Mi sistemo la sacca sulle spalle. Faccio un bel respiro profondo, mentre i miei occhi osservano il mondo così piccolo da quassù, timidi e curiosi come quelli di un ragazzino. Il vento mi scuote forte il viso e il corpo, chiuso in una tuta che mi si sta incollando addosso. La verità è che ho una paura tremenda di saltare nel vuoto.
L'istruttore, ancora seduto, mi fa cenno di non aspettare, ci sarà lui accanto a me. Gli sorrido ma non può capire come è difficile, per me ora, staccare le mani da un appoggio ben saldo, nonostante tutto, per buttare il corpo giù dall'elicottero a una quota così elevata, in cui tocco davvero il cielo con dito, per volare a una velocità di più di 200 km. orari, con il battito del cuore impazzito, ed assistere allo spettacolo meraviglioso e, insieme, pericoloso che mi si para innanzi. Sono decisamente un'incosciente!
Il pilota mi guarda spazientito. Forse, pensa che sia una di quelle donnine paurose e insicure. Gli restituisco uno sguardo infuocato. E, poi, mi decido, salto! in una posizione verticale da free-fly, allargando braccia e gambe. L'eccitazione prende il sopravvento su tutto. Spontaneamente, passo alla posizione di accelerazione, spostando il capo verso il basso, in modo da poter osservare il mondo da quassù e rendermi conto di quanto tutto appaia così semplice, di quanto la vita stessa appaia così semplice, senza complicazioni.
Mi sento una qualsiasi creatura, libera per natura e imprigionata dalle convezioni.
Assaporo la libertà di movimento; nulla ancòra i miei piedi alla terra, nulla vieta l'alternarsi delle mie posizioni, delle mie incoscienti capriole nel vuoto, contrastate dal vento, dalla corsa a migliaia di km. dalla terra ferma.
L'istruttore si avvicina rapidamente e mi fa cenno che fra poco mi prenderà per mano per aiutarmi nell'atterraggio. Lo guardo interrogativa e lontana, priva di ogni più piccolo pensiero e di qualsiasi forma di ragionamento. La testa è piena solo del vento, del volo e... della mia vita. Mi soffermo, pensando che se impedissi di toccare il mio sistema di apertura paracadute, finirei schiantata al suolo come un meteorite, lasciando un'impronta profonda fra l'erba verde e la terra nuda.
Alzo lo sguardo verso l'uomo a cui, giorni fa, ho chiesto di insegnarmi a cadere e, poi, rialzarmi, a volare e, poi, atterrare, senza danni, senza ferite: sana e salva.
Gli sorrido e penso che, ad un certo punto, la fine di una corsa non sia meno importante della corsa stessa. Ho voglia di voltare pagina, dire addio a tutto quello che mi rende un corridore disperato, perdendomi la tortuosità e l'unicità del tragitto percorso.
Passo alla posizione di decelerazione. Tocco il sistema di apertura paracadute. Da sola.
A terra, l'istruttore mi fa l'ok. con la mano, atterraggio perfetto.