A quarant'anni dall'istituzione della Congregazione delle Cause dei Santi

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Cattolico_Romano
00sabato 13 giugno 2009 06:47
A quarant'anni dall'istituzione della Congregazione delle Cause dei Santi

Quel di più che rende umana la vita


di Angelo Amato
Arcivescovo prefetto
della Congregazione delle Cause dei Santi

Sin dai primi secoli i martiri erano considerati una nuova immagine di Cristo sul Calvario. La loro passione era la riproposizione della passione di Cristo. Il protomartire Stefano è assimilato a Cristo, che soffre e si sacrifica per la Chiesa. La preghiera per i suoi uccisori è la stessa di Gesù per i suoi crocifissori (cfr. Atti, 7, 60; Luca, 23, 31). Anche nel martirio di Policarpo, avvenuto, pare, il 23 febbraio 155 a Smirne, il martire viene visto come il perfetto imitatore della via dolorosa di Cristo:  "Policarpo, che fu il dodicesimo a subire il martirio in Smirne con quelli di Filadelfia (...) non solo fu maestro insigne, ma anche martire eccelso, il cui martirio tutti aspirano a imitare, avvenuto com'è a somiglianza di quello di Cristo narrato dal Vangelo".

Per questo i cristiani veneravano i martiri quali perfetti discepoli del Signore, al quale avevano manifestato un amore insuperabile. Esaltando il sacrificio della giovane nobildonna Perpetua, martirizzata a Cartagine nel 202 con Felicita e tre catecumeni, Agostino commenta:  "I martiri di Cristo per il nome e la giustizia di Cristo vinsero il timore della morte e quello dei tormenti:  non temettero né la morte né le sofferenze:  vinse in essi Colui che visse in essi".



Nelle persecuzioni Cristo è a fianco dei martiri, combatte con loro e dà loro la forza di sopportare i supplizi più atroci senza lamento, anzi, col sorriso sulle labbra. Spesso i martiri vedono "la gloria del Signore" e sono confortati da visioni e voci celesti. Nel patire passano dalla condizione terrena a quella celeste:  "Non più uomini, ma già angeli". Il loro corpo consunto dai supplizi emana una divina fragranza. Sono già "perfetti" ed entrano immediatamente nella gloria del cielo.

I martiri mostrarono ai primi cristiani la fermezza della fede, l'amore a Gesù e la comunione con la Chiesa. Il loro coraggio rivelava la fierezza di essere cristiani e di proclamare fino al sacrificio della vita la verità del Vangelo. C'è relazione di causa ed effetto tra la sequela Christi e il martirio. A ragione Agostino precisava che non tanto la pena quanto la causa contraddistingueva i martiri cristiani:  Quoniam martyres discernit non poena sed causa. Ciò destava stupore e imitazione, come mostrano, ad esempio, le conversioni di Tertulliano e di Giustino. Nell'esaltare i martiri cristiani, quest'ultimo scriveva:  "Nessuno credette mai a Socrate, sino al punto di dare la vita per la sua filosofia".

Accanto al battesimo di acqua si pone, quindi, il battesimo di sangue:  "Solo il battesimo di sangue - afferma Origene - ci può rendere più puri di quanto ci rese il battesimo di acqua". Se il battesimo introduce il neofita nella terra promessa, il martirio dà al martire il possesso del regno. Per i cristiani il martirio era sicurezza di salvezza:  "Nell'anfiteatro di Cartagine alla fine dei giochi" fu scagliato contro Saturo un leopardo che "con un colpo di zanne lo bagnò nel suo sangue". Come a testimoniare un secondo battesimo, la folla gridò:  "Eccolo ben lavato! Eccolo salvato". Era sicuramente salvato, aggiungono gli Atti, colui che "era stato lavato nel proprio sangue".

Cipriano illustra ampiamente il significato dei due battesimi:  "Noi che, con il permesso del Signore, abbiamo conferito ai credenti il primo battesimo, prepariamo i singoli al secondo, insinuando e insegnando che questo è il battesimo nel quale battezzano gli angeli, il battesimo nel quale Dio e Cristo esultano, battesimo dopo il quale non si può più peccare, battesimo consumatore della perfezione della nostra fede, battesimo che ci unisce subito a Dio, dopo aver lasciato questo mondo. Nel battesimo di acqua si ha la remissione dei peccati, nel battesimo di sangue la corona delle virtù".

I martiri cristiani vincevano l'angoscia dei supplizi e della morte nella certezza della resurrezione. Il loro eroismo, non come atteggiamento stoico ma come speranza di felicità eterna, confortava le prime generazioni cristiane a familiarizzarsi con la morte, non più traguardo tragico dell'esistenza, ma porta del cielo. I martiri non si avviavano alla morte ma alla vita. Il martire Apollonio, rimproverato dal giudice pagano perché amava la morte, rispose:  "Io amo la vita (...) ma l'amore della vita non mi fa temere la morte. Niente è migliore della vita, ma io intendo la vita eterna".

Nel corso dei secoli, oltre al ricordo degli apostoli e dei martiri si imposero all'ammirazione e quindi alla venerazione dei fedeli anche quelle figure eminenti per la loro vita di fede e per la loro testimonianza della verità. Per questo già verso il terzo secolo Clemente d'Alessandria ritiene martire non solo chi muore per Cristo ma anche chi lo testimonia lungo tutta la sua vita:  "Se professare apertamente la fede in Dio è testimonianza, qualsiasi persona che organizza la sua vita in dipendenza da Dio e osserva i comandamenti di Lui è martire, sia in forza della vita che fa, sia in forza delle parole che dice, qualsiasi possa essere la sua morte:  egli sparge la sua fede come sangue per tutta la vita e all'uscita della vita".

Per Clemente il martirio non è solo un atto, ma uno stato permanente di testimonianza di vita in Cristo. Per lui una esistenza martiriale significa in concreto la pratica delle beatitudini evangeliche.



Nella sua Storia ecclesiastica Eusebio (circa 265-340), parlando dei martiri della Gallia meridionale al tempo di Marco Aurelio, accenna ai cristiani del luogo, che, nonostante i terribili tormenti sopportati, sopravvivono e quindi rifiutano di essere designati come martiri, ma si dicono "modesti e poveri confessori". Qui per la prima volta appare la distinzione tra homòlogoi (confessori) e màrtyroi (martiri).

A ogni modo fin dai primi secoli la tradizione ci ha consegnato non solo gli atti e le passioni dei martiri ma anche le biografie di straordinari testimoni della fede non martiri. Citiamo, tra le molte, la Vita di Antonio di Atanasio di Alessandria, la Vita di Cipriano del diacono Ponzio - che volle aggiungere agli atti del martirio del santo vescovo anche la presentazione della sua dottrina e dei suoi scritti - la Vita di Martino del letterato di chiara fama Sulpicio Severo, la Vita di Ambrogio del diacono Paolino, la Vita di Agostino del vescovo Possidio.

Le biografie antiche seguono in filigrana la narratio evangelica cercando i punti di convergenza con la vita di Cristo. I passi evangelici sorreggono l'intera trama dell'esistenza del santo biografato, le cui gesta ricalcano le gesta di Cristo. Nonostante il riferimento unico a Cristo, di cui rispecchiano i valori più alti, ognuno mantiene la propria identità e originalità.

Il messaggio profondo delle biografie antiche è la proclamazione del mistero di Dio nell'esistenza umana:  questi eroi cristiani suscitano ammirazione non tanto per la loro grandezza umana, ma "come segno di quanto veramente grande può diventare l'uomo, quando rinuncia ai suoi ideali umani per abbracciare totalmente quelli che gli propone Dio".

La tradizione agiografica della Chiesa si è arricchita lungo i secoli di narrazioni esemplari di uomini e donne che, alla scuola del Vangelo, sono diventati testimoni credibili della presenza di Dio nella storia. Alcuni di essi sono stati ufficialmente canonizzati dalla Chiesa.

Questa splendida Bibliotheca Sanctorum continua ad ampliarsi anche in questo terzo millennio. Si tratta dell'eterna primavera della Chiesa, che vede in questi suoi figli e figlie di ogni lingua e nazione il trionfo della grazia divina.

Fin dalla sua istituzione la Congregazione delle Cause dei Santi ha dedicato la sua attenzione al discernimento dell'esercizio eroico delle virtù cristiane dei suoi fedeli, testimoni valorosi di Cristo anche mediante l'effusione del sangue. I santi sono persone che edificano la Chiesa con la loro carità. Allo stesso tempo immettono nella società quel "di più" di amore, di misericordia e di bontà che la rende autenticamente umana. Del resto, come mostra il calendario, i giorni della nostra esistenza sono scanditi dalla loro presenza protettrice. Forse per questo c'è tanto interesse per i santi, antichi e nuovi.



(©L'Osservatore Romano - 12-13 giugno 2009)
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00sabato 13 giugno 2009 06:49

Una via aperta a tutti


Tempo fa i santi potevano apparire anche come figure sorpassate e polverose, agli occhi di società sempre più scintillanti e tecnologiche. Poi è venuto il Vaticano ii che in uno dei suoi documenti più importanti - la costituzione Lumen gentium, che presenta al mondo moderno il volto e l'anima della Chiesa cattolica - ha dedicato un capitolo all'universale vocazione alla santità di ogni credente. A seguito di questo rilancio, si sono aggiornate le procedure per le cause di beatificazione e canonizzazione in uso da alcuni secoli. In questa opera di aggiornamento, il rigore delle procedure per rispondere a una richiesta della pubblica opinione sempre più esigente, si è tuttavia accompagnato alla convinzione diffusa che una vita specchiata nel vangelo - possibilità aperta a tutti - rimane la migliore garanzia per dare credito alla presenza di Dio nella storia del mondo.

Il fascino dei santi cristiani ha conquistato i non praticanti e perfino numerosi non credenti che si sentono in sintonia con figure straordinarie quali san Francesco e madre Teresa forse a motivo della loro grande umanità.

Consapevole di questo richiamo per la verità molto antico e del fatto che nella canonizzazione dei santi è impegnata la credibilità del magistero pontificio, la Chiesa ha cercato di rendere la proclamazione dei santi sempre più accessibile, trasparente e comprensibile a tutti. Chiarendo in particolare le obiezioni, sia sul grado di verità dottrinale proprio di una canonizzazione, sia mediante l'esame accurato delle virtù dei candidati e la serietà dei miracoli attribuiti all'intercessione dei candidati agli onori degli altari.

Nella Curia romana opera un'apposita struttura a questo scopo, la Congregazione delle Cause dei Santi. Con una punta critica qualcuno l'ha definita la "fabbrica dei santi". Un'immagine che non dispiace tuttavia all'arcivescovo Angelo Amato, che ora la presiede, a condizione che si tratti di una "fabbrica di alta qualità". A tale scopo la procedura è diventata sempre più accurata e con Benedetto XVI ancora più esigente. Tanto che, sebbene per figure molto popolari come Giovanni Paolo II si sia aperta una sorta di corsia preferenziale, il prefetto precisa che questo non annulla la procedura rigorosa che comunque deve essere seguita. "La nostra congregazione - ribadisce - non è un'istituzione devozionale, ma di alta teologia poiché cerca di riscontrare l'evidenza di vita in Cristo richiesta ai candidati agli onori degli altari. La santità è l'incarnazione concreta del vangelo in una persona".

Tra i tanti dottori in teologia e in storia della Chiesa, la sostanza dell'essere cristiani l'aveva capita bene un giovane allievo di don Bosco, quel prete santo che una volta definì la gioia come "la più bella creatura uscita dalle mani di Dio dopo l'amore" e che faceva consistere la santità dei suoi ragazzi nello stare molto allegri evitando il peccato. L'allievo è Domenico Savio che fu lesto a recepire la lezione, stilando un programma inconsueto per un giovanissimo:  "Voglio farmi santo", e lo fondò su un impegno sbalorditivo per ogni tipo di adulto:  "La morte ma non peccati". Don Bosco gli aveva detto:  "È volontà di Dio che ci facciamo santi". Il concilio Vaticano ii avrebbe scritto cento anni dopo:  "Tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità:  da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano". Il più delle volte capita di leggere le più fantasiose analisi sulla Chiesa. Il suo vero progetto invece è quello di spingere tutti sulla via della santità. Quando non lo si fa, nasce il problema. E allora guardare dentro la Congregazione delle Cause dei Santi - dicastero che nella forma rinnovata compie quarant'anni - è come guardare nel cuore della Chiesa.

c. d. c.



(©L'Osservatore Romano - 12-13 giugno 2009)
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00sabato 13 giugno 2009 06:52

I quattro secoli di storia dalla Curia di Sisto V alla svolta di Paolo VI


di Michele Di Ruberto

Arcivescovo segretario
della Congregazione delle Cause dei Santi

Dei quattro secoli della storia della Congregazione delle Cause dei Santi il primo periodo è, senza dubbio, determinante. Con la Costituzione apostolica Immensa aeterni Dei, del 22 gennaio 1588, Sisto V istituì quindici dicasteri, tra i quali uno specifico per la liturgia e per le cause di canonizzazione:  la Sacra Congregazione dei Riti. Questa fase si chiude il 5 luglio 1634 con il breve Coelestis Hierusalem cives, vera magna charta della Congregazione dei Riti, frutto dell'esperienza dei decenni precedenti e di numerosi decreti, emanati soprattutto nella prima parte del pontificato di Urbano VIII. Tutta l'esperienza giuridica sulle cause dei santi fu raccolta da Benedetto XIV nel De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione per confluire, infine, nel Codice Pio-Benedettino (IV, II, 1999-2166).

Dopo il concilio Vaticano ii, Paolo VI, dando un nuovo assetto agli organismi di governo della Curia Romana, il 15 agosto 1967 pubblicò la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae. Pochi anni dopo, con la lettera apostolica del 19 marzo 1969, Sanctitas clarior (Acta Apostolicae Sedis, LXI, 1969, pp. 149-153), modificava una parte dei canoni del diritto pio-benedettino e, l'8 maggio 1969, con la Costituzione Sacra rituum congregatio sopprimeva la Sacra Congregazione dei Riti, dividendo le sue due competenze in altrettante Sacre Congregazioni:  una per il Culto Divino e l'altra per le Cause dei Santi.



L'ambito assegnato a quest'ultima riguarda "tutto ciò che si riferisce alla beatificazione dei servi di Dio, o alla canonizzazione dei beati, o alla conservazione delle reliquie". In questo modo si modificò anche l'assetto procedurale. Secondo il Codice Pio-Benedettino due erano i processi che si dovevano istruire per le cause dei santi:  uno ordinario e l'altro apostolico. Il motu proprio li soppresse, sostituendoli con un unico processo detto "cognizionale", istruito dal vescovo del luogo di morte del servo di Dio, dopo aver ottenuto il nihil obstat dalla Santa Sede, avvalendosi di una duplice autorità:  una ordinaria, esercitata per diritto proprio e spesso ampliata, e una delegata dalla Sede Apostolica.

Si trattò di una profonda innovazione che rese più rapide l'istruttoria e la trattazione delle cause. In particolare l'introduzione della causa, che prima era affidata alla Santa Sede e firmata dal Papa, d'allora in poi fu svolta in diocesi con il decreto dell'ordinario, che istituiva il tribunale per l'istruzione del processo. Quando il processo arrivava a Roma, dopo averne esaminato la validità giuridica la Sacra Congregazione procedeva alla trattazione delle virtù o del martirio.

Questo fu il primo passo per la revisione di tutta la materia relativa alla beatificazione e alla canonizzazione contenuta nel Codice di Diritto Canonico del 1917. Di conseguenza il dicastero fu dotato di una struttura che assicurava funzionalità e rapidità nei vari adempimenti.

Innanzitutto fu creato l'Ufficio giudiziale perché seguisse il complesso iter delle cause:  "il primo Ufficio giudiziario, che è retto dal segretario, coadiuvato dal sottosegretario e da un congruo numero di officiali" (Sacra rituum congregatio, n. 6). Era competenza dell'ufficio preparare una relazione nella quale, dopo aver dato brevi cenni biografici del servo di Dio, si verificava se l'avvio della causa fosse nei tempi previsti dalla norma. Si esplorava poi il fondamento della fama sanctitatis o martyrii e infine si rilevavano le ragioni ecclesiali per proporre la figura del servo di Dio. Il "nulla osta", concesso ex audientia dal Papa, riconosceva il fondamento della fama sanctitatis o martyrii e autorizzava il vescovo diocesano a introdurre la causa. Lo stesso ufficio redigeva gli interrogatoria e una instructio in cui si indicavano i punti da esplorare con l'aiuto di una commissione di esperti in re historica et archivistica. Nell'ambito dello stesso ufficio giudiziale fu affidato alla competenza del sottosegretario lo studio dei presunti miracoli, esaminati sotto l'aspetto scientifico e tecnico dalla consulta medica, istituita da Pio xii con il nome di "Commissione", nell'ottobre 1948, e affiancata dal relativo regolamento.

Il secondo ufficio era presieduto dal Promotore generale della fede che, coadiuvato dal sottopromotore e da alcuni minutanti, redigeva un "voto" sullo stesso materiale esaminato dall'Ufficio giudiziale per la concessione del nulla osta necessario all'introduzione della causa. Era inoltre competenza del promotore generale la redazione delle animadversiones sul Summarium testium et documentorum e la stesura definitiva della Positio sulle virtù o sul martirio.

Poi era il momento dell'Officium Historicum-Hagiographicum, cui presiedeva il relatore generale, coadiuvato dal vicerelatore e da aiutanti di studio esperti in re historica et archivistica. La costituzione Sacra rituum congregatio, al numero 10 - facendo un esplicito riferimento al motu proprio del 6 febbraio 1930, con il quale Pio XI aveva istituito la sezione storica che fu poi denominata appunto Officium Historicum-Hagiographicum - stabiliva che era compito di questo organismo redigere la positio in base alla documentazione ricavata dalla ricerca archivistica.

Il quadro procedurale era dunque diviso in due fasi. Nella "fase diocesana", ottenuto il nulla osta, l'ordinario dove era morto il servo di Dio, procedeva a introdurre la causa e a istruire il processo cognizionale, seguendo gli interrogatoria e la instructio, che miravano a evidenziare tutte le questioni inerenti alla vita o al martirio. Nella seconda fase - quella romana che si svolgeva nell'ambito della Congregazione - gli atti processuali erano oggetto di valutazione formale e di merito. In particolare prima si svolgeva una discussione sul martirio, sulle virtù e sui miracoli. Le Positiones super martyrio, super virtutibus e super miraculis venivano discusse in un congresso formato da prelati e consultori del dicastero e presieduto dal segretario, coadiuvato dal sottosegretario, e in una sessione dei padri della congregazione, presieduta dal cardinale prefetto. L'esito veniva riferito al Papa.

In un secondo momento si arrivava al riconoscimento pontificio del martirio, della eroicità delle virtù o del miracolo. Dopo l'approvazione del Papa, si promulgavano i relativi decreti, sempre alla presenza del Pontefice. Il servo di Dio - come aveva stabilito Pio X nel 1913 - otteneva il titolo di venerabile con la pubblicazione del decreto sulle virtù eroiche. Alla beatificazione solenne si giungeva dopo il riconoscimento di due miracoli attribuiti all'intercessione del venerabile servo di Dio. La canonizzazione sopraggiungeva dopo il riconoscimento di due nuovi miracoli, accertati dopo la beatificazione. In occasione dell'anno santo del 1975 Paolo VI sostituì la necessità di riconoscere un secondo miracolo con l'introduzione dello studio sulla fama signorum che si attribuiva al beato. Questa dispensa fu confermata successivamente ed è divenuta norma.



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00sabato 13 giugno 2009 06:54

E nel 1983 arrivò la riforma di Giovanni Paolo II


Negli ultimi decenni un aggiornamento della normativa che regola l'attività della Congregazione delle Cause dei Santi è stato apportato dalla costituzione apostolica Divinus perfectionis magister del 25 gennaio 1983, completata dalle Normae servandae in inquisitionibus ab episcopis faciendis in causis sanctorum e dal relativo regolamento. La nuova procedura delle cause di beatificazione e canonizzazione non poté però essere inserita nel Codex iuris canonici.

La costituzione istituisce un Collegium relatorum, a cui presiede un relatore generale, e sostituisce il Promotore generale della fede con la figura del Praelatus theologus. Vengono così aboliti l'Ufficio storico-agiografico e il nulla osta che autorizzava il vescovo a introdurre la causa.

I punti essenziali della procedura quindi si modificano. Prima si procede alla costruzione dell'inchiesta diocesana - non più un processo ordinario né cognizionale - con raccolta degli scritti del e sul servo di Dio, e poi all'esame da parte di censori teologi. In un secondo momento gli atti dell'inchiesta sono trasmessi alla congregazione in una copia autentica (detta transunto) e in un altro esemplare (copia pubblica):  tutto il materiale è esaminato e studiato da uno dei relatori, nominato d'ufficio, che si serve di un collaboratore esterno per l'allestimento della Positio, nella quale vengono presentate le prove della fama di santità, dell'esercizio delle virtù, del martirio e dei presunti miracoli.

Concretamente l'iter della causa si compie in due fasi:  quella diocesana, fondamentale per la documentazione, e quella romana in cui si effettua la verifica degli atti sotto il profilo formale e se ne studia il merito.

Nella fase diocesana, il vescovo riceve dal postulatore - rappresentante degli attori - l'informazione sulla vita, sulle virtù, sulla fama di santità del servo di Dio e, se ritiene che tutto ciò abbia un sufficiente fondamento, mette in moto il meccanismo. Innanzitutto fa esaminare gli scritti editi del servo di Dio da due teologi. Se questi sono favorevoli, costituisce una commissione storica, per la raccolta di altri scritti e documenti. Non trascura inoltre di ottenere il consenso della Conferenza episcopale sull'opportunità di iniziare la causa. Questo atto sostituisce le lettere postulatorie della precedente procedura.

Successivamente il vescovo chiede alla Congregazione delle Cause dei Santi il nulla osta, che, a differenza di quello richiesto dalla precedente legislazione, tende solo a verificare se sul conto del servo di Dio ci siano ostacoli perentori. Dopo aver ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede, il vescovo costituisce il tribunale - formato da un delegato episcopale, un promotore di giustizia, un notaio effettivo e uno aggiunto - che raccoglierà le prove testimoniali e documentali, la stesura definitiva delle quali deve essere preceduta da una relazione sottoscritta in solidum dagli esperiti in re historica et archivistica. Conclusi questi adempimenti, gli atti dell'inchiesta sono inviati alla congregazione per essere studiati.

La fase romana si svolge in diversi momenti. Innanzitutto vengono esaminati gli atti processuali sotto il profilo formale. Subito dopo viene redatta la Positio sotto la guida di un relatore che vaglia le testimonianze e la documentazione attinente alla vita, alle virtù e al martirio del servo di Dio. Nel caso dei miracoli il Summarium per i periti medici e la Positio sono redatti sotto la guida del sottosegretario. Poi la Positio di eventuali cause antiche - o di alcune recenti di particolare rilevanza storica - viene esaminata dai consultori storici in una seduta, presieduta dal relatore generale. I pareri degli esperti vengono pubblicati in un fascicolo denominato Relatio et vota. Inoltre la Positio delle cause storiche con la Relatio et vota delle cause recenti, nonché la Positio super miro, vengono sottoposte all'esame dei consultori teologi nel Congresso peculiare, presieduto dal Promotore generale della fede (prelato teologo) la cui discussione con i relativi pareri è raccolta nella Relatio et vota. Se i due terzi dei teologi esprimono parere favorevole, la causa passa al giudizio di cardinali e vescovi. Nel caso di voti sospensivi saranno compilati i chiarimenti da parte degli attori della causa (postulatore), sotto la guida del relatore. Se i voti favorevoli non hanno raggiunto il quorum necessario, il Congresso ordinario decide se procedere o meno nell'iter.

Se la causa ha avuto una valutazione favorevole i documenti vengono portati all'attenzione dei cardinali e dei vescovi della Sessione ordinaria della congregazione, presieduta dal prefetto, con la partecipazione del segretario del dicastero, con diritto di voto, e alla presenza del sottosegretario, che redige il verbale, e del prelato teologo. Il prefetto sottopone l'esito della seduta al Papa, il quale autorizza il dicastero a promulgare il relativo decreto sulle virtù eroiche, sul martirio e sul miracolo. Una volta pubblicato il decreto, si fissa la data della beatificazione. Quando poi si passa alla canonizzazione di un beato, si celebra il concistoro che ratifica il parere di cardinali e vescovi, con l'approvazione del Papa che stabilisce la data.

Nel caso di un confessore - cioè di un servo di Dio non martire - è necessario per la beatificazione che venga approvato un miracolo ottenuto per sua intercessione. Anche per la canonizzazione di un beato si richiede un miracolo, avvenuto dopo la sua beatificazione. L'iter relativo all'accertamento del miracolo è analogo a quello descritto per le virtù o per il martirio. Competente è il vescovo del luogo in cui si è verificato il presunto miracolo. È lui a costituire un tribunale che analizza i testi e raccoglie tutta la documentazione medica, per poi trasmettere gli atti alla Congregazione delle Cause dei Santi.

Si prepara il Summarium, che viene sottoposto alla Consulta dei medici - quando si tratta, come avviene quasi sempre, di una guarigione - i quali sono chiamati ad accertare se la guarigione possa essere spiegata o no dalla scienza nel suo stato attuale. Ottenuto il parere di inspiegabilità del caso da parte dei componenti la Consulta medica, si redige la Positio del presunto miracolo che viene esaminata dai consultori teologi, per verificare se si tratta di un vero miracolo e se questo può essere attribuito al servo di Dio in questione. Si passa poi allo studio della Sessione ordinaria dei cardinali e dei vescovi, la cui decisione è sottoposta all'approvazione del Papa. Se il Pontefice dispone la pubblicazione del decreto sul miracolo, si celebra la beatificazione e la canonizzazione.

Questi due istituti si differenziano tra di loro in maniera sostanziale. Entrambi richiedono una decisione del Papa, ma mentre la beatificazione è la concessione di un culto limitato a una porzione del popolo cristiano - diocesi, nazione, ordine religioso - la canonizzazione è un atto del supremo magistero, che presenta un beato come santo e come tale da venerarsi in tutta la Chiesa. (michele di ruberto)


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00sabato 13 giugno 2009 06:54

Come s'impara a riconoscere la santità


Dopo la riforma della procedura canonica delle cause dei santi operata da Giovanni Paolo II nel 1983, l'anno successivo è stato istituito lo Studium che cura il corso per la formazione dei postulatori e degli altri collaboratori del dicastero. Lo Studium ha inoltre il compito di curare l'aggiornamento dell'Index ac Status Causarum. Lo Studium - di cui è "patrono" il prefetto - è guidato dal segretario e dal sottosegretario della congregazione.
Finora il corso - 90 ore di lezioni teoriche e 15 di lezioni pratiche - è stato frequentato da oltre 1900 studenti, buona parte dei quali oggi collabora alla preparazione delle inchieste diocesane. Lo Studium opera in spirito di servizio ecclesiale, con finalità scientifiche, consentendo di acquisire alla scuola dei santi maggiore consapevolezza della propria fede. Assolve inoltre anche a un'altra finalità:  diffondere e rendere familiari questioni fondamentali per la vita della Chiesa.


(©L'Osservatore Romano - 12-13 giugno 2009)
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00sabato 13 giugno 2009 06:56
Lo studio medico delle guarigioni ritenute miracolose

Guarigioni miracolose?

La parola anzitutto ai medici


di Patrizio Polisca

Università di Tor Vergata
Presidente della Consulta Medica
della Congregazione delle Cause dei Santi


Lo studio scientifico delle guarigioni ritenute miracolose riveste un ruolo centrale nell'iter processuale di una causa di beatificazione o canonizzazione, ma il riconoscimento del "miracolo" non appartiene alla scienza medica, essendo una nozione di pertinenza teologica.

Il significato del "miracolo" è essenzialmente legato alla religione e alla teologia pur contenendo valenze di rilevanza scientifica e filosofica. Infatti da una parte esso si collega alle leggi naturali - ambito scientifico-filosofico - dall'altra rimanda alla sua significatività soprannaturale, ambito teologico. Che cosa può dire la scienza al riguardo? Le possibili risposte:  trovarsi di fronte a un evento le cui cause sono ignote; trovarsi di fronte a un evento inusitato che contraddice l'esperienza comune (ad esempio:  guarigione istantanea di grave malformazione congenita, reversibilità di un fenomeno certamente irreversibile); trovarsi di fronte a un certo evento il quale, in base alle conoscenze oggi acquisite, resta inusitato e inspiegabile.



Una parte preponderante dei miracoli è rappresentata, oggi come al tempo di Gesù, dai "miracoli di guarigione". Questo il motivo per il quale il loro studio medico-scientifico viene affidato a periti medici i quali, riuniti in Consulta medica - organo consultivo della Congregazione per le Cause dei Santi - appositamente istituita, sono chiamati a esprimere un giudizio finale di spiegabilità scientifica o meno circa la guarigione proposta. L'assetto definitivo della Consulta medica si deve a Pio XII, dopo la sua istituzione che risale a Sisto V.

Un giudizio conclusivo viene raggiunto in sede di Consulta medica, dopo le esposizioni dei periti d'ufficio, dei vari esperti, che a seconda della natura delle guarigioni in esame possono essere internisti, chirurghi, pediatri, cardiologi e così via, fino alla "discussione collegiale".

I procedimenti per giungere al definitivo giudizio non sono mai semplici poiché la documentazione presentata, cioè accertamenti vari, spesso complessi - esami radiologici, endoscopici, esami istologici, cardiologici, neurologici, oltre la valutazione delle testimonianze - è corposa e richiede competenze specifiche:  neurologiche, cardiologiche, pediatriche, e via dicendo.

Il giudizio conclusivo della Consulta medica viene infine espresso attraverso la definizione della diagnosi della malattia con relativa prognosi, della terapia e infine, della guarigione stessa con riferimento alla sua spiegabilità scientifica o meno. Accertata all'unanimità o a netta maggioranza l'inspiegabilità di una determinata guarigione questa passa all'esame della Consulta teologica per la eventuale definizione di miracolo.

La metodologica attuata in sede di Consulta medica è la stessa che presiede alla ricerca scientifica la quale, prendendo le mosse dalla osservazione, passa alla formulazione dell'ipotesi interpretativa (diagnosi) con le conseguenti deduzioni e infine la verifica, decorso della malattia, sua guarigione o cronicizzazione o exitus. Certamente si tratta di una visione scientifica di stampo realista, consapevole di poter raggiungere una conoscenza reale dei fenomeni naturali attraverso la scoperta delle loro cause, presupponendo la nozione di un universo razionale. "È la razionalità del mondo a provocare nell'uomo la ricerca della causa dei fenomeni" diceva Max Planck. Al giudizio di spiegabilità scientifica delle guarigioni si perviene attraverso un percorso metodologico ormai ben consolidato e così individuabile.

La "malattia" può essere definita come la rottura del normale equilibrio fisiologico tra le funzioni vitali (omeostasi) basato su delicati meccanismi biologici di autoregolazione. La "diagnosi" è il giudizio attuale sulla malattia in esame e rappresenta una lettura adeguata del soggetto malato tramite l'osservazione e il collegamento logico della sintomatologia interpretata secondo un modello biologico.

La diagnosi deve essere di solito accreditata e suffragata da prove idonee al raggiungimento di un sufficiente livello di certezza. La povertà di prove valide o di limitato valore ai fini del giudizio diagnostico sulla malattia può indurre in errore o a difficoltà interpretative del caso clinico in esame. Soprattutto è dalla qualità delle prove diagnostiche assunte che si può desumere, con maggiore o minore certezza, l'attendibilità della diagnosi.

Il criterio delle prove diagnostiche è sempre da riportare all'epoca in cui esse furono eseguite. Se queste appartengono a casi clinici risalenti a molti anni prima, per cui è realmente impossibile rintracciare elementi di valutazione probanti, si parla di "caso storico".

La povertà diagnostica per esiguità di prove vincolanti o fortemente indicative di uno stato morboso inficia la plausibilità del giudizio diagnostico e, quindi, finale poiché vengono a mancare elementi di supporto affidabili e necessari per la giusta definizione interpretativa della patologia in questione.

Un aspetto essenziale della malattia è rappresentato dal suo "decorso" che si identifica con la sua storia naturale nei suoi tratti di durata, gravità e complicanze e che risulta decisivo ai fini del giudizio prognostico sulla malattia stessa. Appare, perciò, indispensabile la raccolta dei documenti medici riferentisi al periodo della malattia precedente la guarigione (certificazioni mediche, prove diagnostiche, cartelle cliniche, testimonianze del personale di assistenza, familiari e via dicendo, ottenuti tramite interrogatori particolareggiati sullo svolgimento dei fatti in sede processuale che extragiudiziale). Tutto ciò al fine di confrontare la compatibilità della guarigione con quanto si conosce della storia naturale della malattia in esame o in dipendenza di cure appropriate.

La prognosi, inoltre, rappresenta un giudizio di previsione, ossia di probabilità o possibilità circa il decorso e l'evoluzione della malattia per ciò che concerne la sopravvivenza quoad vitam o il recupero funzionale, quoad valetudinem.

Ai fini della spiegabilità della asserita guarigione miracolosa è di fondamentale importanza studiare da parte dei periti il rapporto di causalità tra guarigione e terapia "ricercandone la proporzionalità causale efficiente". Soprattutto l'esame e il giudizio dei periti medici viene focalizzato sulla sufficienza o sull'insufficienza causale della terapia a risolvere una certa situazione, a seconda delle possibili scelte terapeutiche del momento.

La guarigione per essere definita scientificamente non spiegabile o straordinaria - i termini devono essere assunti quali sinonimi - e quindi utile alla definizione teologica di miracolo necessita di speciali attribuzioni.
Si deve al cardinale Prospero Lambertini, poi Benedetto XIV, il merito di aver precisato le caratteristiche del miracolo anche sotto l'aspetto medico-scientifico. Infatti nella De servorum beatificatione et beatorum canonizatione (libro IV, capitolo VIII, 2 - 1734) egli fissava precisi criteri per il riconoscimento della straordinarietà o inspiegabilità di una guarigione:  Primum est, ut morbus sit gravis, et vel impossibilis, vel curatu difficilis ("bisogna che la malattia sia grave, incurabile o difficoltosa a trattarsi"). Secundum, ut morbus, qui depellitur, non sit in ultima parte status, ita ut non multo post declinare debeat ("in secondo luogo, bisogna che la malattia vinta non sia all'ultimo stadio o al punto da poter guarire spontaneamente"). Tertium, ut nulla fuerit adhibita medicamenta, vel, si fuerint adhibita, certum sit, ea non profuisse ("in terzo luogo occorre che nessun farmaco sia stato impiegato, o, se impiegato, che ne sia stata accertata la mancanza di effetti"). Quartum, ut sanatio sit subita, et momentanea ("in quarto luogo bisogna che la guarigione avvenga all'improvviso e istantaneamente"). Quintum, ut sanatio sit perfecta, non manca, aut concisa ("in quinto luogo è necessario che la guarigione sia perfetta, e non difettosa o parziale"). Sextum, ut nulla notatu digna evacuatio, seu crisis praecedat temporibus debitis, et cum causa; si enim ita accidat, tunc vero prodigiosa sanatio dicenda non erit, sed vel ex voto, vel ex parte naturalis ("in sesto luogo bisogna che ogni escrezione o crisi degne di nota siano avvenute a tempo debito, ragionevolmente in dipendenza di una causa accertata, precedentemente alla guarigione; in tale eventualità la guarigione non sarebbe da considerare prodigiosa, ma piuttosto, totalmente o parzialmente naturale"). Ultimum, ut sublatus morbus non redeat ("per ultimo bisogna che la malattia debellata non si riproduca").

I criteri stabiliti da Benedetto XIV sottendono, realmente:  una forte sproporzione tra la guarigione e la gravità della malattia iniziale che appare inguaribile o difficilmente curabile; il mancato rapporto causale con la terapia praticata; la rapidità della risoluzione; la completezza della guarigione e la stabilità nel tempo della stessa. Questi rappresentano anche al presente il giusto riferimento per il giudizio di non-spiegabilità poiché colgono realmente nella sua sostanza l'inspiegabilità del fenomeno definendo compiutamente una guarigione "non scientificamente spiegabile".

Una guarigione che contenga i caratteri della inspiegabilità, sopra esposti, mostra, alla interpretazione clinico-biologica un imprevedibile salto qualitativo, di ordine essenziale, cioè riguardante la intrinseca natura o sostanza degli avvenimenti biologici che esulano dalle ordinarie previsioni rendendosi evidente la loro innaturale risoluzione. In tali casi la guarigione non appare più compatibile con le leggi scientifiche conosciute.



(©L'Osservatore Romano - 12-13 giugno 2009)
Cattolico_Romano
00domenica 28 giugno 2009 18:04
La Congregazione per i Santi compie 40 anni (I)

Commenti del prefetto emerito, il Cardinale José Saraiva Martins



di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 26 giugno 2009 (ZENIT.org).- Festeggia 40 anni la Congregazione per le Cause dei Santi, dicastero sorto dall'evoluzione della Congregazione dei Riti, nata nel 1588.

Dopo il Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI, nel contesto di una ristrutturazione di alcuni organismi della Curia Romana, divise il dicastero: nacquero così quarant'anni fa le Congregazioni per il Culto Divino e per le Cause dei Santi.

Paolo VI stabilì che il compito principale della Congregazione per le Cause dei Santi fosse quello di indagare attraverso documenti, grazie e miracoli la santità dei candidati alla beatificazione e alla canonizzazione, con l'aiuto di una commissione di esperti tra scienziati e storici.

Il Cardinale portoghese José Saraiva Martins, C.F.M, è stato nominato da Giovanni Paolo II nel 1998 prefetto di questa Congregazione, incarico che ha ricoperto fino all'anno scorso. E' membro di altri dicasteri e di uffici della Curia Romana, come le Congregazioni per il Culto Divino e quella dei Vescovi, il Pontificio Consiglio della Salute e la Commissione Pontificia per lo Stato della Città del Vaticano. Ora che è prefetto emerito della Congregazione per le Cause dei Santi, a 77 anni, Benedetto XVI lo incarica di presiedere alle cerimonie di beatificazione in ogni angolo del pianeta.

Maggiore contatto con la santità

Parlando con ZENIT, il porporato ha confessato che tra i molti incarichi che ha ricoperto nella Santa Sede questo è stato per lui particolarmente importante, “perché uno impara a conoscere meglio la Chiesa nella sua realtà pi& ugrave; intima e profonda sulla santità”.

Nel decennio in cui ha lavorato in questo dicastero, ha dovuto studiare 1320 biografie tra santi e beati. “Un esercito di santi”, afferma.“I beati e i santi sono tutti diversi. Sono tutti estremamente interessanti. Hanno un punto di vista particolare in base alla loro vita e alla loro personalità”.Il lavoro era appassionante e allo stesso tempo impegnativo: “Le mattinate erano piene, non c'era tempo neanche per bere un caffè”, ha ricordato.Uno dei frutti del lavoro della Congregazione, osserva, è stato l'ampliamento dei processi di canonizzazione e beatificazione, al punto che durante il pontificato di Giovanni Paolo II sono stati elevati agli altari più santi e beati che nel resto della storia.

Dal 1588 al 1978 erano stati proclamati in totale 808 beati e 296 santi. Giovanni Paolo II ha invece approvato 1.353 beatificazioni e 482 canonizzazioni. Durante la prefettura del Cardinale Saraiva, 1.108 servi di Dio sono stati proclamati beati e 217 sono stati canonizzati.In questo modo, osserva il porporato, si è “allargata moltissimo la geografia della santità”. “Giustamente, perché la santità non è europea, è universale. Tutti possono esseri santi, a qualunque gruppo, etnia o posizione sociale appartengano. Sono stati canonizzati africani, americani, è stato canonizzato il primo santo brasiliano, fra' Galvão. Il Brasile è il Paese con più cattolici nel mondo e non aveva alcun santo”. La Congregazione per le Cause dei Santi ha circa 30 funzionari con il prefetto, il segretario e il sottosegretario. Molti altri esperti collaborano per studiare le biografie delle persone proposte per la canonizzazione.“Ci sono 300 postulatori e tantissimi interlocutori del dicastero. Ci sono molti consultori, storici, medici. Gli altri dicasteri non hanno questa moltitudine di gente”, ha confessato il Cardinale.

Storie toccanti

Tra le molte biografie studiate dal prefetto emerito, una di quelle che lo hanno più commosso riguarda Edith Stein, la filosofa ebrea che a 19 anni ricevette il sacramento del Battesimo e a 41 entrò nell'Ordine del Carmelo. Venne assassinata nel campo di concentramento di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale.

“Era una donna di grande pensiero ma con una sensibilità spirituale biblico-teologica. Una mistica straordinaria”, ha sottolineato il Cardinal Saraiva.Altre cause che lo hanno colpito sono state quelle di Papa Giovanni XXIII, di San Pio da Pietrelcina, della beata Teresa di Calcutta, di San Josemaría Escrivá e degli sposi Marie Zélie Guérin (1831-1877) e Louis Martin (1823-1894), genitori di Santa Teresina del Bambin Gesù.

“Era la prima volta nella storia della Chiesa che venivano beatificati due genitori che hanno una figlia canonizzata. E sono la seconda coppia beatificata proprio come coppia. Ho condotto questo caso con molto entusiasmo”, ha rivelato il porporato.

Il presidente emerito della Congregazione racconta che una volta Papa Giovanni Paolo II gli confessò che questo era il dicastero più significativo per la Chiesa: “Se la santità è l'unica cosa importante della Chiesa, il dicastero che studia la santità è il più bello”.
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