"autobiografia di un lupo-cane" - cap.3

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ciuteina
00domenica 5 ottobre 2008 11:11
CAP.3

IL PARCO E LE SUE CREATURE

Insomma, il parco non era esattamente il luogo ideale per me: per molti umani io ero il “lupo cattivo”, e se solo mi vedevano apparire da lontano, cambiavano strada per non incontrarmi. Soprattutto quelli con cani al seguito o bambini (i cuccioli degli umani). Immagino, anzi ho visto, che la stessa sorte, cioè di essere evitati per paura, veniva riservata anche ad altri cani (pochi, in verità) che entravano nel parco non accompagnati, dunque da “randagi” (leggi: abusivi, come me), e soprattutto se di taglia grande o medio-grande. (In particolare quelli dal mantello nero incutevano in molti esseri umani un sacro terrore, chissà perché.) Eppure, lo posso assicurare, quasi tutti erano di indole mitissima, entravano al parco senza la minima intenzione di aggredire qualcuno (manco gli passava per l’anticamera del cervello!), semplicemente si facevano i fatti loro e magari neanche alzavano la testa dalla pista che stavano fiutando, incuranti di chi e che cosa avessero intorno. Con qualcuno di questi ebbi anche qualche scambio amichevole, e notai che erano in genere molto più tranquilli, sereni, equilibrati direi, rispetto agli altri, quelli “regolari”, seguiti scrupolosamente ad ogni passo, e spesso anche amorevolmente (questo devo ammetterlo, l’ho visto) dai loro umani. Io, invece, tranquillo e sereno lo ero soltanto in parte, forse a causa del mio vissuto di “carcerato senza colpa” (Mi sentivo felice, ero sempre pervaso da un alone di euforia, ma mi accompagnava ovunque, nel contempo, uno strano, leggero fondo d’inquietudine… ) E, vedendo tanti miei colleghi trattati come fragili oggettini da salotto, quindi in un certo senso un po’ soffocati e repressi, la mia poco onorevole nomea di “lupo cattivo” incominciò a non dispiacermi poi granché, anzi: da un certo punto in poi, la cosa prese a divertirmi e divenne fonte di un discreto orgoglio. Devo confessarlo: qualche volta andai al parco soprattutto per rompere un po’ le scatole agli umani (ma solo un po’), giusto per tener fede alla mia fama: in pratica per ridere un po’ sotto i baffi delle loro inutili paure e della loro esagerata preoccupazione che a me sembrava… chiedo scusa, davvero un po’ ridicola. In effetti, parecchi tra i cani “regolari”, quelli al guinzaglio o senza, parlo dei maschi, si mettevano subito in agitazione quando arrivavo io. Soprattutto quelli i cui umani erano più apprensivi e costantemente assillati dalla paura di possibili, improvvise zuffe canine. Quegli umani non potevano immaginare che spesso i miei colleghi, proprio in qualche zuffa, ci si divertivano anche loro un sacco! Io a volte andavo là, dove sapevo di non essere ben accetto, oltre che per mio personale divertimento, col preciso scopo di rompere la monotonia del “solito giro al parco” ai miei colleghi, che non avevano la fortuna di poter esplorare il mondo liberamente, come me (Mi sentivo quasi un benefattore!). Tutti ci si adattavano volentieri, in fin dei conti, a quella routine semi-domestica (per me il parco non era altro che un piccolo diversivo, mentre per loro era la realtà quotidiana, invariabile ogni giorno), ma io sapevo che in una parte del loro intimo sentire, c’era un po’ di rimpianto, se non proprio d’invidia, per il mio stato semi-selvaggio. Per farla breve, riuscii anche al famoso “parco” a prendermi la mia bella fetta di “vita” e di divertimento. Fu uno spasso, ad esempio, quella volta che arrivai, come al solito quasi volando e senza nemmeno annunciarmi, dunque da intruso, e piombai come un turbine in mezzo ad un gruppo di maschi che stavano corteggiando alcune cagnoline. Non feci in tempo ad avvicinare le femmine perché i maschi si coalizzarono tutti contro di me (erano di tutte le taglie), mi si avventarono contro e presero a rincorrermi ringhiando e abbaiando con furia. Mi salvò anche in quell’occasione il mio ben noto “sprint” da corridore delle steppe (Per mia fortuna nel gruppo non c’erano “levrieri”! Gli unici che mi avrebbero subito raggiunto.) Tutto questo in maniera talmente fulminea che gli umani presenti non ebbero neppure il tempo di accorgersene. Eh, certo!, ci mancherebbe che fossi rimasto lì a prenderle! Un po’ coraggioso e un po’ incosciente, questo senz’altro, ma mica scemo! Come avrei potuto sostenere, ad esempio, un corpo a corpo con quell’enorme, simpaticissimo “rottweiler” (così lo chiamavano gli umani): possente quanto bonaccione (60 chili di dolcezza e bonomia!), ma… meglio non provocarlo. Che stazza! Ammiravo la sua forza e la sua potenza, ma nulla poteva contro il mio scatto e la mia agilità. Ad ognuno di noi la sua specialità (In molti casi l’unica arma è la fuga: vale anche per un mezzo lupo). Ricordo volentieri qualche cane abituale frequentatore del parco: ad esempio quello “schnauzer” gigante dall’aria autorevole, un vero saggio (non per l’età: era più giovane di me. -Era stato un compagno di giochi d’infanzia della cagnetta mia vicina di casa- Ma aveva un umano di una certa età dall’aria saggia e pacifica anch’egli). Appena accennava lo scoppio di una baruffa canina, lui, tranquillo tranquillo, andava a piazzarsi risolutamente, con calma ma anche con fermezza e decisione, tra i due contendenti emanando un tale senso di benevola autorità che gli stessi non potevano fare altro che fermarsi. Era il “paciere” del parco. Interveniva allo stesso modo anche se accadeva (di rado, in verità) che qualcuno accennasse a fare il prepotente con un cucciolo o un cucciolone che non conosceva ancora bene le nostre regole comportamentali (Può succedere che i giovincelli, per inesperienza, sfogando la loro irrefrenabile vivacità, finiscano per assumere atteggiamenti un po’ sopra le righe, ossia tendono a prendersi troppa confidenza con gli adulti, i quali a volte li rimettono al loro posto in maniera un po’… pesante). Data la mia fama di “rissoso”, quell’umano flemmatico preferiva anch’egli evitare che io mi avvicinassi troppo al suo amico quattro zampe, che era sì pacifista ma certo reattivo alle provocazioni, però, a differenza di altri, non si lasciava andare ad isterismi insensati. Effettivamente non aveva torto, quando c’erano femmine all’intorno io tendevo a vedere in ogni maschio un rivale, ed ero un po’ troppo esagitato, impetuoso. Ciononostante, sapevo anche osservare a distanza e farmi delle opinioni.
Quello “schnauzer” possedeva probabilmente ciò che viene definito “carisma”. Forse era merito della sua indole, o forse dell’”educazione” che aveva ricevuto, o forse tutte e due le cose insieme. A mio avviso aveva un ottimo rapporto col suo umano, che non cercava mai di “dominarlo”. Notai questo fatto, anche se al parco ero sempre piuttosto di fretta e di passaggio, per i motivi che ho spiegato sopra. Ero sempre così ansioso di conoscere che ero diventato un buon osservatore, e avevo imparato ad osservare e memorizzare velocemente ciò che vedevo. E a trarne le debite conclusioni. La mia ansia di “recuperare il tempo perduto” mi portava ad annotare mentalmente e celermente tutto ciò che vedevo. Anche le mie brevi puntate al parco, in quest’ottica, mi fornirono un po’ di scuola di vita. Ho menzionato “rottweiler”, “levrieri”, “schnauzer”. Si tratta di “razze” canine, non è vero? Come dire ”husky”, credo. Già, le razze. Ho ripetuto a pappagallo i pochi nomi che ricordo (mi dissero che ne esistevano molte altre), ma quelli per me non erano altro che vuote parole umane: non riuscii mai ad afferrarne il senso, o forse non lo “volli” capire. Forse proprio perché appartenevo ad una “razza” che è semi-selvatica. Del resto non poteva importarmene di meno! Pare invece che il genere umano non possa fare a meno di classificarci dentro gli schemi di queste famose “razze”, pare che ci abbia proprio un debole. Per le “razze”. E intuii, certo di non sbagliarmi nonostante la mia ignoranza in materia, che il concetto di “razza” doveva essere in qualche modo collegato a quel famoso “PEDIGREE” che aveva funestato i miei primi anni di vita. Perché era “lui” il colpevole, lo sentivo. Quanto alle regole di buona convivenza che vigevano al parco e che io non riuscii mai ad assimilare (compresi ancora meglio il mio capobranco, capii bene che per lui condurmi al parco avrebbe significato trovarsi coinvolto in continui litigi con i suoi simili, sollevati inutilmente, secondo il mio punto di vista canino, dagli umani, ed egli non aveva certo voglia di impegolarsi in litigi insensati per motivi futili, anzi… nulli, sempre dalla mia ottica canina. Almeno le nostre baruffe canine avevano sempre un senso! E qualche volta ci si divertiva anche, lo ripeto)… le buone regole di convivenza umano-canina che vigevano al parco rientravano in un quadro di “civiltà” assolutamente necessario nei dominii umani, che comporta inevitabilmente certe “regole”, appunto. Alle quali bisogna attenersi, per essere bene accetti. Gli umani, poi, hanno la tendenza, anzi il “bisogno” di “regolamentare” tutto, nei loro territori, anche la presenza e i movimenti dei cani. E’ così e noi non possiamo che accettare il fatto e prenderne atto. Non sto esponendo mie idee o mie osservazioni, sto semplicemente ripetendo concetti che altri cani più colti e intelligenti di me, più saggi e molto più conoscitori della natura umana, tentarono di spiegarmi. Ma non ci ho capito un granché, sinceramente. Chiedo il permesso per un’osservazione (l’ennesima, abbiate pazienza), stavolta tutta mia: razze o non razze, noi cani del parco (ma sì, mi ci metto in mezzo anch’io: in fin dei conti, anche se non ero assiduo e troppo benvoluto, ogni tanto ci mettevo zampa anch’io… senza mai passare inosservato), dal colosso di “alano” al barboncino, al piccolo “pincher”, che spesso si mostrava arrabbiatissimo senza motivo (per forza: con le sue dimensioni così ridotte si sentiva di dover stare sempre sul piede di guerra! Sempre con le difese alzate) al “temibile” dobermann (sempre rigorosamente al guinzaglio perché ritenuto pericolosissimo. Non seppi spiegarmi come mai inizialmente aveva due belle orecchie pendule e dopo un po’ lo rividi con le stesse all’insù, accorciate e appuntite…. certo nessuno gliele aveva mangiucchiate…. Allora come…. ancora gli umani? Questa poi rinuncio a capirla!) allo “Yorkshire” (grazioso cagnolino da salotto… ma molti umani, grazie al suo aspetto da loro stessi voluto, dimenticano troppo spesso che non è un giocattolo: malgrado le dimensioni ridotte si difende bene…. eccome se si difende!), al “bulldog” ( simpaticissimo, straordinario, con quel muso rincagnato! Però notai che respirava in modo strano, con difficoltà, mi sembrava. Possibile che la Grande Madre ce l’avesse con lui, e per punirlo di non so quale crimine gli avesse “fatto dono” di quel piccolo tormento?!...) e ai meticci di ogni taglia (so che ora si usa “meticci” e mi adeguo, ma per noi va benissimo anche “bastardi”. Nessuno se la prende. Per quanto mi riguarda, il mio nome proprio sarebbe potuto essere anche “Bastardo”, non avrei avuto nulla in contrario), noi tutti, dicevo, pur così diversi tra di noi, senza gli umani in mezzo avremmo sicuramente fatto “branco”. E senza scannarci tra di noi. Dopo avere stabilito il ruolo di ognuno secondo una precisa scala gerarchica. Perché tutti noi, a dispetto delle apparenze, discendiamo da un comune antenato. Molto simile a me. E, a dispetto di quanto sembrano credere molti umani, siamo tutti piuttosto rustici, molto più forti e resistenti di quanto essi credano: posso assicurare che anche il più piccolo e delicato cagnolino da salotto in fondo è un lupo anche lui. (Ma no! Ma non mi dire! Che scoperta sensazionale!) Lo so, non sto dicendo niente di nuovo, lo sanno tutti, lo dice ogni manuale. Mi lesse anche questo, quella famosa, simpatica umana mia amica. Solo, non capisco la necessità, tipica della specie umana, di interferire sulla natura, di apportare modifiche su di essa allo scopo (illusorio, secondo il mio modesto parere di povero cane ignorante) di “creare” esseri più consoni alle proprie esigenze, credendo di facilitarsi la vita. A me invece pare che il risultato sia di peggiorarla e di complicarla. Agli altri. Almeno allo stato attuale dei fatti. Ma non voglio scendere nei dettagli, chiudo l’argomento. E poi, non sono altro che un non ben definito lupo cane, che volete che ne sappia? Non è materia di mia competenza. Comunque, ero contento e “orgoglioso” di essere un cane totalmente “disutile” nel contesto ambientale in cui mi avevano fatto nascere. Né da guardia, né da caccia (io, cacciatore lo ero per conto mio, se me ne capitava l’occasione, e cacciavo solo per me), né da pastore, né da compagnia, e non so da “che” altro. Individualista, certo, e non asservito a nessuno. Forse fu proprio questa mia posizione, che scoprii essere un po’ insolita per un cane, a crearmi parecchie inimicizie, tra gli umani. Molti non sopportavano di vedermi girare libero per strada (avevo notato invece che i “meticci” liberi sulla strada attiravano di meno l’attenzione, rispetto a me) e questo finiva per procurare qualche “rogna” (in senso figurato, naturalmente) al mio umano, e anche agli altri amici umani che talvolta decidevo di onorare della mia compagnia. Molto piacevolmente, devo dire, perché mi accodavo a loro soprattutto quando facevano lunghe passeggiate a piedi, al mare o in campagna. Si trattava di un gruppetto di esemplari femmina il cui capobranco era quella famosa umana, mia vicina di casa, che, insieme all’altra dai capelli neri (le due che nella mia prima notte di terrore erano venute in mio soccorso) conducevano “a spasso” una mia amichetta a quattro zampe, la quale col tempo divenne la mia più grande amica canina, pur se all’inizio non mi sopportava… spiegherò poi i motivi. L’umana di riferimento della cagnolina era la vicina (il capo del piccolo branco umano), la cagnetta viveva in casa sua e nel gruppetto di camminatrici c’era sempre anche un’umana molto giovane, quasi piccola ma non piccolissima, legata all’altra da una qualche parentela. La piccola umana abitava nella stessa casa, ma non nello stesso nucleo familiare: lo capivo dall’odore. Tutte loro erano entusiaste quando mi univo al branco (naturalmente senza chiedere il permesso), pur se dopo un po’ si accorsero anche loro che passeggiare con me significava quasi sempre tirarsi addosso qualche problema… eppure, come sempre, non era davvero mia intenzione. Ma loro non me ne volevano mai, erano sempre dalla mia parte malgrado il fatto che io, pur non volendo, fossi una costante fonte di preoccupazione. Lupo solitario e indipendente, certo, ma, in mancanza del mio capobranco, sfogata la bramosia ansiosa dei primi tempi, a volte mi stufavo di vagabondare da solo (a meno che non ci fosse una femmina in calore nei paraggi, naturalmente: allora per me non esisteva più niente e nessuno!), e allora apprezzavo parecchio qualche presenza umana “amica”. Mi piaceva molto la loro compagnia, anche se, il più delle volte, già molto lontani da casa, dovevano tornarsene senza di me perché a un certo punto io le mollavo e sparivo, incurante dei loro richiami preoccupati. Me ne andavo per i fatti miei, perché all’improvviso sentivo un odore che mi interessava troppo, e le mie amiche umane passavano in secondo piano, o me ne dimenticavo addirittura. Mi servivano un po’ come un piacevole passatempo quando non avevo di meglio da fare. Non che non sentissi il loro affetto, provavo gratitudine e simpatia, ma gli umani, per me, restavano sempre niente più che umani. Più che altro li usavo… non avevo forse le mie ragioni per farlo, dati i miei trascorsi di prigionia forzata? Ora volevo assaporare la vita fino in fondo, a modo mio. Non ero certo il prototipo del “cane fedele”. Già, io ero un lupo-cane, non un cane lupo, che se non sbaglio è il simbolo della fedeltà canina alla specie umana. Nonostante ciò ero sempre molto legato al mio unico e vero capobranco umano, anche se non era proprio quel rapporto simbiotico di fedeltà assoluta che tanto spesso vedevo intorno a me, eppure, a modo mio, gli ero fedele (a parte le solite immaginabili priorità -vedi “richiami del sesso”-); tanto è vero che se ci capitava, nel corso delle passeggiate con le mie amiche-ammiratrici, di incontrare lui, le mollavo all’istante per seguirlo, su qualsiasi mezzo meccanico si trovasse, perché raramente si spostava camminando sui propri piedi. Anche lui era un umano un po’ “sui generis”, nei rapporti con la stirpe canina, per essere uno che aveva adottato un cane (“Sui generis ”,hai detto? E vai col latino, lupo! Ancora un po’ e ti mandiamo in cattedra. Ma sì, permesso accordato: questo è un caso speciale) In seguito sarei molto cambiato, nella mia sfera emotiva riguardante il mio approccio col genere umano, ma allora era così. Prima di arrivarci ho ancora parecchio da raccontare.
Akyaky
00lunedì 27 ottobre 2008 14:28
Ebbene, continuano per mia gioia le avventure del lupo-cane!!!

"Solo, non capisco la necessità, tipica della specie umana, di interferire sulla natura, di apportare modifiche su di essa allo scopo (illusorio, secondo il mio modesto parere di povero cane ignorante) di “creare” esseri più consoni alle proprie esigenze, credendo di facilitarsi la vita. A me invece pare che il risultato sia di peggiorarla e di complicarla. Agli altri."
Questa è la frase sintesi del pezzo che mi è piaciuto di più: le razze. Questa frase dice esattamente quello che penso sull'argomento...


Sul resto, caspita però, era davvero particolarissimo questo cagnone! voglio dire, era proprio selvatico, ed è strano trovarne di così... di solito va il prototipo del cane fedele (lo abbiamo selezionato noi)... questo invece è davvero un mezzo lupo... mi ricorda anche un po' un gatto. Però è bello il legame che già lo unisce al suo bizzarro umano. Non vedo l'ora di leggere come va avanti...
ciuteina
00domenica 2 novembre 2008 21:52
Grazie, Aky. Ti ci verrebbe una medaglia solo per la tua pazienza.
Sì, era quello il messaggio-chiave che ho voluto inserire tra le righe di questo capitolo, in mezzo alla ridondanza consueta... Le razze canine, create dall'uomo e a cui i cani... non danno alcuna importanza. Prese come un dato di fatto dalla maggioranza degli umani, quando non incentivate. Ma dalla visione di un inter-specista ricordano molto una brutta tendenza, tipica della natura umana, pare, di discriminare anche all'interno di una stessa specie, persino della propria... Sarà un'osservazione ridicola, un parallelo per alcuni grottesco e magari pure offensivo, eppure in me è scaturito accostandomi per caso al "pianeta cane".
E' stato un mio sfogo tradurre in parole scritte queste mie "strane" idee. Tu l'hai colto in pieno e non mi stupisce, mi piacerebbe che lo cogliesse chi non ci ha mai pensato... ma lo so che è molto improbabile.
Ora vado a postare il prossimo cap. (Esce dal parco -era ora!- e passa ad altro, raconta altre cose, forse è un po' più "d'azione"! Mi pare che sia un po' più movimentato, un po' più stimolante. Boh!)
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