizio della celebrazione l'Arcivescovo Elias Chacour, l'Ordinario greco-melkita per la Galilea e Vicepresidente dell'Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, ha dato al Papa il benvenuto a Nazareth ripetendo in più lingue l'annuncio della risurrezione: “Cristo è risorto, è veramente risorto!”.

Da Nazareth, il “fiore della Galilea”, “questo saluto pasquale delle nostre antiche Chiese lo rivolgiamo oggi a lei, Santità! Il Cristo risorto dai morti è figlio di questa Nazaret che saluta oggi il Papa con gioia e amore filiale”, ha detto l'Arcivescovo.

L'Ordinario dei greco-melkiti ha quindi ricordato “le grandi difficoltà e i pericoli” che minacciano la presenza cristiana in Terra Santa, aggiungendo che “l'esodo dei cristiani sta provocando una profonda angoscia e ci fa guardare al futuro con sguardo cupo”.

“Abbiamo bisogno di vostre preghiere, abbiamo bisogno del vostro sostegno morale e spirituale – ha continuato –. I rifugiati di Ber'em e Berkhem che sono presenti qui con noi alla Santa Messa guardano a lei, Santo Padre, con la speranza di ottenere un sostegno reale affinché possano ritornare ai loro villaggi, alle loro case, come fanno gli altri figli di questa terra”.

Nel suo discorso il Papa ha parlato della necessità di riappropriarsi della “santità della famiglia” vera scuola di formazione umana per i giovani e cellula fondamentale per la “costruzione della civiltà dell’amore”.

Per questo, ha detto, gli Stati sono chiamati “a sostenere le famiglie nella loro missione educatrice, a proteggere l’istituto della famiglia e i suoi diritti nativi, come pure a far sì che tutte le famiglie possano vivere e fiorire in condizioni di dignità”.

“Nazareth – ha però precisato – ci ricorda il dovere di riconoscere e rispettare dignità e missione concesse da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti”.

“Sia come madri di famiglia, come una vitale presenza nella forza lavoro e nelle istituzioni della società, sia nella particolare chiamata a seguire il Signore mediante i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare quella 'ecologia umana' di cui il mondo, e anche questa terra, hanno così urgente bisogno”, ha continuato il Papa.

“Qui pensiamo pure a san Giuseppe – ha continuato –, l’uomo giusto che Dio pose a capo della sua casa. Dall’esempio forte e paterno di Giuseppe, Gesù imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro”.

Allo stesso modo però, ha proseguito il Pontefice guardando alla vita di Gesù, “i bambini hanno un ruolo speciale nel far crescere i loro genitori nella santità”.

In merito alle passate tensioni tra cristiani e musulmani a Nazareth, soprattutto quando nel settembre del 2001 vennero avviati i lavori di costruzione di una moschea nei pressi della Basilica dell'Annunciazione, il Papa ha detto: “Ognuno respinga il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio, che uccidono l’anima umana prima ancora che il corpo!”.

Nazaret, la più grande città araba dello Stato d'Israele e la capitale politico-amministrativa della Galilea, conta oggi 70mila abitanti, il 17% dei quali formato da cristiani.

Al termine del rito il Papa ha benedetto le prime pietre del Parco memoriale Giovanni Paolo II, della University of Pope Benedict XVI e del Centro internazionale della Famiglia, la prima istituzione accademica araba cristiana in Terra Santa, nata grazie anche al milione di euro raccolto dai fedeli delle diocesi bavaresi di Monaco, Ratisbona e Passau durante la visita del Pontefice nel settembre 2006.
+PetaloNero+
00venerdì 15 maggio 2009 01:54
Il Papa a Nazareth per mostrare che la famiglia è indispensabile
Commento di padre Caesar Atuire

di Mercedes de la Torre

NAZARETH, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha mostrato a Nazareth che ciò di cui ha realmente bisogno la società è riscoprire la famiglia, spiega l'amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, una istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Padre Caesar Atuire, che accompagna in questi giorni il Santo Padre nel suo viaggio in Terra Santa, ha detto che il penultimo giorno del pellegrinaggio papale è servito a far capire qual è l'aintidoto per far sì che la società non si tramuti in un “agglomerato di individui” condannati alla solitudine.

Con l'affollata Messa – circa 40 mila le persone presenti – svoltasi questo giovedì presso il Monte del Precipizio, nella città di Nazareth, il Papa ha voluto chiudere l’Anno della Famiglia celebrato dalla Chiesa nella Terra Santa e benedire la prima pietra di un Centro internazionale per la Famiglia.

"Abbiamo tutti bisogno - ha detto il Pontefice - di tornare a Nazareth, per contemplare sempre di nuovo il silenzio e l’amore della Sacra Famiglia, modello di ogni vita familiare cristiana".

"Qui, sull’esempio di Maria, di Giuseppe e di Gesù, possiamo giungere ad apprezzare ancor di più la santità della famiglia, che, nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna, consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di Dio di nuove vite", ha aggiunto.

"Quanto hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo di riappropriarsi di questa verità fondamentale, che è alla base della società, e quanto importante è la testimonianza di coppie sposate in ordine alla formazione di coscienze mature e alla costruzione della civiltà dell’amore!", ha poi esclamato.

Nel sottolineare l'importanza di questa tappa del pellegrinaggio papale, padre Atuire ha ricordato che “Dio è voluto entrare nella storia dell'umanità come un essere umano, come ciascuno di noi, incarnandosi nel corpo di una donna per poi crescere in un contesto familiare”.

“A due passi dalla Basilica dell'Annunciazione c'è anche la Chiesa di San Giuseppe che commemora il luogo in cui è vissuta la Sacra Famiglia”, spiega il sacerdote.

In questo modo, ha detto, riusciamo a comprendere che “la società umana non è un insieme, un agglomerato di individui ma una comunità di famiglie”.

“Il Papa ha voluto dare risalto al tema della famiglia come tema decisivo per l'attualità di oggi, soprattutto dato che viviamo in una società nella quale la famiglia è soggetta a molte minacce”, e nella quale alcuni “intendono equiparare alla famiglia altre realtà che non lo sono”.
+PetaloNero+
00venerdì 15 maggio 2009 16:57
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXVIII)


INCONTRO ECUMENICO AL PATRIARCATO GRECO-ORTODOSSO DI JERUSALEM



Questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Cappella della Delegazione Apostolica, il Santo Padre Benedetto XVI si trasferisce in auto al Patriarcato Greco-Ortodosso di Jerusalem per l’incontro ecumenico. Al Suo arrivo, alle ore 9.15, il Papa è accolto da Sua Beatitudine il Patriarca Teofilo III che lo accompagna alla Sala del Trono dove sono riunite le rappresentanze delle Comunità cristiane di Terra Santa.

Dopo il discorso del Patriarca, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

è con profonda gratitudine e gioia che compio questa visita al Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme; un momento che ho a lungo desiderato. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Teofilo III per le sue gentili parole di saluto fraterno, che ricambio con calore. Esprimo a voi tutti la mia cordiale gratitudine per avermi offerto questa opportunità di incontrare ancora una volta i molti leader di Chiese e comunità ecclesiali presenti.

Stamani il mio pensiero va agli storici incontri che ebbero luogo qui, in Gerusalemme, fra il mio predecessore, il Papa Paolo VI, e il Patriarca Ecumenico Atenagora I, come pure quello fra Papa Giovanni Paolo II e Sua Beatitudine il Patriarca Diodoros. Questi incontri, in essi comprendendo la mia visita odierna, sono di grande significato simbolico. Essi ricordano che la luce da Oriente (cfr Is 60,1; Ap 21,10) ha illuminato il mondo intero sin dal momento stesso in cui un "sole che sorge" venne a visitarci (Lc 1,78) e ci rammentano anche che da qui il Vangelo venne predicato a tutte le nazioni.

Stando in questo santo luogo, a fianco della Chiesa del Santo Sepolcro, che segna il posto dove il nostro crocifisso Signore risorse dai morti per l’intera umanità, e vicino al Cenacolo, dove nel giorno di Pentecoste "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo" (At 2,1), chi potrebbe non sentirsi sospinto a porre la pienezza della buona volontà, della sana dottrina e del desiderio spirituale nel nostro impegno ecumenico? Elevo la mia preghiera affinché il nostro odierno incontro possa imprimere nuovo slancio ai lavori della Commissione Internazionale Congiunta per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse, aggiungendosi ai recenti frutti di documenti di studio e di altre iniziative congiunte.

Di particolare gioia per le nostre Chiese è stata la partecipazione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, al recente Sinodo dei Vescovi a Roma dedicato al tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". La calorosa accoglienza da lui ricevuta e il suo toccante intervento sono state sincere espressioni della profonda gioia spirituale che scaturisce dall’ampiezza con cui la comunione è già presente tra le nostre Chiese. Una simile esperienza ecumenica testimonia chiaramente il legame fra l’unità della Chiesa e la sua missione. Nello stendere le braccia sulla croce, Gesù ha rivelato la pienezza del suo desiderio di attirare ogni persona a sé, raccogliendoli tutti insieme in unità (cfr Gv 12,32). Alitando il suo Spirito su di noi, ha rivelato il suo potere di renderci capaci di partecipare alla sua missione di riconciliazione (cfr Gv 19,30; 20,22-23). In quell’alito, mediante la redenzione che unisce, sta la nostra missione! Non meraviglia, perciò, che sia precisamente in presenza del nostro ardente desiderio di portare Cristo agli altri, di render noto il suo messaggio di riconciliazione (cfr 2 Cor 5,19), che noi sperimentiamo la vergogna della nostra divisione. Tuttavia, inviati nel mondo (cfr Gv 20,21), resi saldi dalla forza unificante dello Spirito Santo (cfr ibid., v.22), chiamati ad annunciare la riconciliazione che attira ogni uomo a credere che Gesù è il Figlio di Dio (cfr ibid., 31), noi dobbiamo trovare la forza di raddoppiare il nostro impegno per perfezionare la nostra comunione, per renderla completa, per recare comune testimonianza all’amore del Padre, che invia il Figlio affinché il mondo conosca il suo amore per noi (cfr Gv 17,23).

Circa due mila anni orsono, lungo queste stesse strade, un gruppo di greci chiese a Filippo: "Signore, vogliamo vedere Gesù" (Gv 12,21). È una richiesta che ci viene fatta di nuovo oggi, qui in Gerusalemme, nella Terra Santa, in questa regione e in tutto il mondo. Come dobbiamo rispondere? La nostra risposta viene udita? San Paolo ci allerta sulla gravità della nostra risposta, sulla nostra missione di insegnare e di predicare. Egli dice: "La fede viene dall’ascolto, e l’ascolto riguarda la parola di Cristo" (Rm 10,17). È perciò imperativo che i Capi cristiani e le loro comunità rechino una testimonianza vigorosa a quanto proclama la nostra fede: la Parola eterna, che entrò nello spazio e nel tempo in questa terra, Gesù di Nazareth, che camminò su queste strade, chiama mediante le sue parole e i suoi atti persone di ogni età alla sua vita di verità e d’amore.

Cari Amici, mentre vi incoraggio a proclamare con gioia il Signore risorto, desidero riconoscere l’opera svolta a questo scopo dai Capi delle comunità cristiane, che regolarmente si incontrano in questa città. Mi sembra che il servizio più grande che i Cristiani di Gerusalemme possano offrire ai propri concittadini sia di allevare ed educare una nuova generazione di Cristiani ben formati ed impegnati, solleciti nel desiderio di contribuire generosamente alla vita religiosa e civile di questa città unica e santa. La priorità fondamentale di ogni leader cristiano è di nutrire la fede degli individui e delle famiglie affidati alle sue premure pastorali. Questa comune preoccupazione pastorale farà sì che i vostri incontri regolari siano contrassegnati dalla sapienza e dalla carità fraterna necessarie per sostenervi l’un l’altro e per affrontare tanto le gioie quanto le difficoltà particolari che segnano la vita della vostra gente. Prego perché si comprenda che le aspirazioni dei Cristiani di Gerusalemme sono in sintonia con le aspirazioni di tutti i suoi abitanti, qualunque sia la loro religione: una vita contrassegnata da libertà religiosa e da coesistenza pacifica, e – in particolare per le giovani generazioni – il libero accesso all’educazione e all’impiego, la prospettiva di una conveniente ospitalità e residenza familiare e la possibilità di trarre vantaggio da una situazione di stabilità economica e di contribuirvi.

Beatitudine, La ringrazio ancora una volta per la gentilezza nell’avermi invitato qui, assieme agli altri ospiti. Su ciascuno di voi e sulle comunità da voi rappresentate invoco l’abbondanza delle benedizioni di Dio che donano forza e sapienza! Possa ciascuno di voi essere rinvigorito dalla speranza di Cristo che non delude!


Al termine dell’incontro ecumenico nel Patriarcato Greco-Ortodosso, alle ore 10.00, il Santo Padre si reca a piedi al Santo Sepolcro.






PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXIX)


VISITA ALLA BASILICA DEL SANTO SEPOLCRO DI JERUSALEM



Alle ore 10.15 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI si reca nella Basilica del Santo Sepolcro di Jerusalem, luogo - secondo la tradizione - della crocifissione, della sepoltura e della risurrezione di Cristo.

Al Suo arrivo il Papa è accolto, come da protocollo, dai sei rappresentanti delle tre entità: la Chiesa greco-ortodossa, la Custodia di Terra Santa e la Chiesa armena apostolica, responsabili dello "statu quo".

Il Santo Padre sosta in preghiera presso la Pietra dell’Unzione e , dopo il saluto del Custode di Terra Santa, P. Pierbattista Pizzaballa, O.F.M., visita la Tomba vuota della Risurrezione.

Infine, dopo un breve discorso del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Amici in Cristo,

l’inno di lode che abbiamo appena cantato ci unisce alle schiere angeliche ed alla Chiesa di ogni tempo e luogo – "il glorioso coro degli Apostoli, la nobile compagnia dei Profeti e la candida schiera dei Martiri" – mentre diamo gloria a Dio per l’opera della nostra redenzione, compiuta nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Davanti a questo Santo Sepolcro, dove il Signore "ha vinto l’aculeo della morte e aperto il regno dei cieli ad ogni credente", vi saluto tutti nella gioia del tempo pasquale. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal e il Custode, padre Pierbattista Pizzaballa, per le loro gentili parole di benvenuto. Desidero esprimere alla stessa maniera il mio apprezzamento per l’accoglienza riservatami dai Gerarchi della Chiesa ortodossa greca e della Chiesa armeno-apostolica. Con animo grato prendo atto della presenza di rappresentanti delle altre comunità cristiane della Terra Santa. Saluto il Cardinale John Patrick Foley, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Saluto pure i Cavalieri e le Dame dell’Ordine qui presenti, con gratitudine per la loro inesauribile dedizione a sostegno della missione della Chiesa in queste terre rese sante dalla presenza terrena del Signore.

Il Vangelo di san Giovanni ci ha trasmesso un suggestivo racconto della visita di Pietro e del Discepolo amato alla tomba vuota nel mattino di Pasqua. Oggi, a distanza di circa venti secoli, il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, si trova davanti a quella stessa tomba vuota e contempla il mistero della risurrezione. Sulle orme dell’Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo, la salda fede della Chiesa che Gesù Cristo "fu crocifisso, morì e fu sepolto", e che "il terzo giorno risuscitò dai morti". Innalzato alla destra del Padre, egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati. All’infuori di Lui, che Dio ha costituito Signore e Cristo, "non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (At 4,12).

Trovandoci in questo santo luogo e considerando quel meraviglioso evento, come potremmo non sentirci "trafiggere il cuore" (cfr At 2,37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste? Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera. Qui Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele.

La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita (cfr Rm 5,5). Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa. Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre! Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità ed ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace. La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama. Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose, che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati, e che un futuro di giustizia, di pace, di prosperità e di collaborazione può sorgere per ogni uomo e donna, per l’intera famiglia umana, ed in maniera speciale per il popolo che vive in questa terra, così cara al cuore del Salvatore.

Quest’antica chiesa dell’Anastasis reca una sua muta testimonianza sia al peso del nostro passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo. Questo luogo santo, dove la potenza di Dio si rivelò nella debolezza, e le sofferenze umane furono trasfigurate dalla gloria divina, ci invita a guardare ancora una volta con gli occhi della fede al volto del Signore crocifisso e risorto. Nel contemplare la sua carne glorificata, completamente trasfigurata dallo Spirito, giungiamo a comprendere più pienamente che anche adesso, mediante il Battesimo, portiamo "sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale" (2 Cor 4,10-11). Anche ora la grazia della risurrezione è all’opera in noi! Possa la contemplazione di questo mistero spronare i nostri sforzi, sia come individui che come membri della comunità ecclesiale, a crescere nella vita dello Spirito mediante la conversione, la penitenza e la preghiera. Possa inoltre aiutarci a superare, con la potenza di quello stesso Spirito, ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo ed al potere del suo amore che riconcilia.

Con tali parole di incoraggiamento, cari amici, concludo il mio pellegrinaggio ai luoghi santi della nostra redenzione e rinascita in Cristo. Prego che la Chiesa in Terra Santa tragga sempre maggiore forza dalla contemplazione della tomba vuota del Redentore. In quella tomba essa è chiamata a seppellire tutte le sue ansie e paure, per risorgere nuovamente ogni giorno e continuare il suo viaggio per le vie di Gerusalemme, della Galilea ed oltre, proclamando il trionfo del perdono di Cristo e la promessa di una vita nuova. Come cristiani, sappiamo che la pace alla quale anela questa terra lacerata da conflitti ha un nome: Gesù Cristo. "Egli è la nostra pace", che ci ha riconciliati con Dio in un solo corpo mediante la Croce, ponendo fine all’inimicizia (cfr Ef 2,14). Nelle sue mani, pertanto, affidiamo tutta la nostra speranza per il futuro, proprio come nell’ora delle tenebre egli affidò il suo spirito nelle mani del Padre.

Permettetemi di concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai miei fratelli Vescovi e sacerdoti, come pure ai religiosi e alle religiose che servono l’amata Chiesa in Terra Santa. Qui, davanti alla tomba vuota, al cuore stesso della Chiesa, vi invito a rinnovare l’entusiasmo della vostra consacrazione a Cristo ed il vostro impegno nell’amorevole servizio al suo mistico Corpo. Immenso è il vostro privilegio di dare testimonianza a Cristo in questa terra che Egli ha santificato mediante la sua presenza terrena e il suo ministero. Con pastorale carità rendete capaci i vostri fratelli e sorelle e tutti gli abitanti di questa terra di percepire la presenza che guarisce e l’amore che riconcilia del Risorto. Gesù chiede a ciascuno di noi di essere testimone di unità e di pace per tutti coloro che vivono in questa Città della Pace. Come nuovo Adamo, Cristo è la sorgente dell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata, quella stessa unità della quale la Chiesa è segno e sacramento. Come Agnello di Dio, egli è la fonte della riconciliazione, che è al contempo dono di Dio e sacro dovere affidato a noi. Quale Principe della Pace, Egli è la sorgente di quella pace che supera ogni comprensione, la pace della nuova Gerusalemme. Possa Egli sostenervi nelle vostre prove, confortarvi nelle vostre afflizioni, e confermarvi nei vostri sforzi di annunciare e di estendere il suo Regno. A voi tutti e a quanti vanno le vostre premure pastorali imparto cordialmente la mia Benedizione Apostolica, quale pegno della gioia e della pace di Pasqua.


Al termine della visita, il Papa si reca nella Cappella delle Apparizioni per una breve adorazione del Santissimo e poi sale al Golgota per raccogliersi in preghiera sul luogo del Calvario. Si trasferisce quindi in auto al Patriarcato Armeno Apostolico di Jerusalem.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXX)


VISITA ALLA CHIESA PATRIARCALE ARMENA APOSTOLICA DI JERUSALEM



Alle ore 11.10, il Santo Padre Benedetto XVI giunge alla Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Jerusalem, che ha sede nel Monastero di San Giacomo, ed è accolto dal Patriarca Sua Beatitudine Torkom II Manoukian.

Quindi, nella Chiesa dove si trovano riunite alcune centinaia di fedeli, dopo il discorso del Patriarca Armeno Apostolico, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Beatitudine,

La saluto con fraterno affetto nel Signore, ed esprimo i migliori oranti auguri per la Sua salute ed il Suo ministero. Sono riconoscente per l’opportunità di visitare questa Chiesa Cattedrale di San Giacomo nel cuore dell’antico quartiere Armeno di Gerusalemme, e di incontrare il distinto clero del Patriarcato, insieme con i membri della comunità Armena della Città Santa.

Il nostro odierno incontro, caratterizzato da una atmosfera di cordialità ed amicizia, è un ulteriore passo nel cammino verso l’unità che il Signore desidera per tutti i suoi discepoli. Negli ultimi decenni, abbiamo sperimentato, per grazia di Dio, una significativa crescita nelle relazioni tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena. Considero una grande benedizione l’essermi incontrato l’anno scorso con il Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni Karekin II e con il Catholicos di Cilicia Aram I. La loro visita alla Santa Sede, ed i momenti di preghiera che abbiamo condiviso, ci hanno rafforzati nell’amicizia ed hanno confermato il nostro impegno per la sacra causa della promozione dell’unità dei Cristiani.

In spirito di gratitudine al Signore, desidero anche esprimere il mio apprezzamento per il deciso impegno della Chiesa Apostolica Armena a proseguire nel dialogo teologico fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali. Questo dialogo, sostenuto dalla preghiera, ha fatto progressi nel superare il fardello di malintesi passati ed offre molte promesse per il futuro. Un particolare segno di speranza è il recente documento sulla natura e la missione della Chiesa preparato dalla Commissione Mista e presentato alle Chiese per essere studiato e valutato. Affidiamo insieme il lavoro della Commissione Mista ancora una volta allo Spirito di sapienza e verità, perché possa portare frutti abbondanti per la crescita dell’unità dei Cristiani e far progredire l’espansione del Vangelo fra gli uomini e le donne del nostro tempo.

Fin dai primi secoli cristiani, la comunità Armena di Gerusalemme ha avuto una illustre storia, segnata come non ultima cosa da uno straordinario rifiorire di vita e cultura monastica collegate con i luoghi santi e con le tradizioni liturgiche che si sono sviluppate attorno ad essi. Questa venerabile Chiesa cattedrale, assieme al Patriarcato e alle varie istituzioni educative e culturali con esso connesse, rendono testimonianza di questa lunga e distinta storia. Prego affinché la vostra comunità possa costantemente trarre nuova vita da queste ricche tradizioni ed essere confermata nella fedele testimonianza a Gesù Cristo e alla potenza della sua risurrezione (cfr Fil 3,10) in questa Città Santa. Ugualmente assicuro le famiglie presenti, e in particolare i bambini e i giovani, di un speciale ricordo nelle mie preghiere. Cari amici, a mia volta chiedo a voi di pregare con me affinché tutti i Cristiani della Terra Santa lavorino assieme con generosità e zelo annunciando il Vangelo della nostra riconciliazione in Cristo, e l’avvento del suo Regno di santità, di giustizia e di pace.

Beatitudine, La ringrazio una volta ancora per il cortese benvenuto e cordialmente invoco le più ricche benedizioni di Dio su di Lei e su tutto il clero e i fedeli della Chiesa Apostolica Armena nella Terra Santa. Che la gioia e la pace del Cristo Risorto siano sempre con voi.


Al termine della visita alla Chiesa Patriarcale Armena Apostolica, il Papa rientra in auto alla Delegazione Apostolica di Jerusalem.



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+PetaloNero+
00venerdì 15 maggio 2009 17:54
Discorso del Papa al termine del suo viaggio in Terra Santa


TEL AVIV, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo venerdì da Benedetto XVI nel corso della cerimonia di congedo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

* * *

Signor Presidente,

Signor Primo Ministro,

Eccellenze, Signore e Signori,

Mentre mi dispongo a ritornare a Roma, vorrei condividere con voi alcune delle forti impressioni che il mio pellegrinaggio in Terra Santa ha lasciato dentro di me. Ho avuto fruttuosi colloqui con le Autorità civili, sia in Israele, sia nei Territori Palestinesi, e ho constatato i grandi sforzi che entrambi i Governi stanno compiendo per assicurare il benessere delle persone. Ho incontrato i Capi della Chiesa cattolica in Terra Santa e mi rallegro di vedere il modo in cui lavorano insieme nel prendersi cura del gregge del Signore. Ho anche avuto la possibilità di incontrare i responsabili delle varie Chiese cristiane e comunità ecclesiali, nonché i capi di altre religioni in Terra Santa. Questa terra è davvero un terreno fertile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e prego affinché la ricca varietà della testimonianza religiosa nella regione possa portare frutto in una crescente comprensione reciproca e mutuo rispetto.

Signor Presidente, Lei ed io abbiamo piantato un albero di olivo nella Sua residenza, nel giorno del mio arrivo in Israele. L’albero di olivo, come Ella sa, è un’immagine usata da San Paolo per descrivere le relazioni molto strette tra Cristiani ed Ebrei. Nella sua Lettera ai Romani, Paolo descrive come la Chiesa dei Gentili sia come un germoglio di olivo selvatico, innestato nell’albero di olivo buono che è il Popolo dell’Alleanza (cfr 11, 17-24). Traiamo il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della storia comune hanno avuto un rapporto teso, ma sono adesso fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia.

La cerimonia al Palazzo Presidenziale è stata seguita da uno dei momenti più solenni della mia permanenza in Israele – la mia visita al Memoriale dell’Olocausto a Yad Vashem, dove ho reso omaggio alle vittime della Shoah. Lì ho anche incontrato alcuni dei sopravvissuti. Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti Ebrei – madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici – furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio. Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato. Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso olivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno.

Signor Presidente, La ringrazio per il calore della Sua ospitalità, molto apprezzata, e desidero che consti il fatto che sono venuto a visitare questo Paese da amico degli Israeliani, così come sono amico del Popolo Palestinese. Gli amici amano trascorrere del tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’altro soffrire. Nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli. Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni. Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento. Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la "two-State solution" (la soluzione di due Stati) divenga realtà e non rimanga un sogno. E che la pace possa diffondersi da queste terre; possano essere "luce per le Nazioni" (Is 42,6), recando speranza alle molte altre regioni che sono colpite da conflitti.

Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione. Signor Presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quell’obiettivo. So quanto sia difficile il Suo compito e quello dell’Autorità Palestinese. Ma Le assicuro che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo La accompagnano mentre Ella prosegue nello sforzo di costruire una pace giusta e duratura in questa regione.

Mi resta solo da esprimere il mio sentito ringraziamento a quanti hanno contribuito in modi diversi alla mia visita. Sono profondamente grato al Governo, agli organizzatori, ai volontari, ai media, a quanti hanno dato ospitalità a me e a coloro che mi hanno accompagnato. Siate certi di essere ricordati con affetto nelle mie preghiere. A tutti dico: grazie e che il Signore sia con voi. Shalom!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]







Il viaggio di Benedetto XVI è stato un successo?
di padre Thomas D. Williams, LC*


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Seguendo la cronologia dell'infanzia di Gesù, questo giovedì l'attenzione si è spostata dalla città natale di Betlemme a Nazareth. Alle prime luci dell'alba, Benedetto XVI ha lasciato Gerusalemme in elicottero e si è recato nella terra in cui Gesù ha trascorso la maggior parte della sua vita terrena, dall'infanzia fino all'età di circa 30 anni.

Nell'omelia della Messa che ha celebrato al mattino, il Papa ha ricordato a quanti lo ascoltavano che Nazareth è anche il luogo dell'Annunciazione – dove l'angelo Gabriele proclamò a Maria che sarebbe stata la madre del Messia, e dove il Verbo si è fatto carne.

Nazareth è il luogo in cui Gesù ha imparato il mestiere di falegname da Giuseppe. Accanto a questo, ha spiegato il Santo Padre, “imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro”.

Nazareth era anche la città natale di Maria, e il Papa ha colto l'occasione per approfondire, per la seconda volta durante questo viaggio, l'importanza delle donne nella Chiesa e nella società. Nazareth, ha sottolineato, “ci ricorda il dovere di riconoscere e rispettare dignità e missione concesse da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti”.

Come madri di famiglia, come lavoratrici o nella vita consacrata, “le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare quella 'ecologia umana' di cui il mondo, e anche questa terra, hanno così urgente bisogno”, ha aggiunto.

Tutte queste riflessioni – e innumerevoli altre che il Papa ha offerto in questi giorni – portano a una necessaria conclusione. Anche se non lo si può capire da tanti resoconti, il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa non è stato in primo luogo politico; è stato spirituale. Fin dall'inizio il Papa ha insistito nel definirlo “pellegrinaggio” piuttosto che “viaggio” o “visita”. E nonostante il suo aspetto fortemente pubblico, un pellegrinaggio ha sempre una dimensione intensamente personale. Il Papa è, in primo luogo e sopra ogni cosa, un credente cristiano, un discepolo del Signore Gesù.

Pensate un momento a ciò che deve significare per Benedetto XVI visitare la Galilea per la prima e probabilmente unica volta come Papa. La Galilea, dove San Pietro ha incontrato Gesù per la prima volta, dove è stato chiamato e ha lasciato tutto per seguirlo, non sapendo che sarebbe stato il primo Papa della Chiesa di Cristo e uno dei suoi primi martiri.

Pensate a cosa ha significato per lui in questi giorni trovarsi a Gerusalemme e visitare i Luoghi Santi. Gerusalemme, dove Gesù è stato rinnegato da Pietro, tradito da Giuda, dove ha istituito la Santa Eucaristia e ha dato la vita per noi sulla croce. Gerusalemme, dove Gesù è risorto dai morti ed è asceso al cielo.

Il Santo Padre è un uomo profondamente spirituale, e desiderava compiere questo pellegrinaggio. E' il viaggio che ha desiderato più di ogni altro. Sotto le onde increspate di tante attività e opposizioni, c'è un luogo calmo come le profondità del mare in cui il Papa si ritira imperturbato, un luogo dove si trova da solo con Dio. Come Maria, serba tutte queste cose e le pondera nel suo cuore (cfr. Lc 2:19).

In questo contesto, percepiamo il pieno senso della splendida espressione di Sant'Agostino ai fedeli di Ippona: “Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano”. In Terra Santa Benedetto XVI è stato entrambe le cose. Per noi – in realtà per tutte le Nazioni e per tutti i popoli – è il Vescovo di Roma e Vicario di Gesù Cristo. E' un leader, un profeta di pace, un predicatore del Vangelo e un maestro delle Nazioni. Per noi, si prende cura del gregge di Cristo e conferma i suoi fratelli nella fede. Con noi Benedetto XVI è un semplice cristiano, un pellegrino che visita i Luoghi Santi e trae forza dalla grazia che è presente qui. Con lui ci meravigliamo davanti al mistero della Provvidenza di Dio e alla maestà delle sue opere.

In questi giorni mi è stato chiesto spesso se il viaggio del Papa sia stato un “successo”. Lo è stato senz'altro, ma non per le ragioni che molti si aspetterebbero. Sono sicuro che il Pontefice stesso risponderebbe che un cambiamento reale e duraturo – di quelli che contano – non è il risultato di programmi politici, argomenti ingegnosi o della capacità di guadagnarsi l'approvazione delle masse. E' l'opera della grazia di Dio nel cuore umano.

Benedetto XVI è arrivato come strumento di quella grazia e, come diceva San Francesco, come mezzo della pace di Dio. E' questo che è chiamato a fare, e come servo buono e fedele è proprio quello che ha fatto.



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*Padre Thomas D. Williams, Legionario di Cristo, è un teologo statunitense che vive a Roma. Attualmente sta seguedo per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione ha deciso di scivere una cronaca del viaggio anche per ZENIT.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]









Il Papa: cristiani uniti, per portare il messaggio di riconciliazione
Incontro ecumenico al Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme



GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- L'unità dei cristiani è un imperativo ancora più avvertito in Terra Santa, dove è necessario portare un messaggio forte di riconciliazione.

E' quanto ha detto in sintesi, questo venerdì, Benedetto XVI durante l’incontro ecumenico tenutosi al Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, di fronte alle rappresentanze delle Comunità cristiane di Terra Santa.

Ringraziando per l'invito il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, Benedetto XVI ha auspicato un nuovo slancio nel dialogo teologico bilaterale tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse nel suo insieme.

A questo proposito ha ricordato la partecipazione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, al recente Sinodo dei Vescovi a Roma dedicato al tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa".

“Una simile esperienza ecumenica testimonia chiaramente il legame fra l’unità della Chiesa e la sua missione”, ha sottolineato il Papa.

“Non meraviglia, perciò, che sia precisamente in presenza del nostro ardente desiderio di portare Cristo agli altri, di render noto il suo messaggio di riconciliazione, che noi sperimentiamo la vergogna della nostra divisione”, ha poi affermato.

“Chiamati ad annunciare la riconciliazione”, ha detto, “noi dobbiamo trovare la forza di raddoppiare il nostro impegno per perfezionare la nostra comunione, per renderla completa, per recare comune testimonianza all’amore del Padre”.

E' “imperativo che i Capi cristiani e le loro comunità rechino una testimonianza vigorosa a quanto proclama la nostra fede: la Parola eterna, che entrò nello spazio e nel tempo in questa terra, Gesù di Nazareth, che camminò su queste strade, chiama mediante le sue parole e i suoi atti persone di ogni età alla sua vita di verità e d’amore”.

“Mi sembra – ha poi concluso – che il servizio più grande che i Cristiani di Gerusalemme possano offrire ai propri concittadini sia di allevare ed educare una nuova generazione di Cristiani ben formati ed impegnati, solleciti nel desiderio di contribuire generosamente alla vita religiosa e civile di questa città unica e santa”.

Il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme è una Chiesa ortodossa di tradizione bizantina che conta all'incirca 65 membri in tutta la Terra Santa e la cui successione apostolica si fa risalire fino a quel Giacomo “fratello” di Gesù, nominato da Paolo come una delle “colonne” della Chiesa, insieme a Pietro e Giovanni, e che fu Vescovo di Gerusalemme, dalla partenza di Pietro per Roma fino al martirio avvenuto durante la Pasqua del 62.

Il Patriarcato è stato istituito dal Concilio di Calcedonia nel 451, ed ha rotto i legami con Roma in occasione del Grande Scisma del 1054. Dal 1534, i Patriarchi di Gerusalemme sono tutti di origine greca, un fatto che ha provacato non poche tensioni con il clero di lingua araba.

Il Patriarcato è assistito da un Santo Sinodo di 18 membri, nominati dal Patriarcato stesso, ed eletto tra i membri di una confraternita monastica, la Fratellanza del Santo Sepolcro, istituita nel XVI sec.

Nella Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme, la nomina o la destituzione di un Patriarca devono essere confermate dallo Stato d'Israele, dal regno di Giordania e dell’Autorità Palestinese.

Il Patriarca Teofilo III, di nazionalità greca, è stato eletto all'unanimità nuovo Patriarca durante il Sinodo dell'agosto 2005, in sostituzione di Ireneos I che il Sinodo pan-ortodosso di Costantinopoli aveva deposto dall'incarico il 24 maggio dello stesso anno, perché accusato di aver venduto segretamente immobili e terreni appartenenti al Patriarcato.






Il Papa fa sì che la pace risuoni in Terra Santa
Bilancio di padre Federico Lombardi


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, sostiene che Benedetto XVI abbia compiuto la missione che si era proposto di svolgere in Terra Santa: far sì che la pace risuoni nei vari angoli religiosi, sociali e politici.

"In quest'ultimo viaggio il Papa ha parlato molto di pace, come aveva promesso: trenta discorsi, un solo messaggio, che ridice, senza stancarsi, quest'unico tema, con innumerevoli variazioni: pace fra israeliani e palestinesi; pace fra ebrei, musulmani e cristiani; pace nella Chiesa, fra le confessioni e i riti; pace nella società e nella famiglia; pace fra Dio, l'uomo e le creature; pace nei cuori, nel Medio Oriente e nel mondo...pace, pace, pace", ha spiegato il sacerdote.

"Ha parlato molto, ma ha anche ascoltato, almeno altrettanto e forse più ancora", ha aggiunto facendo un bilancio per "Octava Dies", il settimana del Centro Televisivo Vaticano, di questa visita che dall'8 al 15 maggio ha portato il Santo Padre in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi.

"Benedetto è un Papa dell'ascolto - constata il portavoce vaticano -. Quante persone gli hanno parlato, quante cose gli hanno detto, con quanta passione, con quanta diversità di atteggiamento e di prospettive! Quanto è difficile fare la pace, soprattutto nel punto cruciale di ogni tensione: Gerusalemme!".

Secondo padre Lombardi, "il Papa ha fatto dunque un pellegrinaggio nei luoghi, ma ancor più nei cuori. E non è passato solo nei luoghi più santi del cristianesimo, ma anche in quelli dell'ebraismo e dell'Islam: Yad Vashem, il Muro del pianto, la Cupola della roccia. Ha fatto suoi i sentimenti di tutti i pellegrini delle tre religioni per i quali chiede l'accesso ai luoghi santi. Un Papa cristiano, ma un Papa per tutti, al disopra delle divisioni. Un esempio da seguire".

Il portavoce vaticano ricorda che "quando Giovanni Paolo II era stato in Terra Santa, il nuovo Muro non esisteva. Anche qui dunque è venuto coraggiosamente il nuovo Papa pellegrino, per chiedere a Dio e agli uomini che i muri di divisione si abbattano, a cominciare da quelli che chiudono e dividono i cuori. 'Mai più spargimento di sangue! Mai più terrorismo! Mai più guerra!'".

"Con questo grido termina il pellegrinaggio della speranza, in un momento cruciale per l'avvenire della pace nella Terra Santa. Il Papa ha fatto tutto quello che poteva e continuerà a farlo. Dio accompagni ora tutti gli sforzi degli operatori di pace, religiosi, civili e politici", ha concluso.






Benedetto XVI si congeda dalla Terra Santa
Auspica che “la soluzione di due Stati divenga realtà”

di Roberta Sciamplicotti


TEL AVIV, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Dopo una mattinata densa di incontri importanti soprattutto per il dialogo ecumenico, Benedetto XVI si è congedato questo venerdì dalla Terra Santa al termine di una settimana ricca di eventi memorabili.

Dopo aver salutato la Delegazione Apostolica di Gerusalemme, si è recato in auto all’eliporto di Mount Scopus, da dove è partito in elicottero alla volta di Tel Aviv.

Al suo arrivo all'aeroporto Ben Gurion, è stato accolto dal Presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, e dal Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, che lo hanno salutato calorosamente. La banda e il picchetto militare d'onore hanno fatto da sfondo alla cerimonia di congedo.

Prima dei discorsi ufficiali, varie personalità hanno salutato il Papa: i Ministri del Governo israeliano, leader militari ed esponenti delle varie religioni, i responsabili della copertura stampa e il direttore dell'El Al, la compagnia aerea israeliana che ospiterà il Pontefice nel suo rientro a Roma. Era presente anche il Custode di Terra Santa, il sacerdote francescano Pierbattista Pizzaballa.

Nel suo discorso di congedo, il Pontefice ha ricordato i tanti incontri che hanno costellato il suo pellegrinaggio, da quelli con le autorità civili israeliane e palestinesi a quelli con i capi della Chiesa cattolica e delle varie Chiese cristiane.

“Questa terra è davvero un terreno fertile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e prego affinché la ricca varietà della testimonianza religiosa nella regione possa portare frutto in una crescente comprensione reciproca e mutuo rispetto”, ha affermato.

Il Papa ha quindi parlato dei rapporti ebraico-cristiani, sottolineando che i membri delle due religioni traggono nutrimento “dalle medesime radici spirituali” e che nonostante le tensioni del passato sono ora “fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia”.

“Uno dei momenti più solenni” della settimana in Terra Santa, ha proseguito Benedetto XVI, è stata la visita al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem, che gli ha riportato alla mente la visita ad Auschwitz, il 28 maggio 2006, dove milioni di ebrei “furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio”.

“Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato”, ha dichiarato.

Ricordando di essersi recato in Israele “da amico degli Israeliani, così come sono amico del popolo palestinese”, il Papa ha affermato che “nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli”.

Per questo, ha lanciato un forte appello alla pace: “Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra!”.

“Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti – ha continuato –. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la 'two-State solution' (la soluzione di due Stati) divenga realtà e non rimanga un sogno”.

Definendo il muro di separazione “una delle visioni più tristi” del suo viaggio, il Papa ha auspicato che in futuro le popolazioni della Terra Santa “possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione”.

Nel suo discorso al Pontefice, il Presidente israeliano Peres lo ha ringraziato per la visita che ha compiuto in Israele, definendola un “esempio dell'esercizio dei valori spirituali” e dicendosi certo che contribuirà al buon andamento dei rapporti tra Israele e la Santa Sede.

Il Capo di Stato ha confessato di aver apprezzato particolarmente le parole pronunciate da Benedetto XVI visitando lo Yad Vashem, quando ha esortato a non dimenticare mai la Shoah, e ha sostenuto che le dichiarazioni papali hanno toccato “il cuore e la mente” degli israeliani.

Esprimendo la propria condanna per il fanatismo religioso, Peres ha aggiunto di sperare che la leadership spirituale del Papa aiuterà a capire che Dio non è il Dio del terrorismo, ma della pace e della tolleranza, e che getterà “ponti di comprensione e dialogo” perché si possa vivere in un futuro “una vita senza paure, una vita senza lacrime”.

Sotto il soffio di una brezza che faceva volare la berretta dei Cardinali e Vescovi del seguito papale, la banda ha poi eseguito l'inno vaticano, seguito da quello israeliano.

Dopo aver salutato il Presidente Peres e il premier Netanyahu, stringendo a lungo le mani di entrambi e baciando sulle guance il Capo di Stato, Benedetto XVI è quindi salito a bordo di un B777 della El Al, che ha decollato poco dopo alla volta di Roma.





Il Papa incontra il Patriarca armeno-ortodosso Torkom II
Nella Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Gerusalemme

di Roberta Sciamplicotti


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- L'incontro tra Benedetto XVI e il Patriarca della Chiesa Armena Apostolica, Sua Beatitudine Torkom II Manoukian, avvenuto questo venerdì mattina a Gerusalemme, è stato un “ulteriore passo” fondamentale nel dialogo ecumenico.

La visita del Papa al Patriarca si è svolta nella sede della Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Gerusalemme, nel Monastero di San Giacomo, dove si erano riunite alcune centinaia di fedeli.

“Il nostro odierno incontro, caratterizzato da una atmosfera di cordialità ed amicizia, è un ulteriore passo nel cammino verso l’unità che il Signore desidera per tutti i suoi discepoli”, ha affermato il Papa nel suo discorso a Torkom II Manoukian.

Negli ultimi decenni si è verificata, “per grazia di Dio, una significativa crescita nelle relazioni tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena”, ha sottolineato il Pontefice, ricordando come “una grande benedizione” il suo incontro dello scorso anno con il Catholicos e Supremo Patriarca di tutti gli Armeni Karekin II e con il Catholicos di Cilicia Aram I, la cui visita alla Santa Sede, insieme ai momenti di preghiera condivisi, “ci hanno rafforzati nell’amicizia ed hanno confermato il nostro impegno per la sacra causa della promozione dell’unità dei cristiani”.

Il Pontefice ha voluto esprimere il suo apprezzamento “per il deciso impegno della Chiesa Apostolica Armena a proseguire nel dialogo teologico fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali”, dialogo che, “sostenuto dalla preghiera, ha fatto progressi nel superare il fardello di malintesi passati ed offre molte promesse per il futuro”.

Un “particolare segno di speranza”, ha osservato Benedetto XVI, è il recente documento sulla natura e la missione della Chiesa preparato dalla Commissione Mista e presentato alle Chiese per essere studiato e valutato.

“Affidiamo insieme il lavoro della Commissione Mista ancora una volta allo Spirito di sapienza e verità, perché possa portare frutti abbondanti per la crescita dell’unità dei Cristiani e far progredire l’espansione del Vangelo fra gli uomini e le donne del nostro tempo”, ha auspicato.

Allo stesso modo, ha chiesto ai presenti di unirsi alla sua preghiera perché tutti i cristiani della Terra Santa “lavorino assieme con generosità e zelo annunciando il Vangelo della nostra riconciliazione in Cristo, e l’avvento del suo Regno di santità, di giustizia e di pace”.

E' probabile che i primi armeni siano giunti a Gerusalemme al seguito dei romani nel I secolo a.C., ma lo stanziamento vero e proprio della comunità armena avvenne nel corso del V secolo, quando gruppi di pellegrini vi si insediarono stabilmente.

Il Quartiere Armeno occupa circa un sesto della Città Vecchia di Gerusalemme, l'estremità sud-ovest. Dopo aver raggiunto in passato un picco di circa 25.000 membri, la comunità è attualmente composta da 3.000 fedeli. Altri 2.000 vivono in altre zone della Terra Santa, soprattutto a Betlemme, Jaffa, Haifa, Ramleh e Ramallah. Il Quartiere Armeno di Gerusalemme viene chiuso la sera per riaprire alle prime luce dell'alba.

Il Patriarca Torkom II Manoukian è stato eletto nel 1990 ed è il 96° successore del Patriarca Armeno di Gerusalemme.

Anche Giovanni Paolo II incontrò il Patriarca durante il suo viaggio in Terra Santa, il 26 marzo 2000.

“Possa la nostra amicizia essere come una preghiera che sale a Dio come incenso, come il profumo del sacrificio della sera offerto sulla Croce dal suo Figlio prediletto!”, auspicò in quell'occasione, confessando di sentirsi nel Patriarcato “un fratello tra fratelli che insieme cercano di costruire la Chiesa di Cristo”.

Il Patriarcato Armeno di Gerusalemme è uno dei tre custodi dei Luoghi Santi cristiani in Terra Santa, insieme al Patriarcato Latino e a quello Greco-Ortodosso. E' sottoposto all'autorità del Catholicos dell'Armenia e di tutti gli armeni, attualmente Karekin II.

La Chiesa Apostolica Armena è infatti caratterizzata da due Catholicosati: quello di Etchmiadzin (in Armenia), residenza di Karekin II, e quello di Cilicia, con sede in Libano. I Catholicosati sono indipendenti a livello amministrativo ma in completa comunione.

Ci sono poi due Patriarcati, di Gerusalemme e di Costantinopoli, che dipendono dal punto di vista spirituale da Etchmiadzin. Il Patriarca di Costantinopoli è Mesrope II Mutafyan.
+PetaloNero+
00sabato 16 maggio 2009 01:46
Parole del Papa ai giornalisti sul volo di ritorno a Roma
“Una decisa volontà al dialogo interreligioso”



ROMA, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole rivolte questo venerdì da Benedetto XVI ai giornalisti presenti sul volo papale di ritorno a Roma, a conclusione del pellegrinaggio in Terra Santa.

* * *

Cari amici,
grazie per il vostro lavoro. Immagino come era difficile, circondato da tanti problemi, tanti trasferimenti, ecc., e vorrei ringraziare che avete accettato tutte queste difficoltà per informare il mondo su questo pellegrinaggio, invitare così anche altri al pellegrinaggio in questi luoghi santi.

Ho già fatto un breve riassunto di questo viaggio nel discorso all’aeroporto, non vorrei aggiungere molto. Potrei portare tanti, molti dettagli: la commovente discesa nel punto più profondo della terra, al Giordano, che per noi è anche un simbolo della discesa di Dio, della discesa di Cristo nei punti più profondi dell’esistenza umana.

Il Cenacolo, dove il Signore ci ha donato l’Eucaristia, dove c’è stata la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo; il Santo Sepolcro, tante altre impressioni, ma mi sembra che non sia il momento di farlo.

Forse, tre sono le impressioni fondamentali: la prima è che ho trovato dappertutto, in tutti gli ambienti, musulmani, cristiani, ebrei, una decisa volontà al dialogo interreligioso, all’incontro, alla collaborazione tra le religioni.

Ed è importante che tutti vedano questo, non solo come un’azione - diciamo – per motivi politici nella situazione data, ma come frutto dello stesso nucleo della fede, perché credere in un unico Dio che ha creato tutti noi, Padre di tutti noi, credere in questo Dio che ha creato l’umanità come una famiglia, credere che Dio è amore e vuole che l’amore sia la forza dominante nel mondo, implica questo incontro, questa necessità dell’incontro, del dialogo, della collaborazione come esigenza della fede stessa.

Secondo punto: ho trovato anche un clima ecumenico molto incoraggiante. Abbiamo avuto tanti incontri con il mondo ortodosso con grande cordialità; ho potuto anche parlare con un rappresentante della Chiesa anglicana e due rappresentanti luterani, e si vede che proprio questo clima della Terra Santa incoraggia anche l’ecumenismo.

E terzo punto: ci sono grandissime difficoltà – lo sappiamo, lo abbiamo visto e sentito. Ma ho anche visto che c’è un profondo desiderio di pace da parte di tutti. Le difficoltà sono più visibili e non dobbiamo nascondere le difficoltà: ci sono, devono essere chiarite. Ma non è così visibile il desiderio comune della pace, della fraternità, e mi sembra dobbiamo parlare anche di questo, incoraggiare tutti in questa volontà per trovare le soluzioni certamente non facili per queste difficoltà.

Sono venuto come un pellegrino della pace. Il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni, così proprio anche dell’Islam, della religione ebraica, del cristianesimo. È anche l’immagine della nostra esistenza, che è un camminare avanti, verso Dio e così verso la comunione dell’umanità.

Sono venuto come pellegrino e spero che molti seguano queste tracce e così incoraggino l’unità dei popoli di questa Terra Santa e diventino anche messaggeri di pace. Grazie!





Il Papa: l'Olocausto, brutale "sterminio" di un "regime senza Dio"
Una mano tesa a quanti lo avevano criticato



TEL AVIV, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI è stato accusato da alcune personalità ebraiche di non aver utilizzato la parola "assassinio" e di non aver fatto riferimenti al nazismo nel suo discorso al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem. Congedandosi da Israele, il Pontefice è andato oltre a ciò che volevano i suoi accusatori, denunciando che quei morti sono stati "brutalmente sterminati" da "un regime senza Dio".

Nella cerimonia di congedo celebrata all'aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv questo venerdì, il Pontefice ha pronunciato un accorato discorso di ringraziamento, in cui ha riassunto il suo messaggio di pace per queste terre e i molti incontri di questi giorni, soffermandosi solo su uno di questi, la visita al Memoriale e il suo incontro con i sopravvissuti alla Shoah.

"Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti Ebrei - madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici - furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un'ideologia di antisemitismo e odio", ha detto il Papa.

"Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato. Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso olivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno", ha aggiunto.

Alcuni rappresentanti ebraici avevano anche rimproverato il fatto che il Papa non avesse alluso alla sua origine tedesca nel discorso allo Yad Vashem. Il Papa ha risposto implicitamente citando il discorso che ha pronunciato ad Auschwitz, dove ha fatto quel riferimento (28 maggio 2006).

In quel discorso, il Papa spiegò che visitava Auschwitz "come figlio del popolo tedesco", considerando che per questo la sua visita era "un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio", condannando anche la barbarie nazista.

Con questo discorso di congedo, pronunciato davanti al Presidente israeliano Shimon Peres e al Primo Ministro Benjamin Netanyahu, il Papa ha risposto alle critiche, evitando ogni polemica. Al contrario, come ha affermato, le sue erano le parole di un "amico degli israeliani".






Riunione tra il Papa e Netanyahu sulla pace in Medio Oriente
Incontro bilaterale Santa Sede-Israele sull'applicazione degli accordi



NAZARETH, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI e il Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, hanno affrontato le sfide della pace in Medio Oriente nell'incontro privato che hanno avuto questo giovedì in occasione della visita papale in Terra Santa.

Nel colloquio è stato analizzato il processo di pace alla luce degli incontri che il Papa ha avuto in questo periodo con altri leader.

L'incontro, svoltosi nel convento dei francescani a Nazareth, è durato circa 15 minuti, come ha riferito il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi S.I.

Concluso l'incontro privato, il Papa e il Primo Ministro israeliano hanno partecipato insieme alla riunione delle due delegazioni sulle trattative bilaterali tra Santa Sede e Israele per l'attuazione dell'Accordo Fondamentale e sulle difficoltà per il rilascio dei visti per il personale religioso.

La delegazione vaticana era composta, tra gli altri, dal Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, dal Sostituto della Segreteria di Stato, l'Arcivescovo Fernando Filoni, e dal Nunzio in Israele, l'Arcivescovo Antonio Franco.






Benedetto XVI: “possa la speranza levarsi sempre di nuovo”
Durante la visita nella Basilica del Santo Sepolcro

di Mirko Testa


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il culmine del pellegrinaggio papale sulle orme di Gesù e tra le pietre vive della Terra Santa è stato una invocazione accorata affinché ritorni a sbocciare la speranza in questa terra martoriata da conflitti e tensioni apparentemente insanabili.

Dopo aver preso parte all’incontro ecumenico presso il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, Benedetto XVI ha percorso le vie strette della città vecchia per recarsi alla Basilica del Santo Sepolcro.

Sulla porta è stato accolto dai Padri di Terra Santa insieme ai rappresentanti del Patriarcato greco-ortodosso e della Chiesa armena apostolica, che in base allo “statu quo”, il decreto imperiale emesso dal Sultano turco nel 1852, sono i principali responsabili della vita delle 6 comunità cristiane presenti all'interno della Basilica.

Subito dopo padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, si è inginocchiato per baciare la “Pietra dell'Unzione”, il marmo che ricorda il luogo dove Gesù, deposto dalla croce, venne cosparso di unguenti.

“Il suo pellegrinaggio in Terra Santa – ha detto padre Pizzaballa – si conclude proprio qui, al Sepolcro vuoto di Cristo. Come non ricordare in questo momento la corsa di Pietro apostolo al Sepolcro, insieme al discepolo che Gesù amava, subito dopo la sua risurrezione?”.

“Da allora milioni di pellegrini sono giunti qui per compiere lo stesso gesto. Venire a vedere il Sepolcro vuoto – ha aggiunto –. Piegarsi per entrare nel Sepolcro e toccare queste pietre, testimoni fino ai nostri giorni, di quell’evento straordinario”.

“Il messaggio del Sepolcro vuoto non è una sorta di omaggio di pietà, ma è anzi un annuncio di gioia e di slancio, un guardare sempre al di là dell’orizzonte fino a scorgere i profili dell’alba”, ha proseguito.

“Grazie, Beatissimo Padre, per la sua alta testimonianza di Pace, consegnataci in questi intensi giorni di pellegrinaggio – ha detto il Custode di Terra Santa – . Ci sproni, ora, a seguire Gesù ovunque, senza paura, con la gioia dei figli, amati e salvati”.

C'è quindi stato l'Ingresso solenne del Papa, secondo il cerimoniale riservato molto tempo fa a tutti i gruppi di pellegrini che si recavano al Santo Sepolcro e che venivano accolti ufficialmente dal Custode di Terra Santa, incaricato da Papa Clemente VI con una bolla del 1342 di risiedere a Gerusalemme e di accogliere i fedeli.

Attraversata poi la porticina alta appena un metro e trentatré centimetri che permette di accedere al Sepolcro, il Santo Padre si è quindi inginocchiato per baciare la lastra di marmo che ricopre la roccia originale sulla quale venne deposto il corpo senza vita di Gesù.

Successivamente, nel rivolgere un breve saluto al Santo Padre il Patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, ha detto “ora, siamo venuti in processione dalla pietra dell'Unzione alla Tomba vuota cantando il Te Deum, il grande inno di lode e di azione di grazie a Dio”.

“Questo Te Deum, lo cantiamo per esprimere la nostra gioia che Lei abbia potuto effettuare questo pellegrinaggio malgrado la situazione così complicata, il carico assai pesante che Lei porta e la conseguente fatica”, ha detto.

“Come Lei lo può costatare, Beatissimo Padre, la distanza tra la tomba della Resurrezione e il Golgota è assai breve”, ha osservato.

“Ugualmente noi speriamo – ha continuato – che, grazie alla preghiera della Chiesa, con l'impegno della comunità internazionale e per l'azione di tutti gli uomini di buona volontà, non resterà lontano dalle nostre croci quotidiane l'evento della pace e della giustizia”.

“Né il conflitto, né l'occupazione, né i muri di separazione, né la cultura di morte, né l'emigrazione dei cristiani non giungeranno ad abbattere il nostro morale, a spegnere la nostra speranza e ad immergerci nella gioia!”, ha esclamato infine.

Nel suo discorso il Papa ha ricordato che “qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata”.

“La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita”, ha detto.

“Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa. Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre!”, ha esclamato.

“Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità ed ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace”, ha poi continuato.

“La Chiesa in Terra Santa – ha sottolineato quindi il Santo Padre –, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama”.

“Gesù chiede a ciascuno di noi di essere testimone di unità e di pace per tutti coloro che vivono in questa Città della Pace”, ha concluso.

Infine il Papa si è recato nella Cappella delle Apparizioni per sostare in adorazione davanti al santissimo sacramento, prima di salire al Golgota per raccogliersi di nuovo in silenziosa preghiera sul luogo del Calvario.




La visita del Papa segna una rinascita nei rapporti interreligiosi
Spiega padre Caesar Atuire

di Mercedes de la Torre

GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI in Terra Santa, terminata questo venerdì, ha portato una "rinascita" nelle relazioni tra ebrei, musulmani e cristiani, sostiene padre Caesar Atuire, responsabile dell'Opera Romana Pellegrinaggi, istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Compiendo un bilancio del pellegrinaggio che ha portato il Papa in Giordania, Israele e Territori palestinesi, il sacerdote ne ha sottolineato l'ultima tappa simbolica, la visita al Santo Sepolcro, che ha avuto luogo poche ore prima che si imbarcasse per tornare a Roma.

"Il Santo Sepolcro è il luogo della resurrezione di Gesù Cristo - ha osservato -. Questo luogo segna una rinascita nella storia dell'umanità. E credo che la visita di Benedetto XVI qui in Terra Santa sia stata un momento per la rinascita delle relazioni tra cristiani, musulmani ed ebrei".

Padre Atuire ha citato come esempio le parole pronunciate dal Presidente di Israele Shimon Peres davanti al Papa, quando ha detto che mai in duemila anni di storia i rapporti tra ebrei e cristiani sono stati migliori.

"Il Papa ha scacciato le paure e le preoccupazioni esistenti prima della visita e si è sgombrato il campo per stabilire una nuova tappa nei rapporti tra cristiani ed ebrei", ha constatato.

"E lo stesso è accaduto con i musulmani. Basta ascoltare il discorso di questo giovedì a Nazareth del rappresentante musulmano per vedere che ha inizio una nuova tappa".

Padre Atuire ha ricordato che "nei quattro anni di pontificato di Benedetto XVI ci sono state tensioni con ebrei e musulmani e i mezzi di comunicazione hanno dato a intendere che con questo Papa le relazioni interreligiose hanno subito un peggioramento".

"Questo viaggio dimostra però che tali accuse non hanno fondamento. In questo senso, man mano che il viaggio evolveva è aumentato l'entusiasmo, fino al momento in cui il Papa ha preso per mano ebrei, musulmani e drusi e tutti insieme hanno cantato chiedendo a Dio la pace. E' stato il culmine di questo viaggio".

Per padre Atuire, la visita avrà anche un importante impatto tra i cristiani di Terra Santa, "che si sentono lontani dal resto del mondo. La visita del Papa ha fatto sentire loro la vicinanza della Chiesa universale e li ha confermati nella loro vocazione: essere lievito di pace per la terra".

"Anche se pochi, possono fare la differenza perché la pace giunga in questa regione - ha riconosciuto -. Hanno una vocazione al servizio della Chiesa e del mondo".

Dopo la visita papale, il sacerdote pensa che si possa "sperare che il processo di pace, che cammina con grandi difficoltà, inizi a prendere velocità. Ci sono molti elementi convergenti che stanno cercando la pace in questa terra e la visita del Papa ha dato molto coraggio a quanti cercano la pace".

"Il Papa ha confermato a Mahmoud Abbas, Presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, la necessità di creare due Stati, che vivano in sicurezza e collaborazione, garantendo il diritto al libero movimento, in cui i cittadini possano vivere in dignità con le proprie famiglie. In questo senso, è una pace non solo politica, perché nasce dal cuore".

Dopo questo viaggio, l'amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi (http://www.orpnet.org), che ha tra i suoi obiettivi quello di evangelizzare visitando i Luoghi Santi, considera che la visita del Papa "ci conferma nella nostra missione e ci esorta a portare più pellegrini in Terra Santa".

"I pellegrinaggi - ha concluso - sono anche un modo straordinario per promuovere la pace, perché suscitano contatti e amicizie, e il modo migliore per porre fine ai pregiudizi è conoscersi".

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]






Il Papa trae dalla visita in Terra Santa "tre impressioni fondamentali"
Nel viaggio di ritorno commenta con i giornalisti il suo pellegrinaggio



ROMA, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Per Benedetto XVI non è facile descrivere la visita che ha appena concluso in Terra Santa. Lo ha confessato ai giornalisti presenti sull'aereo della compagnia israeliana El Al che lo ha riportato a Roma questo venerdì pomeriggio dopo una settimana in Giordania, Israele e Territori palestinesi.

Dopo averli ringraziato per aver affrontato non poche difficoltà "per informare il mondo su questo pellegrinaggio", il Papa ha ammesso che oltre al breve riassunto del viaggio che ha fatto nel discorso di congedo all'aeroporto di Tel Aviv potrebbe portare ancora "tanti, molti dettagli".

A questo proposito, ha citato "la commovente discesa nel punto più profondo della terra, al Giordano, che per noi è anche un simbolo della discesa di Dio, della discesa di Cristo nei punti più profondi dell'esistenza umana."; "il Cenacolo, dove il Signore ci ha donato l'Eucaristia, dove c'è stata la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo; il Santo Sepolcro".

Ad ogni modo, ha riconosciuto che le "impressioni fondamentali" suscitate dalla sua visita sono sostanzialmente tre, a cominciare dal fatto di aver trovato "dappertutto, in tutti gli ambienti, musulmani, cristiani, ebrei, una decisa volontà al dialogo interreligioso, all'incontro, alla collaborazione tra le religioni".


"E' importante che tutti vedano questo, non solo come un'azione - diciamo - per motivi politici nella situazione data, ma come frutto dello stesso nucleo della fede, perché credere in un unico Dio che ha creato tutti noi, Padre di tutti noi, credere in questo Dio che ha creato l'umanità come una famiglia, credere che Dio è amore e vuole che l'amore sia la forza dominante nel mondo, implica questo incontro, questa necessità dell'incontro, del dialogo, della collaborazione come esigenza della fede stessa", ha confessato.


In secondo luogo, il Pontefice ha confessato di aver trovato "un clima ecumenico molto incoraggiante".

"Abbiamo avuto tanti incontri con il mondo ortodosso con grande cordialità; ho potuto anche parlare con un rappresentante della Chiesa anglicana e due rappresentanti luterani, e si vede che proprio questo clima della Terra Santa incoraggia anche l'ecumenismo", ha spiegato.


Il terzo elemento che ha colpito Benedetto XVI è la constatazione che "ci sono grandissime difficoltà - lo sappiamo, lo abbiamo visto e sentito", ma c'è anche "un profondo desiderio di pace da parte di tutti".

Le difficoltà "sono più visibili" e "devono essere chiarite", ha aggiunto, "ma non è così visibile il desiderio comune della pace, della fraternità, e mi sembra dobbiamo parlare anche di questo, incoraggiare tutti in questa volontà per trovare le soluzioni certamente non facili per queste difficoltà".


Il Papa ha quindi ribadito di essersi recato in Terra Santa "come un pellegrino della pace", ricordando che il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni, tra cui l'ebraismo e l'islam.

"È anche l'immagine della nostra esistenza, che è un camminare avanti, verso Dio e così verso la comunione dell'umanità", ha rimarcato.

"Sono venuto come pellegrino e spero che molti seguano queste tracce e così incoraggino l'unità dei popoli di questa Terra Santa e diventino anche messaggeri di pace", ha concluso.
+PetaloNero+
00sabato 16 maggio 2009 15:53
Il cardinale Tarcisio Bertone: i gesti del Papa, un invito alla speranza. Interviste con il cardinale Ennio Antonelli e padre Samir Khalil Samir


Uno dei principali accompagnatori del Pontefice, nei giorni del suo pellegrinaggio in Terra Santa, è stato il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Ecco il suo commento al microfono del nostro inviato, Roberto Piermarini:

R. - La parola del Papa, i gesti del Papa, sono stati per tutti un esempio di incoraggiamento, di speranza e di dialogo. Con obiettivi concreti, il Papa ha focalizzato piste concrete, direzioni fondate sul comandamento dell’amore, che è la parola comune di cristiani, di ebrei e di musulmani. Tutti speriamo che il Papa - e tutti i suoi collaboratori, nei loro distinti ruoli e nella loro missione, che è una missione di pace alla sequela del Papa - portino frutti abbondanti e stabili in questa regione.


D. - Dovrà portare frutti anche per quanto riguarda la Commissione per gli Accordi fondamentali, visto che sono molti anni che non riesce a decollare…


R. - Il colloquio con il capo del governo Netanyahu è stato molto positivo e ha toccato punti concreti con impegni concreti. Quindi, speriamo di decollare e anche in questo di raggiungere gli obiettivi che tutti ci aspettiamo.


D. - Eminenza, si torna dalla Terra Santa sempre con una forte emozione. Qual è l’aspetto che ricorda con maggiore intensità, lei personalmente, di questo pellegrinaggio?


R. - Pensiamo soprattutto a Betlemme - non dico solo Betlemme nei Territori palestinesi, ma Betlemme luogo della nascita del Figlio di Dio fatto uomo. Pensando a tutti i bambini del mondo, ricordo la visita all’ospedale pediatrico: in quel momento ho pensato un po’ al futuro che attende tutti i bambini e i giovani del mondo e credo che tutti abbiamo pregato per loro. Tutti vogliamo costruire un mondo senza muri, senza violenza, dominato dal comandamento dell’amore, e preparare un futuro di pace e di serenità per tutti i bambini e i ragazzi del mondo.


I giornali di tutto il mondo hanno ripreso e commentato i molti discorsi pronunciati da Benedetto XVI nei giorni del suo pellegrinaggio. Padre Samir Khalil Samir, gesuita di origini egiziane e docente di Islamistica alla Saint Joseph University di Beirut, ritiene che con la sua presenza e le sue parole improntate alla pace il Papa abbia potuto incidere in profondità nella realtà del Medio Oriente. Le sue impressioni al microfono di Luca Collodi:

D. - A me sembra che sia così, perché il Santo Padre è riuscito a dire la parola di verità e di buon senso, a promuovere un progetto basato sulla giustizia, sui bisogni di ogni essere umano. Un progetto in sintonia con il desiderio di israeliani palestinesi, espresso in termini di pace, di dialogo, di giustizia, di sicurezza. Nessuno ha potuto tirare a sé l’opinione del Papa, perché lui cerca di proporre un progetto di pace basato sulla giustizia e sul diritto.


D. - Padre Samir, un altro aspetto molto importante per il futuro di pace della Terra Santa ruguarda il ruolo delle religioni. Il Papa ha detto chiaramente “no” all’uso violento della religione. Non è la prima volta che lo dice, ma lo ha ripetuto in maniera forte in Terra Santa. Anche questo è un altro elemento fondamentale…


R. - E’ il fondamento di tutto il suo Pontificato. L’ha ripetuto in Giordania, sotto tutte le forme, soprattutto a Madaba ed alla Grande Moschea, e l’ha ripetuto in Israele, in Palestina, ovunque. Il Papa, già dal Monte Nebo, ha detto: da una parte i tre monoteismi hanno in comune tante cose, dall'altra però c'è il rischio che la religione sia corrotta da altri desideri: dalla politica, dalle ideologie nuove e vecchie, usandola per la politica, usandola per la violenza. In fin dei conti, si rifà al discorso che afferma che senza la ragione non ci sarà mai pace e che la religione ha questo scopo: unita alla ragione, può offrire una strada a tutti i popoli, una strada di pace nella giustizia. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


Giovedì scorso, durante la Messa celebrata presso il Monte del Precipizio a Nazareth, il Papa ha benedetto, al termine della celebrazione, la prima pietra per il Centro internazionale della famiglia, che sorgerà nella città dell’Annunciazione. Il nostro inviato, Roberto Piermarini, ha chiesto al cardinale Ennio Antonelli, presidente del , quali siano le finalità del nuovo Centro:

R. - Si tratta di una casa di accoglienza, che sarà destinata sia alle famiglie della Terra Santa, per momenti di spiritualità, sia alle famiglie che vengono in pellegrinaggio da ogni parte del mondo, ugualmente per momenti forti di spiritualità, e sia anche per gli operatori della Pastorale familiare per corsi brevi, esperienze, itinerari di formazione intensiva. Lo spazio non è molto, quindi per l’alloggio è prevista una cooperazione con altre strutture vicine. La casa è stata voluta da Giovanni Paolo II, e il cardinale Lopez, mio predecessore, si è dato da fare per raccogliere i primi fondi per fare un progetto di massima. Adesso si tratta di continuare questo lavoro, sia raccogliendo ulteriori fondi e sia anche rivedendo il progetto per adattarlo bene alla situazione attuale. Si tratta anche di affidare il tutto, la costruzione e la gestione, a qualche soggetto ecclesiale, che dia assoluto affidamento, in modo che la Santa Sede possa fare una convenzione con questa realtà ecclesiale.


D. - Perché è stata scelta qui in Terra Santa, proprio Nazareth?


R. – E’ intuitivo, perché Nazareth vuol dire Santa Famiglia e vuol dire anche protezione per tutte le famiglie e modello per tutte le famiglie cristiane del mondo, vuol dire luogo di inesauribile ispirazione.


D. - In questo viaggio in Terra Santa, ha sentito le necessità, le difficoltà che vivono le famiglie?


R. - Certamente, le difficoltà sono grandi. La cosa che mi ha colpito di più è stata la ricchezza di iniziative dei francescani, del Patriarcato latino, degli altri Patriarcati, per aiutare le famiglie. Per esempio, costruzioni di nuovi alloggi dati, o gratuitamente o a modico affitto, alle famiglie, perché possano avere una casa, perché possano rimanere più facilmente in questo Paese, da dove tanti cristiani sono già partiti per emigrare in altre parti del mondo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







Padre Lombardi: viaggio del messaggio e dell'ascolto


Sul messaggio lasciato dal Papa alla Terra Santa ecco la riflessione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Il messaggio che il Papa ha dato è stato un messaggio molto corrispondente a quello che egli aveva annunciato, un messaggio di pace, con molte sfaccettature diverse: pace fra gli Stati, pace fra le diverse religioni, pace fra i diversi riti della Chiesa cattolica e le diverse confessioni cristiane. Però, non è stato solo il viaggio del messaggio del Papa, che parla agli altri, ma è stato molto un viaggio del Papa che ascolta. Benedetto XVI è una persona che ascolta molto, con molta attenzione. Le persone che incontra sono persone che egli ascolta, da cui egli riceve molto. Ebbene, in questo viaggio lui ha ascoltato tantissimo. Ha ascoltato gli uomini politici di tre Stati differenti: la Giordania, Israele e i Territori palestinesi, con le loro tensioni; uomini religiosi, di tre religioni differenti, gli ebrei, i rabbini, i muftì, i capi musulmani in Giordania, in Israele e nei territori, i cristiani dei diversi riti, con i loro problemi differenti, delle diverse confessioni. Un ascolto continuo, ricchissimo, fatto con grande pazienza e con grande attenzione. E questo gli ha dato, credo, una grande esperienza, molto profonda, di cosa è la realtà umana e spirituale della Terra Santa e quindi qual è poi la profondità a cui si deve porre il cammino di pace, come ricerca di dimensioni, di ascolto, di intesa e di dialogo spirituale, culturale, sociale, politico e così via. Quindi, viaggio del messaggio e viaggio dell’ascolto. Queste sono le due dimensioni fondamentali, che mi sembra risultino, per quanto riguarda il Papa e il modo in cui ha camminato.

D. – Un pellegrinaggio sulle orme di Gesù qui in Terra Santa, ma anche un pellegrinaggio ai santuari delle altre due religioni monoteiste…

R. – Esattamente. Il Papa è venuto qui, come vengono tutti i cristiani, tutti i credenti, per ritrovare i luoghi fondamentali della nostra fede. Questo, però, è rimasto molto discreto, quasi sottotraccia, quasi meno evidente, perchè non era l’aspetto che richiamava di più l’attenzione del grande pubblico, della stampa internazionale. Il Papa è stato anche pellegrino ai luoghi santi delle altre grandi religioni con cui parlava: è stato a Yad Vashem, è stato al muro occidentale, è stato nella moschea in Giordania, è stato nella Cupola della Roccia. Quindi, è andato proprio in quei luoghi per i quali egli chiede per tutti la libertà di accesso. Il Papa, e la Chiesa, chiede anche lo statuto speciale per Gerusalemme e la possibilità di libero accesso ai luoghi santi delle tre religioni. Il Papa è stato pellegrino ai luoghi santi delle tre religioni. Direi che ha dato un grande esempio di che cosa vuol dire anche atteggiamento di dialogo interreligioso.

D. – Soprattutto, nella stampa araba ha colpito molto il coraggio di questo Papa nel suo incontro con il popolo palestinese...

R. – Certamente, credo anch’io che sia stato un viaggio di coraggio e di speranza allo stesso tempo. Il Papa era consapevole di venire in una situazione ricca di tensioni. Non è un momento facile per il Medio Oriente, per la Terra Santa e per Gerusalemme. Il Papa lo sapeva molto bene e ci si era anche domandati se era opportuno che egli venisse. Però, come già il suo predecessore, tutte le volte in cui ci sono stati dei dubbi e le persone prudenti, e anche ben intenzionate, dicevano: “Ma no, abbiamo prudenza, rimandiamo...” ha scelto nella direzione del coraggio, che è un coraggio cristiano, che è una testimonianza di fede e di speranza e mi pare proprio che abbia avuto ragione, perché poi il suo messaggio passa, il suo messaggio viene capito come un messaggio di amore, di speranza e di pace. Il Papa nei territori palestinesi ha ribadito delle linee che non sono particolarmente nuove, sono quelle della linea della Santa Sede sui temi delle vie con cui trovare la pace nella giustizia in queste terre. Dire, però, queste cose, davanti al muro, dirle nel campo dei rifugiati, dirle incontrando anche gli uomini politici d’Israele non è facile, ma i discorsi del Papa sono stati sempre estremamente equilibrati e quindi accettabili e rispettati dall’una e dall’altra parte. Egli ha sempre detto che si deve cercare veramente la pace e la riconciliazione per tutti, per l’una e per l’altra parte.

D. – Quale messaggio lascia Benedetto XVI alla Chiesa locale della Terra Santa?

R. – L’incontro con la Chiesa locale è diventato sempre più evidente, soprattutto negli ultimi giorni: il giorno di Betlemme e il giorno di Nazareth, con le grandi celebrazioni, e quella di Gerusalemme, la sera prima, che ne è stata un’introduzione. Direi invece che la Messa di Betlemme e la Messa di Nazareth sono state delle grandi feste, grandi. Non c’erano mai state. Sono state anche più grandi di quelle avvenute con Giovanni Paolo II. Questa è una cosa da osservare: Giovanni Paolo II era il primo Papa che apriva certe vie, il primo che andava al Muro del Pianto, il primo che andava nella moschea e così via. Quindi, Benedetto XVI non aveva l’effetto novità che poteva avere Giovanni Paolo II, però ha confermato una continuità, l’andare avanti sulla stessa linea. E per quanto riguarda la Chiesa va avanti anche con questi grandi momenti di festa e di celebrazione comune, numerosa, per delle comunità che sono in minoranza e che si sentono piccole, povere e disperse. Quindi, credo un momento di grande fiducia, vissuto dalle comunità cristiane locali, che è proprio quello che il Papa desiderava dare loro: una fiducia garantita dalla fede, evidentemente, ma anche con quella esperienza umana e cristiana dell’essere insieme nella celebrazione, che segna con questa esperienza vissuta e visibile una tappa di speranza che cresce.



[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00domenica 17 maggio 2009 01:46
IL PUNTO di don Simonetti
"La saccenteria è la somma dell’ignoranza, della presunzione, se non addirittura della malafede"
Sanremo - "La missione di Benedetto XVI è stata generalmente compresa ed apprezzata, ma non è sfuggita a certi commentatori l’opportunità di riproporre il loro stereotipo dell’attuale Papa per costruire una contrapposizione con il suo predecessore"



Papa Benedetto XVI

Se c’è una cosa che non riesco proprio a digerire è la saccenteria. Non la sopporto, perché è la somma dell’ignoranza, della presunzione, se non addirittura della malafede. Ritengo di dedicare spazio a tale argomento, dato che non mancano occasioni e motivazioni in proposito. Lo stesso pellegrinaggio, appena concluso, di Papa Benedetto XVI, ha offerto l’occasione a taluni soloni per manifestare opinioni alla stregua di apodittiche sentenze. Senza dubbio, una iniziativa pastorale tanto difficile e con molteplici obiettivi da perseguire abbisogna di una seria e approfondita lettura, che prenda in considerazione la problematicità e la complessità storica. Difatti il Pontefice si proponeva di portare, in una regione tanto tormentata, una testimonianza e un contributo per la convivenza pacifica tra popolazioni che da decenni vivono in una drammatica realtà di odio, violenza, terrorismo. Il Papa inoltre si proponeva di impegnare i cattolici e, nel contempo, coinvolgere i fedeli delle altre fedi, in un comune e concorde servizio al bene delle popolazioni con iniziative concrete di collaborazione, in verità alcune già esistono, per superare divisioni, pregiudizi, rancori ed educare alla convivenza tra i popoli. Altro scopo, sostenere i membri delle comunità cattoliche, perché non diminuisca ancora, per la precarietà di sopravivenza, la loro presenza nella Terra Santa. La missione di Benedetto XVI è stata generalmente compresa ed apprezzata, ma non è sfuggita a certi commentatori l’opportunità di riproporre il loro stereotipo dell’attuale Papa per costruire una contrapposizione con il suo predecessore, si è mistificato sul suo passato: insomma i soliti saccenti sono montati in cattedra e hanno sentenziato, senza possibilità di appello. Così il disegno di avversare la Chiesa cattolica, infierendo in primis sul Papa, prosegue allegramente e crea dei saputelli che continuano a ripetere l’imparaticcia lezione.


di Don Giacomo Simonetti


www.riviera24.it
+PetaloNero+
00domenica 17 maggio 2009 16:07
7500 giovani di tutta Europa in preghiera sul Monte delle Beatitudini: un momento particolare dopo la partenza del Papa dalla Terra Santa


7500 giovani riuniti sul Monte delle Beatitudini in Galilea, per un incontro di preghiera e di festa subito dopo il viaggio del Papa in Terra Santa. E’ avvenuto ieri pomeriggio e protagonisti sono stati giovani provenienti dalle comunità del movimento neocatecumenale di tutta Europa. Fausta Speranza ha intervistato don Rino Rossi che da tanti anni vive in Galilea e che ha vissuto questo particolare pomeriggio:

R. – Io ho visto che questa Terra, per i giovani, è stata come una calamita che li ha attirati. Io ho anche detto, ad alcuni di loro, quando sono venuti qua: “Voi siete figli di questa Terra, figli di questa montagna”. Si vedeva la gioia, l’allegria che manifestavano nei canti, nella loro partecipazione. Erano anche impressionanti i momenti di silenzio perché non è facile contenere otto mila giovani provenienti da tutta l’Europa: tedeschi, scandinavi, russi, polacchi, italiani.


D. – Spesso si parla dei giovani come di persone in formazione soggette a tutta la superficialità che questa società porta con sé come modelli, come istanze. Non è così, invece, quando si incontrano molti di loro: si sente una voglia di vita vissuta in tutta la sua pienezza ed in tutto il suo significato…


R. – Qui tocchiamo un punto molto serio; tanti giovani, oggi, sono vittime in parte dell’ambiente del mondo di oggi che è tutto centrato sull’edonismo, sull’avere. Sembra che se non si hanno certe cose non si può vivere. Sembra che la vita sia questo, tutta basa sul piacere e sul vivere comodamente. Io vedo che questi giovani cominciano, grazie alla Chiesa, ad avere un nuovo orizzonte, cioè hanno la speranza, hanno il futuro aperto e qual è questo futuro? Quello del vangelo, che Kiko, il fondatore del movimento neocatecumenale ha annunciato loro ieri. Ha fatto una catechesi sulla destinazione che ha l’uomo che non è solamente vivere qui alcuni giorni ma è una destinazione eterna. Siamo figli di Dio è questo l’annuncio, il kerigma che la Chiesa veramente sempre ha dato e ci dà anche oggi.


D. – Quella del movimento neocatecumenale, è un’esperienza particolare di iniziazione cristiana però tutti i ragazzi in tutte le parrocchie vivono un cammino spirituale, di avvicinamento a Cristo e forse per tutti sarebbe molto bello ritrovarsi in Terra Santa. Alcune parrocchie organizzano ma molte altre no, forse anche per paura di tutta una organizzazione logistica. Invece, è più facile di quanto si pensi, venire in Terra Santa e pregare sulla Terra di Cristo…


R. – E’ vero che in molti hanno paura perché la Terra Santa si presenta anche come un ambiente di guerra. E’ vero che esiste una conflittualità che tutti conosciamo e di cui ha parlato anche il Papa, però, per i pellegrinaggi non c’è problema e infatti sono ripresi numerosi. Devo dire che noi siamo riusciti ad organizzare in brevissimo tempo, l’arrivo di tutte queste migliaia di giovani. Ci si può muovere tranquillamente in Terra Santa, non ci sono problemi.


D. – Dunque, il racconto di questa iniziativa si fa invito per tantissimi giovani?


R. – Senz’altro. Venire o tornare in questa Terra è sempre un aiuto enorme. Tutto è partito da qui, Gesù Cristo è nato in questa Terra, figlio del popolo ebraico ha vissuto, ha predicato, ha fondato la sua Chiesa, che ha patito, sofferto. E’ risorto ed è sceso al cielo. Ecco, tutto è partito da qui.



[Radio Vaticana]
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