Anatomia dell'inferno di Guantanamo

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vanni-merlin
00sabato 16 settembre 2006 17:10
Anatomia dell'inferno di Guantanamo

di Federica Giovanelli
Se si passa rapidamente in rassegna l'ormai lunga filmografia di Michael Winterbottom, il dato che emerge più chiaramente è quello relativo ad un eclettismo e ad una versatilità non comuni che hanno portato il regista inglese ad attraversare forme, linguaggi e generi differenti con una passione ed una dedizione che non hanno conosciuto fasi calanti e non sembrano affatto destinate ad esaurirsi. E tutto questo a soli 45 anni e in poco più di un decennio e cioè da quel 1995 in cui fu distribuito il road-movie lesbico "Butterfly Kiss", all'anno ancora in corso che ha visto l'uscita di due film che più diversi non si potrebbe come "A Cock and Bull Story" e "The Road to Guantanamo". Adattamento dell'infilmabile "Tristram Shandy" di Laurence Sterne il primo e docu-fiction il secondo, questi lungometraggi incarnano i poli opposti della ricerca di Winterbottom, presa tra la finzione giocosa, esibita e smascherata della macchina cinema e la documentazione seria, impietosa e rigorosa di un disturbante film testimonianza che si pone in linea di continuità con opere impegnate come "Benvenuti a Sarajevo" (1997) e "Cose di questo mondo" (Orso d'oro a Berlino 2003).
Presentato al Festival di Berlino 2006, "The Road to Guantanamo" ha vinto l'Orso d'argento per la miglior regia e ha fatto molto parlare di sé. Del resto, il film si inseriva nella breccia già aperta dall'acceso dibattito che ha reso tristemente noto al pubblico di tutto il mondo il centro di internamento militare della baia di Guantanamo, a Cuba, che l'Onu ha chiesto agli Stati Uniti di chiudere sostenendo che violassero la legge internazionale, sia per il trattamento crudele e degradante riservato ai detenuti che per la loro carcerazione arbitraria. A tutt'oggi il campo americano di Guantanamo è aperto e custodisce circa 460 prigionieri, la maggior parte dei quali non sono stati né incriminati, né processati.
Proprio dalla drammatica storia di tre detenuti senza imputazioni verificabili a loro carico e in attesa di un giudizio che non arriverà mai, muove il film che Winterbottom ha realizzato con il suo abituale montatore Mat Whitecross. La vicenda, ormai arcinota, riguarda in realtà quattro giovani anglo-pakistani - Ruhel, Shafiq, Asif, Monir -, che nel settembre 2001 lasciarono la cittadina di Tipton per celebrare a Karachi il matrimonio di Asif. Giunti in Pakistan, incontrarono un Imam che li incoraggiò ad andare in un Afghanistan a rischio attacco americano per portare aiuti umanitari alla popolazione locale. Lì, nel caos creato dai bombardamenti statunitensi, Ruhel, Shafiq e Asif persero le tracce di Monir, furono catturati dall'Alleanza del Nord e consegnati agli americani che li trasferirono nel carcere di Guantanamo, prima a Camp X-Ray e poi a Camp Delta. Per più di due anni, accusati di essere membri di Al Qaeda e affiliati di Osama Bin Laden e Mohammed Atta, i cosiddetti tre di Tipton furono sottoposti ad interrogatori degradanti e umilianti, furono pestati e torturati perché confessassero un reato che non avevano commesso. Salvo essere poi rilasciati quando fu dimostrato che le accuse attribuitegli erano false.
La pellicola di Winterbottom e Whitecross è dura e impietosa, e lo è proprio perché sceglie di non indugiare morbosamente sulla violenza, ma di mostrare la ripetitività istupidente e dolorosa che caratterizza la prigionia. Una quantità di dettagli quotidiani rimessi in scena ogni giorno e ogni notte, sempre uguali, in quello spazio angusto ed esposto ad ogni sorta di eventi climatici, circoscritto dalle pareti metalliche di una vera e propria gabbia. Di tante gabbie allineate in cui sono rinchiusi uomini rasati, vestiti con tute arancione, col volto coperto da mascherine ed occhiali. Uomini che Bush definisce sbrigativamente "cattivi" e a cui "The Road to Guantanamo" cerca, per converso, di restituire umanità e dignità.
Compito, questo, che rende la docu-fiction la forma più adatta allo scopo; la sola che, articolando tre livelli narrativi sovrapposti, mette in scena la ricostruzione finzionale dei fatti, sfrutta la potenza delle immagini d'archivio, e poi lascia alle nude interviste dei tre di Tipton il valore documentario, la responsabilità di testimoniare, l'ultima parola.

Titolo originale: "The Road to Guantanamo"; Regia e montaggio: Michael Winterbottom, Mat Whitecross; Fotografia: Marcel Zyskind; Scenografia: Mark Digby; Costumi: Esmaeil Maghsoudi; Musica: Molly Nyman, Harry Escott; Produzione: FilmFour, Revolution Films, Screen West Midlands; Distribuzione It.: Fandango; Interpreti: Farhad Harun, Waqar Siddiqui, Riz Ahmed, Afran Usman, Shahid Iqbal; Origine: Gran Bretagna; Anno 2006; durata: 95'.
www.roadtoguantanamomovie.com/




da: www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=21.0.2032912334&chId=30&artType=Articolo&DocRulesVie...
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