da: "Serpente che mangia non ha veleno" di Edda Bresciani

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-Kiya-
00sabato 10 maggio 2008 17:40

... le viscere, o per meglio dire i quattro geni che presiedevano alle viscere dell'uomo, gongolavano su come se la sono passata bene.

Tratto dal Papiro Rhind:


"Abbiamo potuto bere ogni giorno fino all'ebbrezza,
abbiamo potuto mangiare oche e pesci secondo il desiderio del nostro cuore (...).
Abbiamo bevuto bene,
abbiamo dormito bene,
abbiamo avuto a disposizione cibo adatto agli esseri umani,
e così siamo invecchiati sulla terra".


[...]

I menù per i vivi

I menù funerari confermano quanto sappiamo sull'alimentazione e sulla cucina egiziana da altre fonti, soprattutto figurative (mancano infatti libri di cucina faraonica nel nostro senso) e da notizie trasmesse da autori classici (Erodoto, Plinio, Teofrasto, per non citare che alcuni fra i più noti).
I pasti principali erano tre: la colazione al mattino, il desinare e la cena, che era il pasto principale.
Tutti mangiavano senza posate; anche il Re portava alla bocca, direttamente, lo spiedino con la carne arrosto, anche le principesse si mangiavano il piccione arrosto tenendolo in mano. Nei banchetti formali, i convitati si mettevano accosciati su stuoie o cuscini, davanti a una piccola tavola bassa, sulla quale poggiavano il pane, l'arrosto, la frutta; nel Nuovo Regno, viene di moda, per la gente di rango elevato, mettersi seduta su seggiole, davanti a tavolo con alto piede; un gran numero di domestici, a pasto finito, provvedevano a versare acqua sulle mani. In ogni epoca della civiltà egiziana i banchetti erano rallegrati da spettacoli di danze e di concerti; le anfore per il vino e per la birra erano decorate con ghirlande, e i convitati, cinti di corone di fiori, si offrivano l'un l'altro bocci di loto da odorare.
Meno formali certamente le colazioni e le cene della gente comune. I contadini e i sorveglianti che passavano la giornata in campagna, si portavano il pane, bevevano l'acqua dall'otre tenuta al fresco sotto un albero, e si arrostivano oche nel campo.



Tra gastronomia e terapeutica


Non ci è arrivato nessun libro di cucina antico egiziano; le tre salse per pesce arrosto (a base di pepe, aceto, olio, coriandolo, cumino, liquamen) indicate come "di Alessandria" nel libro di cucina che Apicio scrisse a Roma nel primo secolo della nostra era (Sulla cucina, X,1,6.8) non sono propriamente di tradizione o gusto faraonico; un tipo di pane detto "di Alessandria" era prodotto a Roma, e forma la base per un'appetitosa pagnotta imbottita che Apicio spiega come preparare (IV, 1 l, 3) e che doveva essere servita fredda, dopo essere stata tenuta nella neve.

Quanto alla documentazione egiziana antica, è rarissimo che fornisca indicazioni sul modo di preparare cibi; ma questo è il caso delle didascalie in geroglifico che commentano una scena della tomba tebana di Rekhmira, un personaggio molto importante che fu visir del Faraone Tutmosi III. Le didascalie forniscono gli ingredienti di certi pani dolci conici, speciali, fatti con farina ottenuta dai tuberi del cipero (cyperus esculentus) grossi come noccioline e dal sapore di cocco. I dolci di cipero erano preparati nella pasticceria del tempio:

"Pestare una quantità di tuberi di cipero in un mortaio;
stacciare la farina con attenzione;
aggiungere una tazza di miele e impastare;
mettere la pasta in un tegame di metallo;
mettere sul fuoco aggiungendo un po' di grasso;
[cuocere a fuoco lento finchè la pasta si rassodi;
far rosolare senza bruciare.
Lasciar raffreddare] e farne pani conici"
.


Istruzioni, dosaggio, utensili e procedimenti ricordano le prescrizioni dei testi di medicina faraonica, mentre la maggior parte delle piante, dei frutti degli ingredienti usati per l'alimentazione, il condimento, la dolcificazione, si ritrovano nei ricettari usati dai medici egiziani, che conoscevano bene i segreti della farmacopea e le virtù dell'erboristeria. Non ci può meravigliare l'intreccio tra dietetico, gastronomico e terapeutico, e neppure il trovarlo esplicitamente in un "Libro di medicina" in demotico (II secolo d.C.), che insegna a preparare un piatto di carne e verdure curativo per chi soffre di stomaco:

"Ricetta per cuocere della carne adatta a guarire dalla indisposizione di stomaco.

Prendere giaggiolo, carne di piccione nel mezzo, che sia cotta con oca, finocchio, una misura di fave, acqua calda, polvere assorbente, infuso di grano, due palle di cicoria; triturare, filtrare, bere
".


La funzione curativa di questo cibo è affidata prima di tutto a due degli ingredienti con cui la carne di piccione e di oca è fatta cuocere: il finocchio, le cui qualità digestive e anticolitiche sono ben note al pari della piacevolezza del suo aroma in cucina, e la cicoria, buona da mangiare e così ricca di sostanze depurative ed epatoprotettive; quanto al giaggiolo, si sa bene che è un efficace colagogo.

In cucina cominciava, o continuava, la magia della terapeutica egiziana antica.

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