"Roma papale"

E-sia
00mercoledì 17 dicembre 2008 18:14
PREFAZIONE

Prefazione

al libro Roma papale, descritta in una serie di lettere con note da Luigi De Sanctis, pubblicato nel 1882


Prefazione

Precedenti pubblicazioni dell'opera

Le lettere che pubblichiamo ora per la prima volta in italiano, non sono nuove: esse furono pubblicate nel 1852 in inglese, ed ebbero in quella lingua tre edizioni. Furon poi tradotte in francese ed in tedesco, ed in queste lingue ancora hanno avuto varie edizioni. Ora per la prima volta si pubblicano nella lingua originale nella quale sono state scritte.

Esse da principio furon fatte per l'Inghilterra, e furono da prima pubblicate nel Record, giornale della Chiesa anglicana.
Esse portavano per titolo Papismo, Puseismo, e Gesuitismo, ed aveano per iscopo di dimostrare l'unione di queste tre sêtte nel far guerra al vero Cristianesimo evangelico. Ma l'editore inglese, non volendo forse irritare il gran partito puseita d'Inghilterra, soppresse nel titolo la parola Puseismo, e pubblicò il libro col titolo di Papismo e Gesuitismo; lo stesso titolo si è conservato nell'edizioni francesi e tedesche.
Ora però, pubblicandole in italiano, quel titolo più non le conviene; tanto più che le note aggiunte in gran numero, non solo sviluppano il testo, ma svelano tanti usi di Roma Papale che non avevano potuto trovar luogo nelle lettere.

Ma di poco profitto e di poco interesse sarebbe stata all'Italia la pubblicazione di quelle lettere come furono scritte per l'Inghilterra; perciò l'autore, lasciando il piano originale dell'opera, ha rifuso talmente quelle lettere da renderle interessanti per i lettori italiani.
Oltre a ciò, via ha aggiunto una quantità di note, per dare in esse tutti quegli schiarimenti delle cose appena accennate nel testo, e sviluppare così il piano che si è proposto, di dare una idea di Roma Papale specialmente sotto l'aspetto religioso.

E-sia
00mercoledì 17 dicembre 2008 18:15
Scopo dell'opera

Scopo dell'opera

Disgraziatamente Roma Papale sotto l'aspetto religioso non è conosciuta neppure in Italia.
L'organizzazione della corte di Roma, la maniera come si trattano in essa gli affari, le molle nascoste che fanno muovere tutta la macchina del Cattolicismo romano, sono misteri per molti Italiani.
Noi non ci lusinghiamo di aver messo al nudo tutti quei misteri, ma speriamo nel nostro libro averne data un'idea.

Quanto alle dottrine del Cattolicismo, non le abbiamo tutte esposte, non essendo nostro scopo fare un libro di controversia; ma abbiamo cercato di esporre qualche punto di pratica del Cattolicismo romano, come esso è in azione in Roma.

Chi vuol conoscere il Cattolicismo, romano come esso è, bisogna che lo studi in Roma, e lo studi non nei libri, ma lo veda in azione nel papa, nei cardinali, e nelle congregazioni romane.
I libri non dànno che un'idea falsa spesse volte e sempre incompleta del Cattolicismo romano. Si trova nei libri, o il barbaro e superstizioso Papismo del medio evo, o il Papismo poetico di Chateaubriand.
Se osservate il Papismo nei diversi paesi, lo troverete differentissimo.

Nel mezzogiorno d'Italia vi troverete ancora tutte le superstizioni del medio evo: nell'Inghilterra e nella Germania, ove i Cattolici sono mescolati coi Protestanti, vi troverete un Papismo meno superstizioso e più tollerante; per trasformarsi poi in superstizione ed intolleranza, quel giorno nel quale sarà divenuto maggioranza.

È un fatto certo che, dopo il concilio di Trento, il Cattolicismo romano si è intieramente fuso nel Gesuitismo.
Il Gesuitismo è poco scrupoloso, esso sa secondo le circostanze dei tempi e dei luoghi vestirsi di nuove forme, e comparire perfino liberale, mentre officialmente condanna il liberalismo.
Ne abbiamo un esempio parlante sotto i nostri occhi. Pio IX, nella sua enciclica e nel suo sillabo, condanna solennemente tutti i principii di libertà e di progresso, e frattanto vediamo teologi cattolici, preti, e vescovi, fingersi liberali e progressisti, restando attaccati al Cattolicismo ed al papa: così il popolo non sa a chi credere: ed il Cattolicismo si presenta ai tiranni dai retrogradi armato della tiranna e retrograda enciclica; si presenta ai liberali armato delle ragioni dei teologi neocattolici, che affettano liberalismo; si presenta al popolo per ingannarlo sotto specie di religione.

Questa tattica è precisamente la tattica fondamentale del Gesuitismo, il quale è basato su questo principio, ampiamente spiegato nel nostro libro, che tutti i mezzi son buoni quando conducono al fine.

Inventore di quest'empia massima fu Ignazio di Loiola: la corte romana l'accettò, e così si è dovuta sottomettere al Gesuitismo, e lasciare ad esso la cura di trattare i suoi interessi, ciò che il Gesuitismo fa con gran zelo ogni qual volta agl'interessi della corte romana sieno uniti i suoi.
Ma se gl'interessi dell'una sono separati od opposti agl'interessi dell'altro, allora il Gesuitismo è il primo a ribellarsi contro la corte romana, e questa bisogna che ceda all'influenza immensa del Gesuitismo.
Il giorno che il Cattolicismo si separasse dal Gesuitismo, sarebbe il giorno della sua morte.

Per farsi una giusta idea della immoralità del clero romano, bisogna essere stato educato ed aver vissuto, come ha fatto l'autore di questo libro, per molti anni fra i preti ed i frati.
È solamente in quei luoghi che si può conoscere la vita di quei pretesi servi di Dio; là si conosce come si passano da quegli ecclesiastici i giorni e le ore nell'ozio, nelle conversazioni le più futili, e molte volte le più immorali; là si conoscono le cabale e i raggiri di quei servi di Dio per giungere ad afferrare un vescovado o una carica di convento.

Non vogliamo però con questo dire che tutti i preti e tutti i frati sieno uomini cattivi e di mala fede: ve ne sono di buoni; ma sono rare eccezioni.
Come i nostri lettori vedranno in una delle nostre note, noi siamo persuasi che vi sieno anche de' Gesuiti in buona fede, ma questi tali sono una quasi impercettibile minoranza: essi sono uomini che non hanno saputo o potuto scuotere i pregiudizi della fanciullezza, ed invecchiano bamboleggiando.
Essi non hanno saputo o potuto svincolare la ragione ed il pregiudizio religioso dalle pastoie della loro primitiva educazione; essi ritengono come verità infallibili le leggende di cui fu riempita la loro mente nella fanciullezza, e ritengono come il rappresentante di Dio l'uomo che in nome di Dio calpesta i più santi diritti dell'uomo.
Questi tali agiscono, se si vuole, in buona fede; ma la loro buona fede è l'effetto di una colpevole ignoranza creata e fomentata dal Gesuitismo.

Se si tratta poi di conoscere i disordini dei conventi di monache, l'autore di questo libro li ha ben conosciuti.
Pel corso di dodici anni egli è stato mandato dal cardinal vicario in quasi tutti i conventi di Roma, o come predicatore, o come confessore straordinario, o come direttore spirituale. E così ha conosciuto tutti gli orrori che si nascondono in quelle mura.
Quando egli l'anno scorso ha letto il libro della signora Caracciolo, su i misteri del Chiostro Napoletano, ha dovuto dire che le monache napoletane sono assai migliori delle romane, meno qualche eccezione.

L’autore di questo libro non solamente conosce i disordini di cui egli è stato testimonio, ma ne conosce molti altri, avendo avuto occasione, per le stesse relazioni che aveva in Roma, di leggere i registri del Vicariato, e di conoscere molti disordini di frati e di monache, portati innanzi alle congregazioni dei Vescovi e regolari, e della Disciplina.
Se avesse voluto far parola nel suo libro di tali disordini, avrebbe fatto un libro scandaloso; ma egli ha voluto scrivere non per scandalizzare, ma per istruire ed anche edificare, e spera che i Cristiani lettori del suo libro apprezzeranno la sua riserva.

Per conoscere che il Cattolicismo romano è la religione del danaro, bisogna andare a Roma, entrare nella Dateria e nella Cancelleria romana, e vedere in qual modo si comprano i vescovadi, i canonicati, i benefici, le dispense matrimoniali, e tutte le grazie spirituali; vedere come si mercanteggia sui prezzi: vedere un classe autorizzata di persone fare i sensali di simili mercanzie, sotto il titolo specioso di spedizionieri apostolici.
Quando si conoscono i così detti incerti del clero romano, di cui daremo una nota in un appendice, allora diviene un’evidenza che il Cattolicismo romano non è che una religione di danaro.

Per riguardo alla dottrina del Papismo, essa non bisogna cercarla nei libri di quei teologi che, come Bossuet e Wiseman, hanno descritto un Cattolicismo tutto diverso da quello che esso è realmente, per così accalappiare i Protestanti di buona fede ad entrare nella Chiesa romana.
Bisogna andare a Roma, e, osservando le cose con occhio indagatore, si vedrà che il Cattolicismo romano attuale ha tre dottrine differenti: la dottrina officiale, che è molto elastica e tale da poter essere intesa in un senso non cattivo.
Quella dottrina serve di arme ai Gesuiti o gesuitanti; e, con gli equivoci di quella dottrina, essi fan vedere ai Cattolici di buona fede che i Protestanti calunniano il Cattolicismo.
Essi hanno una seconda dottrina, che può chiamarsi la dottrina teologica, la quale va molto più in là della dottrina officiale, ma pure si contiene ancora in certi limiti.
Finalmente vi è la dottrina reale, che è quella che s’insegna al popolo e che si pratica, la quale è piena di superstizioni, e spesso di empietà.
Noi abbiamo dati alcuni esempi di queste tre diverse dottrine nei nostri libri che abbiamo pubblicati sul Purgatorio, sulla Messa, sul Papa: citeremo qui ancora due esempi.
Bousset ed altri teologi che han scritto contro i Protestanti, sostengono non essere vero che la Chiesa romana proibisca la lettura della Bibbia in lingua volgare, perchè non vi è nessun decreto di concilio generale che proibisca una tale lettura.
I teologi romani sostengono invece che la Chiesa proibisce la lettura delle Bibbie tradotte dai Protestanti, perchè falsificate.
Ma queste due asserzioni sono false, e sono smentite dalla dottrina reale della Chiesa romana, la quale nella regola IV dell’Indice proibisce la lettura delle versioni della Bibbia fatte da autori cattolici.
Bossuet attaccandosi alla dottrina officiale che dice che le immagini debbono essere venerate, nega che la Chiesa romana le adori: ma i teologi, interpretando ragionevolmente il decreto del concilio di Trento, che ordina la venerazione delle immagini a forma del decreto del secondo concilio niceno, il quale dice che debbono essere adorate, spiegano quell’adorazione che la chiamano culto di dulia, cioè adorazione inferiore; mentre poi la dottrina reale ammette una vera e propria adorazione, inginocchiandosi innanzi alle immagini ed alle croci, pregandole ed incensandole.

Il Papismo gesuitizzato non può conoscersi nella sua realtà che a Roma.
Nella segreteria di Stato, nella segreteria degli affari ecclesiastici straordinari, nella congregazione di Propaganda, nella congregazione dell’Inquisizione, solo colà può conoscersi lo svolgimento di tutto quel mistero d’iniquità; solo colà si possono conoscere i raggiri e le male arti che si adoperano per trarre tutti i regni della terra sotto il giogo del papa.
Cosa incredibile a dirsi, ma pur vera, Roma si rallegra dei progressi dell’incredulità e del razionalismo; perché spera, e non senza ragione, che un paese divenuto incredulo, sia più facile ad esser soggiogato al Papismo.

Roma gesuitizzata sa trarre per sé un profitto ammirabile dall’amore delle belle arti. Essa sa che il mondo è carnale, che i mondani non possono comprendere le cose dello spirito, perché si giudicano spiritualmente; così al culto in spirito e verità ordinato da Gesù Cristo ha sostituito un culto tutto carnale e materiale, per ritener nel suo seno gli uomini carnali, sotto pretesto di religione.

La politica di Roma gesuitizzata è contradittoria ed ingannatrice: essa proclama e condanna nello stesso tempo la libertà di coscienza; la proclama per sè nei paesi ove essa non domina, per potere così piano piano gettare la confusione, e giungere poi un giorno al dominio.
La condanna nei paesi ove essa domina, per paura di scapitare nel suo dominio.
Una tale condotta dimostra evidentemente, che essa non agisce per altro principio che per il proprio interesse.
Non sarei mai per finire se volessi numerare tutte le mostruosità che racchiude la fusione del Papismo nel Gesuitismo.
Avrei desiderato sviluppare più largamente questo tema, ma allora avrei dovuto scrivere molti volumi, e la generazione attuale non ama libri voluminosi; quindi ho dovuto contentarmi di dare un semplice cenno della Roma Papale nel presente libro.
E-sia
00mercoledì 17 dicembre 2008 18:16
Fonti dell'opera a cui l'autore ha attinto

Fonti dell'opera a cui l'autore ha attinto

In presenza però dei fatti citati e dei giudizi espressi dall’autore, il pubblico ha diritto di sapere a quali fonti esso abbia attinto le sue informazioni, e quale fiducia possano meritare. Noi ci crediamo in dovere di prevenire la domanda dei nostri lettori su questo punto, affinché sappiano che egli non scrive un romanzo, ma che rapporta fatti pubblici ed incontestabili.
L’autore è Romano di nascita; egli è stato educato fin dalla sua prima giovinezza nella vita ecclesiastica; egli ha vissuto per quasi ventidue anni in una congregazione di preti che sono in qualche modo affigliati ai Gesuiti; egli stesso era uno dei più caldi amici dei Gesuiti, perché li credeva l’appoggio del Cattolicismo, e credeva il Cattolicismo romano la sola religione vera.
L’autore di questo libro ha per quindici anni esercitato in Roma il ministero di confessore, ed ha esercitato quel ministero non solo nelle pubbliche chiese, ma nei conventi, in quasi tutti i monasteri di monache, nei collegi, nelle prigioni, nelle galere, fra i militari.
Quante cose egli possa aver sapute in quindici anni di ministero nessuno può immaginarlo.
Egli è stato per otto anni parroco in una delle principali chiese di Roma, nella chiesa della Maddalena; egli era stimato dai suoi superiori ecclesiastici, i quali gli hanno più volte affidate commissioni delicatissime, e conserva tuttora presso di sè un centinaio di documenti autografi dei suoi superiori, i quali dimostrano che la sua condotta per tutto il tempo che è stato in Roma è stata sempre tale da meritare gli elogi dei suoi superiori.
E questo sia detto in risposta al calunniatore P. Perrone, e ad altri di tal risma che hanno copiato dal Perrone le calunnie che han vomitate contro l’autore.
Egli sfida tutti i suoi calunniatori a stabilire un giurì di onore, per esaminare i documenti che egli ha, e profferire la sentenza.
Tutto ciò deve assicurare i lettori che l’autore ha potuto conoscere i fatti che narra.
E-sia
00mercoledì 17 dicembre 2008 18:16
Notizie sull'autore
 

Notizie sull'autore

In quanto ai giudizi che l’autore si permette di dare in questo libro, i lettori debbono essere assicurati che egli era in grado di darli.
Egli, dopo aver ricevuto i gradi accademici, fu per alcuni anni professore di teologia in Roma stessa, egli si era acquistato il grado di Censore Emerito nell’Accademia Teologica dell’università romana, era membro di varie accademie.
Il famoso cardinale Micara, decano del sacro Collegio, lo avea scelto per uno degli esaminatori prosinodali del clero della sua diocesi.
Egli è stato per dieci anni qualificatore, ossia teologo, della sacra romana ed universale Inquisizione: per le quali cose egli era in grado non solo di essere bene informato, ma anche di dare il suo giudizio sui fatti.

Forse mi si domanderà per quali motivi io abbia lasciato una posizione così buona, una carriera che poteva aprirmi la via alle prime dignità ecclesiastiche, per gettarmi in braccio di un avvenire penoso ed incerto.
A me non sono mai piaciute le storie che si scrivono sulle conversioni, perché in fondo non sono che un panegirico che il convertito scrive di se stesso; e, forte su questo principio, io non scriverò la storia della mia conversione: solo dirò a chi vuol crederlo che i motivi che mi hanno mosso ad abbandonare Roma, e rifugiarmi in terra straniera in braccio alla Provvidenza, sono stati di aver preferito la gloria che viene da Dio a quella che danno gli uomini, i beni celesti ai beni terrestri, la vera pace della coscienza che si trova solo in Cristo alla falsa pace che dà il mondo.
Ecco il segreto della mia conversione; e coloro che non volessero crederlo li aspetto dinanzi al tribunale di Cristo, quando tutti i segreti dei cuori saranno manifestati, e là vedranno se io ho mentito.

Stimerei avvilirmi se rispondessi a coloro i quali pensano che ho abbracciata la religione evangelica per isfogare le mie passioni.
Ognuno che mi conosce, può coscienziosamente dire che una tale accusa è una calunnia.
E poi, se avessi avuto tale strana ed anticristiana voglia, non avrei avuto bisogno di abbandonar Roma: sarei stato al mio posto, ed avrei fatto come fanno tanti cardinali, prelati e preti.

Debbo anche aggiungere che io non ho mai avuto serii dispiaceri dai miei superiori ecclesiastici, anzi il cardinale vicario Patrizi, mio immediato superiore, mi amava e dimostrava per me la più grande stima: egli è tuttora vivente, e può rendermi testimonianza.
Il cardinal Ferretti, allora segretario di Stato, mi amava, e conservo presso di me alcune lettere autografe scrittemi qualche tempo dopo la mia partenza da Roma, le quali dimostrano il bene che mi voleva Pio IX, il cardinal Patrizi, il cardinal Ferretti, e tutta Roma.
E quando il cardinal Ferretti nel 1848 venne a Malta ove io era, mi diede pubblicamente le più grandi prove della sua stima.
Non vi voleva dunque che la impudente sfacciataggine di un P. Perrone per calunniarmi.
Se vi fosse un rimprovero apparentemente giusto da farmi sulla mia partenza da Roma, potrebbe essere un rimprovero d’ingratitudine, per avere abbandonati superiori che tanto mi amavano e che tanto erano disposti a beneficarmi.
Ma da questo rimprovero mi giustifica la voce della mia coscienza, e la voce della divina Parola la quale mi dice, di dovere obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, e che nulla mi sarebbe giovato a guadagnare il mondo intiero, a prezzo della mia eterna salute.
E-sia
00mercoledì 17 dicembre 2008 18:17

Piano dell'opera

I lettori comprenderanno facilmente che il piano di questo libro è fittizio: i quattro personaggi principali che sono nelle lettere, rappresentano le quattro diverse dottrine che si mettono più o meno in confronto.
Enrico rappresenta il Cattolicismo fervoroso ed illuminato di un giovane pieno di zelo.
Egli è l’ideale di quella classe di studenti di teologia che vanno in Roma a ricevervi la loro educazione religiosa, per andar poi nei paesi protestanti a fare la propaganda cattolico-gesuitica.
Il signor Pasquali è l’ideale di un Cristiano evangelico senza spirito settario che siegue la religione del Vangelo tal quale essa è scritta, e come l’Apostolo dei Gentili la predicò ai nostri padri italiani.
Ha voluto l’autore fare appartenere il Pasquali alla Chiesa Valdese, per rendere un giusto omaggio a quella Chiesa che onora l’Italia nostra, e che sarà sempre, si voglia o no, la madre, o almeno la sorella maggiore, di tutte le Chiese evangeliche che sono sorte o che sorgeranno in Italia.

Il signor Manson è stato posto in scena per dare un saggio del Puseismo onesto e di buona fede.
Finalmente il signor Sweeteman, è un onesto difensore dell’Anglicanismo evangelico.
Questi quattro personaggi principali sono immaginati, gli altri personaggi però sono personaggi reali, conosciuti dall’autore: il carattere che loro si dà è verissimo, e l’autore potrebbe declinare tutti i loro nomi.

E-sia
00mercoledì 17 dicembre 2008 18:18
Come l'autore ha conosciuto il Gesuitismo

Come l'autore ha conosciuto il Gesuitismo

Resterà ancora ai lettori una difficoltà.
Essi mi domanderanno come io ho fatto per conoscere il Gesuitismo e poterlo descrivere in quel modo. A questo io rispondo che l’abate P., ex Gesuita dottissimo e conosciutissimo in Roma, era mio amico, e da esso ho saputo molte cose.
Io era ancora molto amico dei Gesuiti: il P. Perrone, che ora mi dice ignorante, ventott’anni fa m’invitava più volte ad esaminare e provare i suoi scolari di teologia: il P. Roothan, famoso generale dei Gesuiti, mi amava molto, e mi regalò un suo libro sugli esercizi di S. Ignazio, che non si dava se non che ai grandi amici dei Gesuiti, perché conteneva la spiegazione della massima fondamentale del Gesuitismo, che tutti i mezzi son buoni purchè conducano al fine.
Sono stato tre volte a fare gli esercizi di S. Ignazio nel convento dei Gesuiti di S. Eusebio: la prima volta, quando era entusiasta dei Gesuiti; la seconda volta, quando lo studio dela Parola di Dio aveva incominciato ad aprirmi la mente, ed allora incominciai a vedere la malvagità delle dottrine gesuitiche; vi andai la terza volta, ma solo per studiar bene quelle dottrine, ed apprenderne la vera spiegazione dai due famosi Gesuiti P. Zuliani e P. Rossini.

Le lettere portano la data del 1847 al 1849: alcuni insignificanti cambiamenti sono avvenuti in Roma da quel tempo; ma alcuni di quei cambiamenti sono stati spiegati nella conclusione.
Per esempio, è stata in qualche modo migliorata la condizione degli Ebrei; ma ciò è avvenuto non tanto per la esigenza de’ tempi, quanto per le istanze del signor Rothschild, il quale si ricusava di dar danaro al papa se tale condizione non fosse stata migliorata: ma i miglioramenti apparenti non hanno fatto che accrescere le sorde persecuzioni contro quegl’infelici.

Ci auguriamo che questo libro abbia nella sua lingua originale la stessa accoglienza che ha avuta nelle lingue straniere nelle quali è stato tradotto.

Firenze, Febbraio 1865

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