"La Mosca" secondo Gianni Canova

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|Painter|
00domenica 22 maggio 2011 10:40

La Mosca secondo Gianni Canova

[…] “Una storia d’amore di 40 anni compressa in poche settimane e coniugata con l’invecchiamento e la malattia di uno dei due amanti”. […]La Mosca ha la struttura e perfino la temperatura emotiva di un melodramma. in tal senso, il film rende finalmente esplicita la centralità di quella componente mélo che serpeggia e affiora nel cinema di Cronenberg fin dagli esordi. […] Il film racconta la storia di un amore che si rivela impossibile perché il corpo di uno dei due amanti muta e si trasforma diventando “mostruoso” […]. Un’amara meditazione sul destino che obbliga i corpi all’immobilità per non perdere la reciproca attrazione […].
Anche in La Mosca il corpo è un organismo esposto alla contaminazione […]. Brundle, a differenza di Gregorio Samsa nel racconto di Kafka, non è una mente umana imprigionata in un corpo da scarafaggio, bensì un organismo psico-fisico che sperimenta fino in fondo – fino alla morte – il brivido e l’orrore di un’identità ibrida. […] È questa identità inedita che affascina Cronenberg: questa possibilità di visualizzare un essere che non esiste se non nel […]corpo visivo del suo film.
Perché qui sta il punto: anche La Mosca (il film) è “mutante” come il corpo che mette in scena. Anche La Mosca è un metafilm: cioè un’opera in cui Cronenberg riprende e approfondisce, ancora una volta, la sua impietosa riflessione sul suo lavoro di produttore di immagini che generano l’orrore. […] Come ha notato acutamente Charles Tesson […], il teletrasporto da un punto all’altro “è quello del cineasta verso il suo film, dell’attore verso il suo personaggio, del corpo filmato […] e ricomposto altrove sotto la forma di un’immagine. […]La Mosca è la prima fiction moderna che metta in scena la natura e il meccanismo dell’immagine-video: il corpo filmato e riprodotto punto per punto […]. Il problema, quando il corpo viaggia da A a B, è che la realtà del corpo (la sua materia) diventa nel frattempo un’impressione di realtà: […] che cosa succede passando – attraverso l’immagine – dalla realtà alla sua “impressione”? C’è un guadagno o una perdita di realtà?”
[…] E neanche noi, in fondo, abbiamo visto davvero il teletrasporto: abbiamo visto – sempre – l’oggetto nel punto A e poi nel punto B, ma non abbiamo percepito il tragitto. […] Perché nessun occhio sa captare il procedimento […]. Le capsule di teletrasporto di Seth Brundle sono insomma una geniale metafora cronenberghiana per dire al contempo che la potenza e l’impotenza del cinema, la sua (teorica) capacità di vedere tutto, ma anche la sua (pratica) incapacità di vedere, la sua “cecità” […].
tratto da: Gianni Canova, David Cronenberg (ed. Il Castoro, 2007)
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