Il CIRCO: esperienza educativa o esercizio alla crudeltà?
“ Per decidere che è sbagliato tenere gli animali nei circhi è sufficiente pensare al terrore che devono provare quando sono catturati, il togliere loro la libertà, la possibilità di muoversi, di fare parte di un branco.”
“ Durante l’addestramento gli animali vengono ‘addomesticati’ con scariche di corrente, per non parlare dei forconi e degli uncini usati per far fermare gli elefanti: sulle gambe e su altre parti molto più sensibili. I metodi crudeli vengono utilizzati dall’addestratore proprio per far capire all’animale chi è che comanda, cosa impossibile con un semplice ‘premio’ a fine esercizio.”
“ Non vado mai allo zoo perché non sopporto la miserevole vista degli animali in cattività. Aborro l’esibizione di animali ammaestrati. Quanta sofferenza e punizioni devono sopportare quelle povere creature per dare pochi momenti di piacere a uomini privi di ogni sensibilità.”
Sembrano frasi pronunciate da “intransigenti” animalisti e invece appartengono rispettivamente a Milady Orfei, figlia di Paolo (il primo degli Orfei a fondare un circo), a Paride Orfei e, cambiando totalmente genere, ad Albert Schweitzer. Né mancano numerosi altri esempi di lucide considerazioni sull’utilizzo degli animali nei circhi di tutto il mondo.
A nessuno sfuggono difatti le motivazioni che possano indurre una tigre a saltare attraverso un cerchio infuocato, essendo noto il terrore che i felini provano per il fuoco. Così come l’elefante che rischia la vita assumendo un’innaturale posizione a testa in giù, con l’enorme peso dell’intestino che grava sul cuore o ancora la simpatica scimmietta vestita da marinaretto che “sorride” al proprio addestratore. Provateci voi con la promessa di un delizioso bocconcino o di una carezza a fine esercizio. Si tratta allora di particolari doti di coraggio o di telepatia con gli animali da parte degli addestratori? Macché, costoro adoperano i medesimi mezzi con cui non troppo tempo fa, l’uomo bianco impose all’uomo nero di coltivare le proprie piantagioni di cotone, strappandolo alla propria terra, sradicando le sue radici, privandolo non solo della libertà ma anche della dignità di essere senziente e della voglia di vivere. Eppure quegli uomini vissero. Forse perché tutto sommato non andava poi tanto male? No. Probabilmente perché esiste un istinto di sopravvivenza che prevale sulla più misera esistenza, perché esiste la speranza che l’incubo un giorno finirà, perché il suicidio è una finezza metafisica, intellettuale. Così l’uomo nero subì ogni tipo di vessazione per paura della minaccia costante della morte qualora non avesse soddisfatto le più ignobili pretese del padrone. Così l’animale, essere senziente e quindi capace di provare sensazioni quali la gioia, il dolore, la paura, il terrore, la solitudine, l’angoscia del distacco, l’amore per i propri cuccioli, accetta di indossare un’ insulsa bardatura e di ballare una ancor più insulsa marcetta sotto applausi scroscianti, urla scomposte, luci accecanti di riflettori, fruste sibilanti. In quel momento sarà più forte il ricordo della quiete della foresta, dell’appartenenza ad un gruppo interrotta dal rapimento seguito all’uccisione dei genitori (unico modo per catturare i piccoli) o delle torture subite durante l’addestramento?
“La prima cosa che gli scimpanzé devono imparare è che l’uomo è il padrone assoluto. Nessuno scimpanzé, all’inizio sopporta di essere vestito, solo le punizioni lo porteranno alla sottomissione e alla perfetta obbedienza. Quando l’animale, al termine dell’esercizio, getta le braccia al collo di chi lo ammaestra è come se dicesse: "Ho fatto quello che volevi, per favore non mi castigare" Parola di addestratore.
E se il babbuino osasse ribellarsi e mordere l’addestratore? Il signor Munslow, ex dipendente di un grande circo internazionale, ci spiega come risolsero la questione: strappandogli i denti con una pinza, senza anestesia. Le urla di dolore e l’impossibilità di mangiare durarono diversi giorni e la lezione servì perfettamente allo scopo.
Il famoso “sorriso” che lo scimpanzé rivolge all’addestratore, non è altro che una smorfia di ansia e tensione. Parola di Desmond Morris, il più famoso etologo vivente.
Si potrebbe continuare con numerosi, agghiaccianti, esempi. Basti citare quello più lampante: la fretta impaziente con cui gli animali escono dalla pista al termine del loro numero. Perfino la prigionia delle loro minuscole celle è preferibile all’agonia dello spettacolo. E durante le trasferte? Centinaia di chilometri asserragliati in vagoni chiusi, senza né luce né acqua. Questi viaggi non portano forse alla mente quelli analoghi causati, non più di sessant’anni fa, dall’altrettanta follia di una parte di uomini e dalla complice indifferenza di altri?
“La crudeltà sugli animali è il tirocinio della crudeltà sugli uomini” ammonisce Orazio.
Ed è a questo tirocinio che si vogliono introdurre gli studenti delle scuole italiane?
E’ a tutti noto come i circhi che sfruttano gli animali si garantiscano la sopravvivenza.
Non certo con i biglietti degli spettatori, dal momento che cresce il rifiuto del pubblico di assistere a spettacoli frutto della tortura e della sopraffazione nei confronti degli animali.
Campano grazie ai cospicui contributi statali (Fondo Unico per lo Spettacolo, e si parla di molti miliardi), e grazie anche alla collaborazione delle maggiori agenzie educative dello Stato: le scuole, che danno ai circensi agio di distribuire agli studenti (operazione della quale a volte si occupano direttamente i docenti nelle classi) biglietti con la riduzione del costo. Tali strazianti spettacoli, per colmo di indifferenza, ignoranza ed ipocrisia, vengono quindi inseriti tra le attività extracurriculari, sebbene si svolgano spesso in orario di lezione, sotto forma di “opportunità educativa”. Perché non considerarle, a questo punto, “educazione all’ambiente?”
Cosa può esserci di educativo in un’attività basata sulla coercizione, sulla violenza, sulla privazione della libertà e della dignità di un essere vivente? Cosa dovrebbero imparare gli inconsapevoli alunni, che per ottenere qualunque aberrante obiettivo, basta applicare la legge del più forte? Che la schiavitù è contemplata dalla nostra società quale fonte di divertimento? O vogliamo convincerli, con buona pace di qualunque principio di onestà, che gli animali si divertono? O che semplicemente in una società antropocentrica, anzi “occidentalcentrica”, il parere ed il rispetto per chi è diverso (per nazionalità, religione, razza, cultura o specie) non conta nulla? A questo è deputata la scuola? Pare di no.
In considerazione difatti, dell’enorme importanza che riveste la tutela dell’ecosistema, in una società “globalizzante” e indifferente ai danni perpetrati nei confronti di flora e fauna, il Ministero dell’allora “Pubblica” Istruzione, ha siglato con la LAV, principale associazione animalista in Italia, riconosciuta Ente Morale e organizzazione Non Lucrativa di Pubblica Utilità Sociale, un protocollo d’intesa (01/10/1999) con lo scopo di “promuovere la diffusione e l’approfondimento dei temi dell’educazione al rispetto di tutti gli esseri viventi nelle scuole di ogni ordine e grado”, sottolineando come, creare consapevolezza sui diritti, doveri e responsabilità nei riguardi degli animali, costituisca una base formativa per un corretto rapporto anche con gli umani. Oggi il Ministero dell’Istruzione promuove l’attività circense nelle scuole. Prendiamo atto della totale inversione di tendenza di questo governo riguardo al rispetto per gli esseri più indifesi del pianeta (che non hanno voce né mezzi per difendersi) a favore invece, di quanti traggono profitto dal loro sfruttamento, maltrattamento, dalla loro coercizione, strazio, morte.
La gente comincia a capire. A poco servono dunque le bugie dei circensi circa le ottimali condizioni dei “loro” animali o circa il fatto che vivano nelle loro gabbie da più generazioni: un qualunque documentario super partes dimostra come sia difficilissimo riuscire a indurre gli animali della foresta a riprodursi in stretta cattività, ma anche quando fosse (e non è) l’istinto alla libertà e ai grandi spazi è comunque innato ed enorme resta la sofferenza per la loro negazione.
E pensare che uno dei più etici articoli del nostro Codice Penale punisce chiunque adoperi gli animali in giochi o spettacoli insostenibili per la loro natura o li detiene in condizioni incompatibili con la loro natura, valutata secondo le loro caratteristiche etologiche, prevedendo in caso di recidiva anche il ritiro della licenza o l’interdizione dall’esercizio dell’attività. Come è possibile che dall’osservanza dell’art.727 del codice penale (già tanto ignorato) siano esonerati circhi e zoo? Che ricevano altresì lauti finanziamenti statali?
Tanto più ora che uno dei più noti circensi siede in Senato.
E’ indispensabile impedire l’utilizzo delle strutture scolastiche per diffondere la cultura dello sfruttamento degli animali. Sarebbe auspicabile che, così come già succede in qualche provincia del territorio nazionale, gli assessori alla Pubblica Istruzione e all’Ambiente e le Istituzioni preposte al settore educazione, inviino circolari in tal senso a tutte le scuole del Comune o della Provincia di pertinenza, con buona pace di qualche impellicciatissima insegnante che ancora oggi, sensibilizzata sull’argomento, esclama “ma è l’unico modo affinché i ragazzi possano vedere da vicino le belve!” Ci permettiamo ancora una volta di rispondere con una citazione, questa volta di un noto medico e scrittore svedese, Axel Munte: “Se volete rendervi conto di quale razza di barbari veramente noi siamo, dovete soltanto entrare nella tenda di un serraglio ambulante. La crudele bestia feroce non è dietro le sbarre, ma davanti!” E aggiungiamo che è istruttivo osservare gli animali nei contesti naturali, ottimamente rappresentati, a livello didattico, dai sussidi audiovisivi, a meno di non voler maturare il convincimento che sia naturale per un cavallo sorridere alle battute del domatore. Fingendo magari di non accorgersi dello spillone con cui, abilmente nascosti, gli si punge il muso.
Cosa chiediamo, in nome della “civiltà”, di mettere sul lastrico un’intera categoria? Soprassedendo sulla malafede dell’argomentazione a difesa della barbarie e ricordandoci che con la stessa logica si muove guerra ad un popolo al solo fine di soddisfare i biechi interessi di alcune “categorie”, rispondiamo che un circo può sopravvivere con acrobati, giocolieri, prestigiatori, clown, contorsionisti, e tutti gli altri artisti umani che si dedicano a tale attività per loro libera scelta.
Sono state promosse dalla LAV e dal WWF, una proposta di legge (n.2724 del 18/11/96) e un Disegno di Legge (n.1703 del 14/11/96) miranti ad eliminare l’uso di animali negli spettacoli circensi.
Si ritiene che il circo possa e debba vivere basandosi sul lavoro umano e non sullo sfruttamento di un qualsiasi animale imprigionato e costretto a esibizioni innaturali.
Proposta e disegno di legge, così come articolati, non danneggiano l’attività circense, ma ne valorizzano invece i contenuti artistici e ne sostengono la crescita umana, economica, artistica e morale. Mettendo fine all’immoralità della schiavitù e dello sfruttamento.
E, tanto per non perdere il gusto della citazione:
“La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali”. Gli animalisti? No.
Mohandas K. Gandhi. Il Mahatma.