Brisingr

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°DarkDj°
00venerdì 29 agosto 2008 17:47


Christofer Paolini pubblicherà non più 3 , ma ben 4 libri sulle avventure in Alagaesia.
Brisingr è il seguito di Eldest, che a suoa volta è il seguito di Eragon.
All'inizio Paolini aveva in mente di creare una trilogia, ma poi ha constatato che le pagine del terzo volume crescevano a vista d'occhio e ha deciso così di spezzare il volume finale in due libri...




Data di pubblicazione originale: 20 Settembre 2008
Data di pubblicazione italiana: 3 Novembre 2008
Edizione Speciale in Italia: 31 Ottobre 2008

Traduzione italiana: Maria Concetta Scotto di Santillo

Disegnatore Copertine: John Jude Palencar
Disegnatore immagini interne: Christopher Paolini

Non si hanno altri dettagli sul terzo libro del Ciclo dell'Eredità
Per altre info clicca sui seguenti collegamenti:
www.eragonitalia.it/article345.html
www.eragonitalia.it/article329.html
www.eragonitalia.it/article362.html

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LUCI E OMBRE
(Stralcio dal Capitolo 3 del Libro Terzo del Ciclo dell'Eredità) - Fonte: eldest.it

Saphira impastò il terriccio sotto i piedi con impazienza. Vogliamo partire o no?

Dopo aver appeso bisacce e vettovaglie ai rami di un albero di ginepro, Eragon e Roran si arrampicarono sul dorso di Saphira. Non furono costretti a perdere tempo per sellarla; la dragonessa aveva indossato la sua bardatura per tutta la notte. Eragon sentì il calore del cuoio sagomato che quasi scottava sotto di sé. Afferrò saldamente la punta cervicale che aveva davanti – per sorreggersi in caso di bruschi cambi di direzione – mentre Roran gli cinse la vita con un braccio muscoloso, l'altra mano impegnata a brandire il martello.

La lastra di scisto si crepò sotto il peso di Saphira quando la dragonessa si accovacciò per prendere lo slancio e spiccare un unico balzo verso il ciglio del burrone, dove rimase in equilibrio per un istante prima di spiegare le ali possenti. Le membrane sottili emisero un cupo ronzio quando Saphira le dispose perpendicolari al cielo. In quella posizione, sembravano due azzurre vele traslucide.

«Non così stretto» grugnì Eragon.

«Scusa» disse Roran, allentando l'abbraccio.

Qualsiasi ulteriore scambio di frasi divenne impossibile quando Saphira saltò di nuovo. Una volta raggiunto l'apice del balzo, abbassò le ali con un sonoro fruscio prolungato e si spinse ancora più in alto. Ogni successivo battito d'ali li portava sempre più vicini ai sottili strati di nubi che si estendevano da oriente a occidente.

Mentre Saphira virava verso l'Helgrind, Eragon scoccò un'occhiata a sinistra e scoprì che, grazie all'altezza, riusciva a scorgere un buon tratto del Lago di Leona, a qualche miglio di distanza. Un denso strato di nebbia, grigia e spettrale nel tenue chiarore dell'aurora, aleggiava sull'acqua, come se sulla superficie liquida ardesse un vasto fuoco fatuo. Eragon aguzzò la vista, ma nonostante i suoi occhi da falco, non riuscì a distinguere la sponda opposta, né le propaggini meridionali della Grande Dorsale. Provò una fitta di nostalgia poiché non vedeva le montagne della sua infanzia da quando aveva lasciato la Valle Palancar.

A nord si trovava Dras-Leona, una massa enorme e indistinta che si stagliava tozza contro il muro di nebbia che ne orlava i margini occidentali. L'unico edificio che Eragon riuscì a identificare fu la cattedrale dove i Ra'zac lo avevano attaccato; la sua guglia smerlata torreggiava sul resto della città come una punta di lancia munita di barbigli.

Eragon sapeva che, da qualche parte, nella piana che scorreva sotto di loro, c'erano ancora i resti dell'accampamento dove i Ra'zac avevano ferito a morte Brom. Si lasciò pervadere ancora una volta dal furore e dal cordoglio che aveva provato quel giorno lontano – come anche all'epoca della morte di Garrow e della distruzione della fattoria – affinché quei violenti sentimenti gli infondessero il coraggio, no, la brama di affrontare i Ra'zac in battaglia.

Eragon, disse Saphira. Oggi non dobbiamo schermare le nostre menti e tenere segreti i nostri pensieri, vero?

No, a meno che non compaia qualche stregone.

Un ventaglio di luce dorata si levò all'orizzonte quando spuntò la cupola fiammeggiante del disco solare. Il mondo, che fino a un istante prima era stato avvolto da un'uniforme coltre grigiastra, s'illuminò di tutti i colori dello spettro: la nebbia risplendette candida, l'acqua scintillò azzurra, le mura che cingevano il centro di Dras-Leona rivelarono il loro sudicio intonaco di fango giallo, gli alberi si rivestirono di ogni possibile sfumatura di verde, e il terreno avvampò di rosso e arancio. L'Helgrind, tuttavia, restò com'era sempre – nero.

Mentre si avvicinavano, la montagna di pietra s'ingrandiva a vista d'occhio. Perfino dall'aria appariva intimidatoria.

Nel tuffarsi verso la base dell'Helgrind, Saphira effettuò una virata a sinistra talmente angolata che Eragon e Roran sarebbero precipitati di sotto se non avessero avuto le gambe legate alla sella. La dragonessa sfrecciò intorno alla massicciata di ghiaia e sopra l'altare dove i sacerdoti dell'Helgrind celebravano i loro riti. Il vento s'insinuò sotto la visiera dell'elmo di Eragon, che rimase assordato dal potente sibilo.

«Allora?» gridò Roran, che non riusciva a vedere avanti.

«Gli schiavi sono andati!»

Eragon si sentì come schiacciato da un peso enorme quando Saphira interruppe bruscamente la picchiata per risalire a spirale intorno all'Helgrind, in cerca dell'ingresso del covo dei Ra'zac.

Nemmeno un buco sufficiente a far passare un ratto, dichiarò la dragonessa. Rallentò e restò sospesa davanti a un crinale che congiungeva il terzo, e più basso, dei quattro picchi alla cima dominante. Lo sperone irregolare amplificava il rombo prodotto da ogni battito d'ali tanto da farlo assomigliare al boato di un tuono. Eragon aveva gli occhi che gli lacrimavano mentre l'aria gli frustava la pelle.

Una ragnatela di venature bianche adornava le pareti nascoste dei dirupi e dei pilastri, dove la brina si era raccolta nelle fessure della roccia. Null'altro disturbava la cupezza dei bastioni neri e battuti dai venti dell'Helgrind. Non crescevano alberi fra i pendii rocciosi, non c'erano arbusti o ciuffi d'erba o muschi o licheni; le aquile non osavano fare il nido sulle cornici frastagliate della torre. Fedele al suo nome, l'Helgrind era un luogo di morte, e si ergeva ammantato nelle pieghe rigide e affilate delle sue scarpate e dei suoi crepacci come uno spettro scheletrico sorto a perseguitare la terra.

Espandendo la mente, Eragon trovò conferma della presenza di uno degli schiavi, come anche delle due persone che aveva scoperto imprigionate all'interno dell'Helgrind il giorno prima, ma lo turbò il fatto di non riuscire a localizzare i Ra'zac o i Lethrblaka. Se non sono qui, allora dove? si domandò. Cercando ancora, notò qualcosa che prima gli era sfuggito: un fiore solitario, una genziana, a meno di cinquanta piedi avanti a loro, dove, secondo le aspettative, non avrebbe dovuto esserci altro che solida roccia. Dove trova luce a sufficienza per sopravvivere?

Saphira rispose alla sua domanda appollaiandosi su una sporgenza di roccia friabile distante qualche piede. Nel farlo, per un attimo perse l'equilibrio, e batté le ali per stabilizzarsi. Invece di urtare contro la massa dell'Helgrind, la punta della sua ala destra affondò nella roccia e ne riemerse.



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giuggyna
00venerdì 29 agosto 2008 22:12
bello mi piase^^
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