Bioy Casares

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
sergio.T
00martedì 30 settembre 2008 09:44
Adolfo Bioy Casares (Buenos Aires, 15 settembre 1914 – 8 marzo 1999) è stato uno scrittore argentino particolarmente attivo nella fantascienza e nel fantastico.

Bioy Casares nacque a Buenos Aires, nipote di un ricco proprietario terriero e produttore caseario. Scrisse la sua prima storia ("Iris y Margarita") all'età di 11 anni. Fu amico e assiduo collaboratore di Jorge Luis Borges e scrisse numerose storie con lui, sotto lo pseudonimo di Honorio Bustos Domecq. Bioy e Borges furono presentati nel 1932 a Victoria Ocampo, la cui sorella, Silvina Ocampo, Bioy Casares sposò nel 1940. Nel 1954 adottarono la figlia che Bioy aveva avuto da un'altra donna, Marta, che morì nel 1994) in un incidente automobilistico tre settimane dopo la morte di Silvina Ocampo, lasciando due bambini. Il patrimonio di Silvina Ocampo e Adolfo Bioy Casares fu accordato da un tribunale di Buenos Aires a un altro figlio, Fabián Bioy - nato da un'altra relazione di Adolfo Bioy Casares - poco prima che morisse, all'età di 40 anni, nel febbraio del 2006.

A Bioy Casares sono stati conferiti, nel corso della sua vita numerosi premi e riconoscimenti, fra cui il Gran Premio de Honor della SADE (la Società Argentina degli Scrittori, 1975) ed il Premio Miguel de Cervantes (concessogli nel 1991 ad Alcalá de Henares). È stato inoltre insignito di una delle più prestigiose onorificenze francesi, Légion d'honneur (1981), e, nel 1986, ha ottenuto il titolo di cittadino onorario di Buenos Aires.

Lo scrittore è sepolto nel cimitero della Recoleta di Buenos Aires.

Opere
Il più noto dei lavori di Adolfo Bioy Casares è il romanzo L'invenzione di Morel (La invención de Morel). È una storia d'un uomo che, sfuggendo alla giustizia, si rifugia su un'isola che si dice infettata da un misterioso morbo mortale. Sforzandosi di capire perché ogni cosa sembra ripetersi, comprende che tutte le persone che gli appaiono sono il prodotto di una registrazione, realizzata da una macchina speciale, inventata da Morel, che è in grado di registrare non solo le immagini tridimensionali, ma anche le voci e gli odori, rendendo tali proiezioni indistinguibili dalla realtà. La storia mescola realismo, fantasy, science fiction e terrore. Da essa è stato tratto un film omonimo nel 1974.
sergio.T
00martedì 30 settembre 2008 09:50
Incominciato L'invenzione di Morel.
Mah...!
sergio.T
00martedì 30 settembre 2008 10:25
e' un libro di fantascienza. Ma una fantascienza un po' strana.
Onestamente dalle prime pagine si intuisce subito di essere di fronte a qualcosa di incomprensibile: sembra tutto chiaro( reale) ma in fondo e' tutto nebuloso( fantastico).
Ma il fantastico ad un certo punto si capovolge in fantascientifico: un mondo di illusioni che lascia sgomenti.
Ma come e' possibile che un'illusione sgomenti: forse per un senso di vuoto?

mujer
00martedì 30 settembre 2008 22:25
Hoy, en esta isla, ha ocurrido un milagro; el verano se adelantó. Puse la cama cerca de la pileta de natación y estuve bañándome, hasta muy tarde. Era imposible dormir. Dos o tres minutos afuera bastaban para convertir en sudor el agua que debía protegerme de la espantosa calma. A la madrugada me despertó un fonógrafo. No pude volver al museo a buscar las cosas. Hui por las barrancas. Estoy en los bajos del sur, entre plantas acuáticas, indignado por los mosquitos, con el mar o sucios arroyos hasta la cintura, viendo que anticipé absurdamente mi huida. Creo que esa gente no vino a buscarme; tal vez no me hayan visto. Pero sigo mi destino; estoy desprovisto de todo, confinado al lugar más escano, menos habitable de la isla; a pantanos que el mar suprime una vez por semana.

Così La invención de Morel nella sua prima pagina.

Ma prima del racconto c’è il prologo di Borges che così dice:

Le finzioni di carattere poliziesco – altro tipico genere di questo secolo che non può più inventare argomenti- riferiscono fatti misteriosi che in seguito giustificano e illustrano un fatto ragionevole.
Adolfo Bioy Casares, in queste pagine, risolve con felicità un problema forse più difficile. Dispiega un’odissea di prodigi che sembrano non voler ammettere altra chiave che l’allucinazione o il simbolo, e li decifra pienamente attraverso un solo postulato fantastico e non soprannaturale. Il timore di incorrere in premature o parziali rivelazioni mi vieta l’esame dell’argomento e delle molte delicate saggezze dell’esecuzione. Mi basta dichiarare che Bioy rinnova in modo letterario un concetto che Sant’Agostino e Orígenes hanno refutato, che Louis Auguste Blanqui ha ragionato e che, con musica memorabile, disse Dante Gabriel Rossetti:

I have been here before,
But when or how I cannot tell:
I know the grass beyond the door,
The sweet keen smell,
The sighing sound, the lights around the shore…

In spagnolo sono insolite e rarissime le opere d’immaginazione ragionata. I classici hanno esercitato l’allegoria, le esagerazioni della satira e, a volte, la mera incoerenza verbale; non ricordo in date recenti altro racconto oltre Le forze estranee e qualcuno di Santiago Dabove: dimenticato con ingiustizia.
La invención de Morel (il cui titolo allude ad un altro inventore isolano, Moreau) trasla nelle nostre terre e nella nostra lingua un nuovo genere.
Ho discusso con il suo autore i dati salienti della sua trama, l’ho riletta; non mi sembra un’imprecisione o un’iperbole qualificarla come perfetta.



Questo prologo è nella mia edizione del 1953, casa editrice emecé; spero che ci sia anche nelle edizioni italiane.

La invención de Morel è più di un racconto fantastico. E’ la storia di un fuggitivo che, scappando dalla giustizia, arriva in un’isola deserta. Un giorno, però, arrivano altri uomini; il fuggitivo li segue, ascolta i loro discorsi, li osserva.

Dopo uno dei colloqui tra gli uomini, Bioy Casares espone il pensiero centrale del suo protagonista. Scrive:

Ora la realtà mi si propone cambiata, irreale. Quando un uomo si sveglia o muore, ritarda il disfarsi dei terrori del sogno, delle preoccupazioni e delle manie della vita. Ora mi costerà perdere l’abitudine di temere questa gente.

L’album delle presenze che Morel illustra – e che il protagonista teme – non è che l’eterna ricerca dell’arresto del tempo. Stessa esigenza del fuggitivo è quella dello scrittore che, pur scappando sempre da se stesso, necessita di fissare il tempo e le sue immagini.
Il fantastico (e non il soprannaturale, come dice Borges) è proprio quella realtà che ci inventiamo per sfuggire alla paura dell’inesistente, condizione che non ha niente a che vedere con la morte. E’ per questo che “la settimana” deve essere ripetuta per non scomparire.
La scomparsa è la vera morte e, mentre lo scrivo, sussulto per così nefasta profezia.
sergio.T
00mercoledì 1 ottobre 2008 09:09
Ha ragione Borges: questo racconto lungo e' assolutamente perfetto nella sua struttura.
Direi che sia geniale.

Per quanto riguarda il tema del fantastico se ne era gia' parlato altrove: in questo racconto, ad opera completamente letta, ci si accorge che il fantastico e' decisamente presente in ogni sua sfumatura.
A differenza di altri casi, pero', in queste pagine vi e' un supporto di fantascienza: Casares modella il suo principale protagonista in veste di scienziato che inventa una macchina che non 'c'e' e dunque nella realta' del lettore assume il significato di pura fantascienza.
Come si fa infatti ad immaginare un macchinario che ripete eternamente in immagine la realta' vissuta precedentemente da un insieme di persone? immaginare una macchina di questo tipo significa creare uno strumento fantascientifico.
La scienza ed il ramo ad essa specifico - la biologia - studia la vita del reale strutturata in due dimensioni: tempo e spazio.
Il tempo e lo spazio coincidono nella loro struttura quando una coscienza presenzia a se stessa in queste due dimensioni: la realta' , dunque, non e' l'immagine che se ne ricava, ma bensi' la consapevolezza dell'animazione di se stessi nel tempo e nello spazio.
Traslare la realta' dall'essere nella sola immagine significa fare un salto nella filosofia dell'assurdo.
sergio.T
00mercoledì 1 ottobre 2008 09:39
Casares vuole regalare ai suoi protagonisti la vita eterna ripetuta eternamente ( un eterno ritorno in senso niciano).
Se una volta alla settimana l'immagine di una persona durante alcuni giorni della sua vita si ri-proietta su uno schermo ( o qualcosa di simile) di fronte ad uno spettatore ignaro di quanto sta accadendo ( ripetizione dell'immagine, delle parole, dei colori, degli odori,ecc.ecc.) , questa immagine che investe nel tempo e in un determinato spazio tutta la percezione spettatrice, puo' assumere il connotato di pura realta'.
Dunque quello che il fuggiasco vede, apparentemente, diventa reale.
Il " fu" una volta diviene l'e' di adesso. Quello che era ieri diviene presente oggi e diverra' anche domani, dopodomani, per sempre.
Una realta' sempre medesima a se stessa dunque ( seppur in una limitata successione), ma che a sua volta diviene irreale per chi la puo' osservare consapevole dell'aspetto riproduttivo di essa.
La ripetizione quindi e' inautentica per due motivi: innanzitutto e' fissa in se stessa e non diviene come percezione; secondariamente non e' percepita dalla coscienza che la vive, dato che non c'e' piu' nessuna coscienza tranne quella spettatrice. E' una realta solo d'immagine, unilaterale.

La realta' presuppone sempre un soggetto percipiente ; se viene a mancare questo, viene a mancare l'aspetto fondativo di tutto il reale.
Presenza e assenza non sono solo relativi a chi " vede", ma sono determinanti proprio da chi fonda l'atto reale che a sua volta diviene immagine per un altro.

Il genere fantastico inteso in questo modo e' postulato dunque su un equivoco grossolano quanto metafisico: postula la presenza incontrovertibile di un soggetto che intercala nel passato ( ritenzione) nel presente ( copula) e nel futuro ( protensione).
Ma tutto questo - si sa - e' un incidente del percorso occidentale ( ma anche della filosofia immaginativa sudamericana che seppur fantastica parte sempre dallo stesso punto: la coscienza): non esiste nessun soggetto se non nell'errore grammaticale.
Dire " io" o "tu" o " essi" significa solo auto-ingannarsi per necessita'.
La realta , infatti, e' solo una menzogna.

sergio.T
00mercoledì 1 ottobre 2008 09:49
ma senza spingere il discorso troppo oltre ( labirintico)e rimanendo al reale come presenza di coscienza, il racconto bellissimo di Casares urla disperatamente l'angoscia dell'uomo: l'eterna presenza cosciente di se' stessa.
La chiusa del racconto ne' e' una forte testimonianza: un atto pietoso la chiama.
Chi leggera' il diario del fuggiasco e' pregato di dare " coscienza" ai personaggi , alle loro presenze, alla relazione con Francine . Che nella sua coscienza sia viva e presente la percezione del fuggitivo.
In fondo cosa ci si augura? ci si augura la possibilita' che un'immagine solo vista e ripetuta eternamente sia capace di inglobare nella sua dinamica anche coloro che la vedano.
La realta' dunque come mosaico eternamente uguale a se' stesso, ma eternamente modellabile con nuone comparse, con nuovi protagonisti.
Piu' che un per sempre, un " divenire", dunque. Un divenire percepito emozionalmente.
Il racconto di Casares e' anche un racconto d'amore: e' l'amore che non trova sblocco nel fantastico: si puo' vedere ad oltranza, immaginare ad oltranza, ma non si puo" vivere" un sentimento se non nel momento stesso del suo insorgere.

Fantasia si, ma non troppa.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:21.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com