Bartolomeo Sestini - La Pia dei Tolomei

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Rhal
00lunedì 25 giugno 2007 12:05
CANTO PRIMO

Tra le foci del Tevere e dell'Arno,
al mezzodì giace un paese guasto:
gli antichi Etruschi un di lo coltivarno,
e tenne imperio glorioso e vasto:
oggi di Chiusi e Populonia indarno
ricercheresti le ricchezze e il fasto,
e dal mar sovra cui curvo si stende
questo suol di Maremma il nome prende. 8

Da un lato i lontanissimi Appennini
veggionsi quasi immensi anfiteatri,
e dall'altro tra i nuvoli turchini
di San Giulian le cime e di Velatri,
e dalla parte dei flutti marini,
sempre di nebbia incoronati ed atri
sembrano uscir dall'umido elemento
i due monti del Giglio e dell'Argento. 16

Sentier non segna quelle lande incolte,
e lo sguardo nei lor spazi si perde:
genti non hanno e sol mugghian per molte
mandre quando la terra si rinverde:
aspre macchie vi son, foreste folte
per gli anni altere e per l'eterno verde,
e l'alto muro delle antiche piante
di spavento comprende il viandante. 24

Dalla loro esce il lupo ombra malvagia
spiando occulto ove l'armento pasca,
il selvatico toro vi si adagia,
e col rumore del mare in burrasca
l'irto cinghiale dagli occhi di bragia
lasciando il brago fa stormir la frasca,
se la scure mai tronca gli sterpi
suona la selva al sibilar dei serpi. 32

Acqua stagnante in paludosi fossi,
erba nocente che secura cresce,
compressa fan la pigra aria di grossi
vapor, d'onde virtù venefica esce;
e qualor più dal sol vengon percossi
tra gli animanti rio morbo si mesce;
il cacciator fuggendo, dal lontano
monte contempla il periglioso piano. 40

Ma il montagnolo agricoltor s'invola
da poi che ha tronca la matura spica;
ritorna ai colli, e con la famigliuola
spera il frutto goder di sua fatica:
ma gonfio e smorto dall'asciutta gola
mentre esala l'accolta aria nemica,
muore, e piange la moglie sbigottita
sul pan che prezzo è di si cara vita. 48

Io stesso vidi in quella parte un lago
impaludar di chiusa valle in fondo;
del dì poche ore il sol vede, e l'immago
di lui mai non riflette il flutto immondo,
e non s'increspa mai, nè si fa vago
allo spirar d'un venticel giocondo,
e ancor quando su i colli il vento romba
morte stan l'onde come in una tomba. 56

Le rupi che coronano lo stagno
son d'olmi vetustissimi vestute;
crescon dove l'umor bacia il vivagno
i sonniferi tassi e le cicute:
talor del gregge il can fido compagno
morì, le pestilenti acque bevute;
e gli augei stramazzar nell'onda bruna
traversando la livida laguna. 64

Tempo già fu che a pié del curvo monte
la cui falda allo stagno forma lito,
torreggiante palagio ergea la fronte
fin dai longinqui tempi costruito:
fosso il cingea cui sovrastava un ponte
mobil di bastioni ardui munito:
così difeso il solitario tetto
d'inespugnabil rocca avea l'aspetto. 72

Occultando la fredda gelosia
ond'era morso, a quel temuto ostello
ti conducea, mal capitata Pia,
il tuo consorte sire del castello:
per far men grave la penosa via
a lui volgevi il volto onesto e bello,
trattenendol con bei ragionamenti
che avean risposta d'interrotti accenti. 80

Il caval, con andar soave e trito,
Oltre la porta, e va del peso baldo:
ella ha nell'una man flagel guernito
d'oro, e nell'altra il fren sonante e saldo;
cela la bianca man guanto polito
d'una pelle color dello smeraldo,
e l'ostro avvolge il piè che leggermente
preme mobil d'acciar staffa lucente. 88

Largo al turgido petto, all'anche stretto,
col cingolo tra l'omero e l'ascella,
affibbiato davante un corsaletto
le fa sostegno alla persona snella:
Trapunta a stelle di lavor perfetto
veste al di sotto cerula gonnella;
tale appar, di stellato azzurro velo
cinto, il secondo luminar del cielo. 96

Di fiorentina nobile testura
zendado cremisin le stringe il fianco;
in nodo si raccoglie la cintura,
pendula cade poi sul lato manco;
velloso pileo d'attica figura
cui sovra ondeggia un pennoncello bianco,
le nere chiome in parte accoglie, e in parte
libere cader lascia all'aura sparte. 104

Il faticoso andar per la foresta
fa che la dolce faccia il color prende
con che di verecondia una modesta
donna subitamente il volto accende:
l'acceso aspetto, il sol che la molesta,
di sudor l'empie, e più leggiadro il rende:
come abbella amaranto porporino
con le rugiade un limpido mattino. 112

Ché rose fresche, co1te in paradiso,
son le gote, e le luci astri immortali,
e sembra della bocca il dolce riso
riso di nunzio che dal cielo cali;
il labbro è smalto di rubin, diviso
da due fila di perle orientali;
sembra la fronte or or caduta bruma,
e il sen di pellican candida piuma. 120

Cosi varca costei l'ime Maremme
qual raggio che fra i nembi il sole scocche,
e l'erba al suo passar par che s'ingemme
di fiori, e brami che il bel piè la tocche;
sì vaga non mirò Gerusalemme
Erminia cavalcar fra le sue rocche,
né l'Ercinia mirò sì vaga in sella
passar di Galafron la figlia bella. 128

Danno la via meravigliati i boschi
non usi a contemplar tanta bellezza,
1'ora natia di quei roveti foschi
di scherzarle fra 'l crin prende vaghezza:
ma il venticel che vien dal mar de' Toschi
piange inentre passando la carezza,
quasi fosse il sospir della natura
antiveggente la di lei sciagura. 136

S'apron le ferree porte arrugginite
del castel stato da molt'anni chiuso,
però che il castellan, le imputridite
acque schivando, avea l'albergo suso,
ove una chiesa e molte case unite
erano crette dei vassalli ad uso,
del vicin monte sulle verdi spalle
d'onde il castel si domina e la valle. 144

Entran la bella donna e il cavaliere
nel limitar della magion ferale;
non travagliata da verun pensiero
ella ricerca i vuoti atrii e le sale:
osserva l'ampio e sinuoso ostiero
e i nascondigli e le ritorte scale,
d'onde si cala in cave di tenè bre
che percorron del monte le latè bre. 152

Vede alle mura ed alle travi appese
armi smagliate di guerrier vetusti,
e insegne nei civili assalti prese,
rastrelli e sbarre d'alberghi combusti:
legge descritte le onorate imprese
nei piedestalli degli sculti busti;
e il loco estranio contemplando, sente
gioia e stupor la giovinetta mente. 160

Era in mezzo al palagio d'echeggiante
portico cinta spaziosa corte;
al chiostro laterale eran davante
spazi e colonne ottangolari e corte;
sovr'esse d'archi un ordine pesante
pensile sostenea muraglia forte,
che ergeasi a fil del peristilio per li
aerei campi sollevando i merli. 168

Nelle quattro pareti inferiori
del ricorrente portico sonoro
eran dipinte a splendidi colori
antiche istorie di sottil lavoro;
parean le forme rilevate in fuori,
e detto si saria: "Parlan costoro":
e desto l'eco in quelle ereme sedi
parea sentirne il calpestio dei piedi. 176

Dardano quivi comparia primiero,
e i Pelasghi il seguian col ferro in alto,
finché, per riaver l'equin cimiero
a lui caduto, si vedea far alto,
e vincer l'inimico; e in quel sentiero
ancor coverto di sanguigno smalto,
era da lui nobil cittade cretta
dal caduto cimier Corito detta. 184

Poi contendea l'eredità paterna
bel dominio di popoli felici;
v'eran l'Erinni alla tenzon fraterna
rigorose assistenti e instigatrici;
e d'Asio, che le luci in ombra eterna
chiudea, tali apparian le cicatrici,
che appressandoti a lui creduto avresti
che il sangue ti spruzzasse in sulle vesti. 192

A vendicarlo poi venia per l'onde
d'Atlante mauritan Siculo il figlio:
parean d'armati brulicar le sponde
brune per l'ombra di si gran naviglio,
e Dardano fuggiasi ai monti, d'onde
chiara in affanni, in armi ed in consiglio,
all'Enotria natal riedea sua prole
per domar quanta terra illustra il sole. 200

Mesenzio de' cavalli il domatore
potea raffigurarsi all'opre conte,
e contro lui sulle spalmate prore
venia fra i toschi giovani Tarconte;
poi nel corpo del re, stranier signore,
apria di sangue altrui succhiato un fonte,
e il suol mordea fra l'altrui grida e il plauso,
dolente ancor pel mal difeso Lauso. 208

Dall'altra parte comparia Porsenna
cingente Roma d'inimico vallo:
sul ponte Orazio qua brandia l'antenna,
e là Clelia affrettava il gran cavallo;
fermo qual tronco della nera Ardenna
Scevola all'ara, del commesso fallo
punia la destra mal fida ministra,
minacciando tuttor colla sinistra. 216

Ultimo, cinto il crin di sacre foglie,
e invaso da celeste vaticino,
v'era, tra ricchi templi ed auree soglie
Asila, sacerdote ed indovino;
sollevarsi parean le sacre spoglie
sul sen pregnante d'alito divino,
parean cambiar le gote, e le lanose
labbra tali predir future cose 224

Queste spesse città, questi lucenti
delubri, queste fertili colline,
e queste vie di popolo frequenti,
diverran solitudini e ruine,
e faran guerre le future genti
per dilatarsi nell'altrui confine;
mentre sarà negata una colonia
al più bel suol della ferace Ausonia. 232

Tal era l'ammirabil magisterio,
ed era fama che gran tempo avante
un baron, dando ospizio a Desiderio,
quando ivi giunse cavaliere errante,
le prische prove del valore esperio
vi avea fatte ritrar da un negromante,
che con l'aita dei maestri stigi
in una notte fe' tanti prodigi. 240

Colta da strania meraviglia vede
la Pia tai cose, e mentre intorno gira,
s'arretra il guardo se va innanzi il piede,
e finché dura il giorno attenta mira;
quando delle crescenti ombre s'avvede
nelle camere interne si ritira,
ove ancor le riman molto a vedere
allo splendor di lampade e lumiere. 248

Intanto il suo signor con bassa testa
di qua, di là, di su, di giù va ratto;
or si batte la fronte ed or si arresta,
e fissa gli occhi e par di pietra fatto,
com'uom non uso al fallo, e che si appresta
meditato a compir nuovo misfatto:
ma omai la notte, il sol nel mare ascoso,
ciascun, tranne costui, chiama al riposo. 256

A mensa ei siede muto e turbolento;
stagli incontro la donna, e fissa i rai
più che nei cibi in lui, ché il turbamento
mal celato ne ha scorto; e poi che assai
stette in silenzio, grazioso accento
movendo, gli dicea: - Sposo, che hai?
- Nulla - ei rispose -, ed un amaro riso
chiamò sul labbro, e non fe' lieto il viso. 264

Ma poi che il castellan la mensa tolse
e restar soli nella chiusa stanza,
le bianche braccia al collo ella gli avvolse
siccome avea di far sovente usanza:
poi nelle mani sue la man gli accolse,
e con ingenua e tenera sembianza
la strinse e ne sperò bel cambio invano;
qual di persona morta era la mano. 272

Tremò, s'impallidi, ma avvalorata
da coscienza di sentirsi pura,
e visto che di seno avea levata
per notarla, domestica scrittura,
pensò che avesse l'anima agitata
del censo avito in qualche acerba cura,
e si scostò con femminil modestia
onde al suo cogitar toglier molestia. 280

Sciolse l'aurate fibbie, e delle schiette
vesti spogliossi il colmo fianco e il seno;
come fu tra le coltri ed ei credette
ch'ella dormisse, sorse in un baleno,
si mosse a lenti passi e poi ristette
immoto, indi ai sospiri allargò il freno,
e con fioca sclamò voce dimessa:
- O donna a me fatale ed a te stessa, 288

ecco il fin dei connubi inaugurati!
Tu principio, tu fin de' miei desiri
far potevi i miei giorni e i tuoi beati;
or sei cagion de' miei, de' tuoi sospiri:
per placarmi espiando i tuoi peccati
qui muori; io fra i rimorsi ed i martiri
morrò; vendetta avrommi e non conforto,
ma teco starmi non poss'io che morto. 296

Spezzati dunque, o mio vil cor, per doglia
se non sai non amar, né di gel farte;
ma se al disegno mio fia che tu voglia
contrastar, di mia man saprò strapparte. -
Disse, e a passi sospesi in ver la soglia
giunto, si volse alla sinistra parte,
e il guardo corse involontariamente
sulla misera femmina giacente. 304

In un atto soave ella dormiva
piegata alquanto sovra il destro lato;
fea letto al capo un braccio, e l'altro usciva
dai lini, mollemente abbandonato;
le inondava il crin sciolto la nativa
neve del collo e l'omero rosato,
e tralucea dal volto nella calma
una tranquillità di candid'alma. 312

Come al predone opposita procella
vieta la fuga, a lui l'andar fu tolto;
ed, "Oh!" tra sé sclamò "quanto sei bella!".
E in questo dir le si appressava al volto.
Tal forse Adamo contemplava, quella
notte da cui fu l'error primo avvolto,
addormentata allo splendor degli astri
la leggiadra cagion de' suoi disastri. 320

In estasi rimase, e già le braccia
correano al segno ov'era la pupilla;
correa la bocca sulla rosea traccia
ch'era d'eterno fuoco una favilla,
allor che scorse sulia bianca faccia,
pari a perla eritrea, lucida stilla;
dai propri lumi la conobbe uscita,
avvampò di vergogna e fe' partita. 328

Partisti, o dispietato, e ti dié il core
d'abbandonarla, e non vedesti come
qua e là le mani stese al nuovo albore
per ricercarti, e ti chiamava a nome;
nè ti trovando sorse, e in vago errore
scorrean le vesti e le fluenti chiome:
t'avria vinto in quell'atto mesto e vago,
se stato fossi un'anima di drago. 336

Cerca e richiama e niun risponder sente,
onde si ferma e sta dubbia e pensosa;
s'allegra alfine udendo lo stridente
ponte che al basso calando si posa;
ode alcuno avanzarsi, e all'imminente
vestibul corre tutta desiosa,
ed ecco con le salde chiavi in mano
apparirgli a rincontro il castellano. 344

E a lei che impaziente del marito
chiedea, rispose, che poc'anzi al giorno
nella selva vicina a caccia er' ito,
e innanzi sera avria fatto ritorno;
e come dal baron fu statuito,
che mentre sola ivi facca soggiorno
servitude a prestarle ei fosse intento
in tutto ciò di ch'ella avea talento. 352

Appagossi a quel dir la semplicetta,
ma non raccolse l'usata quete:
tutto quel di per casa errò soletta
e non piangea, ma avea di pianger sete,
pensando ch'ei la man non le avea stretta,
nè di baci le fe' le guance liete,
e dal letto partissi inosservato
senza degnarla dell'amplesso usato. 360

Come quel di fu lungo! Ombrosa uscio
notte dal lago ed ei non fe' ritorno:
e invano intenta ad ogni calpestio
stette, e ad ogni romor che udia d'intorno.
occhio giammai non chiuse; alfin aprio
l'alba i balconi d'oriente al giorno,
e nell'alto orizzonte il sol pervenne;
desta trovolla e quel crudel non venne. 368

Quel giorno intero e tutti gli altri due
attese indarno men viva che morta;
ma quando al quinto di venuta fue,
e il castellano udi giunto alla porta,
qual forsennata dalle scale giue
corse, sciolti i capei, la faccia smorta;
e, il vel stracciando, con grido affannoso:
- Dove, dove - sclamava - ito è il mio sposo 376

Così pria della sera ei dalla caccia
riede, e mentre egli puote in quei deserti
esser perito, e mentre il ciel minaccia
strani accidenti, rimanete inerti?
Ma a voi non cale; io stessa andronne in traccia,
io cercherò le grotte e i campi aperti,
e troverollo, o le fere che guasto
hanno il bel corpo suo m'avranno in pasto. 384

Così dicendo, verso la vicina
porta correa che aperta fu pur dianzi,
quando il rozzo scherano alla tapina,
con mal viso e mal cor parossi innanzi:
- Sostate, - disse - il signor qui destina,
finch'ei non rieda, che madonna stanzi,
e qui v'è forza dimorar solinga;
d'uscir vana speranza vi lusinga. 397

Raccapricciò la dolorosa moglie
a tal dir che un abisso anzi le apria;
e ben presaga omai che in quelle soglie
dovea menar la vita in prigionia,
proruppe in pianto, lacerò le spoglie,
e di grida e di duol le vòlte empia,
e non reggendo al duro accorgimento,
semiviva cascò sul pavimento. 400

E poi che in guisa tal stata fu molto,
sul cubito levando il corpo obliquo
restò seduta, e tra le palme il volto
pose, muta pensando al caso iniquo;
statua sembrar potea di marmo scolto
entro l'ingresso d'un sepolcro antiquo,
se non vedeasi pei sospiri il largo
sen colmarsi e scemar com'onda al margo. 408

Poi gli occhi alzando, anzi le chiare stelle,
d'onde sgorgavan lagrime infinite
già per le guance pria vermiglie e belle,
or somiglianti a rose scolorite,
rose non colte in lor stagion, si ch'elle
sien sul secco cespuglio impallidite:
- Sposo, - dicea - così mi lasci e parti,
e imprigioni chi rea solo è d'amarti? 416

Perché se altrui perfidia o mal concetto
tuo dubbio avvien che me non conscia incolpe,
contro le altrui calunnie e il tuo sospetto
ascoltar non vorrai le mie discolpe?
Veduto avresti almen che a torto infetto
credi il mio sen di maritali colpe,
e che ancor t'amo si che più mi duole
il perder te che il non veder più il sole. 424

E se fallanza involontaria e ignota
alla memoria mia pur t'era grave,
e perché simular, nè farla nota?
Non ha amor fallo che pianto non lave,
ed avrei pianto, ed a' tuoi piedi immota,
forse avrei volta del tuo cuor la chiave,
nè avrei lasciato il pianto e la preghiera,
se rimessa da te l'onta non m'era. 432

E largo di perdon stato saresti
a chi segni ti dié d'amor si forte;
e se implacabil stato fossi e ai mesti
voti sordo e al dolor della consorte,
o, stanco del mio talamo, m'avresti
colle stesse tue man data la morte,
oh quanto era per me miglior ventura
che viva esser sepolta in queste mura! 440

Sì disse, e a stento ove posò la notte
tornava, e steso sopra il letto il viso,
con voci dalle lagrime interrotte
disse: - O vedovo letto, io fui d'avviso
quand'ebbi pria le membra in te ridotte,
che tu mi aprissi in terra un paradiso.
Oh, come or sembri squallido e deserto!
Non miro in te che il mio feretro aperto. 448

E in te morrò ché in brevi di consunto
sarà il mio fral da mille angosce e mille;
nè assistenza d'amica o di congiunto
avrà il mio corpo lagrimose stille;
nè confidante man nel duro punto
pietosa chiuderà le mie pupille,
e la mia madre ignorerà qual terra
chiede i suoi prieghi e il cener mio rinserra. 456

E fien brevi i miei di, ché sul confine
sentomi omai dell'ultimo passaggio,
ma i mali col morir non avran fine,
ché in morte ancor mi sarà fatto oltraggio:
ahl che diranno le città vicine,
quai non san che fallato unqua non aggio?
Qual più resta conforto a donna grama,
se perde oltre la vita anco la fama? 464

Sorgea da forsennata in questo dire,
e mordendo il lenzuol battea le piante,
siccome ebra bassaride suol ire
a chiome sparse sull'Ismen sonante;
e vedeasi ai balconi ire e redire,
forte chiamando il dispietato amante,
e urlavan seco in flebile ululato
le sale dell'ostello inabitato. 472

E chi non avria pianto a quella vista?
il castellan non già, d'una parola
pur anco avaro, ché persona trista
la cortesia d'un motto ancor consola;
e l'abborrita mensa a lei provvista
l'abbandonava in quello stato sola,
tornando al colle a vincer le maligne
aure col don delle volsinie vigne. 480

E diceasi per l'umile paese
star nel castello quella tanto chiara
Pia, per cui fatte fur ben mille imprese
dai cavalier che la chiedeano a gara,
per esser bella, affabile e cortese
sopra ogni altra curopea donna preclara;
e che sol per mirar beltà si grande
veniano i Proci dalle stranie bande. 488

Dicean ch'ella de' principi stranieri
non curando l'inchiesta, ed in non cale
ponendo il primo fior dei cavalieri
che per l'Italia avean fama immortale,
ad onta del fratello, i suoi pensieri
avea rivolti con amor leale
a Nello che con essa in Siena crebbe
e vinta ogni contesa a sposa ei l'ebbe. 496

Ed or con maraviglia di ciascuno,
che avea la cosa oscuramente intesa,
era da lui dannata al carcer bruno
in turpe fallo avendola sorpresa.
Così diceasi, ed abitante alcuno
neppur coi detti ardia farne difesa;
sol qualche femminetta per la pieta
le offeriva una lagrima secreta. 504

Era nella stagion che il sole accende
del celeste Leon le giube bionde,
e mostra il mondo che la faccia fende
le viscere di pioggia sitibonde,
e sul gambo ogni fior languido pende,
aride pendon le ingiallite fronde,
e a stelle crudelissime in governo
parean quelle Maremme un nuovo inferno. 512

Signoreggiò tal anno nelle calde
Maremme nostre inusitata arsura,
ignee colonne fino a terra salde
parean piover dal sole alla pianura:
cadea il sol cinto d'infiammate falde
predicendo peggior l'alba futura.
Misera Pia! l'istesso cielo infausto
parve voler tua vita in olocausto. 520

Taccion l'opre de' campi; i villanelli
fuggon la valle di lor vita ingorda,
e nelle fratte appiattansi gli augelli
cinguettando con voce incerta e sorda;
sol la cicala in vetta agli arboscelli
collo stridulo metro i campi assorda,
nè contro al sole di garrir si stanca
finché l'adamantin grido le manca. 528

Non più scorron sonando i rivi alpestri
nei fonti fuor delle petrose conche,
né moto ha fronda nei gioghi silvestri,
nè i venti osano uscir di lor spelonche;
sol misto al leppo dei fuochi campestri
che ardon le paglie dalle falci tronche,
dalle roventi sabbie di Marocco
qual vampa di vulcan soffia Scirocco. 536

Né più la notte del suo gel con vive
perle cadenti i campi arsi rintegra,
nè al dolce nembo delle brine estive
si rinfranca l'erbetta e si rallegra:
e se dall'abbronzate infette rive
di vapori erge il suol nuvola negra,
nella notte invisibile ricade
le morti a seminar non le rugiade. 544

Il notturno squallor non interrompe
zampogna o canto che d'amor si lagne;
del faggio sotto le appassite pompe
non più l'usignolin soave piagne:
ma col continuo aspro concento rompe
il silenzio dell'aride campagne
trillar di grilli, gracidar di rane,
ed ululato di ramingo cane. 552

Quel giovin toro che i lunati corni
baldanzoso ostentò re dell'armento,
e aguzzandoli al cortice degli orni
muggì sfidando alla battaglia il vento,
fugge all'ombra il fervor dei caldi giorni,
né più l'erba ricerca o il rio d'argento;
e giace e inchina il capo e contro ai rari
aliti di ponente apre le nari. 560

Il viator sull'uscio dell'ospizio
esce col sole, e l'orizzonte visto
listato a strisce fiammeggianti, indizio
di giorno del passato anco più tristo,
non ha cuor di fidarsi a certo esizio
nel cammin d'acque e d'alberi sprovvisto;
e nell'albergo ove restar gli spiace
languente e a sé gravoso pondo giace. 568

Fra i muri del caster fatti di fuoco
geme l'abbandonata prigioniera,
nè conforto trovar, nè trovar loco
può da sera al mattin, da mane a sera;
l'intenso ardor le vieta il sonno, e poco
è il refrigerio che dal sonno spera,
ché qualche sogno torbido la sveglia,
e la ricaccia in odiosa veglia. 576

E più sembra che in lei l'ardor s'accresca,
e il mal dell'esser sola in tai disagi,
quando le torna a mente l'onda fresca
di Fontebranda e di sua patria gli agi,
e i colli che odorosa aura rinfresca,
e le mense e le ancelle e i bei palagi,
ove dolce menò vita serena
in temperato clima e in terra amena. 584

Nel maritale albergo avea trovata
una fante vecchissima e devota,
che degli avi di Nello al tempo nata
di quei storia narrava a molti ignota;
e più d'una lor colpa consumata
in quel palagio nell'età rimota;
e che però di quelle sedi impure
tolto possesso avean spettri e paure. 592

Ed aggiungea che v'erano i folletti,
e vi solean le brutte streghe andarne,
e succhiar dei rapiti pargoletti
il fresco sangue ed il cervel stillarne,
e con osceni riti i lor banchetti
gavazzando imbandir d'umana carne,
ed apprestarvi i filtri e le malie
sotto le forme di rapaci arpie. 600

Or soletta la Pia nelle riposte
sedi, in mente volgea racconti tali;
e comeché per mantener nascoste
le stanze al sole e a' caldi venti australi,
dei balconi tenea chiuse le imposte,
cadea l'un mal fuggendo in altri mali,
dando largo alimento al suo timore
il buio, dei fantasmi genitore. 608

E stesa stando sull'ingrato letto
nasconde sotto i lin gli occhi soavi;
e il solitario passero sul tetto
se ascolta, o i tarli nelle vecchie travi,
parle veder con minaccioso aspetto
per la stanza trescar di Nello gli avi;
si rannicchia la trepida, e dimanda
piangendo aiuto, e a Dio si raccomanda. 616

Così Vestale nell'avello occulto
sotto le glebe d'infamato campo,
impaurita dal fallace culto
che a vivere e ad amar l'era d'inciampo,
del fioco lume seco lei sepulto
al moribondo scintillante lampo
tremava, e le parea d'aver presenti
le furie con le faci e coi serpenti. 624

Nelle notti spiacevoli e noiose
per l'aspra angoscia e per l'estivo ardore,
alla fenestra traea l'affannose
membra, onde respirar l'aura di fuore;
e mirava la luna che le cose
di modesto tingea dolce colore,
e specchiando al pantan le sceme guance
fea l'onde negre scintillanti e rance. 632

Ed, "O luna", dicea, "consolatrice
della miseria altrui, tu confidante,
e compagna dell'esule infelice
dal cielo abbandonato e dalla gente,
dehi non calar si tosto alla pendice,
non affrettarti verso l'occidente,
non far che l'etra povero rimanga,
e del tuo lume anco il difetto io pianga. 640

E il chiaror blando che tempra il desio
del cor gentile e di dolcezza inonda,
liberate a me voigi, e in questo mio
nappo di duoi stilla vitale infonda,
e il veggente tuo raggio assista pio
al termin di mia vita moribonda,
e m'accompagni ove all'avello io scenda
e al viator su quello indice splenda. 648

E se dal tempo, come avvien talora,
scoperto il ver sara, l'onor redento,
verrà mio sposo in questa terra,
allora scorgilo ove il mio fral riposi spento:
ei ben vorrà compagna avermi ancora,
satisfarmi vorrà col pentimento,
ma una pietra offrirassi ai di lui sguardi,
e dovrà pianger perché venne tardi". 656

Per lenta febre intanto attrita ed egra
tributava la vita al sozzo clima,
com'uom dai mali oppresso e che si allegra
per morte, e di campar non fa più stima;
ed era scorsa omai l'estate inté gra,
e d'autunno apparia la nube prima,
che in improvvisa pioggia si risolve
l'odor destando della spenta polve. 664

Sorto un di ch'ella già sentia mancarsi
e la salma restar di vita scema,
vedendo dietro ai monti il sol calarsi
volle seguirlo con la vista estrema;
e ai campi e ai colli ancor di luce sparsi,
che ogni uom, lasciando, desioso trema,
un sospiro e un addio per dar pur anco,
al balcon trascinò l'infermo fianco. 672


Rhal
00lunedì 25 giugno 2007 12:06
CANTO SECONDO

E alla velata vista le si offerse
un povero eremita in riva al fosso,
che riedea dalla questua con diverse
vettovaglie nel zaino e un sacco indosso;
bianca avea barba, e ciglia al suol converse,
e dalla nuca ogni capel rimosso,
e, su scabro baston curvo, per via
orava mormorando: Ave Maria. 8

Al chino tergo, all'abito, al canuto
mento, ella riconobbe il solitario,
e ricordossi che l'avea veduto
fuor della cella, innanzi al santuario,
starsi a chiedere a Dio grazie ed ajuto
contro il nostro ingannevole avversario,
sopra un colle, di là poco lontano,
alquanto fuor di strada a destra mano. 16

E dall'alto il chiamò con fievol voce
dicendo: "Miserere, o padre santo!
Per lo tuo Dio che morir volle in croce,
a por mente al mio mal t'arresta alquanto
cattiva in questo domicillo atroce
tienmi il crudo consorte, e muoio intanto,
e qui non ho chi l'ultime rispetti
volontà sacre, e i miei ricordi accetti. 24

A te dunque ricorro, e se vedrai
a sorte un dì passar dalia tua cella
l'uom con cui. son due mesi, ivi passai,
della vittima sua dagli novella;
digli qual mi vedesti, e di' che i rai
chiusi, sposa innocente e fida ancella,
che gli perdono i maleficii sui,
e imploro anche da Dio perdono a lui. 32

E per dargli contezza che morendo
Cli resi per mal far grata mercede,
dagli", - e l'anel dall'anular traendo,
"dagli", seguia, "l'anel ch'ei già mi diede,
e di' che, come questo integro rendo,
tale a lui rendo intatta la mia fede";
disse, e del crin reciso ad una ciocca
aggruppato il gittò fuor della rocca. 40

E soggiungea: "Questa troncata treccia
pur prendi, e se pastore, o peregrine,
o qualche messaggera villereccia,
che ver Siena rivolga il suo cammino,
passa dalla tua casa boschereccia,
alla madre, che ignora il mio destino,
inviala, e l'abbia del mio corpo invece,
sul qual spargere il pianto a lei non lece. 48

E sappia che, morendo, al cielo io giuro
che al mio sposo giammai fede non ruppi,
e le caste virtudi che mi furo
ispirate da lei mai non corruppi;
onde la mia memoria dall'impuro
laccio, in che giace avvolta, disviluppi,
e il carnefice mio sia fatto accorto
d'aver dannata un'innocente a torto. 56

E, ond'io mercè nell'altra vita ottenga,
priega tu Dio, che i falli miei perdoni;
di me, che son la Pia, ti risovvenga
nelle quotidiane orazioni,
e quando fia che accolta in cielo io venga,
pregherò Dio che mai non ti abbandoni".
Sì disse, e nel compir l'estreme note,
con le palme asciugò l'umide gote. 64

Tal se dal sommo d'altissimo masso
la sima agnella, che vi è incauta ascesa,
nel lato ov'è il burron sdrucciola al basso,
e fra la terra e il ciel riman sospesa,
sul caprifico o su sporgente sasso
bela, né può salir, né far discesa;
l'ode il pastor dall'imo, ed a mirarla
stassi, e si duol di non poter salvarla. 72

Alzate l'eremita avea le ciglia
quand'ella pria la voce alzò chiamando,
e pien d'inaspettata meraviglia,
a mano a man la gìa raffigurando.
Benché non fosse più fresca e vermiglia;
un non so che di dolce e venerando
in lei scolpito avea la doglia, senza
involarne l'antica conoscenza. 80

Scadute ahi! troppo le sembianze rare
dall'esser primo, comparian qual suole
l.'astro che opaco nel parelio appare,
pur mostra ancor l'immagine del sole;
o stella che scolorasi sul mare,
se l'alba sparge i gigli e le viole,
quando sembra restar vedovo il polo,
e ne piange nel bosco il rusignuolo. 88

Raccolse il vccchio la gemma, e promesse
a lei di far quanto pregò il suo dire,
aggiungendo che in Dio fidanza avesse,
qual non fa eterno dei buoni il martire;
e ancor seguia, ma l'egra più non resse,
e venir men sentendosi e morire,
vacillante ritrassesi: ed immoto
ei restò contemplando il balcon vuoto. 96

E veggendo che già sull'universo
stendea la notte i maestosi vanni,
fe' ritorno al tugurio, al caso avverso
di lei pensando, e ai non mertati affanni.
L'altro dì sorse, ed egli a Dio converso
pregollo a ristorar del giusto i danni,
dandogli Iume onde prestare aita
a lei, pria che dovesse uscir di vita. 104

Sorgea su bel declivio in piaggia molle
edificato l'abituro agreste;
eran di pietra i muri, erbose zolle
copriano il tetto e tavole conteste
di dietro ad esso rivestiano il colle
intricate e densissime foreste,
e il bianco ostello su quel fondo nero
chiaro apparia da lunge al passaggero. 112

Un picciol orticello era alla destra
distinto in bei riquadri a più filari,
e in quello difendea siepe silvestra
i frutti più alla vita necessari
qui l'eremita avea da fonte alpestra
derivati gli umor nutrenti e chiari,
e dell'ore del di, fatto bifolco,
quel che all'altar togliea donava al solco. 120

Era a sinistra un prato, e piante folte
gli fean ombrella e circolar serrame;
l'avea piantate ei stesso, e venti volte
le avea vedute rinnovar le rame.
Era in mezzo un altare, e di sepolte
creature l'ornava il nudo ossame;
Eravi sopra un cranio, ed incrociati
eran femori e stinchi in tutti i lati. 128

Qui il fraticel, di quel che fare in forse.
Rimase salmeggiando infino a sera,
quando nel piano un cavaliere scorse
che galoppando in riva alla riviera,
dirittamente a quella volta corse
cercando asilo incontro alla bufera,
che parea minacciar pioggie dirotte,
già cominciando ad oscurar la notte. 136

In quel tempo i villan spesso vedìeno
quest'uom d'aspetto torbido e diverso,
dall'arcione al caval lentando il freno
della boscaglia correre a traverso.
Anelante il cavallo ha il tergo e il seno
di larghe strisce di sudore asperso,
e sempre che lo spron sente alla pancia
come locusta celere si slancia. 144

Mena le zampe impetuose innanti,
e divorar le vie sembra nel corso;
scherzan sulla cervice i crin volanti,
e balzan flagellando il largo dorso;
fumo esalan le nari e le tremanti
fibre, e di calde spume inonda il morso;
s'alza la polve e in densa nube il serra,
e sotto al calpestio trema la terra. 152

Giunto sul monte d'onde i flutti sozzi
scopriansi, e del palagio i grigi fianchi,
frenava a un tratto il corridore, e mozzi
detti gli uscian da' labbri asciutti e bianchi;
e tra i fremiti orrendi e tra i singhiozzi
gli occhi aggrottati e già dal pianger stanchi
truci rotava, e sull'ostello tetro
teneali fitti, e rifuggiasi a retro. 160

E già correa precipitoso al chino
in balia del destrier tra gorghi e massi;
davano l'erbe a lui vitto ferino,
e tetto erangli i rami e letto i sassi:
lo additava tremante il pellegrino,
ver l'abitato accelerando i passi,
e fu creduto in tal secol ferrigno
di quei boschi lo spirito maligno. 168

Ringraziò il frate la pieta celeste
Come dappresso in lui lo sguardo intese,
Ché al torvo sguardo, al viso ed alla veste
quei della Pia lo sposo esser comprese:
gli si fe' innanzi, e d'accoglienze oneste,
fattolo dismontar, gli fu cortese;
il suo ronzin prima al coperto addusse,
poi nel rustico albergo lo introdusse; 176

E mentre più si fea la pioggia intensa,
e nero e spaventoso il ciel notturno,
l'ospite siede, e per la doglia immensa
china sul petto il volto taciturno,
e il vecchio diessi ad apprestar la mensa
Coi cibi, frutto del lavor diurno,
e della cella nel più atto loco
di preparate legna accese un foco. 184

Arde il giovine crin d'arbori cionchi,
e in sospeso lebete urta la vampa,
e aperta sotto a quel coi corni adonchi
l'abbraccia mormorando, e in su divampa:
stridon fra i lari i crepitanti tronchi,
e abbagliante splendor la cella stampa,
e fa scoprir sulle pareti umili,
croci, figure e rustici utensili. 192

Poi che il cotto legume e il cereale
pasto venne sul desco, e d'acqua il vase,
e ognun la man vi stese, e il naturale
d'esca e bevanda amor spento rimase,
disse il vecchio: - Ancor notte alta non sale,
n'e il sonno ancor le nostre membra invase,
onde narrar ti vo', se alla memoria
ben mi ritorna, una leggiadra istoria. 200

Su quella via che mena al mar, dov'oggi
passasti qui venendo in piaggia aprica,
che giace all'ombra di due verdi poggi
son le reliquie d'una torre antica;
ramarri e gufi or v'han comodi alloggi
fra l'edre brune e la pungente ortica,
e nell'etadi che già fèr passaggio,
alloggiamento fu d'un uom selvaggio. 208

Vivea di caccia e sol prendea diletto,
mansuefatta l'anima proterva,
nel posseder doppio tesoro eletto,
un cristallino fonte ed una cerva:
vincea il primo in beltà qual mai più schietto
fonte in porfidi sculti si conserva,
né forse fu sì bella la fontana
che finsero gli Achei sacra a Diana. 216

Dall'ampia volta d'incavata roccia
scabra di spume e gruppi cristallini,
cadea l'onda suonante a goccia a goccia
nei nativi ricetti alabastrini,
e raccolta in profonda erbosa doccia
sotto l'ombra dei platani e dei pini,
tacita e bruna susurrando giva
a nutrir l'erbe e ad infrescar la riva. 224

N'era geloso, e non soffria che armenti
vi appressasser le labbia, o viatori;
ed or godea coi derivati argenti
del giardino innaffiar gli arbusti e i fiori;
or della calda estate ai dì cocenti
ristorarsi, bevendo i freschi umori;
or dalla caccia reduce, l'immonda
sudata polve deponea nell'onda. 232

Domestica cotanto era la belva,
Che dalla man di lui prendea pastura,
e dove ogni altra timida s'inselva
seco ella stava ad abitar secura;
scorrea nel di per la vicina selva,
tornando al chiuso quando il ciel s'oscura,
e godea, colla fronte alta e superba
di fiori adorna, carolar su l'erba. 240

Di corallo parean due rami grossi
non anco usciti dalla man del mastro,
del vigilante capo i lucidi ossi;
ed era bianco il pel come alabastro,
tranne gli snelli piedi alquanto rossi,
e il collo che cingea ceruleo nastro,
ov'era scritto negli estremi fiocchi:
son sacra al mio signor, nessun mi tocchi. 248

Un di, che stanco a togliersi l'usbergo
d'aspro cuoio, e a depor l'asta e la daga
riedea con molte prede appeso al tergo,
vide la belva mansueta e vaga
Accosciata anelar fuor dell'albergo
per sanguigna nel più recente piaga,
e vide a un tempo intorbidato e brutto
per lorda tabe del bel rivo il flutto. 256

Ed ecco un cacciator che sovraggiunge,
mentre il suo danno addolorato guarda,
un cacciator che albergo avea non lunge,
d'invida mente e d'anima bugiarda:
gran serpe che sè slunga e sè raggiunge,
che fischia, e par che i fior con l'alito arda,
dice che visto avea sbucar dal bosco,
turbar la fonte, e vomitarvi il tosco; 264

e che veduto avea dalla montagna
scender correndo sull'arsiccia sabbia
una bramosa attenuata cagna
fatta tremenda per morbosa rabbia,
e la cerva inseguir nella campagna,
giungerla, e in essa insanguinar le labbia,
onde la belva per li morsi ch'ebbe,
colto il contagio, in rabbia ita sarebbe. 272

Crede l'incauto, e accendesi di sdegno,
e che la fera in rabbia monti ha tema,.
dà mano a un'asta, e va senza ritegno
Sopra la imbelle con ferocia estrema;
ella non fugge, ed all'amico indegno
volge supplici sguardi, e geme e trema:
l'atterra ed ella le sanguigne gambe
dell'ingrato uccisor morendo lambe. 280

Al fonte, che credea di velen carco,
sterpò col ferro le selvose scene,
l'antro percosse, e ruinar fe' l'arco,
e fur sepolte le sorgenti amene,
che trovando all'uscir niegato il varco,
tornar neglette alle nascoste vene;
cosi il bel rivo violato giacque,
e fuor più mai non trapelar quell'acque. 288

Poiché solo trovossi, e irrigar l'arse
semente al fonte più non fu concesso,
che mancar le ricolte, e ricovrarse
non poté nell'ombrifero recesso,
aperto il suo gran danno li comparse;
Tardi s'avvide dell'error commesso,
e si gli venne in odio quel soggiorno,
ch'indi partissi, e più non fe' ritorno. 296

E ben fu saggio a non tornar dappoi.
Oh quanto affanno riserbato gli era
se udito avesse, come udimmo noi,
che a torto fe' morir l'innocua fera,
e il fonte ruppe, e ancise gli arbor suoi!
Ché il cacciator con lingua menzognera
avea tessuto l'inganno esecrando,
possesso si gentil gl'invidiando". 304

Con questo di parabole apparecchio
il frate tentò l'ospite e il compunse:
a capo basso ei gli avea dato orecchio;
ma quando dell'istoria al termin giunse,
levò la faccia, e guardò fiso il vecchio,
che commosso scorgendolo, soggiunse:
"Questa gemma alla cerva ornava il collo",
e l'anel della Pia tolse e mostrollo. 312

Nello il vide, il conobbe, e si riscosse,
e dove, e quando, volea dir, l'avesti?
E come s'ei sognante egro si fosse,
cui fantasma letal si manifesti,
che a lui, qual per gridar fa tutte posse,
par che stringa la gola e il fiato arresti,
rimase inerte, e la man che già stesa
avea per torlo, gli restò sospesa. 320

Ma l'altro il tempo colse, e a narrar prese
come egli vide a mal termine giunta
la relegata donna, e fe' palese
l'ambasceria che da lei fugli ingiunta,
e che se pronto a riparar l'offese
non accorrea, la troveria defunta,
e aggiunse ch'ei presentimento avea
quasi divin, ch'ella non fosse rea. 328

Che oltre all'esser villania e bassa
Cosa l'imprigionar bella consorte,
era empietà ch'ogni misura passa
sol per sospetti il darla a certa morte;
che se Dio l'innocente perir lassa,
gli dà compenso nell'empirea corte;
ma il di lui sangue, che vendetta grida,
fa sempre ricader su l'omicida, 336

ond'ei temesse dell'Eterno l'ira,
se all'innocente fea soffrir tal onta!
E quel verme che l'animo martira,
onde il commesso maleficio sconta.
Con tal dir, qual se l'austro estivo spira
la neve a scior che brumal vento ammonta,
il ghiaccio che cingea quel petto infranse,
e al finir del sermon l'ospite pianse. 344

Ed: "O padre" dicea, "sa il ciel se mi ange
lo stato di colei che uccido ed amo;
ma l'onor mio che maculato piange
mi vieta salvar lei, che salva bramo.
Crudel m'appella, e fa, se il puoi, ch'io cange
consiglio, ond'ella viva, io sia men gramo;
ciò desio, quanto duolmi che tu dica
ch'io non sia giusto e ch'ella sia pudica. 352

Creder nol posso io già, che dell'opposto
ho contezza, e questi occhi il sanno a prova
mi odi, e linguaggio cangerai ben tosto;
pubblico fallo mascherar che giova?
Tu che nei boschi agli uomini nascosto
sol prendi cura della vita nuova,
udito forse non avrai che volle
Iddio sconfitto il nostro campo a Colle. 360


Tu dei saper che al mal governo tolti,
che orbò cotanti cittadini lari,
pochi e a mal termin rimanemmo, e volti
fummo di fuga vil nei passi amari,
e il terror ne incalzò finché raccolti
della città non fummo entro ai ripari.
Quivi io credea dal mio dolce tesauro
di tanti mali in parte aver restauro. 368

Ma quanto falla chi si persuase
nella certezza dello ben futuro!
provvidi, pria d'andarne alle mie case,
Che fosse la natia terra in sicuro,
e poiché queta la città rimase
sotto lo schermo del munito muro,
mossi verso l'albergo, allor che tace
Ogn'opra, e il mondo si compone in pace. 376

E giunto al limitar, Ghino, un amico
usato in mia magion, venirne veggio;
l'abbraccio, memor dell'affetto antico,
e della Pia novella gli richieggio;
ed ei risponde: - A te dorrà s'io dico,
ma l'amistade è tal che dire io deggio.
Sappi che tua mogliera, il primo laccio
macchiando, altrui di furto accoglie in braccio.384

Pensa qual penosa ira, e qual vergogna
mi prese, ma il tenor di quegli accenti
parvemi aver tal faccia di menzogna,
che ardito dissi: "Per la gola menti"
ed a rincontro ei fattami rampogna
d'ingiuriar chi svela i tradimenti,
s'offerse di mostrar pria che dall'orto
sorgesse il sol, che m'era fatto torto. 392

Col viso smorto, e il tremito ai ginocchi,
con bocca amara, e con parlare incerto
rispondo, che se porre innanzi agli occhi
mi saprà della sposa il frodo aperto,
non sol l'amistà sua farà ch'io tocchi
con man, ma sempre glie ne avrò buon merto:
e più dicea, ma fe' restarmi a mezzo
quasi di febbre un gelido ribrezzo. 400

Vietò ch'io gissi nell'albergo infido,
ove niun m'attendea, fino al mattino,
nella contrada essendo corso il grido,
ch'io fossi ito a spiar l'oste vicino;
e mi appostò d'un suo parente fido
nella magion rimpetto al mio giardino,
il qual risponde in segregata strada,
ove la notte alcun raro è che vada. 408


Qui stando ad aspettar che l'ora giugna,
che del mio danno testimon mi renda,
dico fra me: "Va dunque in guerra, e pugna,
e spargi sangue, e mena vita orrenda
per tor le spose del nemico all'ugna,
onde ei la fama lor non vilipenda:
se turpe offesa ed abominio immenso
delle fatiche è il frutto ed il compenso. 416

Oh beati color che d'onorate
Piaghe coperti cader vidi estinti!
Quant'era meglio l'ossa aver lasciate
fra l'ossa dei fratei morti e non vinti,
che tornar soli alla natia cittate,
e in ella i volti di terror dipinti
non poter serenar narrando i casi
di quei che alla campagna eran rimasi! 424

Oh quanto meglio era per me se avessi
chiuse le luci tra i fratelli miei,
onde vivo a mio scorno non dovessi
veder tra poco l'empietà di lei!...
Questo io volgea tra sospir tronchi e spessi,
e quasi di dolor morto sarei,
se di speranza una lontana stella
non mi reggea nella crudel procella. 432

Giunta la mezzanotte, odo repente
un rumor di persona che s'avanza:
tosto da quella parte pongo mente,
e apparir veggio un lume in lontananza,
che fa gran tratto della via lucente,
e d'un uom mi discopre la sembianza,
che il porta in cavo vetro, ed è ravvolto
nel mantel fino alla metà del volto. 440

Del giardin giunto all'entrata, in disparte
si alluoga, e fa dei convenuti segni;
allor dal mio palagio alcun si parte,
e fra l'ombra sui fior di brina pregni,
vien pel vial frondoso a quella parte;
Qui del ferreo cancel volge gli ordegni,
e lo spalanca; rigido stridore
dai cardini esce, e mi dilania il core. 448

Ma il buio ancor non fa ch'io ben discerna
chi sia; sol biancheggiar vedo una gonna;
ma ratto salta nella parte interna
quel che fuor s'addossava a una colonna,
ed alzando la splendida lanterna
fa il volto rischiarar delta mia donna;
la riconosco, e d'ambo scorgo il doppio
amplesso, e fin de' baci odo lo scoppio. 456

Arsi a tal vista, e la man corse all'armi,
e per essi assalir la strada io presi;
ma Ghino mi trattenne e fe' restarmi,
e il potea far, però che quando io chiesi
di veder l'opra iniqua, ei fe' giurarmi
che non li avrei per conto alcuno offesi,
e che alla Pia non avrei fatto motto
di quanto egli a mirar m'avea condotto. 464

Ma non di proferito giuramento
religion temuta mi trattenne;
forse lo sdegno, ch'ogni sentimento
mi vinse, inerme il mio voler contenne,
e si mi conturbò, che in quel momento
non so dell'infedel coppia che avvenne,
e quando poi d'essi spiar nel bruno
aere volli, più non v'era alcuno. 472

Di più non sopravvivere all'ingrata
ingiuria fo proposito, e mi accingo
a ritornar nel campo, disperata
morte cercando in glorioso arringo;
e per chieder licenza, onde a giornata
venir di nuovo, i passi incerti spingo
ove i padri a consiglio tuttavia
eran nell'aula della signoria; 480

E giunto della piazza in sul principio,
della piazza che al suol cavo si adegua,
partir veggio i senior del municipio,
e un corrier che inviato si dilegua.
Salgo a palazzo, e ascolto da un mancipio,
che nella notte istessa avean la tregua
pattuita con l'oste, e tolto il mezzo
m'è di vender la vita a nobil prezzo. 488

Quest'intoppo mi fe' cambiar consiglio,
e un gel mi serpeggiò per le midolle;
l'impeto cessa, e penso che m'appiglio
a compier opra mal accorta e folle:
quasi dell'error mio mi meraviglio,
che se un giuro punirla appien mi tolle,
e lecito non è che omai l'uccida,
posso almen far che del mio mal non rida, 496

Deliberato di mostrar fierezza,
quanto ogni gran nemico di pietate
di quel rigor, che gli altrui danni sprezza.
Revocato da me sol nelle armate,
armo l'anima amante, e non avvezza
a resistere incontro alla beltatel
e infiessibil già fatto, in fronte accolgo
ritrosa calma, e alla magion mi volgo. 504

Ma il crederesti? oh spirito mendace
del sesso femminil che l'uomo inganna!
Nel talamo entro, ove ognun dorme e tace.
la Pia sol odo, e il mio tardar l'affanna;
sorge, me visto, e in lagrime si sface,
e la soverchia assenza mia condanna.
Mentiti intanto abbracciamenti io prendo
simulando, e mentiti altri ne rendo. 512

E chi potria ridir come compose
e lusinghe, e melate parolette;
come narrò il dolor delle affannose
notti, in cui sola da me lungi stette!
Chi non avrebbe in ascoltar tai cose
fatte in un punto sol mille vendette?
Pur la vita non tolsi alla ribalda,
e non sapea d'aver virtù si salda. 520

Allora isveglio la famiglia, e dico
che mi sieno allestiti due cavalli,
ché mentre poste l'armi ha l'inimico,
a tor nuovi sussidii e armar vassalli
con la Pia deggio andarne al nostro antico
castel, che dell'Etruria è nelle valli:
ella mi ascolta, e con sereno aspetto
mostra del voler mio far suo diletto. 528

Partiam soletti, e lungo il campo ostile
sotto l'ombra passiam dei padiglioni;
risuona il vallo di lavor fabrile,
e d'altri mille bellicosi suoni;
Là si fan torneamenti, e qua le file
s'addestran de' cavalli e de' pedoni,
e recano le carra ed i giumenti
viveri ai numerosi alloggiamenti. 536

E chi delle venute vettovaglie
sulla verdura appresta le vivande;
chi fa trabacche, e chi l'aduste paglie,
per giacersi all'asciutto, in terra spande;
chi rivede cimier, chi aggiusta maglie,
chi fa la sentinella in sulle bande;
scorron per tutto i duci, e il campo ferve
al moto delle belliche caterve. 544

Quanto guerriero popolo! che fiore
di gioventù, che valorosa gente!
Questi soli potean del Redentore
ritor la tomba ai re dell'Oriente
ma per fato l'italico valore
solo in pugna civil splende al presente.
Se ne vien questo dalle proprie mani,
perché lagnarsi degli assalti estrani? 552

Oltre passando, valichiam le scarse
dell'umil Tressa limpidissim'onde;
da lunge Radicofani comparse
coi balzi d'erbe poveri e di fronde;
e verso le sue rocce acute ed arse
vedemmo spiagge di viti feconde:
in mezzo ad esse il verde monte siede
a cui la fata Alcina il nome diede. 560

Le ville dal pinifero arboscello
dette, perdiam di vista andando al basso.
ecco di Macereto il ponticello,
che unisce sulla Marsa il rotto masso:
questa è la Farma, lucido ruscello,
che torto va con strepitoso passo;
ecco il torbido Ombron, che mal si varca;
qui ristorati traghettiam la barca. 568

E il dì già del meriggio i segni ha scorsi,
e ancora al destro ed al mancino lato
l'ispido monte appar nido degli orsi,
e quel dal sasso inferior nomato;
qui le rovine di Soana scorsi,
e più lontan Grosseto spopolato
nei campi inospitali ed insalubri,
di nottole ricetto e di colubri. 576

E mentre cala il sol, caliamo a valle,
e cavalcando verso la marina,
di Santa Fiora a noi resta alle spalle
la gran montagna che col ciel confina;
giunti al più largo e riposato calle,
inattesa su noi notte declina,
e son costretto di pigliare alloggio
in un povero albergo a piè di un poggio. 584

E come era ristretto il loco molto,
sendovi un letto sol pei passeggeri,
fui con la Pia dal letto stesso accolto,
e quivi amor mi vinse di leggieri;
fuor di me le baciai più volte il volto,
e al petto me la strinsi volentieri;
e per poco scordai la sua mancanza,
e fu per vacillar la mia costanza. 592

E mentre mi abbandono ai dolci amplessi,
e ad un diletto che sarà l'estremo,
del giardino i colpevoli recessi
tornanmi a mente, onde mi scuoto e fremo,
e quasi fra le braccia un serpe avessi,
mi si drizzan le chiome, e di me temo;
balzo in terra, e com'uom dal mar scampato,
mi volgo al letto insidioso, e guato. 600

Con mendicate scuse persuado
colei che cede alla stanchezza e dorme,
e quel loco ove già fui mio malgrado
per cader, mi spaventa in mille forme;
e impetuosamente fuggo, e vado
a cielo aperto sopra l'erbe a porme,
e sto vegliando tra la densa frasca
ad aspettar che il nuovo dì rinasca. 608

E volgo i fianchi, e pianger tento, e schermi
non trovo incontro all'indefesso affanno;
cerco illudermi, e penso che può avermi
fatto l'aere scuro, o Ghino, inganno;
ma invan consiglia il cor, gli occhi son fermi
a far testimonianza del mio danno.
Tumultua il sangue, e tra di me con balba
bocca parlo, e non dormo, e giunge l'alba. 616

E la Pia desto, e col favor del nuovo
giorno al castel giungiam; surte che sono
l'ombre, opportuno all'opra il tempo trovo,
e ignara mentre dorme l'abbandono.
Lascio in custodia il castellano, e movo
per far ritorno onde partito sono;
ma fuggo invan la cura, ch'or m'intoppa
davante, or del caval la sento in groppa. 624

E sì com'era di me stesso uscito,
uscii di strada, e da una forza ascosta
fui costretto a vagar pel vicin lito,
pria di ridurmi alla paterna costa:
sempre vita peggior trassi, e infinito
duolo il punirla anche a ragion mi costa;
ed or mi è dolce, bench'io rea la creda,
trovar chi per lei grazia intercede. 632

Qui tace, e sembra che argomenti chieggia
dall'altrui carità, dalla dottrina,
che sian sproni al suo spirito, che ondeggia,
e per sè stesso al perdonar s'inchina;
gli par che al mal di lei modo por deggia,
tanto il misero amò quella tapina,
tanto sui bassi affetti avvien che s'erga
amor, se è grande, e in cor gentile alberga. 640

Pensando il frate stettesi alcun poco
sull'umana miseria, e volti ai cieli
gli occhi, e tratto un sospir, da chiuso loco
fuori il libro traea degli Evangeli;
l'aperse investigando. e aggiunti al foco
molti d'irsute ariste aridi steli,
l'espose al Iume della vampa, e in basso,
poiché il ciglio aguzzò, lesse tal passo. 648

Era scritto in latin, perché la Chiesa
cattolica santissima di Roma,
onde di Cristo la parola offesa
non fosse col mutar dell'idioma,
divieto fea ch'ella non fosse resa
nella favella, che vulgar si noma,
favella che del Lazio al tronco inserta,
fea risuonar l'Italia ancor deserta; 656

E il placid'Arno del sermon canoro
il primo fior nutria tra i propri gigli,
e superbo volgendo arene d'oro,
sentia la gloria dei futuri figli.
Oggi a matrona, il cui primier decoro
disparve e la beltà, par che somigli
costei, che ricca e bella ancor fanciulla,
allattò mille cigni in aurea culla. 664

Né solo allor fioria, perch'e presente
la madre avesse non ben anco estinta,
o perché fatta di straniera gente
druda non era, o dall'usanza vinta,
ma perché allor degli uomini la mente
era alte cose a concepire accinta,
né v'eran quei che sull'ingiusta lance
fanno alle cose prevaler le ciance. 672

Ma ritornando ad ordinar la tela
del mio racconto abbandonato, dico,
che ancor vivea di Tullio la loquela,
benché non schietta come al tempo antico,
e ogn'uom di non mendica parentela,
e non affatto del saper nemico,
l'avea familiar cosi, che il testo
fu inteso, e acconcio al nostro eloquio è questo: 680

"E a Gesù volto al tempio, i Farisei
e gli Scribi un'adultera mostraro;
e ponendola in mezzo: Or or costei
in adulterio colta fu, sclamaro;
or le mosaiche leggi a noi Giudei
che si lapidin queste comandaro;
e seguian per tentarlo, e corre il destro
di fargli accusa: Che ne di', Maestro? 688

Cosi tendevan al divin figliuolo
con tai dimande insidia manifesto;
ma col dito scrivendo egli nel suolo,
in giù mirava, e propendea la testa:
e sorgendo dipoi, disse allo stuolo,
che pertinace ripetea l'inchiesta:
chi senza pecca fra di voi si stima,
scagli contro costei la pietra prima. 696

E di nuovo chinandosi, col dito
sulla terra scrivea; ma partian quegli,
che di Cristo il responso aveano udito,
ad uno ad uno, e precedeano i vegli:
restar Cristo e la donna, e in piè salito,
a lei che in mezzo stava ancor, diss'elli
la gente che t'accusa or dov'è ita?
Nessun la tua condanna ha proferita? 704

Ed ella, Niun, rispose, o Signor mio;
né avrai da me condanna, il Signor disse;
Più non peccare, e vattene con Dio.
Tal era il passo che Giovanni scrisse,
e qual padre che assolve il figliuol rio,
membrando quanto in terra un Dio patisse
pei figli rei cui volentier perdona,
nello a quella lettura ascolto dona. 712

Ma d'abbagliante luce ecco un torrente,
scoppia un gran tuon, che altissimo rimbomba,
par che le sfere squarci lo stridente
folgor, che d'alto strepitando piomba:
i mari e i monti echeggian cupamente,
l'aere rintrona una continua romba,
rimugghia il turbo, e schianta alberi e fronde,
e in grandinosa pioggia il ciel si fonde. 720

Crolla il vento la cella, il gel suonante
batte e rimbalza a nembi in sul cacume;
cader si senton le tegole infrante,
e già dal tetto gronda d'acqua un fiume;
sorgendo il fraticel tutto tremante,
a cui di man caduto era il volume,
"Oh qual notte!" sclamò; "forse iracondo
pei nostri falli Iddio subissa il mondo?" 728

E intuona le letane, e ogni Beato
chiama, e l'altro risponde: "Ora per noi";
Poi dice: "Da ogni mal, da ogni peccato";
l'altro segue: "Signor, libera noi";
poi propizio dall'un fu Dio chiamato,
e replicava l'altro: "Esaudi noi";
e quando furo al fin delle preghiere,
"Di noi", dissero entrambi, "miserere". 736

Al cessar delle preci par che allente
il temporal, né il turbine più nuoce;
ma dal bosco vicin venir si sente
un ululato di belva feroce,
e un nitrir di cavallo, e una dolente
flebil ne vien sull'aure umana voce;
l'animoso guerrier, di dare aita
altrui bramoso, balza in sull'uscita. 744

Rhal
00lunedì 25 giugno 2007 12:07
CANTO TERZO

E colla spada in man, donde proviene
li suon s'avanza, ed un cavallo mira,
che legato ad un pin le redin tiene,
e ringhia, e soffia, e scalcia, e in volta gira.
Dell'albero la scorza a romper viene
la soga, che il caval di forza tira;
quel sibila, vacilla, il crin commove,
e un diluvio di stille al terren piove. 8

Un lupo intorno gli volteggia, e tenta
sulla schiena di lui saltar di furto;
il guerrier fulminando a quel s'avventa,
l'impiaga, e a terra il fa cader d'un urto
la man nel manto avvolta gli presenta,
quand'ei di nuovo furibondo è surto,
e come il lupo addosso gli si serra,
l'inutil ferro cader lascia a terra. 16

La man che il lupo addenta ei spinge, e ingozza
nelle rabbiose canne, e in stretta zuffa
viene alle prese, e la pilosa strozza
con l'altra man tenacemente acciuffa,
e al suol lo ficca coi ginocchi: mozza
la vita ei sente, e si dibatte e sbuffa,
travolve gli occhi, e tesi i piè distende,
e molto del terren, morto, comprende. 24

Ma intanto l'eremita, che più tardo
venia, fosse l'etade o la paura,
s'era rivolto ove ognor più gagliardo
sentia il gemito uman per l'ombra oscura;
de' lampi al lume gli si offerse al guardo
stesa d'alcun nel fango la figura,
che se fosse uom non era manifesto,
tanto era concio in modo disonesto. 32

L'anacoreta e il difensore invitto
accorso, nella cella trasportaro
sulle pietose braccia il derelitto,
e sulla lunga scranna il collocaro.
Ma oh quanto il cavalier divenne afflitto
quando del foco allo splendor mal chiaro,
riconobbe esser Ghin, benché di sangue
e di loto coperto, e quasi esangue! 40

E Ghino pur lui riconobbe, e mentre
vergognoso del suo strazio nefando
le minugie premea sorte dal ventre,
gli altri scarnati membri invan celando
"Convien", diceagli, "omai che in te rientre,
ché amar più non mi puoi; commiserando
deh non andar le mie mertate sorti,
ché al giudicio di Dio passion porti! 48

lo ti cercava, e non mi cal ch'io mora,
se ti ritrovo, mentre mi rimane
tanto spazio di vita, e tempo ancora
per dirti cose che ti sono arcane.
Sappi, che mentre tu festi dimora
dalla patria lontan, fiamme profane
mi arser per la tua Pia, né il labbro tacque
da lei ne fui represso, e ciò mi spiacque. 56

E di vendetta nel desire acerbo
tutto l'amor che le portai conversi
appo la rotta il primo dì, per verbo
di un comperato messo, discopersi
che con false divise a gran riserbo,
misto ai fuggiaschi, che riedean dispersi,
s'era introdotto nella nostra terra
il fratel della Pia, che a noi fa guerra. 64

E ascoso presso un terrazzan, sapere
avea fatto a colei, che per mirarla
anco una volta, a rischio di cadere
in man d'altrui, venuto era a trovarla;
e che la notte istessa ei fea pensiere
di venir nel giardino a visitarla;
che di te non temesse, essendo in cura
quella notte del campo e delle mura. 72

Quell'innocente trarna in quale aspetto
colorassi, tu il sai, tanto che al fine,
quando il disegno lor venne ad effetto,
un dolor ti recai senza confine:
e com'ella per se nulla avria detto,
le cognatizie attese ire intestine,
te pure a tacer strinsi, onde a vicenda
non vi svelassi la mia tela orrenda. 80

Partisti tu, ma tosto giunge in Siena
fama ch'era la Pia là prigioniera
ove tanta malizia l'aer mena,
che in breve vinta avria l'ultima sera.
Allor mi corse il fiel per ogni vena,
e m'assalse il rimorso in tal maniera,
che a chieder pace in supplicanti note
pentito corsi a' piè d'un sacerdote. 88

Quale ordinommi sotto pene tali
da far temenza a un petto di metallo,
di venir di te in traccia, e girne in quali
lochi tu fossi, e non porvi intervallo,
per risarcir la Pia dai duri mali
che fruttar le potea l'apposto fallo;
e il fei; ma Dio mi ha tratto al passo estremo,
onde che sia tardo il rimedio or temo. 96

Che forse avrà colei pagato il fio,
d'un error non commesso, in carcer cupo.
Or ben mi sta, se gastigommi Iddio
entro le zanne del vorace lupo;
ché quando il nembo fuggir volli, e il mio
destrier legato, entrai sotto al dirupo,
quatto ei giacea nel mal capace speco,
e venni per mio danno in lotta seco. 104

Or voi che adesso giunti a mirar siete
l'esizio miserabile d'un empio,
ad esser pii nel mondo apprenderete
da questo di giustizia austero esempio".
Qui le pallide guance a lui fur chete,
e più non resse al sopportato scempio,
e il vecchio pio raccomandò all'Eterno
l'anima che aspettata era all'inferno. 112

Qual consiglio, qual cor, Nello, fu il tuo,
ascoltando esser casta la consorte?
che anco rea la stimando, dal mal suo
commosso, già sottrar pensavi a morte?
Mirar l'estinto veggioti, e in tra duo
restar pensoso, e poi sospirar forte.
ed esclamar: "O Ghin, dove ne han tratti
la mia sciocca credenza e i tuoi misfatti? 120

Me non d'Arbia sul margine patrizia
prosapia mi produsse: io nei burroni
nacqui del Tauro, o nella dura Scizia,
e mi educaro gli arabi ladroni;
ch'io non dovea suppor tanta nequizia
in beltà che non ebbe paragoni,
né agli occhi creder che accusar colei
più cara a me degli stessi occhi miei. 128

E fui si crudo? e posi in mortal sito
la Pia, di me, d'Italia il più bel fregio?
Ah non sia mai tal vituperio udito
ove la cortesia si tiene in pregio.
Dirà qualcuno, e rnostrerammi a dito,
della cavalleria tutta in dispregio:
questi è colui, che inerme una vezzosa
femmina oppresse, e gli era amante e sposa. 136

Misera sposa! i guiderdon son questi
che sconoscente il coniuge ti diede
per quell'immenso ben che gli volesti,
per tanta a danno tuo serbata fede!
Quai giorni lacrimevoli e funesti
menati avrai nell'esecrabil sede!
esposta a morte, in rnan di vili schiavi,
e ciò per opra di chi tanto amavi. 144

Ma or or quando avverrà ch'io ti disserri
il carcer, come sostener tua vista?
Ben chieder non m'udrai che tu mi serri
infra le braccia, e dal rigor desista;
ma chiederò che fra gli stessi ferri
me chiuda a terminar vita si trista,
o di tua rnan m'uccida, se ti alletta
disianza di subita vendetta. 152

Ma in vane querimonie il tempo io spendo
mentre so che la misera languisce,
aita e alleggiamento non avendo
da chi in lei per piacermi incrudelisce:
si accorra e tosto"; e al vecchio si volgendo,
che a terra su due lunghe asse ben lisce
composto avea di Ghino il corpo estinto,
a seppellirlo il di seguente accinto 160

"Tu vien", disse, "e mercè da lei m'impetra,
ché ti dee l'efficace intercessione".
Ciò detto, ancor che fosse ombroso l'etra,
l'uno e l'altro cavallo in ordin pone,
e il vecchio fa montar sopra una pietra
per porlo agevolmente in sull'arcione,
e lo assesta sul proprio palafreno
che più dell'altro è obbediente al freno. 168

Partono in coppia, e avvolgonsi per fusche
vie, dove ancor l'acqua caduta stagna,
e sono ad or ad or fatte corusche
dal balenar che alluma la campagna;
e ormai son giunti alle pianure etrusche
che l'azzurro Tirren vagheggia e bagna,
e in loco dove ascoltano mugghiare
da lunge i liti al fremito del mare. 176

Cessata affatto è la procella, e i cupi
nugoli ai monti si ritranno lenti,
e si odon dalle soggiogate rupi
rimbombando cader gonfi torrenti
entro ai lor cavernosi ermi dirupi
lottan stridendo incatenati i venti,
e irate ancor della marina l'onde
piangon infrante all'arenose sponde. 184

Dice il barone allor, sovra 'l sentiero
l'altro aspettando che sen vien più adagio -
"Se a me la notte non contenda il vero,
siam giunti, e prima ch'io non fea presagio".
innanzi a questo dir spinto il destriero,
scopre la nera torre del palagio,
che giganteggia sopra il bosco opaco
e nerissima gitta ombra sul laco. 192

Il cor gli balza a cotal vista, e in quella
che andando del castel più si discopre,
fiso lo guarda, e torbido favella:
"Oh dei grand'avi miei magnifich'opre,
complici delle antiche stragi, e della
malvagità che il tempo in voi ricopre,
retaggio io v'ebbi, e a me in retaggio venne
pur quell'usanza rea, che in voi si tenne. 200

Qui spesso ai cavalieri pellegrini
fur tolte l'armi, e fur le donne offense;
qui dei vassalli fur tratte pei crini
le spose invan di casto sdegno accense,
e il sangue degl'incauti vicini
bevuto fu sulle tradite mense,
ove di carmi il Trovator venduto
dava alle sceleraggini tributo. 208

Pur benché della perfida età nostra,
in cui lume benigno non si scerne,
non degenere io sia, l'atroce chiostra
non vidi mai senza dispetto averne.
Ed or più spaventosa a me si mostra
anco la faccia delle mura esterne,
or che la mente a santa impresa ha volta
che belle vi farà la prima volta. 216

Parmi veder su i vostri baluardi
a far la scolta morte taciturna,
e inalberar due funebri stendardi,
in cui teme soffiar l'aura notturna;
e par che sulla torre un rogo guardi,
e accenni colla man sul lago un'urna.
Ah, la pira, la tomba, e l'adre insegne
son per qualcun che in questo punto spegne!" 224

Mentre ei delira, ecco dall'alta torre
un picciol fuoco uscir che l'ombre fende,
e vacillando alla sua volta corre,
e alfin sui saettati occhi gli splende:
e or fugge, or torna, or si va basso a porre.
Or alto, or si dilegua, or si raccende,
or d'intorno lievissmo gli ronza,
e i capei ritti per terror gli abbronza. 232

Dando addietro tremò, l'occhio travolto
volgea d'intorno ricercando scampo,
e fuggito sarebbe a freno sciolto
se sparito non fosse il fatuo lampo:
si sgomentassi ei che di lance un folto
bosco affrontò sovente ardito in campo
tanto la ruggin di que' secoli orbi
fea gl'intelletti grossolani e torbi. 240

La settentrional vedova notte,
che sparse sull'Italia il nembo goto,
non anco appien fugata avean le dotte
stelle, che ornar d'Arabia il ciel remoto,
e che da crasse qualità prodotte
fosser tali fiammelle era anco ignoto:
anime confinate eran credute
non ancor degne d'ottener salute. 248

Stimavanle altri savi alme dannate
a star dove commiser colpe rie,
e a passar nell'abisso riservate
dopo il tremendo novissimo die;
quai fosser, dissipar non seppe il frate
all'uopo sì fantastiche follie,
perché godea di santa opinione,
ma non era in dottrina un Salomone. 256

Pur confortandol come sapea meglio,
si fece avanti, e quel venia secondo;
giunsero intanto, il cavaliere e il veglio,
all'alta ripa d'un vallon rotondo
che del suddito lago si fa speglio,
qual della bolgia è nel bacin profondo:
da quell'altura in sull'opposta riva
quanto è grande il castel si discopriva. 264

Veggion da lunge, pei balconi aperti,
che ogni sala di lumi sfolgoreggia,
e odono un lungo suon di canti incerti,
onde la valle e la montagna echeggia;
e dove il sacro campanil gli aperti
piani, e l'annessa chiesa signoreggia,
ascoltan la campana della villa,
che, a martel tocca, orrendamente squilla. 272

Stupiti vanno il lago costeggiando,
e tosto giungon dietro a un monticello,
che, tra il lago e la via la fronte alzando,
lor nasconde la lama ed il castello;
e il veggiono di nuovo oltrepassando,
e di fiaccole e d'uomini un drappello
veggion gir dal palagio, ove si estolle
il rusticano borgo in vetta al colle. 280

Come chi vien da Vetulonia a Roma
per quella via che sul burrato sporge,
giù nel profondo il lago, che si noma
di Ronciglione, alla man destra scorge;
gliel para poi d'un monticel la chioma,
indi il rivede, indi altro monte sorge,
e mostra il montuoso inegual suolo
diversi laghi, e sempre è un lago solo; 288

Cosi, veggendo trapassar costoro,
e giunti dove il terzo colle manca,
imprimono a livel del lago i loro
vestigi, ed il castello han sulla manca:
e già il mattino di porpora e d'oro
veste l'alte montagne, e il ciel s'imbianca,
e fan gli augelli e gli umidi cristalli
novellamente risuonar le valli; 296

Ché omai col nappo argenteo e col canestro
pien di manna e di fior sorgea l'aurora,
ponendo in vetta all'Appennino
il piè legger, che il sol da tergo indora
dal ventilar del suo bel vel cilestro
la messaggiera uscia piacevol ora,
e l'annunziava all'umida vallea,
ove pigra la notte ancor sedea. 304

Dal vallon buio veggiono sul monte,
che illuminano i raggi mattutini,
il corteo luttuoso, e lor son conte
le sentenze dei cantici divini;
ché il colle quei non salgono di fronte,
ma obliquamente, e son tuttor vicini,
e quattro sottopongono la spalla
ad un feretro, che in andar traballa. 312

Son della bara funerale ai lati
con torchi in man, pel nuovo di languenti,
due lunghi ordini d'uomini incappati,
che han nei cappucci le fronti dolenti
i cappucci, in due parti traforati,
apron le viste ai loro occhi piangenti;
bianche han le cappe, e il primo della schiera
porta la croce con la banda nera. 320

Con oscura zimarra e bianca cotta,
leggendo i rituali del mortorio,
il sacerdote va tra gli altri in frotta
che intuonan supplicanti il responsorio;
sul cataletto funebre tal'otta
sparge l'acqua lustral coll'aspersorio,
ed or mormora basso, ed alto or canta,
e lo imita la turba tutta quanta. 328

Davide e le fatidiche Sibille
chiamando in testimon di lor parole,
cantan come dovran tra le faville
i tempi consumarsi, e gli astri e il sole,
e d'ira il giorno in cui con le pupille
torve Iddio mirerà l'umana prole,
e i morti lasceran le vecchie tombe
allo squillar delle celesti trombe. 336

Cantano il parce, il taedet, ed i tristi
del provato da Dio Giobbe idumeo;
e l'elegia che tu, Sionne, udisti
cantar dopo il peccato al re jesseo
e par che da lontan cori non visti
replichin quel canoro piagnisteo,
e sembra ogni boscaglia, ogni caverna
chieder luce perpetua e requie eterna. 344

Percosso da tristissimo sospetto,
dice al compagno il cavaliere allora:
"Vanne, e che fu dímanda; io qui ti aspetto,
che andar non so, tanto terror mi accora".
Sprona a quei detti il frate il suo ginnetto,
e giunge a sommo il colle appunto allora
quando già sono entrati i funerali
della chiesa nei santi penetrali. 352

Ciascuno, a lui che attende, si nasconde.
E le nenie lugùbri più non ode;
ma un altro canto ascolta in riva all'onde
con dolce malinconica melode:
ed era un villanel, che l'infeconde
coltivando del lago infauste prode,
rompea le zolle con la splendid'arme,
alternando il lavor con questo carme 360


" Nelle foreste d'Appennin superno
lisa piangea, perché il prefisso giorno
il desiato sposo al suol paterno
dalla Maremma più non fea ritorno;
scorse l'estate, e ritornò l'inverno,
e nol rivide nel natio soggiorno;
andarne volle a ricercarlo alfine
col padre che scendeva alle marine. 368

E riposando un giorno il fianco lasso
sopra una selce al termin della via,
detto le fu che sotto di quel sasso
l'ultimo sonno il suo fedel dormia.
Rivolse il padre ai patrii colli il passo,
ma non avea la figlia in compagnia,
che dalla tomba la chiamò lo sposo,
e in quella ricongiunti hanno riposo. 376

Del tosco rriontanaro ecco le sorti:
morte germoglia ov'ei gittò sudore,
ma, per dar vita ai figli e alle consorti,
è invidiato fra di noi chi muore;
però che d'essi, quando noi siam rnorti,
verace è il pianto come fu l'amore:
questa certezza i nostri affanni molce,
e anco il perder la vita a noi fa dolce". 384

In udir quei concetti, al cor gli scende
tenace inesplicabile tristezza;
l'antiveder, per cui dubbioso pende,
gli fan quei detti divenir certezza:
freddo ghiaccio le fibre gli comprende,
par che di nuovo pianto abbia vaghezza,
ed alfin, furibondo e impaziente,
si spicca, e corre alla rnagion dolente. 392

Giunge, e niun vede, e niuno ascolta: regna
silenzio intorno spaventoso e muto;
nell'uscio invan di penetrar s'ingegna,
ché il ferreo ponte in alto è sostenuto,
e par che dai veroni un fetor vegna
d'atro bitume dall'ardor soluto;
fumo coi torchi a nebbia misto ingombra
l'aer maligno, e le pareti adombra. 400

Fermo, a gran voce il castellano chiama,
e indarno stassi alle risposte intento;
e di chiamar la Pia pur ebbe brama,
ma gli mancò la lena e l'ardirnento.
Gira per ogni parte, indi richiama:
ma le inutili grida porta il vento;
e quei muti balconi e quelle porte
tacenti gli favellano di morte. 408

Del bronzo i tocchi, e delle cere i fumi,
l'esequie, il canto, e le deserte mura,
tutto gli svela della mente ai lumi
l'ultima irreparabile sciagura;
precipita di sella, e va fra i dumi
e i massi della costa in vér l'altura,
e per non trita via, d'altre più pronta,
con mani e piè verso il villaggio monta. 416

Da sassi e spine malmenato, e vinto
dal disagio, alla chiesa giugne retro,
di terragne muraglie ad un recinto
che i cipressi coniferi fan tetro:
fra i lenti rami lor chiama un estinto
l'upupa immonda in luttuoso metro,
e ben mostrano i simboli di pianto
esser quel della villa il camposanto. 424

Giunge, e vede al calar della muraglia
il ceduto caval del frate scarco;
era questo un destrier di molta vaglia,
leggiero come stral di partic'arco,
caro alla Pia, quand'ei dalla battaglia
riedea salvo recando il dolce incarco;
d'orzo pingue e d'avena il fea satollo,
tergeagli i crini, e gli palpava il collo. 432

Piange il cavallo e immobile e confuso
sogguarda torvo, e i brevi orecchi tende,
china al suol la cervice, e il crin diffuso
cade nel fango, e per la fronte pende;
pel turgido di vene equino muso
un rio di grosse lagrime discende,
e lava il fren d'argentee borchie ornato,
e le briglie, che sparse erran sul prato. 440

e il caro condottier veduto appena,
gli si fa incontro, e il guarda, e a mano a mano
saltellandogli innanzi, ov'era il mena,
e par dotato d'intelletto umano,
e gli accenna nel mezzo all'inamena
cerchia un cencioso e debile villano,
che allora allor cavata fossa serra
gettando in quella la sottratta terra. 448

Corse alla sponda del recente avello,
e vide (ahi! ché non vide!): ei mise un acre
grido, tal che cader fe' al villanello
la marra dalle man rugose e macre;
e nel tumul gettavasi, e di quello
turbate avria le cavitadi sacre,
se il frate ed altre genti di sull'orlo
del tristo avel non accorreano a torlo. 456

Qui la sua Pia riconosciuta avea
ricoperta di terra insino al mento
morte nel volto suo bella parea,
e lui che stava a seppellirla intento,
quasi rapito dalla vaga idea,
ove un gemino sol vedeasi spento,
le caste membra avea coperte, e il viso
di offender colle zolle era indeciso. 464

Ella giacea, qual mandorlo fiorito
nell'anno giovinetto in riva all'acque;
venne la piena, e ruinando il lito,
sull'arenoso letto il tronco giacque;
lo sbarbicato ceppo è seppellito
dal fango, e il fusto che si schietto nacque
sol fuor sovrastan le ramose spoglie
mostrando aridi fior, squallide foglie. 472

Surto l'illustrator della natura,
lanciando nella tomba il primo raggio.
col vagheggiar la santa creatura
prestavale il pietoso ultimo omaggio;
ma quando vide empir la sepoltura,
e coperto di terra il bel visaggio,
fra le nubi celossi, e gemer parve,
e a' mortali quel di più non comparve. 480

Nello quei pii frattanto aveano scorto
nella chiesa vicina; ivi si assise
vergognoso chinando il viso smorto,
né pianse, né parlò né sospir mise.
parean, tant'era in pensier gravi assorto.
Sue membra dallo spirito divise,
e fea del duol ritegno alla licenza
della casa di Dio la riverenza. 488

Cosi di sotto alla celeste volta
nelle notti d'april serene e belle,
suol del mar la spumosa onda sconvolta
riverente acquetar le sue procelle,
ed ha pace, mirando andarne in volta
del ciel le innumerabili facelle,
e quant'ira tuonar sul flutto udissi
geme sepolta negli equorei abissi. 496

Chi dirà come la salma rimossa
tornonne al loco ove natura dorme!
Ah! dove volgi il pié, chiusa è la fossa,
nè più in terra vedrai le amate forme.
Inginocchiossi sulla terra smossa,
posando il capo sovra un sasso enorme:
sparsa non lunge la gente seguace,
quell'immobile guarda, e immobil tace. 504

Tal nel deserto pian di Selinunte
le vetuste colonne immote stanno,
altre intere, altre tronche, altre consunte
dal veglio antico dell'età tiranno;
e in file ora interrotte ed or congiunte
malinconica siepe all'ara fanno,
e allo stranier che guarda il marmo sacro,
mesto di non trovarvi il simulacro. 512

Pretese poi di satisfar la bella
anima, che dal bel corpo si sciolse,
vita menando penitente in quella
magion, che a lei la dolce vita tolse:
in Siena, e nelle prossime castella,
del fiero avvenimento ognun si dolse,
ed a distorlo venner di lontano
i parenti e gli amici, e sempre invano. 520

Ma quando si ascoltò per quei contorni
suonar la tromba di novella guerra,
d'avviso fu che terminar suoi giorni
meglio era a scampo dell'avita terra
lasciar volle i mortiferi soggiorni,
ma il monte non passò che il lago serra:
eran già fatte le sue membra inferme,
e infuso in esse della morte il germe; 528

E riedere al castello gli convenne;
né durò molti di, ché una mattina,
con quella sepolcral pompa solenne
che accompagnò la Pia sulla collina,
la morta spoglia sua translata venne
al campo ove giacea quella meschina;
e sul comun sepolcro ancor l'acerba
sorte ne piange il venticel fra l'erba. 536

Sotto l'assiduo martellar dei lustri
cadde il castello, e i diroccati brani
de' muri suoi, per empietade illustri,
fér tristo ingombro alli infelici piani;
crebber le limacciose onde palustri,
e ne coprir le fondamenta immani
or si odon lamentar, sotto l'interne
volte, converse in umide caverne. 544

E dicon che talor da quei rottami
voce profonda come d'eco emerge,
e sembra che la Pia dal fondo chiami;
ed ella appai sull'onde e vi s'immerge;
e quando scuote il vento i bruni rami
del folto bosco che sul lago s'erge,
vi si odon canti e salmodie lontane,
e arcano suon di funebri campane. 552

Né qui sveller virgulti, o fender zolle
l'ausiliario agricoltor s'attenta;
e, salvo ritornando al natal colle,
quando Maremma inospital diventa,
la sera, assiso sull'erbetta molle,
all'adunata gioventude intenta,
l'udita istoria, che per lunga scende
tradizion di padri, a narrar prende. 560

E ciò narrando, alternamente adocchia
i parvoli scherzanti; ed or li abbraccia,
or li fa mobil peso alle ginocchia,
or dolce incarco alle robuste braccia.
l'ode la moglie, intenta alla conocchia,
e la luna, che a lei risplende in faccia,
la concetta pietà, che muta cela,
sulle bagnate guance altrui rivela. 568



Rhal
00lunedì 25 giugno 2007 12:07
Nota alla Pia del Sestini
Bartolomeo Sestini (1792-1822) è un poeta pistoiese, il cui poemetto "La Pia", ispirato in qualche modo all'episodio dantesco del V del Purgatorio, ebbe un travolgente successo, dando il via alla fortunata voga delle "novelle romantiche".
Anche se l'autore volle presentare il suo testo come una rielaborazione di leggende popolari toscane, si tratta in realtà di una costruzione letteraria: oggi l'opera può essere utilmente letta come esempio emblematico della costruzione di quel Medioevo fantastico (nel senso di inventato) che ancora proietta le sue ombre sulla percezione comune di questo periodo storico.

Roberto Gagliardi

Rhal
00lunedì 25 giugno 2007 12:08
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