Il Barman
00mercoledì 10 dicembre 2003 09:40
sempre dal prestigioso settimanale che sapete (e sempre da quello, perché non sono ancora riuscito a bareddizzare quelli non musicali):
Egregie lettrici, permettetemi una domanda. Siete mai state fotografate nude?
Come dite, a qualcuna è capitato? Toh, guarda guarda. Un gioco un po’ sexy col marito, il fidanzato fotografo dilettante, qualche ambizione come modella, due scatti sulla spiaggia… Molto interessante – ma ora, un’altra domanda... Mi mandate le foto?
No, okay, era così per dire, la domanda è: siete mai apparse nude su un giornale?
Lo chiedo perché al tizio che vi sta scrivendo è capitato. Proprio su queste pagine, sei mesi fa. Inchiesta sulla chirurgia plastica maschile. Ero quello sprovveduto che cercava di darsi un contegno, coperto da un costume da bagno color fucsia a quadroni neri - un disperato tentativo di sviare l’attenzione da un sovrappeso di 5 kg causato da un reportage sugli agriturismi della Sardegna. Due settimane di malloreddus e seadas contro due anni di palestra, calcio e arti marziali: chi credete abbia vinto?
Non voglio annoiarvi con questa storia di (giro) vita vissuta. Se rievoco quell’exploit è solo perché per il sottoscritto è stato un trauma: il fotografo di Gioia che mi diceva di alzare la testa, stare dritto, portare avanti un piede, sorridere (“Ho detto un sorriso, non una paresi”), le telefonate di scherno degli amici ("La prossima settimana compro Eva Express, magari ti vedo teneramente abbracciato a Vieri"), la difficoltà nell’affrontare discussioni coi colleghi (“Altolà, parla il nostro esperto di costume… fucsia”).
Ecco, fu allora che pensai: non parlerò mai male di quelle che fanno i calendari. Perché non è affatto semplice, fare il tocco di carne e uscirne con dignità. Io ci ho provato, a dire le cose che dicono le mie colleghe svestite: “E’ stato un gioco, non è stato volgare, ho scoperto cose di me che non sapevo” (certo: che ho il baricentro terribilmente basso). Magari non sarei arrivato a dire, come Rossella Brescia, quella che puntella con le braccia l’apparato mammario: “Quelle foto catturano la mia fragilità” (nel mio caso, catturavano un’espressione da manzo inebetito). Né sono stato capace di dichiarare: “Il fotografo mi ha messo a mio agio”: col cavolo, è un sadico e non ha voluto saperne di ritoccare le foto con l’amico di ogni donnanuda: Photoshop, il software grafico che trasforma le smagliature in oro. In compenso, ho pronunciato la fatidica frase: “Basta falsi moralismi: se un corpo è bello, è giusto farlo vedere”. Pochi secondi dopo, mi è arrivato un pallone da calcio su un orecchio.
Bene, questo era per spiegare perché ho una simpatia personale per i calendari. Adesso tenterò di spiegare la mia simpatia maschile per i calendari, e quella di tutti gli appartenenti al mio sesso. Ci metterò molto poco, perché è molto semplice. E’ l’ultimo baluardo del maschilismo, il sogno irrealizzabile e anacronistico di avere donne: 1) nude, 2) zitte. Un miracolo.
Non donne dotate di una qualche intelligenza o di personalità, non capaci di dire e fare cose più interessanti di noi, né capaci di ottenere una promozione al posto nostro. No, che diamine: le Calendonne se ne stanno lì, immobili contro un muro, per tutto l’anno. Come potrebbero non piacerci?
Lo so, detto così è un po’ brutale, ma la sostanza è quella: non è un caso se lo spessore delle Calendariste sta precipitando: dalle mezze attrici (la Ferilli e la Bellucci, noti premi Oscar) e mezze cantanti (la Corna, che non è precisamente Tina Turner), siamo ormai alle mezze vallette e alle mezze modelle. E non è un caso se l’epoca delle pari opportunità si accompagna, come un contrappeso, col boom delle donne da parete: i calendari sexy, noti anche con un nomignolo malizioso che si ottiene sostituendo una U alla prima A (ci siete arrivate?), sono sempre esistiti. Però li esponevano solo meccanici e barbieri, nei loro gagliardi santuari, in un tripudio di commenti da compiaciuti scimmioni.
E chi erano le protagoniste? Vattelapesca: di solito, delle svedesi di nome Ulla; quel che è certo è che la Carlucci e la Cuccarini non ne avrebbero mai fatti, ma del resto nemmeno Ornella Muti o Edvige Fenech, le cui anatomie non sono mai state un mistero.
In ogni caso, anche tanti anni fa gli oggetti in questione erano tra noi. Ma erano pochi, nascosti, clandestini, tutt’altro che chic. Eccetto un caso: L’Espresso, settimanale ad alto tasso intellettuale, pubblicava ogni anno le foto dell’assurdissimo ma ricercatissimo calendario Pirelli, primo profetico connubio tra seni e gomma. Oggi invece, eccoci storditi di almanacchi e lunari, e soprattutto tempestati di aggiornamenti sulle novità in materia. Ogni giorno, dal 2 gennaio – San Basilio – al 30 dicembre - Sant’Eugenio - ci arrivano preziose notizie sui calendari da ogni angolo: dalla tv (un grazie particolare a Verissimo e Studio Aperto), da Internet (il sito del Corriere e quello di Repubblica sanno bene come far aumentare i contatti), dalle edicole (ne ho vista una presso piazza San Babila, a Milano, con una Adriana Volpe di cartone grande come King Kong, che mi minacciava con una tetta, in nome di Panorama - si trattava della destra, ovviamente). E veniamo riccamente informati sul calendario delle studentesse, quello delle calciatrici australiane, quello dei transessuali romani, quello delle proprietarie di bed & breakfast, quello delle casalinghe e persino quello delle onoranze funebri (memorabile la foto di una dama a cavalcioni su una bara. Chissà cosa avrebbe detto Freud).
Manca solo il calendario delle onorevoli, ed è strano che il Ministro Tremonti, nella sua tragicomica ricerca di introiti, non ci sia ancora arrivato.
All’estero questa smania non si vede: Pamela Anderson e Kylie Minogue, delle quali ci mancava solo di vedere le radiografie, fanno il calendario vestite. Da noi invece, non contente, le rivistette grandi e piccole escono con due calendari l’anno (Fox), anticipano l’uscita a settembre (Capital), e soprattutto ci regalano DVD e videocassette con le “esclusive immagini del backstage e le interviste”. Questo è un punto cruciale, perché è qui che finisce il sogno. Le interviste sono l’autentico autogol di tutta la faccenda, perché vanno contro la semplice regola per compiacere i maschi citata prima (senza vestiti e zitte). Quando parlano, le Calendonne azzerano il proprio potenziale seduttivo. Rossella Brescia: “Grazie al fotografo ho capito che nessuno pensava a me come ad una donna nuda”. Oh no, pensiamo a te come a Frate Indovino. Nina Moric: "Questa volta non volevo fare il solito calendario di nudo. E' venuto fuori qualcosa di più elegante ed erotico, giocato sull'effetto vedo-non vedo". Nina, hai la mia parola: vedo. Sai com’è: non hai addosso una mutanda, ma un coriandolo. Randi Ingermann: “Volevo soprattutto esprimere come sono fatta”. Beh, grazie, ci tenevamo tanto; si può avere anche una veduta del duodeno? Mica ci sarà qualcosa da nascondere. Francesca Piccinini: “Ho intuito che non era un calendario uguale agli altri. Le foto non sono volgari: non mi sarei mai prestata a qualcosa di equivoco o di dubbio gusto”. Come no, le esporranno al Louvre. Insomma, zitte, per carità di Dio! Che già le foto sono a un passo dal demenziale: Federica Fontana, su una panca, gambe in alto, a testa in giù. Aida Yespica, nuda sulle scale condominiali, ma accovacciata su due cuscini leopardati: forse aveva freddo al sedere, forse l’amministratore è Roberto Cavalli. Le bovare americane di GQ, con una tipa che scruta l’orizzonte nuda appoggiata al filo spinato (gran bella idea) o un’altra che si aggira nuda con un secchio di latte (vediamo se capite il messaggio fine e non volgare sulla mungitura). Nina Moric che si divincola in una rete come un merluzzo. Randi Ingermann appoggiata in equilibrio precarissimo a una poltrona, con un cappello che sembra un paralume, un grissino in bocca e non è nemmeno nuda (qui sì, c’è lo scandalo). Adriana Volpe stile contadinella che sale su una vecchia scala a pioli ma coi tacchi a spillo, oppure riceve un getto d’acqua esattamente sul capezzolo. Sempre il destro, naturalmente: il sinistro, essendo all’opposizione, se ne rimane sotto la maglietta. E in tutti i calendari, l’immancabile paio di scatti in “suggestivo bianco e nero”, nonché due foto con la patetica manina che copre un seno, soprassalto virginale un po’ tardivo di solito collocato a marzo e ottobre, chissà perché. E sia chiaro che, cascasse il mondo, in metà delle immagini la bocca è semiaperta per lo stupore (“Santi numi, mi sta scivolando l’accappatoio, ma guarda cosa mi va a capitare”).
E la colpa di queste foto del cavolo e delle dichiarazioni da ritardate sapete di chi è? E’ tutta di noi maschi. E’ il compromesso che abbiamo accettato per smettere di nascondere le donne nude nel cassetto, e cominciare a sventolarle in casa, in ufficio o in negozio. Spesso il calendario della nostra storditona preferita ci viene regalato addirittura da mogli o fidanzate, a testimoniare il drammatico addomesticamento dell’ormone. Come andrà a finire? Tre ipotesi: molti di noi chiederanno aiuto a Selen o altre pornodive che non menano il can per l’aia con reti da pesca e “vedo non vedo”. Altri, assediati da ghiandole mammarie e chiappe che sbucano ovunque, finiranno per trovare eccitanti la filosofia tedesca, le auto d’epoca o i discorsi dei sindacalisti. Infine qualcuno, di nascosto, infilerà tra le pagine di Max, Fox e Sex la prima X che gli ha dato veri, inimitabili brividi virili: quella di Tex.