Recensione Vites... E se ne parla bene lui!
Oasis
Milano, Alcatraz, 12 maggio 2005
Con il figlio di Ringo Starr alla batteria, gli Oasis mostrano d’essere una vera rock band. Finale sulle note di My Generation
Supportati da uno splendido pubblico che ha reso l’atmosfera dell’Alcatraz davvero indimenticabile (diciassettenni, diciottenni che non avevano neanche dieci anni quando (What’s The Story) Morning Glory fu pubblicato, ma che ugualmente conoscevano ogni canzone a memoria, comprese quelle del nuovo disco che ancora doveva uscire), gli Oasis hanno dimostrato di essere diventati una vera rock band e soprattutto gli unici sopravissuti con onore dell’effimera stagione del brit pop.
Ben coadiuvati dallo strepitoso Zak Starkey, figlio di un certo Ringo Starr, drummer dal tiro implacabile che si esalta nel lungo finale esplosivo di Rock’n’Roll Star e, ovviamente, durante My Generation, gli Oasis sfoderano un assalto al calore bianco che ridicolizza Strokes, Jet e tutti i gruppetti che vanno di moda oggi: i pezzi durano al massimo tre minuti, le chitarre si aggrovigliano in spirali fortemente psichedeliche e naturalmente nessuna delle rock band degli ultimi dieci anni può vantare una sere di brani memorabili come Cigarettes & Alcohol, Morning Glory, Live Forever, Champagne Supernova, Rock’n’Roll Star, Wonderwall e soprattutto Don’t Look Back In Anger, insieme a Smells Like Teen Spirit la più bella canzone rock degli anni 90. Da brivido sentirla cantare a squarciagola da tutti i circa mille presenti. Tra questi oldies, naturalmente la band ha presentato alcuni brani del nuovo Don’t Believe The Truth, di cui sono piaciute particolarmente Lyla, già un classico del loro repertorio, e Mucky Fingers. Bella infine l’acustica Songbird mentre durante My Generation una ragazzina mi si avvicina, rassicurata probabilmente dal fatto che lì dentro sono uno dei più "vecchi", chiedendomi se questo è un pezzo di Patti Smith. No, baby, è di un gruppo che si chiamava The Who…
Paolo Vites