A Damasco.....fra storia e archeologia

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Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 11:32
A Damasco la nuova Cappella della Conversione edificata dalla Custodia di Terra Santa

Là dove Saulo divenne Paolo


di Michele Piccirillo

"Èda pellegrino che sono venuto oggi a Damasco per ravvivare la memoria dell'avvenimento che ebbe luogo qui, due mila anni fa:  la conversione di san Paolo. Mentre si reca a Damasco per combattere e imprigionare coloro che professano il nome di Cristo, giunto alle porte della città, Saulo fa l'esperienza di una straordinaria illuminazione. Lungo la via, Cristo risorto si presenta a lui e, sotto l'influsso di questo incontro, si produce in lui una profonda trasformazione:  da persecutore diventa apostolo, da oppositore del Vangelo, ne diviene grande missionario. La lettura degli Atti degli apostoli ricorda con abbondanza di particolari questo avvenimento che ha cambiato il corso della storia:  quest'uomo "è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai fìgli di Israele"".


È l'inizio del discorso che Papa Giovanni Paolo ii, pellegrino a Damasco, tenne nella cattedrale greco cattolica melchita il 6 maggio 2001. Dopo essere stato in Terra Santa e sul monte Sinai sulle tracce di Mosè e di Gesù, il Papa sentì la necessità di completare il pellegrinaggio del giubileo alle radici della fede e della Chiesa, sulle tracce dell'apostolo Paolo.


I dettagli topografici del racconto degli Atti degli apostoli al capitolo nono:  conversione alle porte della città; i tre giorni a Damasco nella casa di Giuda senza vedere e senza prendere cibo né bevanda; la visione di Anania invitato ad andare a battezzare Saulo nella casa di Giuda sulla strada chiamata Diritta; la fuga di notte dalla città calato in una cesta dalle mura; restarono nell'immaginario cristiano. Sant'Agostino, predicando in Africa sull'episodio della conversione diceva ai suoi fedeli:  "Oggi in quelle regioni anche gli stessi luoghi testimoniano ciò che era avvenuto, e ora lo si legge e lo si crede".


I luoghi più ricordati dai pellegrini sono quelli della conversione fuori le mura e la casa di Anania in città. Il Pellegrino di Piacenza nel sesto secolo nel suo Itinerario ricorda:  "Partimmo dalla Galilea e giungemmo a Damasco. Lì, al secondo miliario (fuori della città) c'è un monastero dove san Paolo si convertì". Nel 1217, Maestro Titmar, un pellegrino tedesco, tra le tante chiese di Damasco, ferma la sua attenzione su una chiesa bella e grande che i Greci costruirono nel passato dedicandola a san Paolo e che i saraceni convertirono in moschea. La chiesa, sarebbe stata costruita sulla casa di Anania confusa con quella di Giuda luogo del battesimo, come fu spiegato al francescano fra Nicolò da Poggibonsi nel 1345-1350:  "Andando per la strada di Damasco, dove si lavora il metallo, e volgendosi alla prima strada a parte sinistra, che si chiama la strada che si dipigne ivi il vetro, e ivi si è una grande chiesa, come il duomo di Siena, la quale fu fatta per li cristiani; ma ora i Saracini n'anno fatto loro moscheda. Ivi sta lo cadi, cioè il loro vescovo. E in questo luogo proprio il santo discepolo di Cristo, che a nome Anania, battezzò Saulo, mutandogli il nome Paulo".


Nella toponomastica della città ai pellegrini viene anche mostrata sulla via Diritta una moschea costruita sulla casa di Giuda e sulle mura il luogo della fuga nella cesta all'altezza di Bab Keisan che nel 1923 venne cambiata in chiesa greco cattolica melchita su progetto del conte Eustache de Lorey.


Lo stesso archeologo che nel 1921 aveva ritrovato parte della chiesa bizantina scavando all'esterno di una cappella costruita dai frati minori della Custodia di Terra Santa sul luogo tradizionale della Casa di Anania nei pressi della moschea ex chiesa nota agli abitanti di Damasco con il nome di al-Musallabeh.
Appena potettero i frati minori, che nelle prigioni della cittadella di Damasco avevano pagato il loro prezzo di sofferenze e di sangue per la cristianità - gettati in prigione ogni volta che in Europa si festeggiava una vittoria militare contro i mamelucchi di Egitto o contro i turchi ottomani! - costruirono un convento dedicato a san Paolo nel quartiere cristiano di Bab Tuma non lontano dalla Musallabeh.


Fuori le mura, nel quartiere Tabbaleh nei pressi della Porta Orientale (Bab esh-Sharqi) entrarono in possesso di un'area cimiteriale con al centro una grotticella venerata dai cristiani scavata nel conglomerato del terreno dell'oasi di Damasco. La notizia la conserva padre Francesco Quaresmi (1583-1656), nell'Elucidatio Terrae Sanctae pubblicato ad Anversa nel 1639:  "Nella zona meridionale di Damasco, da principio si vede nelle mura la porta della città che adesso è chiusa; per essa Paolo fu introdotto in città e per essa fu fatto scappare (...) Procedendo ulteriormente nella medesima strada vi sta un luogo dove tutti i Cristiani, Greci, Armeni, Siriani, Maroniti ecc. vengono spesso sepolti (...) E là furono sepolti tre Frati Minori uccisi dai Saraceni(...) Questo luogo dista circa un quarto di miglio e più dalla città.


Oltre alle tombe dei cristiani, sulla via c'è un agglomerato di piccoli sassi e di terra compattata:  dentro c'è una piccola grotta nella quale si dice che san Paolo si nascondesse e si riposasse per un po', quando calato dalla finestra dai fratelli fuggì dalla città verso Gerusalemme".
Padre Quaresmi, che resta il più illustre dei palestinologi francescani a giusto titolo considerato il caposcuola della palestinologia francescana, dopo aver passato in rassegna le quattro ipotesi di localizzazione del luogo della conversione di Paolo, giunse alla conclusione che quel tratto di strada conservato al centro del cimitero a circa un quarto di miglio dalle mura, fosse il luogo più conveniente per commemorarvi l'episodio:  "Prima di entrare in questa illustrissima città viene mostrato un luogo (...) in cui il Signore nostro Gesù Cristo fece che Paolo, persecutore della Chiesa, diventasse il predicatore della medesima (...) Del luogo preciso di cui si tratta(...) trovo quattro opinioni tra loro discordanti.

Credo però che l'ultima opinione sia più conforme al luogo e alla regione (...) si vuole intendere che è più adatto e più comodo quello che è più vicino, che dista da Damasco mezzo miglio, a preferenza di quello più lontano che è di dodici o di sei o di due miglia".


Nel 1925 la Custodia di Terra Santa, accettando la conclusione di padre Quaresmi, costruì una cappella a est della grotticella venerata che fu protetta da una tettoia e circondata da una balaustra. Una icona all'interno e una lapide in marmo con testo in latino e in arabo posta su un semplice cippo di cemento ricordava ai passanti il santuario:  Traditionalis locus conversionis S. Pauli Apostoli.


Dopo la visita in Terra Santa di Papa Paolo vi nel 1964, su iniziativa vaticana, la cappella fu sostituita da un edificio sacro più imponente con vetrate istoriate e sculture di artisti italiani, che fu inaugurato nel 1971 con annesso ospizio per i pellegrini e ambulatorio per i poveri del quartiere divenendo il Memorial Saint Paul di Damasco. Nell'occasione, la tettoia sulla grotticella fu distrutta e sostituita con una struttura molto più semplice.


Prima di lasciare Damasco e ripartire per Roma, Papa Giovanni Paolo ii volle terminare il suo pellegrinaggio con una visita di preghiera proprio al Memoriale di San Paolo, dove fu ricevuto dal Custode di Terra Santa e dai confratelli della comunità francescana di Siria. Nelle parole di saluto rivolte ai presenti il Papa disse:  "Saluto i religiosi francescani della Custodia di Terra Santa, incaricati di gestire questa casa, e le religiose e i laici oggi presenti. Sono lieto di ricordare con voi l'Apostolo Paolo in questa casa voluta dal mio predecessore Papa Paolo vi per raccogliere il tesoro di fede, di spiritualità e di ardore missionario dell'Apostolo delle Genti che, sulla via di Damasco, ha accettato di accogliere la luce di Cristo (...) Possano le persone che beneficiano di questo spazio spirituale offerto da questa casa camminare ogni giorno sulle orme dell'Apostolo delle genti!".


Le condizioni di salute del Papa e il tempo non permisero una visita alla grotticella all'origine del santuario restata isolata nel giardino, mortificata e nascosta dalla imponenza della nuova chiesa.


Fu una occasione di ripensamento per i responsabili del santuario e in particolare per padre Romualdo Fernandez. Ne nacque l'idea di inserire la grotticella in uno spazio liturgico eliminando la pensilina coperta di tegole che negli anni aveva coperto ma non protetto sufficientemente l'interno dalle intemperie.


Con la cooperazione dei giovani architetti della missione archeologica del Monte Nebo iniziammo a preparare la documentazione e a discutere le possibili soluzioni. Finché nel 2005 il progetto fu affidato agli architetti Luigi Leoni e Chiara Rovati dello "Studio di Arte Sacra padre Costantino Ruggeri" di Pavia.


Il primo intervento ha riguardato il risanamento dell'area da infiltrazioni d'acqua causa principale del deterioramento della grotticella che, come aveva notato padre Quaresmi nel diciassettesimo secolo, era stata ricavata nel conglomerato naturale dell'oasi di Damasco. Da questo intervento si è imposta l'idea di inglobare la grotticella al centro della devozione dei fedeli in un nuovo spazio inserito nel verde del giardino circostante che potesse rispondere adeguatamente alla doppia finalità di protezione e di accoglienza anche di gruppi di fedeli desiderosi di celebrare liturgicamente il ricordo della conversione di Saulo.


Nelle parole entusiastiche degli architetti "si trattava in realtà di mettere in luce e valorizzare un luogo da sempre chiamato a celebrare un evento tanto caro al cuore di ogni cristiano di tutti i tempi e di tutte le latitudini, che vede nell'Apostolo delle genti un grande testimone delle meraviglie che Dio in Gesù Cristo compie nell'animo di ogni uomo rinato alla grazia dello Spirito Santo.


Si trattava di aprire la grotta, un tempo raggiungibile attraverso spazi inadeguati e disadorni, ad un canto di luce e di gioia perché ogni pellegrino che vi giunge senta quanto è grande l'amore del Dio".


Immediatamente davanti alla grotta è stato ricavato, dalla quota inferiore fino al piano del giardino, un anfiteatro a gradoni per permettere di vivere momenti celebrativi.
L'involucro esterno è stato pensato con semplicità e purezza di linee, con murature in pietra a vista all'esterno legate con malta di calce, la cui composizione è stata studiata con attenzione affinché potesse armonizzarsi nel colore e nella fattura con le pietre naturali.
La copertura è stata progettata con uno stacco visivo dalla muratura grazie alla creazione di una fascia continua di vetrate che danno luminosità allo spazio interno.


Per quanto riguarda il restauro della grotta originaria in conglomerato roccioso, è stato rimosso lo zoccolo in calcestruzzo e si è proceduto al consolidamento delle pareti laterali con pietre a spacco, mentre la volta è stata ripulita mediante idropulitura dalle incrostazioni dovute all'inquinamento e rinforzata con un arco di contenimento.
La parte superiore della roccia, corrispondente al tratto superstite della strada antica, mai coperta dalla pensilina, risulta ora protetta dalle intemperie e non più soggetta alle infiltrazioni d'acqua.


La grotticella con un nuovo pavimento lastricato in pietra è così diventata il presbiterio della nuova cappella. L'altare, l'ambone e il seggio del presidente e dei concelebranti sono stati realizzati in masselli di pietra calcarea di colore chiaro proveniente dalle cave vicine alla città.
Sulla parete di fondo della grotta è stata collocata la scultura in marmo bianco di Carrara raffigurante la conversione di san Paolo che precedentemente decorava un altare nella chiesa francescana di Bab Touma all'interno delle mura.


L'ultimo problema ha riguardato la visibilità della nuova cappella e il raccordo con la chiesa esistente senza stravolgere quanto fatto negli anni Sessanta.


L'abbiamo risolto con un percorso, una strada, in ricordo di quella percorsa da Saulo per giungere a Damasco, con partenza sul lato settentrionale della facciata della chiesa, accompagnata da monoliti in pietra calcarea che delimitano e indicano il percorso da seguire per giungere alla grotticella. La strada selciata con blocchi di basalto del Hauran nell'Arabia dove Saulo diventato Paolo passerà i primi tre anni dalla conversione prima di iniziare la sua missione, guiderà il pellegrino allo slargo nel giardino sul retro tra i due spazi sacri. Al centro dello slargo il raccordo tra i due edifici sarà affidato ad un masso con la raffigurazione della caduta di Saulo sulla via di Damasco.


Della realizzazione di quest'opera e dei motivi che decorano gli altri quattro monoliti che affiancano la strada, si è incaricato lo scultore Vincenzo Bianchi di Isola di Liri. L'opera appena abbozzata vorrà essere una resa dell'avvenimento e insieme un omaggio agli artisti ciociari che, come Umberto Mastroianni, hanno espresso e cantato la forza dirompente delle energie che cambiano il mondo, non ultima quella che sulla via di Damasco fece di Saulo l'apostolo del messaggio rivoluzionario di Cristo.
L'episodio fondante della conversione sarà ricordato anche dalle parole del testo del capitolo nono degli Atti degli apostoli scolpito in arabo, in latino e in greco, sulla parete in travertino della chiesa che potrà essere letto dai pellegrini una volta imboccata la strada del santuario.



(©L'Osservatore Romano - 27 giugno 2008)

Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 11:35
L'enigma di Damasco

Cosa avvenne davvero su quella strada


di Romano Penna

Come di molti personaggi dell'antichità, non conosciamo l'anno esatto della nascita di Paolo, e tanto meno quello della morte. Però tutta una serie di dati sicuri e di vari indizi ci permette di fissarne con buona approssimazione sia gli estremi sia le tappe intermedie.


Quando scrive il biglietto a Filemone, probabilmente nell'anno 54 (o, secondo una cronologia più bassa, verso il 62), egli si dichiara "vecchio", in greco presbùtes (Filemone, 9); e quando Luca negli Atti degli Apostoli narra della lapidazione di Stefano all'inizio degli anni Trenta, annota anche la presenza di Saulo che viene qualificato come "giovane", in greco neanìas (Atti, 7, 58). Le due denominazioni sono evidentemente generiche, ma, secondo i computi antichi sull'età dell'uomo, la prima dovrebbe indicare grosso modo uno attorno alla sessantina e la seconda uno attorno alla trentina. Ne deduciamo che egli dovette nascere negli ultimi anni dell'era precristiana ed essere quindi di pochi anni più giovane di Gesù.


Nato a Tarso in Cilicia (cfr Atti, 22, 3) come ebreo della diaspora di lingua greca e con un nome latino (cambiato per assonanza da Saulo in Paolo), per di più insignito della cittadinanza romana (cf Atti, 22, 25-28), egli appare collocato sulla frontiera di tre culture diverse e forse anche per questo disponibile a feconde aperture universalistiche, come si rivelerà in seguito. Forse derivandolo dal padre, egli apprese anche un lavoro manuale consistente nel mestiere di skenopoiòs, letteralmente "fabbricatore di tende" (cfr Atti, 18, 3), probabilmente lavoratore della lana ruvida di capra per farne stuoie o tende, forse per uso militare ma soprattutto privato (cfr Atti, 20, 33-35).


Del resto, nell'antichità Tarso era famosa per la lavorazione tessile specialmente del lino (cfr Dione di Prusa, Discorsi, 34, 21), tanto che alcuni papiri testimoniano l'aggettivo tarsikàrios per indicare un tessitore di lino. Verso i 12-13 anni, l'età in cui il ragazzo ebreo diventa bar mitzvà ("figlio del precetto"), Paolo lasciò Tarso e si trasferì a Gerusalemme per essere educato ai piedi di Rabbi Gamaliele il Vecchio secondo le più rigide norme del fariseismo (cfr Galati, 1, 14; Filippesi, 3, 5-6; Atti, 22, 3; 23, 6; 26, 5), imbevendosi di un grande zelo per la Toràh mosaica.
È sulle basi di una forte ortodossia religiosa, là acquisita, che egli intravide nel nuovo movimento che si richiamava a Gesù di Nazaret un grande rischio per l'identità giudaica. Da una parte, Paolo aveva conosciuto la forte critica di Stefano al Tempio di Gerusalemme (cfr Atti, 6, 14; 7, 47-50). Dall'altra, egli non poteva ammettere un Messia crocifisso, che si doveva ritenere soltanto scandalo e maledizione (cfr 1 Corinzi, 1, 23; Galati, 3, 13); se poi questi era ormai positivamente collegato con gli ignoranti della Legge (gli cammê ha-'aretz) e persino con i peccatori così che per essere giusti davanti a Dio bisognava credere in Gesù, allora la Torah finiva per non essere più né sufficiente né tanto meno necessaria. Ciò spiega il fatto che egli abbia fieramente "perseguitato la chiesa di Dio", come per tre volte ammetterà nelle sue lettere (1 Corinzi, 15, 9; Galati, 1, 13, Filippesi, 3, 6).


Peraltro è difficile immaginarsi concretamente in che cosa consistesse questa persecuzione. Per esempio, ciò che scrive Luca in Atti 9, 1-2 ("Saulo, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne seguaci della Via") fa difficoltà a combaciare con i dati storici, come rilevano i commentatori. Infatti, sotto i procuratori romani il Sinedrio non aveva giurisdizione fuori della terra d'Israele né Paolo poteva godere di un mandato ufficiale senza essere membro del Sinedrio stesso. Si ipotizza perciò che egli sia stato semplicemente inviato a Damasco da una sinagoga di Giudei "ellenisti" di Gerusalemme, forse con una lettera di raccomandazione da parte del sommo sacerdote, per mettere in guardia le sinagoghe locali contro il pericolo della nuova eresia ed esortarle a prendere misure adeguate, anche severe.


Certo è che proprio sulla strada di Damasco, all'inizio degli anni Trenta, forse nel 32, si verificò il momento decisivo della vita di Paolo. Là avvenne una svolta, anzi un capovolgimento di valori. Allora egli, inaspettatamente, cominciò a considerare "danno" e "spazzatura" tutto ciò che prima costituiva per lui il massimo ideale, la ragion d'essere della sua esistenza (cfr Filippesi, 3, 7-8). Che cos'era successo? Abbiamo a questo proposito due tipi di fonti. Il primo tipo, il più popolare, sono i racconti dovuti alla penna di Luca, che per ben tre volte narra l'evento (cfr Atti, 9, 1-19; 22, 3-21; 26, 4-23), indugiando su alcuni dettagli pittoreschi, come la luce dal cielo, la caduta a terra, una voce che chiama, la nuova condizione di cecità, e la sua guarigione come di squame tolte dagli occhi, il digiuno. È difficile che ci sia Paolo in persona all'origine di queste narrazioni, sia perché egli non ne parla mai in questi termini, sia perché in Galati, 1, 13 rimanda i suoi lettori a qualcosa di sentito dire.


Perciò è ben possibile che Luca abbia utilizzato un racconto nato probabilmente nella comunità di Damasco (si pensi al colorito locale dato dalla presenza di Ananìa e dai nomi sia della via sia del proprietario della casa in cui Paolo soggiorna:  Atti, 9, 11), la quale compose in un primo tempo un racconto di conversione che metteva in rilievo la straordinaria trasformazione avvenuta nell'ex persecutore e che divenne poi anche il racconto della vocazione di un nuovo evangelizzatore.


Il secondo tipo di fonti è quello più "autentico", in quanto consiste nella testimonianza del diretto interessato, e sono le lettere di Paolo stesso. Più volte infatti egli fa riferimento a quella straodinaria esperienza, e si tratta sempre di accenni molto brevi, non descrittivi, che puntano soltanto al senso di ciò che allora avvenne (cfr Romani, 1, 5:  "mediante Cristo Gesù ricevemmo la grazia dell'apostolato"; 1 Corinzi, 9, 1:  "non ho io visto Gesù, il Signore nostro?"; 1 Corinzi, 15, 8:  "ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto"; 2 Corinzi, 4, 6:  "Dio che disse "Rifulga la luce dalle tenebre" rifulse nei nostri cuori per far risplendere la conoscenza della gloria divina che brilla sul volto di Cristo"; Filippesi, 3, 7:  "ciò che per me era un guadagno lo stimai una perdita a motivo di Cristo"); il testo più diffuso si legge in Galati, 1, 15-16:  "Quando a Dio, che mi mise a parte fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, piacque di rivelare il Figlio suo in me, perché lo annunziassi fra le genti, immediatamente non consultai carne o sangue né salii a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, ma mi recai in Arabia e poi tornai a Damasco".

Come si vede, in tutti questi passi egli non indulge a dettagli narrativi, ma interpreta sempre quel momento non tanto come un fatto di conversione, poiché non ne impiega mai il lessico specifico (con i verbi metanoèin-epistrèfein e derivati), quanto come fondamento del suo apostolato, come incarico di evangelizzazione, e quindi come un evento di missione (con un lessico di visione, apparizione, rivelazione, illuminazione).


Ci si può chiedere come spiegarsi il cambiamento verificatosi in Paolo sulla strada di Damasco. Nel clima romantico dell'Ottocento si preferiva ricorrere allo schema dell'uomo tormentato, che finalmente trova una via d'uscita alle proprie angosce adottando una soluzione estrema. Per fare questo si interpretava in senso autobiografico ciò che si legge in Romani, 7, 7-25, dove Paolo parla alla prima persona singolare:  "Io non faccio quello che voglio, ma quello che detesto... Acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra" (vv.15.22.23).


Senonché, l'esegesi odierna di questa pagina paolina è molto più guardinga e dubbiosa, sia perché il testo è scritto al presente (quindi letteralmente dovrebbe riferirsi non al passato anteriore alla conversione), sia perché il passo appartiene non a un contesto autobiografico bensì a una riflessione di principio sul valore della Legge (sicché l'Io può benissimo spiegarsi con la figura retorica della enallage così da includere una esperienza universale), sia perché in un altro passo sicuramente autobiografico Paolo dice al contrario di essere stato "irreprensibile quanto alla Legge" (Filippesi, 3, 6:  qui emerge addirittura la fierezza e la gioia di una identità giudaica vissuta in pienezza come "un guadagno"). Si può sempre pensare che quanto egli scrive in Romani, 7, 7-25 rappresenti semplicemente la coscientizzazione successiva (cristiana) di un vecchio conflitto inconscio nei confronti della Legge, mentre Filippesi, 3, 4-6 rappresenterebbe soltanto la tipica coscienza del Paolo precristiano.


Ma le cose sono più complesse. Le testimonianze personali di Paolo sull'evento di Damasco sono costantemente incentrate sulla precisa figura di Gesù Cristo. Egli non parla d'altro, al punto da confessare persino di essere stato "ghermito da Cristo Gesù" (Filippesi, 3, 12). Si trattò dunque essenzialmente di un incontro di "persone", mentre invece i concetti, le "idee", pur implicite, giocarono un ruolo secondario. Egli vide la gloria di Dio brillare sul volto di Cristo (cfr 2 Corinzi, 4, 6). Da questo punto di vista, l'esperienza di Paolo si deve spiegare anche in riferimento a certe categorie della mistica giudaica della merkavàh, cioè del "carro", che affonda le sue radici nella visione del primo capitolo di Ezechiele. Là il profeta dice di aver visto un carro trainato da quattro esseri viventi "e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane (...) Tale mi apparve l'aspetto della gloria del Signore" (1, 26.28):  qui, cioè, si osa associare la gloria celeste di Dio a un essere umano, sia pur indeterminato, e ciò spiega le riserve del rabbinismo su questa pagina.


In ogni caso, non si può trascurare la dimensione psicologica dell'esperienza di Paolo, spesso trattata in termini di allucinazione (benché di norma agli storici e ai teologi manchino gli studi in materia di psicologia, così come gli psicologi sono perlopiù digiuni di tecniche storiografiche e di teologia). Uno studio di pochi anni fa cerca di fare chiarezza in materia, sia distinguendo tra allucinazione e illusione, in quanto esse non vanno identificate, sia precisando onestamente che la non oggettività del fenomeno (visione, udito, odorato, tatto) riguarda solo l'osservatore esterno ma non il soggetto che ne fa esperienza, e sia badando anche ai condizionamenti socioculturali del soggetto interessato.


Quanto a Paolo, va preso atto che le sue dichiarazioni sull'evento sono rare (non in tutte le lettere) e molto sobrie (prive di descrizioni); in più, bisogna constatare che egli non adduce mai di fronte ai propri interlocutori l'esperienza da lui vissuta per fondare su di essa la propria autorità, né per garantire una qualche tesi teologica, né per rafforzare una qualche presa di posizione disciplinare; anzi, semmai, succede esattamente il contrario.


Occorre perciò guardarsi dal giudicare l'evento della strada di Damasco con le categorie della psicopatologia. L'unico dato sicuro sul piano della fattualità storica, detto in termini junghiani, è che esso ha avuto una funzione prospettica tale da determinare il resto della vita di Paolo, e da farlo in modo del tutto positivo e fecondo:  là egli ha fatto esperienza di un incontro e ha maturato una convinzione che ha ribaltato la sua esistenza, sia resettando l'intero suo patrimonio ideale sia riorientando le sue energie verso un nuovo scopo.



(©L'Osservatore Romano - 29 giugno 2008)

Cattolico_Romano
00domenica 9 novembre 2008 11:35
Intervista al nunzio apostolico

A Damasco si conosce il vero Paolo


Camminare sulle orme di san Paolo ci dà l'opportunità di vivere l'esperienza della fede cristiana, di scoprire nuovamente la Chiesa, di trovare le culture nel contesto della conversione di Saulo, di apprendere nuovi orizzonti di dialogo. Un itinerario di questa natura passa necessariamente per Damasco, come spiega il nunzio apostolico in Siria, l'arcivescovo Giovanni Battista Morandini in questa intervista concessa a "L'Osservatore Romano" e alla Radio Vaticana.

Qual è l'importanza dell'Anno paolino per la Siria?

Direi che è scontato che quando si parla di Paolo automaticamente si parla di Damasco, perché segna il luogo e il momento nel quale Saulo, per la grazia di Dio, diventa Paolo. Lo diventa a Damasco colpito da questo Cristo che dice:  "Perché mi perseguiti? Sono io chi tu cerchi". Direi che proprio Damasco è essenziale per la storia stessa della nostra Chiesa:  le due colonne della Chiesa sono Pietro e Paolo. Paolo riceve la conversione direttamente da Cristo, quando lui va in estasi; senza avere vissuto con Cristo, diventa uno fra i più importanti degli apostoli. E direi che l'importanza dell'Anno paolino per la Siria è anche sul piano proprio culturale. Mi piace molto questo segno dei tempi, cioè, vedere che quest'anno Damasco è la capitale della cultura araba. Bisogna trovare la ricchezza grandiosa di Paolo combinata con l'ecumenismo, perché lui è l'apostolo delle Genti. Damasco è la città dove si è realizzato quel mistero di risto che è diventato poi la Chiesa di Roma, una, santa, cattolica e apostolica.

Che impatto ha l'Anno paolino sul dialogo tra le religioni in Siria?

Non lo vedo ancora. Cioè, lo vedo in termini tecnici, se si vuol dire così. Poi in termini reali è diverso:  c'è una ricerca direi non di fondo, però c'è questa comunione tra le Chiese. Qui siamo cattolici - sei Chiese - e ci sono gli ortodossi:  greco-ortodossi, siro-ortodossi. Quindi è un dialogo non a distanza ma direi che forse si dovrebbe spingerlo un po' più in là. Adesso stiamo cominciando l'Anno di Paolo, quindi anche sul piano ecumenico c'è una ricerca comune, una volontà che speriamo diventi sempre più profonda.

In Siria osserviamo la tolleranza tra le diverse religioni; sembrerebbe che proprio il sigillo paolino si vede un po' dappertutto...

La cultura siriana è una cultura millenaria sulla quale si innesta un po' della cultura cristiana di Paolo. Come l'ha definita il Santo Padre, la Siria è la culla delle religioni e delle culture, e mi pare che qui s'incentra l'Anno paolino come ha voluto il Papa:  conoscere sempre di più il vero Paolo con accanto poi lo sforzo ecumenico. La cultura mussulmana e cristiana sono state il fondamento di quello che si vive oggi; qui veramente si può vivere - parlo di religioni, non di fede -, in armonia e in serenità.

Vorrebbe accennare ad altre spinte dall'Anno paolino?

Credo che l'Anno paolino sia stato una grande intuizione. Per me ci sono già frutti che erano impossibili da immaginare solo quattro o cinque mesi fa. Ci sono segni della Provvidenza che sta aprendo cammini che a noi spetta di proteggere.



(©L'Osservatore Romano - 3 agosto 2008)

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