CANTO TERZO
E colla spada in man, donde proviene
li suon s'avanza, ed un cavallo mira,
che legato ad un pin le redin tiene,
e ringhia, e soffia, e scalcia, e in volta gira.
Dell'albero la scorza a romper viene
la soga, che il caval di forza tira;
quel sibila, vacilla, il crin commove,
e un diluvio di stille al terren piove. 8
Un lupo intorno gli volteggia, e tenta
sulla schiena di lui saltar di furto;
il guerrier fulminando a quel s'avventa,
l'impiaga, e a terra il fa cader d'un urto
la man nel manto avvolta gli presenta,
quand'ei di nuovo furibondo è surto,
e come il lupo addosso gli si serra,
l'inutil ferro cader lascia a terra. 16
La man che il lupo addenta ei spinge, e ingozza
nelle rabbiose canne, e in stretta zuffa
viene alle prese, e la pilosa strozza
con l'altra man tenacemente acciuffa,
e al suol lo ficca coi ginocchi: mozza
la vita ei sente, e si dibatte e sbuffa,
travolve gli occhi, e tesi i piè distende,
e molto del terren, morto, comprende. 24
Ma intanto l'eremita, che più tardo
venia, fosse l'etade o la paura,
s'era rivolto ove ognor più gagliardo
sentia il gemito uman per l'ombra oscura;
de' lampi al lume gli si offerse al guardo
stesa d'alcun nel fango la figura,
che se fosse uom non era manifesto,
tanto era concio in modo disonesto. 32
L'anacoreta e il difensore invitto
accorso, nella cella trasportaro
sulle pietose braccia il derelitto,
e sulla lunga scranna il collocaro.
Ma oh quanto il cavalier divenne afflitto
quando del foco allo splendor mal chiaro,
riconobbe esser Ghin, benché di sangue
e di loto coperto, e quasi esangue! 40
E Ghino pur lui riconobbe, e mentre
vergognoso del suo strazio nefando
le minugie premea sorte dal ventre,
gli altri scarnati membri invan celando
"Convien", diceagli, "omai che in te rientre,
ché amar più non mi puoi; commiserando
deh non andar le mie mertate sorti,
ché al giudicio di Dio passion porti! 48
lo ti cercava, e non mi cal ch'io mora,
se ti ritrovo, mentre mi rimane
tanto spazio di vita, e tempo ancora
per dirti cose che ti sono arcane.
Sappi, che mentre tu festi dimora
dalla patria lontan, fiamme profane
mi arser per la tua Pia, né il labbro tacque
da lei ne fui represso, e ciò mi spiacque. 56
E di vendetta nel desire acerbo
tutto l'amor che le portai conversi
appo la rotta il primo dì, per verbo
di un comperato messo, discopersi
che con false divise a gran riserbo,
misto ai fuggiaschi, che riedean dispersi,
s'era introdotto nella nostra terra
il fratel della Pia, che a noi fa guerra. 64
E ascoso presso un terrazzan, sapere
avea fatto a colei, che per mirarla
anco una volta, a rischio di cadere
in man d'altrui, venuto era a trovarla;
e che la notte istessa ei fea pensiere
di venir nel giardino a visitarla;
che di te non temesse, essendo in cura
quella notte del campo e delle mura. 72
Quell'innocente trarna in quale aspetto
colorassi, tu il sai, tanto che al fine,
quando il disegno lor venne ad effetto,
un dolor ti recai senza confine:
e com'ella per se nulla avria detto,
le cognatizie attese ire intestine,
te pure a tacer strinsi, onde a vicenda
non vi svelassi la mia tela orrenda. 80
Partisti tu, ma tosto giunge in Siena
fama ch'era la Pia là prigioniera
ove tanta malizia l'aer mena,
che in breve vinta avria l'ultima sera.
Allor mi corse il fiel per ogni vena,
e m'assalse il rimorso in tal maniera,
che a chieder pace in supplicanti note
pentito corsi a' piè d'un sacerdote. 88
Quale ordinommi sotto pene tali
da far temenza a un petto di metallo,
di venir di te in traccia, e girne in quali
lochi tu fossi, e non porvi intervallo,
per risarcir la Pia dai duri mali
che fruttar le potea l'apposto fallo;
e il fei; ma Dio mi ha tratto al passo estremo,
onde che sia tardo il rimedio or temo. 96
Che forse avrà colei pagato il fio,
d'un error non commesso, in carcer cupo.
Or ben mi sta, se gastigommi Iddio
entro le zanne del vorace lupo;
ché quando il nembo fuggir volli, e il mio
destrier legato, entrai sotto al dirupo,
quatto ei giacea nel mal capace speco,
e venni per mio danno in lotta seco. 104
Or voi che adesso giunti a mirar siete
l'esizio miserabile d'un empio,
ad esser pii nel mondo apprenderete
da questo di giustizia austero esempio".
Qui le pallide guance a lui fur chete,
e più non resse al sopportato scempio,
e il vecchio pio raccomandò all'Eterno
l'anima che aspettata era all'inferno. 112
Qual consiglio, qual cor, Nello, fu il tuo,
ascoltando esser casta la consorte?
che anco rea la stimando, dal mal suo
commosso, già sottrar pensavi a morte?
Mirar l'estinto veggioti, e in tra duo
restar pensoso, e poi sospirar forte.
ed esclamar: "O Ghin, dove ne han tratti
la mia sciocca credenza e i tuoi misfatti? 120
Me non d'Arbia sul margine patrizia
prosapia mi produsse: io nei burroni
nacqui del Tauro, o nella dura Scizia,
e mi educaro gli arabi ladroni;
ch'io non dovea suppor tanta nequizia
in beltà che non ebbe paragoni,
né agli occhi creder che accusar colei
più cara a me degli stessi occhi miei. 128
E fui si crudo? e posi in mortal sito
la Pia, di me, d'Italia il più bel fregio?
Ah non sia mai tal vituperio udito
ove la cortesia si tiene in pregio.
Dirà qualcuno, e rnostrerammi a dito,
della cavalleria tutta in dispregio:
questi è colui, che inerme una vezzosa
femmina oppresse, e gli era amante e sposa. 136
Misera sposa! i guiderdon son questi
che sconoscente il coniuge ti diede
per quell'immenso ben che gli volesti,
per tanta a danno tuo serbata fede!
Quai giorni lacrimevoli e funesti
menati avrai nell'esecrabil sede!
esposta a morte, in rnan di vili schiavi,
e ciò per opra di chi tanto amavi. 144
Ma or or quando avverrà ch'io ti disserri
il carcer, come sostener tua vista?
Ben chieder non m'udrai che tu mi serri
infra le braccia, e dal rigor desista;
ma chiederò che fra gli stessi ferri
me chiuda a terminar vita si trista,
o di tua rnan m'uccida, se ti alletta
disianza di subita vendetta. 152
Ma in vane querimonie il tempo io spendo
mentre so che la misera languisce,
aita e alleggiamento non avendo
da chi in lei per piacermi incrudelisce:
si accorra e tosto"; e al vecchio si volgendo,
che a terra su due lunghe asse ben lisce
composto avea di Ghino il corpo estinto,
a seppellirlo il di seguente accinto 160
"Tu vien", disse, "e mercè da lei m'impetra,
ché ti dee l'efficace intercessione".
Ciò detto, ancor che fosse ombroso l'etra,
l'uno e l'altro cavallo in ordin pone,
e il vecchio fa montar sopra una pietra
per porlo agevolmente in sull'arcione,
e lo assesta sul proprio palafreno
che più dell'altro è obbediente al freno. 168
Partono in coppia, e avvolgonsi per fusche
vie, dove ancor l'acqua caduta stagna,
e sono ad or ad or fatte corusche
dal balenar che alluma la campagna;
e ormai son giunti alle pianure etrusche
che l'azzurro Tirren vagheggia e bagna,
e in loco dove ascoltano mugghiare
da lunge i liti al fremito del mare. 176
Cessata affatto è la procella, e i cupi
nugoli ai monti si ritranno lenti,
e si odon dalle soggiogate rupi
rimbombando cader gonfi torrenti
entro ai lor cavernosi ermi dirupi
lottan stridendo incatenati i venti,
e irate ancor della marina l'onde
piangon infrante all'arenose sponde. 184
Dice il barone allor, sovra 'l sentiero
l'altro aspettando che sen vien più adagio -
"Se a me la notte non contenda il vero,
siam giunti, e prima ch'io non fea presagio".
innanzi a questo dir spinto il destriero,
scopre la nera torre del palagio,
che giganteggia sopra il bosco opaco
e nerissima gitta ombra sul laco. 192
Il cor gli balza a cotal vista, e in quella
che andando del castel più si discopre,
fiso lo guarda, e torbido favella:
"Oh dei grand'avi miei magnifich'opre,
complici delle antiche stragi, e della
malvagità che il tempo in voi ricopre,
retaggio io v'ebbi, e a me in retaggio venne
pur quell'usanza rea, che in voi si tenne. 200
Qui spesso ai cavalieri pellegrini
fur tolte l'armi, e fur le donne offense;
qui dei vassalli fur tratte pei crini
le spose invan di casto sdegno accense,
e il sangue degl'incauti vicini
bevuto fu sulle tradite mense,
ove di carmi il Trovator venduto
dava alle sceleraggini tributo. 208
Pur benché della perfida età nostra,
in cui lume benigno non si scerne,
non degenere io sia, l'atroce chiostra
non vidi mai senza dispetto averne.
Ed or più spaventosa a me si mostra
anco la faccia delle mura esterne,
or che la mente a santa impresa ha volta
che belle vi farà la prima volta. 216
Parmi veder su i vostri baluardi
a far la scolta morte taciturna,
e inalberar due funebri stendardi,
in cui teme soffiar l'aura notturna;
e par che sulla torre un rogo guardi,
e accenni colla man sul lago un'urna.
Ah, la pira, la tomba, e l'adre insegne
son per qualcun che in questo punto spegne!" 224
Mentre ei delira, ecco dall'alta torre
un picciol fuoco uscir che l'ombre fende,
e vacillando alla sua volta corre,
e alfin sui saettati occhi gli splende:
e or fugge, or torna, or si va basso a porre.
Or alto, or si dilegua, or si raccende,
or d'intorno lievissmo gli ronza,
e i capei ritti per terror gli abbronza. 232
Dando addietro tremò, l'occhio travolto
volgea d'intorno ricercando scampo,
e fuggito sarebbe a freno sciolto
se sparito non fosse il fatuo lampo:
si sgomentassi ei che di lance un folto
bosco affrontò sovente ardito in campo
tanto la ruggin di que' secoli orbi
fea gl'intelletti grossolani e torbi. 240
La settentrional vedova notte,
che sparse sull'Italia il nembo goto,
non anco appien fugata avean le dotte
stelle, che ornar d'Arabia il ciel remoto,
e che da crasse qualità prodotte
fosser tali fiammelle era anco ignoto:
anime confinate eran credute
non ancor degne d'ottener salute. 248
Stimavanle altri savi alme dannate
a star dove commiser colpe rie,
e a passar nell'abisso riservate
dopo il tremendo novissimo die;
quai fosser, dissipar non seppe il frate
all'uopo sì fantastiche follie,
perché godea di santa opinione,
ma non era in dottrina un Salomone. 256
Pur confortandol come sapea meglio,
si fece avanti, e quel venia secondo;
giunsero intanto, il cavaliere e il veglio,
all'alta ripa d'un vallon rotondo
che del suddito lago si fa speglio,
qual della bolgia è nel bacin profondo:
da quell'altura in sull'opposta riva
quanto è grande il castel si discopriva. 264
Veggion da lunge, pei balconi aperti,
che ogni sala di lumi sfolgoreggia,
e odono un lungo suon di canti incerti,
onde la valle e la montagna echeggia;
e dove il sacro campanil gli aperti
piani, e l'annessa chiesa signoreggia,
ascoltan la campana della villa,
che, a martel tocca, orrendamente squilla. 272
Stupiti vanno il lago costeggiando,
e tosto giungon dietro a un monticello,
che, tra il lago e la via la fronte alzando,
lor nasconde la lama ed il castello;
e il veggiono di nuovo oltrepassando,
e di fiaccole e d'uomini un drappello
veggion gir dal palagio, ove si estolle
il rusticano borgo in vetta al colle. 280
Come chi vien da Vetulonia a Roma
per quella via che sul burrato sporge,
giù nel profondo il lago, che si noma
di Ronciglione, alla man destra scorge;
gliel para poi d'un monticel la chioma,
indi il rivede, indi altro monte sorge,
e mostra il montuoso inegual suolo
diversi laghi, e sempre è un lago solo; 288
Cosi, veggendo trapassar costoro,
e giunti dove il terzo colle manca,
imprimono a livel del lago i loro
vestigi, ed il castello han sulla manca:
e già il mattino di porpora e d'oro
veste l'alte montagne, e il ciel s'imbianca,
e fan gli augelli e gli umidi cristalli
novellamente risuonar le valli; 296
Ché omai col nappo argenteo e col canestro
pien di manna e di fior sorgea l'aurora,
ponendo in vetta all'Appennino
il piè legger, che il sol da tergo indora
dal ventilar del suo bel vel cilestro
la messaggiera uscia piacevol ora,
e l'annunziava all'umida vallea,
ove pigra la notte ancor sedea. 304
Dal vallon buio veggiono sul monte,
che illuminano i raggi mattutini,
il corteo luttuoso, e lor son conte
le sentenze dei cantici divini;
ché il colle quei non salgono di fronte,
ma obliquamente, e son tuttor vicini,
e quattro sottopongono la spalla
ad un feretro, che in andar traballa. 312
Son della bara funerale ai lati
con torchi in man, pel nuovo di languenti,
due lunghi ordini d'uomini incappati,
che han nei cappucci le fronti dolenti
i cappucci, in due parti traforati,
apron le viste ai loro occhi piangenti;
bianche han le cappe, e il primo della schiera
porta la croce con la banda nera. 320
Con oscura zimarra e bianca cotta,
leggendo i rituali del mortorio,
il sacerdote va tra gli altri in frotta
che intuonan supplicanti il responsorio;
sul cataletto funebre tal'otta
sparge l'acqua lustral coll'aspersorio,
ed or mormora basso, ed alto or canta,
e lo imita la turba tutta quanta. 328
Davide e le fatidiche Sibille
chiamando in testimon di lor parole,
cantan come dovran tra le faville
i tempi consumarsi, e gli astri e il sole,
e d'ira il giorno in cui con le pupille
torve Iddio mirerà l'umana prole,
e i morti lasceran le vecchie tombe
allo squillar delle celesti trombe. 336
Cantano il parce, il taedet, ed i tristi
del provato da Dio Giobbe idumeo;
e l'elegia che tu, Sionne, udisti
cantar dopo il peccato al re jesseo
e par che da lontan cori non visti
replichin quel canoro piagnisteo,
e sembra ogni boscaglia, ogni caverna
chieder luce perpetua e requie eterna. 344
Percosso da tristissimo sospetto,
dice al compagno il cavaliere allora:
"Vanne, e che fu dímanda; io qui ti aspetto,
che andar non so, tanto terror mi accora".
Sprona a quei detti il frate il suo ginnetto,
e giunge a sommo il colle appunto allora
quando già sono entrati i funerali
della chiesa nei santi penetrali. 352
Ciascuno, a lui che attende, si nasconde.
E le nenie lugùbri più non ode;
ma un altro canto ascolta in riva all'onde
con dolce malinconica melode:
ed era un villanel, che l'infeconde
coltivando del lago infauste prode,
rompea le zolle con la splendid'arme,
alternando il lavor con questo carme 360
" Nelle foreste d'Appennin superno
lisa piangea, perché il prefisso giorno
il desiato sposo al suol paterno
dalla Maremma più non fea ritorno;
scorse l'estate, e ritornò l'inverno,
e nol rivide nel natio soggiorno;
andarne volle a ricercarlo alfine
col padre che scendeva alle marine. 368
E riposando un giorno il fianco lasso
sopra una selce al termin della via,
detto le fu che sotto di quel sasso
l'ultimo sonno il suo fedel dormia.
Rivolse il padre ai patrii colli il passo,
ma non avea la figlia in compagnia,
che dalla tomba la chiamò lo sposo,
e in quella ricongiunti hanno riposo. 376
Del tosco rriontanaro ecco le sorti:
morte germoglia ov'ei gittò sudore,
ma, per dar vita ai figli e alle consorti,
è invidiato fra di noi chi muore;
però che d'essi, quando noi siam rnorti,
verace è il pianto come fu l'amore:
questa certezza i nostri affanni molce,
e anco il perder la vita a noi fa dolce". 384
In udir quei concetti, al cor gli scende
tenace inesplicabile tristezza;
l'antiveder, per cui dubbioso pende,
gli fan quei detti divenir certezza:
freddo ghiaccio le fibre gli comprende,
par che di nuovo pianto abbia vaghezza,
ed alfin, furibondo e impaziente,
si spicca, e corre alla rnagion dolente. 392
Giunge, e niun vede, e niuno ascolta: regna
silenzio intorno spaventoso e muto;
nell'uscio invan di penetrar s'ingegna,
ché il ferreo ponte in alto è sostenuto,
e par che dai veroni un fetor vegna
d'atro bitume dall'ardor soluto;
fumo coi torchi a nebbia misto ingombra
l'aer maligno, e le pareti adombra. 400
Fermo, a gran voce il castellano chiama,
e indarno stassi alle risposte intento;
e di chiamar la Pia pur ebbe brama,
ma gli mancò la lena e l'ardirnento.
Gira per ogni parte, indi richiama:
ma le inutili grida porta il vento;
e quei muti balconi e quelle porte
tacenti gli favellano di morte. 408
Del bronzo i tocchi, e delle cere i fumi,
l'esequie, il canto, e le deserte mura,
tutto gli svela della mente ai lumi
l'ultima irreparabile sciagura;
precipita di sella, e va fra i dumi
e i massi della costa in vér l'altura,
e per non trita via, d'altre più pronta,
con mani e piè verso il villaggio monta. 416
Da sassi e spine malmenato, e vinto
dal disagio, alla chiesa giugne retro,
di terragne muraglie ad un recinto
che i cipressi coniferi fan tetro:
fra i lenti rami lor chiama un estinto
l'upupa immonda in luttuoso metro,
e ben mostrano i simboli di pianto
esser quel della villa il camposanto. 424
Giunge, e vede al calar della muraglia
il ceduto caval del frate scarco;
era questo un destrier di molta vaglia,
leggiero come stral di partic'arco,
caro alla Pia, quand'ei dalla battaglia
riedea salvo recando il dolce incarco;
d'orzo pingue e d'avena il fea satollo,
tergeagli i crini, e gli palpava il collo. 432
Piange il cavallo e immobile e confuso
sogguarda torvo, e i brevi orecchi tende,
china al suol la cervice, e il crin diffuso
cade nel fango, e per la fronte pende;
pel turgido di vene equino muso
un rio di grosse lagrime discende,
e lava il fren d'argentee borchie ornato,
e le briglie, che sparse erran sul prato. 440
e il caro condottier veduto appena,
gli si fa incontro, e il guarda, e a mano a mano
saltellandogli innanzi, ov'era il mena,
e par dotato d'intelletto umano,
e gli accenna nel mezzo all'inamena
cerchia un cencioso e debile villano,
che allora allor cavata fossa serra
gettando in quella la sottratta terra. 448
Corse alla sponda del recente avello,
e vide (ahi! ché non vide!): ei mise un acre
grido, tal che cader fe' al villanello
la marra dalle man rugose e macre;
e nel tumul gettavasi, e di quello
turbate avria le cavitadi sacre,
se il frate ed altre genti di sull'orlo
del tristo avel non accorreano a torlo. 456
Qui la sua Pia riconosciuta avea
ricoperta di terra insino al mento
morte nel volto suo bella parea,
e lui che stava a seppellirla intento,
quasi rapito dalla vaga idea,
ove un gemino sol vedeasi spento,
le caste membra avea coperte, e il viso
di offender colle zolle era indeciso. 464
Ella giacea, qual mandorlo fiorito
nell'anno giovinetto in riva all'acque;
venne la piena, e ruinando il lito,
sull'arenoso letto il tronco giacque;
lo sbarbicato ceppo è seppellito
dal fango, e il fusto che si schietto nacque
sol fuor sovrastan le ramose spoglie
mostrando aridi fior, squallide foglie. 472
Surto l'illustrator della natura,
lanciando nella tomba il primo raggio.
col vagheggiar la santa creatura
prestavale il pietoso ultimo omaggio;
ma quando vide empir la sepoltura,
e coperto di terra il bel visaggio,
fra le nubi celossi, e gemer parve,
e a' mortali quel di più non comparve. 480
Nello quei pii frattanto aveano scorto
nella chiesa vicina; ivi si assise
vergognoso chinando il viso smorto,
né pianse, né parlò né sospir mise.
parean, tant'era in pensier gravi assorto.
Sue membra dallo spirito divise,
e fea del duol ritegno alla licenza
della casa di Dio la riverenza. 488
Cosi di sotto alla celeste volta
nelle notti d'april serene e belle,
suol del mar la spumosa onda sconvolta
riverente acquetar le sue procelle,
ed ha pace, mirando andarne in volta
del ciel le innumerabili facelle,
e quant'ira tuonar sul flutto udissi
geme sepolta negli equorei abissi. 496
Chi dirà come la salma rimossa
tornonne al loco ove natura dorme!
Ah! dove volgi il pié, chiusa è la fossa,
nè più in terra vedrai le amate forme.
Inginocchiossi sulla terra smossa,
posando il capo sovra un sasso enorme:
sparsa non lunge la gente seguace,
quell'immobile guarda, e immobil tace. 504
Tal nel deserto pian di Selinunte
le vetuste colonne immote stanno,
altre intere, altre tronche, altre consunte
dal veglio antico dell'età tiranno;
e in file ora interrotte ed or congiunte
malinconica siepe all'ara fanno,
e allo stranier che guarda il marmo sacro,
mesto di non trovarvi il simulacro. 512
Pretese poi di satisfar la bella
anima, che dal bel corpo si sciolse,
vita menando penitente in quella
magion, che a lei la dolce vita tolse:
in Siena, e nelle prossime castella,
del fiero avvenimento ognun si dolse,
ed a distorlo venner di lontano
i parenti e gli amici, e sempre invano. 520
Ma quando si ascoltò per quei contorni
suonar la tromba di novella guerra,
d'avviso fu che terminar suoi giorni
meglio era a scampo dell'avita terra
lasciar volle i mortiferi soggiorni,
ma il monte non passò che il lago serra:
eran già fatte le sue membra inferme,
e infuso in esse della morte il germe; 528
E riedere al castello gli convenne;
né durò molti di, ché una mattina,
con quella sepolcral pompa solenne
che accompagnò la Pia sulla collina,
la morta spoglia sua translata venne
al campo ove giacea quella meschina;
e sul comun sepolcro ancor l'acerba
sorte ne piange il venticel fra l'erba. 536
Sotto l'assiduo martellar dei lustri
cadde il castello, e i diroccati brani
de' muri suoi, per empietade illustri,
fér tristo ingombro alli infelici piani;
crebber le limacciose onde palustri,
e ne coprir le fondamenta immani
or si odon lamentar, sotto l'interne
volte, converse in umide caverne. 544
E dicon che talor da quei rottami
voce profonda come d'eco emerge,
e sembra che la Pia dal fondo chiami;
ed ella appai sull'onde e vi s'immerge;
e quando scuote il vento i bruni rami
del folto bosco che sul lago s'erge,
vi si odon canti e salmodie lontane,
e arcano suon di funebri campane. 552
Né qui sveller virgulti, o fender zolle
l'ausiliario agricoltor s'attenta;
e, salvo ritornando al natal colle,
quando Maremma inospital diventa,
la sera, assiso sull'erbetta molle,
all'adunata gioventude intenta,
l'udita istoria, che per lunga scende
tradizion di padri, a narrar prende. 560
E ciò narrando, alternamente adocchia
i parvoli scherzanti; ed or li abbraccia,
or li fa mobil peso alle ginocchia,
or dolce incarco alle robuste braccia.
l'ode la moglie, intenta alla conocchia,
e la luna, che a lei risplende in faccia,
la concetta pietà, che muta cela,
sulle bagnate guance altrui rivela. 568