Africa, scacco all'AIDS!

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Adminsierone
00sabato 28 novembre 2009 14:14
Calano le infezioni. E milioni di persone hanno accesso alle terapie

Una buona notizia dall'Africa. E per giunta in materia di Aids. Si fa fatica a crederci, abituati come siamo a pensare che non c'è scampo per il continente flagellato dal virus dell'Hiv che si porta via le generazioni attive economicamente e ne contribuisce al declino economico, che marchia come un orologio a tempo milioni di nuovi nati, che si diffonde senza barriere nei villaggi appoggiandosi alla povertà, alla violenza sulle donne, alla promiscuità che il più delle volte non è una scelta di vita ma un destino di degrado. Eppure i numeri del National Hiv Survey redatto dal governo del Sudafrica parlano chiaro: nel grande paese il virus si è fermato. La curva delle infezioni non è più in ascesa. Ed è quasi un miracolo in un paese dove circolano milioni di sieropositivi, quasi il 20 per cento degli adulti con punte che arrivano a uno spaventoso 32,7 per cento tra le donne nella ventina. E l'ottimismo di Johannesburg si unisce a quello che arriva da Uganda e Zambia che anche sono riusciti a contenere la diffusione di Hiv; e dal Botswana dove, persino, è cominciata a scendere la curva della mortalità. E non è tutto.



Un'altra buona notizia la rende nota l'Oms: oltre quattro milioni di sieropositivi nei paesi poveri hanno avuto accesso alle terapie antivirali nel 2007, un milione in più che non nel 2008; tra questi, tre milioni sono africani, come i cittadini di Maputo che fotografiamo in queste pagine, a fronte di circa zero nel 2002. Non basta, giacché così soltanto il 42 per cento di coloro che hanno bisogno ha accesso alle cure. Ma è abbastanza per seminare ottimismo. Perché lo stop alla diffusione di Hiv e l'accesso alle terapie a un numero crescente di persone non sono solo buone notizie, sono fatti legati e interconnessi: "La grande avventura di portare le cure in Africa sta funzionando", commenta Stefano Vella, già presidente dell'International Aids Society e membro del Technical Review Panel del Global Fund, l'iniziativa internazionale che finanzia la guerra all'Aids. E si può cominciare a pensare di ribaltare le curve e salvare il continente.

Infezione apartheid
Cominciando dal rapporto del National Hiv Survey sudafricano. Che gli scienziati spiegano chiamando in causa innanzitutto la nuova ricchezza del paese e la democrazia. Perché lo spaventoso prezzo pagato dal Sudafrica che ha visto un'intera generazione spazzata letteralmente via all'Aids è colpa dell'Hiv, certamente, ma anche delle condizioni sociali del paese lasciate dall'apartheid. Povertà, violenza, oppressione di genere dominano le township e sono il migliore volano perché l'Hiv semini la morte; democrazia e intervento sanitario, invece, sono il cemento per costruire le barriere capaci di arrestarlo: per gli scienziati questa è una verità, semplice e inoppugnabile.

Così in Sudafrica, dove vivono circa cinque milioni e mezzo di sieropositivi, dal 2002 la percentuale di persone che ogni anno si infettano è diminuita in quasi tutto il paese, con una punta del 7,9 per cento nella regione del Western Cape. Nello stesso periodo i sudafricani tra i 15 e i 49 anni (i più attivi e quindi i più pericolosi) che hanno acquisito una consapevolezza della malattia e dei mezzi di trasmissione sono quasi raddoppiati, passando dal 21,4 per cento del 2002 al 50,8 del 2008.

Come è potuto accadere tutto questo? "La prevenzione ha funzionato dove è arrivata la terapia", chiosa Vella. Con l'eccezione forse della sola Thailandia - un paese ricco che si è impegnato sin da subito nella distribuzione dei preservativi e nell'educazione al safe sex - le campagne di prevezione di per sé, infatti, non hanno dato risultati soddisfacenti. E in Africa meno che mai: "Guardi quelle casette, sono quasi dei monolocali: bambini e giovani sono esposti continuamente al sesso che è in una dimensione collettiva. Il sesso non è mai con un partner solo. Per non parlare della violenza: la maggior parte delle donne nelle township ha subito uno o più stupri", racconta Elisabeth Scrimgeour, una robusta infermiera protestante che dirige la Butterfly House, hospice per malati di Aids nel Drakestein. E rende plastico quello che epidemiologi e scienziati sociali sostengono da sempre: ben vengano i condom, ma la promiscuità è endemica da queste parti e non saranno le campagne per incitare alla fedeltà coniugale a cambiare le cose. Già, ma cosa allora?
(27 novembre 2009)

espresso.repubblica.it/dettaglio/africa-scacco-allaids/21...

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