Arabia Saudita: i limiti della capacità produttiva

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Arvedui
00mercoledì 4 luglio 2007 18:53
Arabia Saudita: i limiti della capacità produttiva
di Stefano Torelli

La questione dell’entità delle riserve petrolifere nel sottosuolo del più grande produttore mondiale di greggio, è sempre alla ribalta. Molte analisi dicono che il Paese sarebbe al massimo delle sue capacità produttive e che si stia entrando nella fase discendente

Il governo di Riyad, però, non mette a disposizione le cifre reali ma tranquillizza i mercati mondiali e promette un aumento della produzione e dell’esportazione.

Sauditi e petrolio: un lungo connubio

L’Arabia Saudita è un Paese la cui economia dipende ancora in modo determinante dalle esportazioni petrolifere. Le sue riserve sono stimate intorno ai 264 miliardi di barili, equivalenti a circa un quarto delle riserve totali mondiali. La produzione giornaliera di greggio del Paese, che ne fa il primo produttore mondiale, è di circa 10 milioni di barili, di cui l’80% viene esportato. In questo modo l’Arabia Saudita rappresenta anche la più grande esportatrice mondiale di petrolio, nonché, di conseguenza, il membro più influente all’interno dell’OPEC. I proventi delle sue esportazioni petrolifere costituiscono il 90% dell’utile di tutte le esportazioni, il 70% delle entrate e circa il 40% del PIL.

A gestire questo immenso tesoro è la Saudi Aramco, la più grande compagnia estrattiva del mondo con sede a Dharan. Dal 1980 la società è stata completamente nazionalizzata, operando praticamente in condizioni di monopolio e ponendo un segreto di Stato rigidissimo che non permette di avere delle certezze circa l’effettiva consistenza delle riserve saudite.

Sono infatti sempre più diffusi i timori e le voci per cui si starebbe andando verso il completo esaurimento dei giacimenti del Paese. Da più parti si sostiene che il picco sia addirittura stato già raggiunto o che si raggiungerà entro questa decade, e che l’Arabia Saudita sia in realtà al massimo delle sue capacità produttive, nonostante gli ingenti investimenti della Saudi Aramco per migliorare le tecnologie di estrazione. Qual è, dunque, la situazione dei giacimenti petroliferi sauditi? Quanto durerà ancora questa fondamentale risorsa e cosa stanno facendo i principi della penisola per rispondere alle insistenti dichiarazioni pessimistiche riguardo la fine dell’era del petrolio?

Vecchi giacimenti e nuove tecniche

La maggior parte dei giacimenti più importanti presenti sul territorio sono stati sviluppati 40-50 anni fa. Nonostante questo, continuano a pompare milioni di barili al giorno, anche grazie all’innovazione tecnologica, che ha permesso grandi passi avanti nell’estrazione del greggio e delle diverse sue qualità. I più grandi giacimenti sono situati nella parte orientale del Paese, come l’”elefante” per eccellenza: Ghawar. Questo è il campo petrolifero più grande al mondo, con una capacità produttiva di circa 4,5 milioni di barili al giorno. Soltanto altri tre giacimenti sono in grado di produrre più di un milione di barili al giorno: Cantarell in Messico, con circa due milioni, Burgan (Kuwait) e Da Qing (Cina) con un milione a testa.

Ghawar è stato scoperto nel 1948 e ha cominciato ad essere produttivo dal 1951; negli anni ’80 addirittura si estraevano da qui 5,7 milioni di barili al giorno, poi questa cifra è cominciata a scendere sensibilmente fino al 1996, anno in cui, con l’aggiunta di altre due aree a sud, Hawiyah e Haradh, si è tornati intorno ai 5 milioni di barili giornalieri. Attualmente, come già detto, è intorno ai 4,5 milioni di barili al giorno, e molti analisti sostengono che entro il 2010 il giacimento raggiungerà il suo picco, per cominciare la fase discendente.

In realtà Ghawar pare abbia esaurito la maggior parte del petrolio facilmente estraibile e, per mantenere alti i livelli di produzione, i sauditi si stanno affidando all’utilizzo di una tecnica che prevede delle iniezioni d’acqua nel terreno per compensare la caduta di pressione naturale del pozzo. Quando viene sviluppata per la prima volta una riserva sotterranea, infatti, il petrolio sgorga dal terreno grazie ad una pressione propria; nel momento in cui il pozzo è prosciugato da questo greggio facilmente estraibile, viene iniettata acqua nel sottosuolo, per instradare il petrolio rimasto nel pozzo operativo. La percentuale di acqua estratta col petrolio sta aumentando sempre di più, indice di un progressivo esaurimento del giacimento, ma non vi sono cifre ufficiali del governo saudita che possano confermare questo. Al contrario, Riyad sostiene che sia stato sfruttato solo il 48% del campo di Ghawar, che quindi potrebbe continuare a produrre ancora per molto.

Grande importanza è rivestita anche dagli stabilimenti di Abqayq. Questo giacimento, poco più a sud di Ghawar, sempre nell’Arabia Saudita orientale, è arrivato negli anni passati a fornire fino a 1,2 milioni di barili al giorno; oggi la sua produzione si attesta intorno ai 600 mila barili giornalieri ed è probabilmente il giacimento saudita più prosciugato.

La stessa Aramco, in questo caso, ammette che il 73% delle riserve è già stato sfruttato. Rimarrebbe qui una riserva di 3 miliardi di barili di greggio, ma la sua importanza è soprattutto strategica: presso questi stabilimenti c’è la raffineria probabilmente più importante del mondo. Da qui transitano circa 7 milioni di barili al giorno, i tre quarti di tutto il petrolio saudita e quasi un decimo di tutta la produzione mondiale. Per questo è dotato di imponenti misure di sicurezza, essendo soggetto a possibili attacchi terroristici come quello, fallito, del 2006.

Altri 15 miliardi di barili di riserve si trovano presso il giacimento di Shaybah. Qui si trova il petrolio della qualità migliore possibile: l’”Arabian light”, così detto perché molto leggero, poiché con una concentrazione bassissima di zolfo. Questo è molto importante, perché la lavorazione successiva di un greggio siffatto avviene in maniera molto più semplice ed economica. A Shaybah vengono attualmente prodotti 600 mila barili al giorno, grazie alla cosiddetta tecnica “a polipo”, che permette di perforare in orizzontale e persino con delle leggere risalite, in modo tale che da un pozzo centrale ci si possa diramare in direzioni multiple per sfruttare al meglio la conformazione del giacimento. Un’altra grande riserva, stimata in circa 35 miliardi di barili, è rappresentata dal giacimento offshore di Safaniya, il più grande giacimento in mare aperto del mondo.

Prospettive per il futuro

La Saudi Aramco continua a tranquillizzare circa un probabile esaurimento di greggio alle porte. Nonostante i grandi investimenti fatti e le ricerche, negli ultimi anni non si sono fatte nuove scoperte di grandi giacimenti petroliferi, e quelli esistenti stanno effettivamente raggiungendo il loro picco (alcuni, come nel caso di Abqayq, l’hanno raggiunto già da tempo).

La sfida dunque sarebbe tutta tesa a cercare di sfruttare al meglio i campi già esistenti, migliorando sempre di più le tecniche di estrazione. In questo senso potrebbe essere fondamentale trovare tecnologie più economiche ed efficienti per l’estrazione del petrolio pesante, ad alta concentrazione di zolfo, che si presenta quasi solido e quindi molto difficile da estrarre. E’ questo il caso del grandissimo giacimento di Manifa, scoperto nel 1951, ma praticamente mai sfruttato. Con le sue riserve di circa 12 miliardi di barili è uno dei più grandi campi non sfruttati al mondo, data la qualità del suo petrolio estremamente carico di zolfo (3/3,5%) e vanadio, che lo rendono quasi inutilizzabile per la gran parte delle raffinerie attuali. Sarà probabilmente sfruttato a partire dal 2010 e potrà dare un milione di barili al giorno.

Allo stesso modo Riyad sostiene di poter aumentare entro qualche anno la produzione fino a 13 milioni di barili al giorno, per far fronte alla crescente domanda internazionale, grazie alla capacità addizionale di giacimenti già esistenti come Haradh (300 mila barili al giorno in più), Shaybah (500 mila barili in più), o Khurais, che potrebbe rendere addirittura fino a 1,2 milioni di barili al giorno. C’è anche chi pensa che questi annunci siano notizie false, per placare i timori dell’esaurimento delle risorse, ed evitare di creare un clima rialzista sui mercati.

D’altro canto la continua ascesa dei prezzi del petrolio al barile su tutti i mercati internazionali, che si sta verificando già oggi, potrebbe anche essere vista come un segnale di una sua reale scarsità. Una volta raggiunto il picco, infatti è normale che il prezzo cominci a salire, scatenando una serie di reazioni a catena che potrebbero davvero mettere in ginocchio l’economia mondiale.

Anche i trasporti saranno più costosi, così anche i generi alimentari, dal momento che l’agricoltura moderna si basa in larghissima scala su prodotti derivati dal petrolio. Il crollo finanziario che potrebbe essere generato da una diminuzione dell’offerta mondiale è stato provato benissimo nel febbraio del 2006, quando ci fu un attentato al campo di Abqayq. Nonostante l’attentato fosse fallito e i 7 milioni di barili lì presenti per il commercio internazionale non abbiano subito il minimo danno, la reazione del mercato è stata immediata: il WTI (West Texas Intermediate), greggio americano di riferimento, era aumentato di 3,5 dollari al barile in poche ore.

Le stesse compagnie petrolifere devono affrontare costi enormi per il mantenimento e lo sviluppo dei giacimenti; basti pensare che l’affitto giornaliero di una piattaforma offshore arriva fino a 300 mila dollari, tutto denaro che arriva dai profitti realizzati dagli investitori in Borsa. Se però una compagnia non riesce più a garantire la stessa qualità di petrolio estratta, il suo valore crolla e gli investitori sposteranno i loro capitali altrove. Le riserve petrolifere rappresentano dunque il capitale con il quale la compagnia potrà guadagnare in futuro. Per esempio nel febbraio 2004, quando la Shell annunciò di aver sovrastimato le proprie riserve, nel giro di un giorno i corsi azionari scesero dell’8% e in Borsa sfumarono 3 miliardi di sterline (più di 4 miliardi di euro).

Conclusioni

Non è possibile stabilire con certezza quante riserve siano effettivamente a nostra disposizione oggi. L’Arabia Saudita, leader mondiale nel settore, custodisce gelosamente i suoi dati e attua una politica di completa chiusura verso gli investitori stranieri. Sicuramente è importante notare come oggi, in corrispondenza di un probabile picco della produzione saudita, la curva che rappresenta le attrezzature di perforazione cresca sensibilmente. Questo, tradotto in altri termini, potrebbe voler dire che nonostante i grandi sforzi che si stanno compiendo per migliorare le prestazioni estrattive del Paese, la quantità di petrolio prodotto rimane sempre uguale, segno che l’Arabia Saudita sarebbe arrivata al massimo delle sue capacità.

Allo stesso tempo non risultano nuove scoperte di grande portata. Se la casa reale riuscirà davvero, come dichiarato, ad aumentare di quasi un terzo la produzione petrolifera nei prossimi anni, potrebbe smentire una volta per tutte le voci che parlano della fase discendente dalla sua attività produttiva, ma in mancanza di altri dati il futuro non sembra roseo. E’ pur vero che grazie a nuove tecniche il picco potrebbe essere spostato qualche anno più in là, verso il 2030, ma è anche vero che al momento non ci sono valide alternative all’oro nero che siano altrettanto versatili, efficienti e a basso costo; dunque si dovrebbe cominciare ad investire anche in questo senso.

Se l’Arabia Saudita stesse davvero finendo le riserve, inoltre, si prospetterebbero scenari geopolitici del tutto nuovi. Tutti gli altri grandi produttori sono infatti abbastanza instabili, come la Nigeria, l’Iraq, e il Venezuela. Probabilmente le grandi potenze metterebbero ancora di più sotto pressione Teheran, che dopo i sauditi ha le più grandi riserve mondiali, e le spinte esterne potrebbero seriamente compromettere la stabilità iraniana. D’altro canto si prospetterebbe una corsa verso l’Asia centrale e trans-caucasica, ultime grandi riserve mondiali di greggio, e una nuova grande competizione tra Stati Uniti e Russia, con i primi che stanno ormai espandendo la propria influenza verso le repubbliche ex sovietiche e Mosca che non sembra intenzionata a cedere. In Kazakhstan per esempio, nella zona di Kashagan, nel 1999 è stata fatta l’ultima grande scoperta di un giacimento petrolifero con 15 miliardi di barili di riserve. In alternativa al Medioriente, che rimane comunque il più grande fornitore di lungo periodo di greggio, si potrebbero aprire dunque nuovi fronti per il controllo della risorsa energetica che più ha rivoluzionato la storia dell’umanità e che, nonostante tutto, è destinata a diventare sempre più rara.
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