A proposito del...NULLA...

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Caterina63
00lunedì 22 dicembre 2008 16:27
 ....da un amico riporto:

...pensando un pò a tutti i discorsi intorno alla creazione ex nihilo arrivo sempre inesorabilmente al grande scoglio del nihilo appunto, del nulla ontologico. ammetto di subire da sempre il fascino della lezione filosofica di Severino per cui sono diventato, ahimè, sensibile all'argomento.
ho anche presente la lezione di S. Tommaso che genialmente riesce a conciliare il concetto di creazione con quello di eternità del mondo (materia - hyle) di aristoteliana memoria.
nonstante tutto non ho ancora trovato una rilfessione seria sul concetto di "nulla" nell'ambito della filosofia cristiana.
qualcuno è interessato a contribuire alla discussione??

premetto che sto per accingermi a leggere un vecchio e ormai introvabile libro di p. Fabro (L'alienazione dell'occidente) in cui fa una disamina della filosofia del Severino e spero di trovare là qualche informazione utile, ma nel frattempo mi piacerebbe discuterne con voi.
...Ex nihilo...
SANT’ANSELMO A PROPOSITO DEL NULLA*


Ho detto che creazione dal nulla vuol dire solo produzione di tutto l’essere, ma talvolta quel “nulla” ci disturba. Anche Sant’Anselmo, dopo aver detto, nel capitolo VIII del Monologion, che “fatto dal nulla” vuol dire “non c’era qualcosa da cui ciò che è stato fatto sia stato tratto”, dopo aver dimostrato vari attributi di Dio, torna, nel capitolo XIX, ad essere disturbato dal nulla. Sed ecce iterum insurgit nihil. Non c’era nulla prima di Dio, non ci sarà nulla dopo Dio: sembra dunque che prima e dopo Dio ci sia il nulla. Anche qui Sant’Anselmo ripete che nulla vuol dire non aliquid: ante summam essentiam non fuit aliquid. Quando si dice che nulla fu prima della somma essenza, «uno è il significato esprimibile a parole che “prima che fosse la somma essenza ci fu un tempo in cui era il nulla”; l’altro è il significato intelligibile che “prima della somma essenza non vi fu alcuna realtà”. Come se dicessi: “Nulla mi ha insegnato a volare”, potrei spiegare questa frase così: “il nulla –che vuol dire non ente – mi ha insegnato a volare” – e questo è falso-; oppure così: “non c’è alcuna cosa che mi abbia insegnato a volare” – e questo è vero”».

Ma il discorso torna nel De casu diaboli, a proposito del carattere negativo del male: il male è nulla. Infatti la parola “nulla” significa qualche cosa, ha un significato. “Ora se la parola nulla significa qualche cosa, e non nulla, ciò che è significato sarà qualche cosa”. A questa obiezione il Masnovo risponde che ciò che è significato è l’essere negato dal nulla; “nulla”, infatti vuol dire “non aliquid”, “non ente”, e come per intendere “non uomo” bisogna intendere “uomo”, così per significare “nulla”, ossia “non ente”, bisogna intendere e significare l’ente. Ma il Discepolo obietta che quando si dice “nulla” non si intende l’ente che è negato, ma il nulla. E il Maestro risponde che ciò che è significato è la negazione dell’ente. Ora questa negazione è espressa da noi con un nome, come se fosse una cosa, ma in realtà è, appunto, la negazione dell’essere. Di molte cose -dice infatti il Maestro- «la forma grammaticale non corrisponde al tipo di realtà significata. Per esempio (…) “cecità” grammaticalmente indica una cosa, ma in realtà no è qualcosa di positivo (…) La cecità infatti non è altro che la non-vista o l’assenza di vista là dove la vista dovrebbe esserci». Così il nulla è la negazione dell’ente, negazione ipostatizzata e quindi espressa con un nome. Così è esorcizzato il fantasma di un nulla che sarebbe qualche cosa, e dal quale si immaginerebbe che sorgessero le cose.

* Sofia Vanni Rovighi, Il problema teologico come filosofia, Eupress FTL, 2004, pp.102-118

Approfondimento:


http://musicasacra.forumfree.net/?t=8258413

Credo che il problema del nulla ontologico si possa ricondurre alla riflessione agostiniana sul tempo. Così come non ha senso domandarsi cosa facesse Dio prima di creare il mondo, poiché il tempo fu creato insieme al mondo stesso, così non ha senso interrogarsi su un presunto spazio vuoto di materia preesistente alla creazione. Il concetto di nihil è un concetto relativo, creazione ex nihilo significa che Dio non si limitò a plasmare una materia già esistente, quindi eterna e in qualche modo divina, come il demiurgo di Platone, ma creò allo stesso modo la materia e la forma. Non possiamo immaginare un Dio che abiti uno spazio vuoto e in un certo momento decida di riempirlo con la terra, i pianeti ecc. Lo spazio vuoto è un concetto limite, un'astrazione razionale come l'infinito in atto di aristotelica memoria. D'altra parte, ci ammonisce Parmenide, il non-essere non è!
A livello concettuale l'idea di 'nulla' , come quella di 'infinito' sono per noi dei non sense. Non abbiamo cioè la possibilità di rappresentarceli in qualche modo. Il tempo poi è nato contestualmente alla creazione, ed è inutile chiedersi cosa ci fosse prima.
Sarebbe come arrivare al Polo Nord e poi chiedersi: 'cosa c'è più a nord del polo nord'. Non sense. Creare dal nulla significa quindi dare consistenza a qualcosa che prima non c'era. E il 'come' non può essere percepito dal nostro versante.
Un piccolo contributo che ritengo ben fatto, specialmente per chi si affaccia per la prima volta al pensiero dell'aquinate.........


San Tommaso afferma che “alcuni pensatori si elevarono ad
esaminare l’ente in quanto ente” e considerarono la causa delle cose
“nella misura in cui esse sono enti”. Avicenna e Sigieri di Brabante
avevano negato che l’
ens inquantum ens avesse causa, perché implicherebbe
che anche Dio abbia una causa. La posizione di Tommaso è
originale – unica e diversa – nel tredicesimo secolo. Egli afferma esplicitamente
che “l’ente in quanto ente ha Dio come causa”23 e che “l’ens commune è l’effetto proprio della causa più alta: Dio”24. Dio
non appartiene all’oggetto della metafisica, però il fine ultimo di questa
scienza è la conoscenza della causa del suo oggetto, che è Dio25.
La creazione delle cose ex nihilo sui et subiecti richiede un dominio
totale sull’essere, un potere infinito e supremo (cf. De Potentia q.
3 a. 3), che come tale solo può essere opera di Dio: “propria actio
solius
Dei
”26.

La multiforme partecipazione di Dio nel creato, come effetto diverso
da Dio, non compromette la sua trascendenza. San Tommaso
parla, anche, di una certa “immanenzadi Dio nel suo effetto27, perché,
causando e conservando la creatura, Dio è presente in tutte le cose
create “per essentiam, praesentiam et potentiam” (ST III, q. 6 a. 1 ad
1). Dio è allo stesso tempo “immanente e trascendente” alla sua creatura.
Dio non è una trascendenza che “pone” fuori di sé la creatura e
poi la dimentica e “trascura”. Egli conosce e vuole tutto quanto da Lui
creato. Il Dio trascendente e immanente di Tommaso è un Dio personale

in grado sommo: crea liberamente per amore28.
Alla luce di questo concetto di creazione si comprende meglio il
problema dell’inizio temporale. Se la creazione fosse un processo necessario,
certo essa sarebbe ab aeterno, come eterno è Dio, “ma se è
un atto di volontà libera, Dio potrà volere le creature come vuole: come
esistenti ab aeterno o con inizio. E sebbene la volontà di Dio sia
eterna non è necessario che essa produca un effetto eterno; Dio può
infatti volere eternamente che qualcosa sorga a un determinato momento”
29. Tolta ogni sorta di “necessità” essenziale, il “bonum diffusivum
sui” dei neoplatonici acquista validità. Il Sommo Bene si diffonde
“perché vuole”.

La mente di Dio è come quella dell’Artefice, che non si risolve in
un vano esercizio “ideale”. Esso ha uno sbocco nella potente e amorosa
virtus operativa
di Dio. “Tutte le cose create si comparano a Dio

come le cose artefatte all’artefice”
30; sono prodotte dall’arte divina e
portano il marchio di Dio (“vestigium”, “sigillatio”)31.
Tommaso contesta agli averroisti la pretesa di una dimostrabilità
razionale della creatio ab aeterno. Agli agostinisti, invece, mostra nel

De aeternitate mundi
la possibilità razionale di una creatio ab aeterno

e dichiara, nel modo più categorico, che l’affermazione dell’inizio
temporale
del mondo è un articolo di fede32.



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L’originale metafisica creazionista di Tommaso d’Aquino

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La creazione delle cose ex nihilo sui et subiecti richiede un domi- .... L’Aquinate distingue il concetto filosofico di creazione da quello. di fede. ...



e ancora:

L'Angelico risolve la dialettica uomo-tutto alla luce della natura attivo/passiva dell'intelletto umano
(11). Come "intellectus patiens", esso "recipit formas aliquas a rebus"; ma come "intellectus agens", rende intelligibili e per così dire immateriali le forme recepite, determinandone un passaggio qualitativo da particolari ad universali, da molteplici ed estese ad unificate e semplici, dall'attualità del loro limite creaturale a quella intellettuale ed onnicomprensiva del soggetto umano(12).
4 - Uomo: perfezione e creaturalità. Ho detto che, l’"actus essendi" è tutta la perfezione dell'uomo e ch'egli è capace di recepire, per via intellettuale, tutte le perfezioni inferiori, conferendo loro significato ed importanza. Ma ciò né idealizza l'uomo, né sopprime gli evidenti limiti della sua natura. Anche l'uomo, infatti, come tutte le perfezioni che gli son inferiori, è segnato dal finito e contingente della creaturalità; allo stesso modo di tutto ciò che non è Dio, anche l'uomo è per ciò stesso da Dio creato
(13). Lungi dall'autoctisi, soggiace anch'egli a quell'atto creativo, ch'è produzione assoluta dell'essere(14): "secundum totam suam substantiam, nullo praesupposito subiecto". Vale a dire "ex nihilo sui", perché prima non era, "et ex nihilo subiecti" perché non dipendente da una sostanza (o materia, o soggetto) previa, né da una sua o accidentale o sostanziale trasformazione(15).

qui il testo integrale direi molto interessante

SECONDA SEDUTA PUBBLICA DELLE PONTIFICIE ACCADEMIEL'Aquinate, ovviamente, non conobbe alcuna sfaccettatura del fenomeno .... Vale a dire "ex nihilo sui", perché prima non era, "et ex nihilo subiecti" perché ...
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Il Platone ripreso dai padri della Chiesa è fortemente (e fortunatamente) filtrato dal suo allievo Aristotele. Il platonismo "puro" è il padre di tutte le eresie, a cominciare dalla gnosi (come giustamente ricorda Ladrone) giù giù fino all'idealismo hegeliano, e quindi in ultima analisi al marxismo, che immanentizzano il "mondo delle idee" nella storia (e nel proletariato).
Tutte nascono da un dato comune: la presunta illusorietà della realtà percepibile rispetto ad un suo ipotetico ideale perfetto (la "cosa in sè") definito appunto come "idea".
Il mondo attuale è talmente intriso di platonismo da strapazzo che vi nuotiamo dentro come pesci senza rendercene conto.

Ad esempio giustamente Caterina ricorda l'amore "platonico", che spesso e volentieri coincide con il fatuo innamoramento dell'IDEA che ci facciamo di una persona, e che svanisce come neve al sole quando avanziamo nella conoscenza di quella persona con i suoi pregi e difetti. Nulla di più lontano dall'amore CRISTIANO, che ha sempre un lato "carnale" e che ha per oggetto sempre la persona concreta, ciò che è e mai ciò che dovrebbe essere (secondo i nostri gusti). Ma altri fenomeni di natura squisitamente "platonica" sono il culto della bellezza esteriore secondo precisi canoni, la "moda" attraverso la quale ci si conforma ad un'"idea" di eleganza, la convinzione che il pensiero prevalga sempre sull'azione indipendetemente dal suo valore, etc etc..

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"Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (S.Caterina da Siena)


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