Apertura comune Anno Paolino, Benedetto XVI e Bartolomeo I

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Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:00
L'incontro tra Benedetto XVI e Bartolomeo I per l'apertura dell'Anno paolino

Da san Paolo la via
per l'unità dei cristiani


L'Anno paolino faccia conoscere meglio san Paolo e contribuisca a rinnovare l'impegno ecumenico:  è l'auspicio espresso dal Papa durante l'incontro con Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, svoltosi nella mattina di sabato 28 giugno.

Santità,
con profonda e sincera gioia saluto Lei e il distinto seguito che L'accompagna e mi è gradito farlo con le parole tratte dalla seconda Lettera di San Pietro:  "A coloro che hanno ricevuto in sorte con noi la stessa preziosa fede per la giustizia del nostro Dio e salvatore Gesù Cristo:  grazia e pace sia concessa a voi in abbondanza nella conoscenza di Dio e di Gesù Signore nostro" (1, 1-2). La celebrazione dei Santi Pietro e Paolo, Patroni della Chiesa di Roma, così come quella di Sant'Andrea, Patrono della Chiesa di Costantinopoli, ci offrono annualmente la possibilità di uno scambio di visite, che sono sempre occasioni importanti per fraterne conversazioni e comuni momenti di preghiera. Cresce così la conoscenza personale reciproca; si armonizzano le iniziative e aumenta la speranza, che tutti ci anima, di poter giungere presto alla piena unità, in obbedienza al mandato del Signore.


Quest'anno, qui a Roma, alla festa patronale si aggiunge la felice circostanza dell'inaugurazione dell'Anno Paolino, che ho voluto indire per commemorare il secondo millennio della nascita di San Paolo, con l'intento di promuovere una sempre più approfondita riflessione sull'eredità teologica e spirituale lasciata alla Chiesa dall'Apostolo delle genti, con la sua vasta e profonda opera di evangelizzazione.

Ho appreso con piacere che anche Vostra Santità ha indetto un Anno Paolino. Questa felice coincidenza pone in evidenza le radici della nostra comune vocazione cristiana e la significativa sintonia, che stiamo vivendo, di sentimenti e di impegni pastorali. Per questo rendo grazie al Signore Gesù Cristo, che con la forza del suo Spirito guida i nostri passi verso l'unità.


San Paolo ci ricorda che la piena comunione tra tutti i cristiani trova il suo fondamento in "un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef 4, 5). La fede comune, l'unico Battesimo per la remissione dei peccati e l'obbedienza all'unico Signore e Salvatore, possano pertanto quanto prima esprimersi appieno nella dimensione comunitaria ed ecclesiale. "Un solo corpo ed un solo Spirito", afferma l'Apostolo delle genti, ed aggiunge:  "come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati" (Ef 4, 4). San Paolo ci indica inoltre una via sicura per mantenere l'unità e, nel caso della divisione, per ricomporla.

Il Decreto sull'Ecumenismo del Concilio Vaticano ii ha ripreso l'indicazione paolina e la ripropone nel contesto dell'impegno ecumenico, facendo riferimento alle parole dense e sempre attuali della Lettera agli Efesini:  "Vi esorto dunque io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (4, 1-3).


Ai cristiani di Corinto, in mezzo ai quali erano sorti dissensi, San Paolo non ha timore di indirizzare un forte richiamo perché siano unanimi nel parlare, scompaiano le divisioni tra loro e coltivino una perfetta unione di pensiero e di intenti (cfr 1 Cor 1, 10). Nel nostro mondo, in cui si va consolidando il fenomeno della globalizzazione ma continuano ciononostante a persistere divisioni e conflitti, l'uomo avverte un crescente bisogno di certezze e di pace. Allo stesso tempo, però, egli resta smarrito e quasi irretito da una certa cultura edonistica e relativistica, che pone in dubbio l'esistenza stessa della verità.

Le indicazioni dell'Apostolo sono, al riguardo, quantomai propizie per incoraggiare gli sforzi tesi alla ricerca della piena unità tra i cristiani, tanto necessaria per offrire agli uomini del terzo millennio una sempre più luminosa testimonianza di Cristo, Via, Verità e Vita. Solo in Cristo e nel suo Vangelo l'umanità può trovare risposta alle sue più intime attese.
Possa l'Anno Paolino, che questa sera  inizierà  solennemente,  aiutare il  popolo  cristiano  a  rinnovare l'impegno  ecumenico,  e  si  intensifichino le iniziative comuni nel cammino verso la comunione fra tutti i discepoli di Cristo. Di questo cammino  la  vostra  presenza  qui, oggi, è certamente un segno incoraggiante.  Per  questo  esprimo ancora una volta a tutti voi la mia gioia,  mentre  insieme  innalziamo al  Signore  la  nostra  grata  preghiera.



(©L'Osservatore Romano - 29 giugno 2008)

Per la celebrazione dell’anno paolino


O Dio, nostro Signore e Padre,
per intercessione di san Paolo apostolo
noi ti preghiamo.

Santifica le nostre famiglie
e fa’ di esse autentici focolari
di educazione alla vita cristiana.
Accendi nel cuore di tanti giovani
il desiderio di servirti come Paolo
diffondendo il santo Vangelo.

Manda alla tua Chiesa
numerosi e santi sacerdoti,
testimoni credibili del tuo amore.
Fa’ che la nostra Chiesa
in questo anno dedicato a san Paolo
cresca nell’amore a Te e ai fratelli.
Amen!

Carlo Ghidelli

E' una grande opportunità questa che ci viene donata, non sprechiamola!

Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:01
Il discorso del Patriarca ecumenico di Costantinopoli

Una comunicazione più grande
attraverso il dialogo teologico


La figura dell'apostolo Paolo, che con la sua testimonianza ha plasmato "l'identità del cristianesimo" e ha trasformato "la storia della civiltà occidentale", è stata ricordata dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I nel discorso rivolto a Benedetto XVI durante l'incontro.

Your Holiness,
Beloved Brother in Christ,
Pope Benedict,
Glory be to God for all things! For, He has rendered us worthy to share in His bountiful blessings. How can we ever thank Him sufficiently for the divine grace and goodness showered upon us all?
It is with sentiments of sincere joy and earnest thanks that we are participating in the solemn services on the blessed occasion of the Feast of Saints Peter and Paul Apostolic Patrons of the ancient Church of senior Rome. The shedding of their sacred blood has proved to be a blessing for the universal Christian Church throughout the ages.
This joyous celebration also provides occasion for our two Sister Churches to stand together in prayer and celebration in order to seal our commitment for reconciliation and strengthen our bonds of solidarity. For our personal presence here today marks a respectful gesture of genuine gratitude in return for the personal presence of Your Holiness nineteen months ago at the Thronal Feast of St. Andrew, First-Called of the Apostles and elder brother of St. Peter, Founder and Patron of the ancient See of New Rome. Such visits have historically provided crucial exchanges between our two Churches as tangible expressions of greater communication through theological dialogue, performed in prayerful expectation of full sacramental communion in the Body of Christ. Our encounters and exchanges - both here and in Constantinople - follow in historical succession of the mutual visitations by our predecessors of blessed memory:  Paul vi and Athenagoras, John Paul ii and Dimitrios.
Yet another reason for our heartfelt delight is our presence here, together with, faithful pilgrims of the Ecumenical Patriarchate from throughout the world, in order to participate in the formal opening of the Pauline Year, which once again our two respective Churches are celebrating during this anniversary year since the birth of the Apostle to the Gentiles, St. Paul, precisely two millennia ago. The Ecumenical Patriarchate announced this anniversary through an Encyclical Letter to all our Churches last Christmas; and we are planning a truly historical journey and unique scholarly conference this coming October on the occasion of the Synaxis of all Orthodox Primates at the Phanar. Important celebrations have already taken place - in the presence of our official representative -in the ancient city of Tarsus, where the former Saul was born to shape, as Paul the Apostle the identity of Christianity and transform the history of Western civilization through his radical conversion and apostolic kerygma. There, in the Churches of Asia Minor, the negligible spark of early Christianity is visible and vibrant to this day as a living testimony to an eternal truth about the Crucified and Risen Lord, as proclaimed by the great Apostle Paul.
Your Holiness, we would like to express our fervent gratitude for the invitation extended to us to share in these solemn festivities. May the great Apostolic Founders and Patrons, Saints Peter and Paul, intercede for us all before the One whom they faithfully served and widely preached. May they continue to inspire us all with the breadth of their ecclesial vision and with the resolve of their apostolic mission.
"For these things and for all things", in the words of our Divine Liturgy of St. John Chrysostom, "let us give thanks to the Lord". Amen.

Ecco la nostra traduzione italiana del discorso del Patriarca ecumenico di Costantinopoli.


Santità, Amato Fratello in Cristo,
Papa Benedetto,
Gloria a Dio per tutte le cose! Egli, infatti, ci ha reso degni di condividere le sue abbondanti benedizioni. Come potremo mai ringraziarlo a sufficienza per la grazia e la bontà divine che ha concesso a noi tutti?


È con sentimenti di gioia sincera e autentico rendimento di grazie che stiamo partecipando ai servizi solenni nella benedetta occasione della solennità dei santi Pietro e Paolo, Patroni apostolici dell'antica Chiesa della prima Roma. Nel corso dei secoli, il loro sangue versato si è dimostrato una benedizione per la Chiesa cristiana universale.


Questa gioiosa celebrazione è anche un'occasione per le nostre due Chiese sorelle di pregare e celebrare insieme al fine di suggellare il nostro impegno per la riconciliazione e di rafforzare i nostri vincoli di solidarietà. La mia personale presenza qui oggi è un gesto rispettoso di gratitudine autentica per ricambiare la sua presenza personale, Santità, diciannove mesi fa, in occasione della Festa di sant'Andrea, primo chiamato degli Apostoli e fratello più anziano di san Pietro, fondatore e patrono dell'antica sede della Nuova Roma.

Nel corso della storia, queste visite hanno costituito scambi importanti fra le nostre due Chiese come espressioni tangibili di una più grande comunicazione mediante il dialogo teologico, svolto nell'attesa orante di piena comunione sacramentale nel Corpo di Cristo. I nostri incontri e i nostri scambi, sia qui sia a Costantinopoli, seguono in successione storica lo scambio di visite fra i nostri predecessori di benedetta memoria:  Paolo vi e Atenagora, Giovanni Paolo ii e Demetrio.


Ancora, un altro motivo di sincera gioia è la mia presenza qui, insieme ai pellegrini del Patriarcato Ecumenico di tutto il mondo, per partecipare all'apertura ufficiale dell'Anno paolino, che ancora una volta le nostre due Chiese celebrano durante l'anniversario della nascita dell'Apostolo dei Gentili, san Paolo, esattamente duemila anni fa.

Lo scorso Natale, il Patriarcato Ecumenico ha annunciato tale anniversario mediante una Lettera Enciclica a tutte le Chiese. Stiamo programmando un viaggio veramente storico e un convegno di studio unico nel suo genere per il prossimo mese di ottobre, in occasione della Sinassi di tutti i Primati ortodossi al Phanar. Importanti celebrazioni hanno già avuto luogo, alla presenza del nostro rappresentante ufficiale, nell'antica città di Tarso, in cui nacque Saulo per plasmare, come Apostolo Paolo, l'identità del cristianesimo e trasformare la storia della civiltà occidentale mediante la sua radicale conversione e il suo kèrygma apostolico. Là, nelle Chiese dell'Asia Minore, la minuscola scintilla del primo cristianesimo è visibile e brilla ancora oggi quale testimonianza vivente di una verità eterna sul Signore Crocifisso e Risorto, come proclamato dal grande Apostolo Paolo.


Santità, vorremmo esprimerle la nostra fervente gratitudine per l'invito che ci ha rivolto a condividere queste solenni festività. Che i fondatori e patroni apostolici, i santi Pietro e Paolo, intercedano per noi tutti davanti a Colui che hanno servito fedelmente e largamente predicato! Che continuino a ispirarci tutti con l'ampiezza della loro visione ecclesiale e con la risolutezza della loro missione apostolica!
"Per queste cose e per tutte le cose", con le parole della nostra divina liturgia di san Giovanni Crisostomo, "rendiamo grazie al Signore". Amen.



(©L'Osservatore Romano - 29 giugno 2008)


Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:01

Alcune foto dell'evento

 
(Benedetto XVI con Sua Beatitudine Bartolomeo I)





Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:02
Vespri a San Paolo fuori le Mura...

























 


Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:02
OMELIA DEL SANTO PADRE

Santità e Delegati fraterni,
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle
,

siamo riuniti presso la tomba di
san Paolo, il quale nacque, duemila anni fa, a Tarso di Cilicia, nell’odierna Turchia.

Chi era questo Paolo? Nel tempio di Gerusalemme, davanti alla folla agitata che voleva ucciderlo, egli presenta se stesso con queste parole: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città [Gerusalemme], formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio…» (At 22,3).
Alla fine del suo cammino dirà di sé: «Sono stato fatto… maestro delle genti nella fede e nella verità» (1Tm 2,7; cfr 2Tm 1,11). Maestro delle genti, apostolo e banditore di Gesù Cristo, così egli caratterizza se stesso in uno sguardo retrospettivo al percorso della sua vita.

Ma con ciò lo sguardo non va soltanto verso il passato. «Maestro delle genti» – questa parola si apre al futuro, verso tutti i popoli e tutte le generazioni. Paolo non è per noi una figura del passato, che ricordiamo con venerazione. Egli è anche il nostro maestro, apostolo e banditore di Gesù Cristo anche per noi.

Siamo quindi riuniti non per riflettere su una storia passata, irrevocabilmente superata. Paolo vuole parlare con noi – oggi. Per questo ho voluto indire questo speciale “Anno Paolino”: per ascoltarlo e per apprendere ora da lui, quale nostro maestro, «la fede e la verità», in cui sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo.

In questa prospettiva ho voluto accendere, per questo bimillenario della nascita dell’Apostolo, una speciale “Fiamma Paolina”, che resterà accesa durante tutto l’anno in uno speciale braciere posto nel quadriportico della Basilica. Per solennizzare questa ricorrenza ho anche inaugurato la cosiddetta “Porta Paolina”, attraverso la quale sono entrato nella Basilica accompagnato dal Patriarca di Costantinopoli, dal Cardinale Arciprete e da altre Autorità religiose.

È per me motivo di intima gioia che l’apertura dell’“Anno Paolino” assuma un particolare carattere ecumenico per la presenza di numerosi delegati e rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, che accolgo con cuore aperto. Saluto in primo luogo Sua Santità il Patriarca Bartolomeo I e i membri della Delegazione che lo accompagna, come pure il folto gruppo di laici che da varie parti del mondo sono venuti a Roma per vivere con Lui e con tutti noi questi momenti di preghiera e di riflessione. Saluto i Delegati Fraterni delle Chiese che hanno un vincolo particolare con l’apostolo Paolo - Gerusalemme, Antiochia, Cipro, Grecia - e che formano l’ambiente geografico della vita dell’Apostolo prima del suo arrivo a Roma. Saluto cordialmente i Fratelli delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali di Oriente ed Occidente, insieme a tutti voi che avete voluto prendere parte a questo solemne inizio dell’“Anno” dedicato all’Apostolo delle Genti.

Siamo dunque qui raccolti per interrogarci sul grande Apostolo delle genti. Ci chiediamo non soltanto: Chi era Paolo? Ci chiediamo soprattutto: Chi è Paolo? Che cosa dice a me? In questa ora, all’inizio dell’“Anno Paolino” che stiamo inaugurando, vorrei scegliere dalla ricca testimonianza del Nuovo Testamento tre testi, in cui appare la sua fisionomia interiore, lo specifico del suo carattere.

Nella
Lettera ai Galati egli ci ha donato una professione di FEDE molto personale, in cui apre il suo cuore davanti ai lettori di tutti i tempi e rivela quale sia la molla più intima della sua vita. «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro.

La sua fede è l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; è la coscienza del fatto che Cristo ha affrontato la morte non per un qualcosa di anonimo, ma per amore di lui – di Paolo – e che, come Risorto, lo ama tuttora, che cioè Cristo si è donato per lui. La sua fede è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma. La sua fede non è una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo. La sua fede è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore. E così questa stessa fede è amore per Gesù Cristo.

Da molti Paolo viene presentato come uomo combattivo che sa maneggiare la spada della parola. Di fatto, sul suo cammino di apostolo non sono mancate le dispute. Non ha cercato un’armonia superficiale. Nella prima delle sue Lettere,
quella rivolta ai Tessalonicesi, egli stesso dice: «Abbiamo avuto il coraggio … di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte…

Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete» (1Ts 2,2.5). La verità era per lui troppo grande per essere disposto a sacrificarla in vista di un successo esterno. La verità che aveva sperimentato nell‘incontro con il Risorto ben meritava per lui la lotta, la persecuzione, la sofferenza.

Ma ciò che lo motivava nel più profondo, era l’essere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore. Paolo era uno capace di ama, e tutto il suo operare e soffrire si spiega solo a partire da questo centro. I concetti fondanti del suo annuncio si comprendono unicamente in base ad esso.

Prendiamo soltanto una delle sue parole-chiave: la libertà. L’esperienza dell’essere amato fino in fondo da Cristo gli aveva aperto gli occhi sulla verità e sulla via dell’esistenza umana – quell’esperienza abbracciava tutto. Paolo era libero come uomo amato da Dio che, in virtù di Dio, era in grado di amare insieme con Lui. Questo amore è ora la «legge» della sua vita e proprio così è la libertà della sua vita. Egli parla ed agisce mosso dalla responsabilità dell’amore. Libertà e responsabilità sono qui uniti in modo inscindibile. Poiché sta nella responsabilità dell’amore, egli è libero; poiché è uno che ama, egli vive totalmente nella responsabilità di questo amore e non prende la libertà come pretesto per l’arbitrio e l’egoismo.

Nello stesso spirito
Agostino ha formulato la frase diventata poi famosa: Dilige et quod vis fac (Tract. in 1Jo 7 ,7-8) – ama e fa’ quello che vuoi.

Chi ama Cristo come lo ha amato Paolo, può veramente fare quello che vuole, perché il suo amore è unito alla volontà di Cristo e così alla volontà di Dio; perché la sua volontà è ancorata alla verità e perché la sua volontà non è più semplicemente volontà sua, arbitrio dell’io autonomo, ma è integrata nella libertà di Dio e da essa riceve la strada da percorrere.

Nella ricerca della fisionomia interiore di san Paolo vorrei, in secondo luogo, ricordare la parola che il Cristo risorto gli rivolse sulla strada verso Damasco.

Prima il Signore gli chiede: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» Alla domanda: «Chi sei, o Signore?» vien data la risposta: «Io sono Gesù che tu perseguiti» (At 9,4s). Perseguitando la Chiesa, Paolo perseguita lo stesso Gesù. «Tu perseguiti me». Gesù si identifica con la Chiesa in un solo soggetto. In questa esclamazione del Risorto, che trasformò la vita di Saulo, in fondo ormai è contenuta l’intera dottrina sulla Chiesa come Corpo di Cristo.

Cristo non si è ritirato nel cielo, lasciando sulla terra una schiera di seguaci che mandano avanti «la sua causa». La Chiesa non è un’associazione che vuole promuovere una certa causa. In essa non si tratta di una causa. In essa si tratta della persona di Gesù Cristo, che anche da Risorto è rimasto «carne». Egli ha «carne e ossa» (Lc 24,39), lo afferma in Luca il Risorto davanti ai discepoli che lo avevano considerato un fantasma.

Egli ha un corpo. È personalmente presente nella sua Chiesa, «Capo e Corpo» formano un unico soggetto, dirà Agostino. «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?», scrive
Paolo ai Corinzi (1Cor 6,15). E aggiunge: come, secondo il Libro della Genesi, l’uomo e la donna diventano una carne sola, così Cristo con i suoi diventa un solo spirito, cioè un unico soggetto nel mondo nuovo della risurrezione (cfr 1Cor 6,16ss). In tutto ciò traspare il mistero eucaristico, nel quale Cristo dona continuamente il suo Corpo e fa di noi il suo Corpo: «Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,16s).

Con queste parole si rivolge a noi, in quest’ora, non soltanto Paolo, ma il Signore stesso: Come avete potuto lacerare il mio Corpo? Davanti al volto di Cristo, questa parola diventa al contempo una richiesta urgente: Riportaci insieme da tutte le divisioni. Fa’ che oggi diventi nuevamente realtà: C'è un solo pane, perciò noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo. Per Paolo la parola sulla Chiesa come Corpo di Cristo non è un qualsiasi paragone. Va ben oltre un paragone.

«Perché mi perseguiti?» Continuamente Cristo ci attrae dentro il suo Corpo, edifica il suo Corpo a partire dal centro eucaristico, che per Paolo è il centro dell’esistenza cristiana, in virtù del quale tutti, come anche ogni singolo può in modo tutto personale sperimentare: Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me.

Vorrei concludere con una parola tarda di san Paolo, una
esortazione a Timoteo dalla prigione, di fronte alla morte. «Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo», dice l’apostolo al suo discepolo (2Tm 1,8). Questa parola, che sta alla fine delle vie percorse dall’apostolo come un testamento, rimanda indietro all’inizio della sua missione. Mentre, dopo il suo incontro con il Risorto, Paolo si trovava cieco nella sua abitazione a Damasco, Anania ricevette l’incarico di andare dal persecutore temuto e di imporgli le mani, perché riavesse la vista. All’obiezione di Anania che questo Saulo era un persecutore pericoloso dei cristiani, viene la risposta: Quest’uomo deve portare il mio nome dinanzi ai popoli e ai re. «Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15s). L’incarico dell’annuncio e la chiamata alla sofferenza per Cristo vanno inscindibilmente insieme. La chiamata a diventare il maestro delle genti è al contempo e intrinsecamente una chiamata alla sofferenza nella comunione con Cristo, che ci ha redenti mediante la sua Passione.

In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza – senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà.

Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore. L’Eucaristia – il centro del nostro essere cristiani – si fonda nel sacrificio di Gesù per noi, è nata dalla sofferenza dell’amore, che nella Croce ha trovato il suo culmine. Di questo amore che si dona noi viviamo. Esso ci dà il coraggio e la forza di soffrire con Cristo e per Lui in questo mondo, sapendo che proprio così la nostra vita diventa grande e matura e vera. Alla luce di tutte le lettere di san Paolo vediamo come nel suo cammino di maestro delle genti si sia compiuta la profezia fatta ad Anania nell’ora della chiamata: «Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». La sua sofferenza lo rende credibile come maestro di verità, che non cerca il proprio tornaconto, la propria gloria, l’appagamento personale, ma si impegna per Colui che ci ha amati e ha dato se stesso per tutti noi.

In questa ora ringraziamo il Signore, perché ha chiamato Paolo, rendendolo luce delle genti e maestro di tutti noi, e lo preghiamo: Donaci anche oggi testimoni della risurrezione, colpiti dal tuo amore e capaci di portare la luce del Vangelo nel nostro tempo. San Paolo, prega per noi!
Amen.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana


Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 10:03
OMELIA DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Santità, amato Fratello in Cristo,
e voi tutti, i fedeli nel Signore
,

Animati da una gioia colma di solennità, ci troviamo, per la preghiera dei Vespri, in questo antico e splendido tempio di San Paolo fuori le Mura, in presenza di numerosi e devoti pellegrini venuti da tutto il mondo, per la lieta inaugurazione formale dell’Anno di San Paolo, Apostolo dei Gentili.
La radicale conversione ed il kerygma apostolico di Saulo di Tarso hanno “scosso” la storia nel senso letterale del termine ed hanno scolpito l’identità stessa della cristianità. Questo grande uomo ha esercitato un influsso profondo sui Padri classici della Chiesa, come San Giovanni Crisostomo, in Oriente, e Sant’Agostino di Ippona, in Occidente. Sebbene non avesse mai incontrato Gesù di Nazaret, San Paolo ricevette direttamente il Vangelo «per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1, 11S12).
Questo sacro luogo fuori le Mura è senza dubbio quanto mai appropriato per commemorare e celebrare un uomo che stabilì un connubio tra lingua greca e mentalità romana del suo tempo, spogliando la cristianità, una volta per tutte, da ogni ristrettezza mentale, e forgiando per sempre il fondamento cattolico della Chiesa ecumenica.
Auspichiamo che la vita e le Lettere di San Paolo continuino ad essere per noi fonte di ispirazione «affinché tutte le genti obbediscano alla fede in Cristo» (cfr. Rom 16,27).
Pubblicato da Raffaella a 18.46

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