[MO] Offensiva israeliana su Gaza, centinaia di morti

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princepsoptimus
00sabato 27 dicembre 2008 11:45
GAZA - Massiccia offensiva israeliana sulla Striscia. Una serie di raid aerei hanno preso di mira Gaza, la città più importante del territorio palestinese controllato da Hamas. Circa 20 missili israeliani hanno distrutto numerose caserme della polizia, provocando decine di morti e feriti. Il primo bilancio fornito da Hamas parlava di una quarantina di cadaveri contati tra le macerie degli obiettivi colpiti. Poco più tardi, però, fonti mediche a Gaza hanno riferito un bilancio ancor più grave: almeno 120 morti e 200 feriti. Tra le vittime anche il capo della polizia, Tawfiq Jabber.

LE IMMAGINI - La tv satellitare Al Jazeera ha mostrato le immagini di decine di miliziani palestinesi riversi sul terreno. La stessa emittente parla di decine di "martiri" e altrettanti feriti, che afferma di non potere contare per la difficoltà di raggiungere i luoghi colpiti dall'offensiva. Nelle immagini trasmesse dalla tv araba e anche dalla tv palestinese Ramtan, si vedono uomini vestiti in nero stesi sul terreno in un piazzale con autoambulanze nei pressi che cercano di soccorrere i feriti. Uno dei corrispondenti, commentando gli eventi, parla di «una situazione terrificante» causata da «raid che avvengono in sintonia in più luoghi e in contemporanea» nei cieli della Striscia.

STATO DI ALLERTA - Nel frattempo, nel sud di Israele è stato dichiarato lo stato di allerta in previsione di un intenso bombardamento con razzi e mortai da parte di gruppi armati palestinesi, La popolazione è stata invitata a non uscire in strada e a restare in aree protette o vicino a rifugi.

AIUTI DALL'IRAN - Subito dopo l'attacco, l'Iran ha annunciato che manderà la sua prima nave di aiuti destinati alla Striscia di Gaza malgrado il blocco navale israeliano. Lo ha detto la Tv di stato iraniana. Israele pattuglia le acque costiere intorno a Gaza e accusa l'Iran, che rifiuta di riconoscere l'esistenza di Israele, di rifornire Hamas con armi. Teheran smentisce, affermando di voler provvedere esclusivamente al supporto morale di Hamas. «A dispetto del blocco del regime sionista...la nave di aiuti iraniani partirà oggi e arriverà in 12 giorni in Palestina», ha detto la televisione, aggiungendo che saranno a bordo 12 dottori iraniani e uomini addestrati per il soccorso, e che il cargo conterrà «più di 2000 tonnellate di cibo, medicine e apparecchiature».

LA CONDANNA DELL'EGITTO - Arriva anche la condanna dell'Egitto: «Condanniamo la strage senza precedenti che sta avvenendo a Gaza» ha detto ad al Jazeera, Mustafa al Faqqi, presidente della commissione Esteri del parlamento egiziano. «Il mondo non può stare a guardare quello che sta avvenendo nella Striscia».

LANCI DI RAZZI - Da giorni le autorità dello stato ebraico avevano anticipato l'intenzione di colpire dopo i ripetuti lanci di razzi in territorio israeliano. In mattinata tre palestinesi erano rimasti feriti da un proiettile di artiglieria sparato dalle truppe israeliane. Gruppi armati palestinesi avevano invece lanciato altri razzi Qassam contro il sud di Israele, colpendo un edificio nel kibbutz Shaar Hanegev, senza fare vittime. Lo riporta il Jerusalem Post.

fonte: Corriere.it

Ci risiamo...
daetil
00sabato 27 dicembre 2008 14:23
DI RICHARD FALK
(Inviato Onu per i diritti umani) - The Guardian

Quando sono arrivato in Israele come rappresentante delle Nazioni Unite sapevo che vi potevano essere dei problemi all’aeroporto. E c’erano.

Il 14 Dicembre sono arrivato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv per svolgere il mio incarico di relatore speciale per le Nazioni Unite sui territori palestinesi.

Stavo conducendo una missione che aveva lo scopo di visitare la Cisgiordania e Gaza per preparare un rapporto sull’osservanza da parte di Israele dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Erano stati fissati degli incontri al ritmo di uno l’ora durante i sei giorni previsti, a cominciare da quello, il giorno seguente, con Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Palestinese.

Sapevo che vi potevano essere dei problemi all’aeroporto. Israele si era fortemente opposta al mio incarico alcuni mesi prima e il suo ministro degli esteri aveva rilasciato una dichiarazione secondo cui avrebbe proibito il mio ingresso se fossi venuto in Israele nel mio ruolo di rappresentante dell’Onu.

Nella foto: Richard Falk

Allo stesso tempo, non avrei fatto il lungo viaggio dalla California, dove vivo, se non fossi stato ragionevolmente ottimista sulle mie possibilità di riuscire a entrare. Israele era stata informata che avrei guidato la missione e avrei fornito una copia del mio itinerario, e aveva rilasciato i visti alle due persone che mi assistevano: un addetto alla sicurezza e un assistente, che lavorano entrambi nell’ufficio dell’alto commissario per i diritti umani a Ginevra.

Per evitare un incidente all’aeroporto, Israele avrebbe potuto o rifiutarsi di accettare i visti o comunicare alle Nazioni Unite che non mi avrebbero permesso di entrare, ma non è stata presa nessuna delle due misure. Sembra che Israele abbia voluto impartire a me, e in modo assai più significativo alle Nazioni Unite, una lezione: non vi sarà nessuna collaborazione con coloro che esprimono forti critiche sulla politica di occupazione israeliana.

Dopo che mi è stato negato l’ingresso, sono stato tenuto in custodia cautelare insieme a circa altre 20 persone con problemi d’ingresso. Da questo momento, sono stato trattato non come un rappresentante delle Nazioni Unite, ma come una sorta di minaccia per la sicurezza, sottoposto ad una perquisizione corporale minuziosa e alla più puntigliosa ispezione dei bagagli che abbia mai visto.

Sono stato separato dai miei due colleghi delle Nazioni Unite, a cui è stato permesso di entrare in Israele, e condotto nell’edificio di detenzione dell’aeroporto, distante circa un miglio. Mi è stato chiesto di mettere tutti i miei bagagli, insieme al cellulare, in una stanza e sono stato portato in un piccolo locale chiuso a chiave che puzzava di urina e di sudiciume. Conteneva altri cinque detenuti e costituiva uno sgradito invito alla claustrofobia. Ho passato le successive 15 ore rinchiuso in questo modo, il che è equivalso ad un corso intensivo sulle miserie della vita carceraria, inclusi lenzuola sporche, cibo immangiabile e luci che passavano dal bagliore all’oscurità, controllate dall’ufficio di guardia.

Naturalmente, la mia delusione e la mia dura reclusione sono cose insignificanti, non meritevoli di notizia per sé stesse, date le serie privazioni sopportate da milioni di persone in tutto il mondo. La loro importanza è soprattutto simbolica. Sono una persona che non ha fatto nulla di sbagliato, se non esprimere la propria forte disapprovazione per la politica di uno stato sovrano. Soprattutto, l’ovvia intenzione era di umiliare me come rappresentante dell’Onu, e di mandare perciò un messaggio di sfida alle Nazioni Unite.

Israele mi ha sempre accusato di essere prevenuto e di aver fatto accuse incendiarie sull’occupazione dei territori palestinesi. Nego di essere stato prevenuto ma insisto invece che ho cercato di essere obbiettivo nel valutare i fatti e la legislazione di pertinenza. Il carattere dell’occupazione è di dare adito ad aspre critiche sull’atteggiamento israeliano, specialmente sul rigido blocco imposto a Gaza, che ha come conseguenza la punizione collettiva di un milione e mezzo di abitanti. Prendendo di mira l’osservatore, invece di quello che viene osservato, Israele gioca una partita scaltra. Distoglie l’attenzione dalle realtà dell’occupazione, praticando in modo efficace una politica di diversione. Il blocco di Gaza non assolve nessuna funzione legittima da parte di Israele. Si dice che sia stato imposto come rappresaglia per alcuni razzi di Hamas e della Jihad islamica che sono stati lanciati oltreconfine sulla città israeliana di Sderot. L’illegalità di lanciare questi razzi è indiscutibile, ma non giustifica in alcun modo l’indiscriminata rappresaglia israeliana contro l’intera popolazione di Gaza.

Lo scopo dei miei rapporti è di documentare a nome delle Nazioni Unite l’urgenza della situazione a Gaza e altrove, nella Palestina occupata. Questo lavoro è di particolare importanza ora che vi sono segnali di una rinnovata escalation di violenza e persino di una minacciata rioccupazione da parte di Israele.

Prima che una tale catastrofe accada, è importante rendere la situazione il più trasparente possibile, e questo è quello che avevo sperato di fare esercitando il mio compito. Nonostante l’ingresso negato, il mio sforzo sarà di continuare a utilizzare tutti i mezzi disponibili per documentare la realtà dell’occupazione israeliana nel modo più veritiero possibile.

Richard Falk è professore di diritto internazionale alla Università di Princeton e relatore speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi.

Titolo originale: "My Expulsion from Israel "

Fonte: www.guardian.co.uk
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Malduin
00sabato 27 dicembre 2008 17:46
Una risposta di Israele era ovvia, d'altronde sono in campagna elettorale ed al governo uscente serve far vedere che ha le palle.
Su Hamas non spreco altre parole che è meglio, è Natale (passato da poco) non voglio diventare volgare....

In ogni caso la situazione mi pare tetra, l'unica via d'uscita dalla questione "Gaza" che riesco ad intravedere è una drastica azione militare da parte di Israele, forse domani, forse tra 10 anni...non fa moltissima differenza.
princepsoptimus
00sabato 27 dicembre 2008 19:15
Re:
Malduin, 27/12/2008 17.46:

Una risposta di Israele era ovvia, d'altronde sono in campagna elettorale ed al governo uscente serve far vedere che ha le palle.




Ma ti sembra un buona scusa per uccidere anche i civili e creare questa pericolosa escalation?...
Lux-86
00sabato 27 dicembre 2008 20:13
Re:
Malduin, 27/12/2008 17.46:



In ogni caso la situazione mi pare tetra, l'unica via d'uscita dalla questione "Gaza" che riesco ad intravedere è una drastica azione militare da parte di Israele, forse domani, forse tra 10 anni...non fa moltissima differenza.



Anche secondo me l'unica soluzione è un'azione militare, ma non di Israele. In fin dei conti Hamas esiste come reazione antiisraeliana, un'azione militare di Tsahal potrebbe eliminare Hamas ma non le sue cause, l'unica soluzione è un intervento esterno, possibilmente non ONU ma di qualcuno che abbia il coraggio di dare bastonate sia ai palestinesi che agli ebrei.

Lux-86
00sabato 27 dicembre 2008 20:14
Re: Re:
princepsoptimus, 27/12/2008 19.15:




Ma ti sembra un buona scusa per uccidere anche i civili e creare questa pericolosa escalation?...




Devono vendicarsi dell'umiliazione subita in Libano, per la prima volta hanno scatenato una guerra senza conquistare due-tre stati nemici e quindi si rifanno sui palestinesi.
Malduin
00sabato 27 dicembre 2008 22:11
beh non guardiamo metà della cosa, è stata Hamas a voler riprendere "il gioco" (sulla pelle dei Palestinesi) per recuperare consenso!

Sono d'accordissimo che se arrivasse l'ONU, prendesse a calci Hamas e tenesse gli Israeliani fuori dai maroni sarebbe solo meglio per tutti ma, hai presente come fa l'ONU ha risolvere questi casi? Semplicemente da la sua "pontificia" investitura a qualcuno che si occupi del lavoro sporco.....vedi intervento Etiope in Somalia ;)
Adesso sfido io a trovare qualcuno disposto a muovere il proprio esercito per la striscia di Gaza, a parte Israele s'intende....

Ci mandiamo la folgore? e se poi muoiono 13 soldati come a Nassiriya celebriamo il dramma nazionale?
Tralasciando che per ragioni prettamente pratiche, a meno che non si voglia piombare li stile "D-Day", l'offensiva deve essere lanciata DA territorio Israeliano, quindi con il benestare di Israele. (l'egitto non darà mai l'OK a farlo dal suo territorio, perchè Mubarak dovrebbe perdere consenso tra i suoi per una cosa di cui non gli frega nulla?)
Granduca di Milano
00domenica 28 dicembre 2008 08:51
Sarà un delirio eterno fino a quando una delle due parti non sarà eliminata completamente, tutti i discorsi e le proposte finto buoniste non otterranno altro risultato che prolungare il massacro, purtroppo. [SM=x751531] [SM=x751531] [SM=x751531]
princepsoptimus
00domenica 28 dicembre 2008 13:40
Secondo giorno di raid aerei, 400 morti

GAZA - E' guerra, e secondo il presidente palestinese Abbas «Questo massacro si poteva evitare». Nella striscia di Gaza domenica segna il secondo giorno di un conflitto che conta già un bilancio drammatico: secondo fonti ospedaliere sono oltre 270 le vittime e 620 feriti, tra cui molte donne e bambini, mentre Hamas parla di 400 morti e oltre 1000 feriti. All'alba nuovi massicci raid dell'aviazione israeliana mentre una salva di razzi, sparati da Gaza, è caduta in diversi centri del sud di Israele, come Ashkelon, Sderot, Gan Yavne e Ashdod. Non si ha notizia di vittime e neppure di danni.

CARRI ARMATI E SOLDATI AL CONFINE - Israele ha deciso nella riunione di governo la mobilitazione di migliaia di riservisti. Lo Stato ebraico ha minacciato dopo due giorni di raid aerei di sferrare anche un’offensiva via terra nella Striscia di Gaza controllata dal movimento radicale Hamas. Secondo fonti militari, riferite dal quotidiano Haaretz, centinaia di soldati israeliani della fanteria con mezzi blindati hanno raggiunto la frontiera sud di Israele per prepararsi a un’eventuale invasione terrestre. Un’operazione militare terrestre contro Hamas è possibile, ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak. Il primo ministro israeliano Ehud Olmert entrando alla riunione di governo aveva affermato che la durata dell’operazione "non è prevedibile".

GLI ULTIMI RAID - L’aviazione israeliana ha condotto nuove incursioni aeree contro la zona meridionale della Striscia di Gaza. Lo hanno riferito testimoni oculari secondo cui nel raid è stato colpito un camion cisterna nei pressi del valico di Rafah, alla frontiera con l’Egitto. Il camion ha preso fuoco provocando incendi nelle abitazioni circostanti. La radio di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, ha parlato di numerosi morti e feriti. Da Tel Aviv, una fonte militare israeliana si è limitata a confermare che «gli attacchi contro le basi di Hamas nella Striscia di Gaza continuano». La stessa fonte ha precisato che l’aviazione israeliana ha continuato a condurre nella notte «un certo numero di incursioni, in particolare contro una moschea della zona di Rimal, nella città di Gaza, dove si nascondevano terroristi». La radio pubblica israeliana ha parlato di una ventina di incursioni dell’aviazione lanciati nella notte contro la Striscia di Gaza.



APPELLO DELL'ONU: FINE DELLE ATTIVITA' MILITARI - Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha lanciato un appello alla fine di tutte le attività militari nella striscia di Gaza. Si tratta, secondo la prassi del massimo organo dell'Onu spesso seguita in simili casi, di una dichiarazione del presidente del Consiglio stesso, il rappresentante croato Neven Jurica. La richiesta non ha valore vincolante. Nella dichiarazione si sottolineano «le necessità umanitarie ed economiche della popolazione di Gaza». Si chiede pertanto alle parti interessate di intraprendere tutte le misure utili ad assicurare agli abitanti della Striscia cibo, carburante e medicine a sufficienza. Tra questa misure è inclusa anche l'apertura del confine tra lo Stato ebraico e il territorio palestinese.

ABBAS AL CAIRO - Il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp), Mahmud Abbas (Abu Mazen) è arrivato nelle prime ore di domenica al Cairo, per riferire al presidente egiziano, Hosni Mubarak, sulla situazione nei territori palestinesi dopo il più pesante attacco aereo - denominato "Piombo Fuso" e ripreso con numerosi altri raid sulla Striscia di Gaza - mai realizzato da Israele dal 1948. Tanto Abu Mazen che Mubarak sabato avevano condannato l'azione militare israeliana. Il primo ha definito l'attacco «vile» ed ha parlato di «massacro a Gaza». Il rais egiziano ha affermato che continueranno i contatti per riprendere la tregua scaduta il 19 dicembre, anche in vista della scadenza del mandato di Abu Mazen alla presidenza palestinese fissata per il 9 gennaio. Una riunione dei ministri degli esteri arabi che era stata convocata d'urgenza per stasera dalla Lega Araba al Cairo è stata rinviata a mercoledì, mentre per venerdì è stato confermato a Doha, Qatar, un vertice straordinario dei capi di stato arabi. Manifestazioni di protesta sono previsti oggi nelle università egiziane contro l'operazione militare israeliana.

MINISTRO EGIZIANO: «HAMAS TRATTIENE I FERITI» - «Noi abbiamo aperto il valico di Rafah e aspettiamo che i feriti di Gaza lo attraversino, ma questo non è permesso loro» ha affermato il ministro degli esteri egiziano, Ahmed Abul Gheit, nella conferenza stampa congiunta con il presidente palestinese, Abu Mazen. Alla domanda di un giornalista di chi impedisca il trasferimento dei feriti in Egitto, Abul Gheit ha risposto: «Chiedetelo a chi ha il controllo del territorio a Gaza», con evidente riferimento al movimento integralista di Hamas, che ha assunto il potere nella Striscia dal luglio 2007.

fonte: Repubblica.it
=Mimmoxl=
00lunedì 29 dicembre 2008 21:15
Re: Re:
princepsoptimus, 27/12/2008 19.15:




Ma ti sembra un buona scusa per uccidere anche i civili e creare questa pericolosa escalation?...



eee... Ai voglia... Fosse per loro... Tanto è piuttosto difficile che a morire siano loro o i loro congiunti che stanno ben difesi... A subire l'escalation son quasi sempre i poveri cristi...

Anche se però a parte quello nichilismo politico da parte mia, sinceramente è una questione da interrogativi impossibili...Cosa fare? Da parte mia c'è un enorme BOHHH...

E scusate l'arguzia della risposta! [SM=x751524]

E buon natale a tutti!

princepsoptimus
00sabato 3 gennaio 2009 00:58
Gaza, gli stranieri autorizzati a partire

GAZA - Secondo un’anticipazione del quotidiano britannico «Times», nel sito on line, comincerà stanotte l’offensiva di terra israeliana nella Striscia di Gaza, . Il giornale non cita la fonte delle sue informazioni, ma specifica che il via all’attacco è stato dato dopo lo sgombero degli stranieri dal territorio in mano a Hamas. Gli israeliani - scrive il Times - hanno approntato «centinaia di soldati e carri armati» per l’invasione della Striscia, in una operazione destinata a «schiacciare l’ala militare di Hamas». Finora gli attacchi aerei, che hanno provocato oltre quattrocento vittime, almeno cento della quali civili (fonte Onu), non sono riusciti a bloccare il lancio di razzi palestinesi verso Israele.

LA SITUAZIONE - Intanto si allunga la tragica lista dei morti nella Striscia di Gaza. Venerdì tre bambini palestinesi sono rimasti uccisi in un bombardamento dell'aviazione israeliana: i tre fratelli, tra i 7 e 10 anni, stavano giocando per strada nella zona di Al Qarara, a Khan Yunes, forse vicino a una postazione di lancio di razzi. Un altro civile è morto e cinque sono rimasti feriti nel bombardamento di una casa. Anche nel campo profughi di Jabalya un palestinese è rimasto ucciso. Continua dunque a pieno ritmo l'operazione «Piombo fuso» e nel settimo giorno di offensiva Israele ha continuato a bombardare fin dalle prime ore del mattino, mentre dalla Striscia sono stati sparati nuovi razzi, una trentina, in particolare verso Sderot e Ashqelon (dove risultano quattro feriti non gravi). L'attacco ha fatto, secondo l'ultimo bilancio, oltre 420 morti e 2.180 feriti. Secondo l'Onu sono almeno 100 i civili uccisi in sette giorni di operazioni militari, ovvero un quarto delle vittime complessive. Lo ha detto il coordinatore per le attività umanitarie nei territori palestinesi, Maxwell Gaylard, aggiungendo che, nonostante la consegna degli aiuti umanitari, Gaza non dispone ancora di cibo e medicinali sufficienti.



PAM: SITUAZIONE ALIMENTARE SPAVENTOSA - Anche il Pam, Programma alimentare mondiale, denuncia una situazione alimentare «spaventosa». «Molti prodotti alimentari di prima necessità non sono più disponibili» ha detto Christine Van Nieuwenhuyse, rappresentante nei Territori palestinesi. Secondo la funzionaria dell’agenzia Onu, circa 9 milioni di dollari (6,4 milioni di euro) sono necessari «per soddisfare la necessità di prodotti alimentari venuti meno a causa dell’aumento dell’intensità dei combattimenti». Il Pam ha avviato un programma di distribuzione urgente di pane a Beit Hanoun per 3mila famiglie.

LA VENDETTA - Hamas intanto giura vendetta contro Israele, durante i funerali del leader Nizar Rayan e nel cosiddetto «Giorno della collera». «Non riposeremo finché non distruggeremo l'entità sionista» ha dichiarato un capo del movimento, Fathi Hammad, citato dalla Bbc. «In seguito a questo crimine, tutte le opzioni sono aperte, incluse le operazioni di martirio per contrastare l'aggressione e colpire gli interessi sionisti ovunque» ha incalzato un portavoce. Il capo di Hamas in esilio a Damasco, Khaled Meshaal, ha affermato, parlando all’emittente araba Al Jazeera, che il suo movimento «non si arrenderà mai» di fronte alle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza. Meshaal ha inoltre aggiunto di essere pronto a ogni tipo di "confronto".

VIA GLI STRANIERI - E mentre lungo il confine con il Territorio palestinese sono ammassati soldati e carri armati per la probabile offensiva terrestre, l'esercito ha autorizzato l'evacuazione degli stranieri residenti a Gaza. I palestinesi con passaporto straniero hanno dunque lasciato l'area. Sono in totale 367 persone: 168 russi, 85 ucraini, 28 moldavi, 25 kazaki, 15 bielorussi, 33 americani, 7 turchi e 6 norvegesi, secondo cifre fornite dal ministero degli Esteri israeliano. I passaggi sono stati concordati con le ambasciate interessate, che prendono in carico le persone al valico di Eretz nel nord della Striscia per poi condurle ad Allenby, al confine con la Giordania. Il valico era stato chiuso sabato dopo l'inizio delle operazioni israeliane, salvo permettere il passaggio di un numero limitato di feriti tra i civili palestinesi perché potessero raggiungere ospedali israeliani. La Corte suprema israeliana ha poi ordinato che i giornalisti stranieri siano riammessi nella Striscia di Gaza dando ragione all'Associazione della stampa estera per Israele e i Territori palestinesi, che aveva presentato ricorso contro la decisione dell'esercito di sigillare Gaza e di impedire l'accesso ai media dopo l'inizio dell'offensiva. Nonostante questo le autorità militari israeliane continuano ad impedire l'ingresso nella Striscia ai reporter stranieri.



UN ITALIANO RESTA - Vittorio Arrigoni, l'unico italiano rimasto a Gaza, e altri sette volontari stranieri dell'International solidarity movement (Ism) hanno deciso invece di non abbandonare il Territorio palestinese. «Da qua non ci schiodiamo, invece di aprire i varchi per farci uscire perché non fanno entrare i medici internazionali? - ha detto al telefono Arrigoni -. Se restiamo qui almeno possiamo testimoniare cosa accade e forse sarà un deterrente per l'esercito israeliano che da giorni assedia quest'area». I volontari dell'Ism scriveranno una lettera alle autorità israeliane per chiedere l'apertura immediata dei valichi per tutti i residenti della Striscia e scorteranno le ambulanze per evitare che vengano colpite durante i bombardamenti. Oltre ai beni di prima necessità e all'elettricità nella zona comincia a mancare l'acqua. «Alcune bombe hanno distrutto gli impianti idrici - ha spiegato Arrigoni -. Noi potremmo benissimo andarcene, ma pensiamo ai palestinesi che non avranno mai questa possibilità».



MISSIONE UE - Sul fronte diplomatico si muove l'Unione europea e il segretario di Stato Condoleezza Rice ha detto che gli Stati Uniti stanno lavorando per raggiungere un cessate il fuoco «duraturo e sostenibile». Il portavoce della Casa Bianca, Gordon Johndroe, ha aggiunto che Israele ha il diritto di difendersi ma evitando di fare vittime tra i civili e assicurando cibo e medicinali alla popolazione di Gaza. Da Strasburgo il Consiglio d'Europa ha criticato Israele per la «reazione eccessiva» a Gaza. Domenica parte la missione della Ue: il ministro degli Esteri della Repubblica ceca Karel Schwarzenberg sarà a capo della delegazione che andrà in Medio Oriente con l'obiettivo di ottenere «un immediato cessate il fuoco che metta fine subito alla perdita di vite umane». Con lui ci saranno Javier Solana, alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue, Benita Ferrero-Waldner, commissario per le Relazioni esterne, e i ministri degli Esteri di Francia e Svezia, Bernard Kouchner e Carl Bildt, che rappresentano rispettivamente la prossima e la passata presidenza di turno dell'Unione. Anche il governo italiano è impegnato per una possibile soluzione della crisi: venerdì mattina il premier Silvio Berlusconi, dopo l'assunzione della presidenza del G8, ha parlato telefonicamente con il primo ministro israeliano Ehud Olmert, che gli ha fornito un aggiornamento della situazione.

PROTESTE - La giornata di preghiera dell’Islam è stata funestata da rabbiose proteste a Ramallah, Hebron e Gerusalemme, dove ci sono stati scontri tra i fedeli e la polizia israeliana. Sfidando i raid, centinaia di persone hanno partecipato a Jabaliyah ai funerali di Rayan. I sostenitori di Hamas hanno inneggiato slogan contro Israele, promettendo vendetta. Il 51enne professore di diritto islamico era noto per aver partecipato personalmente a scontri armati con le forze israeliane e per aver inviato uno dei propri figli in una missione suicida che nel 2001 aveva causato la morte di due israeliani. Al Jazira ha mostrato inoltre un’imponente folla di palestinesi a Ramallah, in Cisgiordania, roccaforte di Fatah e del presidente dell’Anp Abu Mazen. Un gruppo di giovani ha dato fuoco alla bandiera israeliana. La protesta è degenerata in violenze quando sostenitori di Hamas sono arrivati allo scontro fisico con membri di Fatah, accusati di collaborare con Israele. A Gerusalemme si è formato un imponente corteo davanti alla Spianata delle Moschee e ci sono stati scontri fuori dalla città vecchia, dove era vietato l’accesso agli arabi maschi di più di 50 anni e a chiunque non avesse la cittadinanza israeliana o un permesso di residenza in Israele.

VOLANTINI - La guerra si combatte anche sul fronte psicologico e gli aerei israeliani hanno lanciato su Gaza un'enorme quantità di volantini in cui viene chiesto l'aiuto della popolazione per identificare le località da dove i miliziani palestinesi sparano razzi, allo scopo di neutralizzarli per tempo. «Cara popolazione della striscia di Gaza, sii responsabile del tuo destino - si legge nei volantini, secondo la traduzione dell'agenzia di stampa palestinese Maan -. I lanciatori di razzi e i terroristi rappresentano una minaccia per voi. Se volete aiutare la vostra gente chiamate il numero segnato in basso e forniteci le informazioni necessarie. I futuri spargimenti di sangue sono nelle vostre mani. Non esitate! Saremo lieti di ricevere ogni informazione che avete, non dovete identificarvi. Il tutto resterà segreto». Il testo si conclude con un numero telefonico della zona di Gerusalemme e con un indirizzo mail a cui i palestinesi di Gaza possono rivolgersi. Infine, le conseguenze dello scontro si sentono anche sulla vita quotidiana: la polizia israeliana ha ordinato la cancellazione di tutte le partire di calcio tra squadre palestinesi e israeliane in programma nel fine settimana.

MANIFESTAZIONI - Continuano in diverse parti del mondo le manifestazioni di solidarietà alla popolazione di Gaza. A Kabul, in Afghanistan, alcune migliaia di persone si sono radunate sotto uno striscione che mostra le immagini dei leader di Hamas per chiedere la fine dell'embargo su Gaza e dei raid israeliani. Alla manifestazione hanno partecipato anche deputati islamici e filo-governativi ma sono stati lanciati slogan in favore del Jihad e degli attacchi kamikaze contro Israele. Manifestazioni analoghe si sono svolte nei centri minori dell'Afghanistan e in Pakistan. La più importante a Islamabad, dove nella moschea principale, in occasione della celebrazione del venerdì, è stata recitata una preghiera speciale per le vittime di Gaza. Violenti scontri ad Amman, in Giordania, tra la polizia e un gruppo di manifestanti pro-palestinesi. Al grido di «Via l'ambasciata israeliana da Amman!» e «Via Hosni Mubarak» in riferimento al presidente egiziano accusato di esser complice della politica di Israele, migliaia di manifestanti hanno scagliato pietre in direzione del compound fortificato dell'ambasciata israeliana, protetta da barriere di filo spinato e da un doppio cordone di forze dell'ordine.

SCONTRI IN EGITTO - Al Cairo e ad Alessandria d'Egitto le forze di sicurezza egiziane hanno arrestato almeno 40 esponenti dei Fratelli Musulmani e hanno fermato centinaia di persone che si stavano radunando per un sit-in di protesta davanti alla moschea Al Fath. Ci sono stati scontri e una decina di feriti, compreso un ufficiale di polizia. Violente proteste anche a Karim abu Salem, al confine tra Egitto e Israele. Dopo aver bruciato pneumatici sulla strada e aver dato fuoco ad alcune case del villaggio di El Mahmd, decine di egiziani hanno assalito un veicolo della polizia che ha investito (secondo loro volutamente) un esponente del partito di opposizione Tagammu che era tra i dimostranti, ferendolo leggermente. È cominciato un fitto lancio di pietre contro il blindato della polizia e gli agenti hanno risposto a colpi di manganello. Cinquemila manifestanti sono scesi in piazza anche a Istanbul, in Turchia. In Marocco uno studente ferito nei giorni scorsi in scontri con la polizia durante una manifestazione di sostegno ai palestinesi è morto a Marrakech. La polizia ha aperto un'inchiesta.

IN ITALIA - Sabato 3 gennaio sono in programma proteste anche in Italia, con lo slogan «Basta con il massacro dei palestinesi», a Roma, Milano, Vicenza, Pisa e altre città. L'iniziativa è del Forum Palestina. Nella capitale un corteo parte alle 16.30 da piazza della Repubblica per concludersi in piazza Barberini. Quattro le richieste dei promotori: «Fermare i bombardamenti su Gaza; mettere fine all'impunità per il terrorismo di stato israeliano; rompere le complicità sul piano politico, militare ed economico tra lo stato italiano e Israele; denunciare l'informazione manipolata sui massa media che uccide le coscienze così come le bombe uccidono le persone». Aderiscono, oltre a molte associazioni, il partito dei Comunisti italiani. Rifondazione comunista, il partito Comunista dei Lavoratori, la Rete dei Comunisti, la Sinistra Critica e i Cobas.

TEL AVIV - Sempre sabato ci sarà una manifestazione di protesta a Tel Aviv organizzata dalla sinistra radicale israeliana contro l'operazione «Piombo fuso». Gli organizzatori chiedono la fine immediata dei combattimenti, la fine del blocco di Gaza e uno scambio di prigionieri. La Corte suprema di Gerusalemme ha ammesso - contrariamente al volere della polizia - che singoli dimostranti possano sventolare bandiere nazionali palestinesi. In programma anche una contro-manifestazione organizzata da un gruppo di civili israeliani in risposta alla dimostrazione dei pacifisti.

fonte: Corriere.it

qui link del sopracitato articolo del Times.
princepsoptimus
00sabato 3 gennaio 2009 17:29
Gaza, in azione l'artiglieria isreliana

GAZA - È entrata nel suo ottavo giorno l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. E sembra essere molto vicino l'attacco di terra di cui si parla da giorni. L'artiglieria israeliana è entrata in azione sul confine orientale alle 16.30 locali (le 15.30 italiane) lanciando granate su Beit Hanun e a Jabaliya, nel nord del territorio palestinese. Una grossa esplosione è stata sentita a Gaza City e diverse altre a ridosso del confine con Israele. A Beit Lahya è stata bombardata una moschea: sono morti una decina di palestinesi che stavano pregando, 60 i feriti. Nelle ore precedenti i militari di Tsahal avevano bombardato diverse presunte postazioni di Hamas, attaccando dal cielo e dal mare. Un alto dirigente del gruppo, Abu Zakaria al Jamal, è rimasto ucciso. E Mentre l'offensiva israeliana entra nella sua seconda settimana, le scorte di cibo nella zona densamente popolata scarseggiano e le forniture di acqua sono limitate a causa dei danni al sistema idrico. Gli ospedali sono alle prese con l'emergenza dei feriti, mentre i Medici senza frontiere denunciano la difficoltà di soccorrere i feriti.



IN ATTESA DELL'ORDINE - Carri armati e militari israeliani si sono intanto ammassati ai confini con Gaza e i militari sono in attesa dell’ordine di attacco via terra. Finora i raid aerei, che hanno provocato almeno 435 vittime (un centinaio i civili), non sono riusciti a bloccare il lancio di razzi verso Israele. Hamas, per bocca del suo leader in esilio a Damasco Khaled Meshaal, ha anticipato che «non si arrenderà mai» e che un'eventuale operazione di terra si risolverà in una tragedia per Israele, con nuovi rapimenti di soldati israeliani e lanci di razzi. Il ramo armato del movimento integralista ha affermato di aver respinto un’incursione di membri delle forze speciali israeliane che tentavano di superare la frontiera con la Striscia di Gaza. E un portavoce delle Brigate Ezzedine al-Qassam ha riferito che i suoi combattenti hanno individuato un numero non precisato di membri delle forze speciali israeliane mentre tentavano di penetrare attraverso la frontiera a Shijaiyah, nella zona orientale della Striscia.


Un'esplosione a Gaza (Epa)COLPITA UNA SCUOLA - In un raid dell'aviazione israeliana è stato colpito un college privato palestinese, l'American School, uccidendo una guardia. L'esercito ha detto che la scuola era un nascondiglio per attivisti di Hamas e una base per il lancio di razzi. Due palestinesi sono stati uccisi vicino a Khan Yunes, nella sud della Striscia di Gaza, in un attacco aereo che ha colpito l' auto su cui viaggiavano. Un poliziotto egiziano è rimasto ferito in un raid alla frontiera fra Gaza e l'Egitto, al valico di Rafah. I militanti di Hamas hanno sparato diversi razzi Qassam, nel deserto del Negev, ad Ashkelon - dove è stata centrata una casa - e ad Ashdod, dove è stato colpito un edificio di otto piani e due persone sono rimaste leggermente ferite. Dall'inizio dell'offensiva sono stati uccisi quattro israeliani.

MANIFESTAZIONI - Tre grandi manifestazioni per chiedere il cessate il fuoco sono in programma oggi ad Haifa, Sakhnin e Tel Aviv. La Corte Suprema ha bocciato la richiesta della polizia israeliana di impedire la manifestazione di Tel Aviv. Migliaia di israeliani e arabi sono attesi dunque a piazza Rabin, nel tardo pomeriggio, per protestare contro l’offensiva militare di Tsahal (esercito israeliano) a Gaza. Alla manifestazione dovrebbero prendere parte numerosi parlamentari e funzionari pubblici. A guidare il corteo ci sarà Marcel Abarjil, pacifista di Ashdod che intende smentire la tesi secondo la quale tutti gli abitanti del sud di Israele sono favorevoli alle incursioni militari contro Hamas nella Striscia. Un messaggio speciale sarà letto da Eyad Sarraj, un pacifista palestinese che guida il Programma per la Sanità mentale della comunità di Gaza. Numerosi i movimenti contro la guerra presenti alla manifestazione: tra gli altri, Ahoti, Centro per l’informazione alternativa, Anarchici contro il muro, Balad, Banki, Bat Shalom, Coalizione di donne per la pace, Combattenti per la pace, Commissione israeliana contro la demolizione delle case, Lavoratori Da’am, Gush Shalom, Hadash, Hithabrut-Tarabut, Indymedia, Partito comunista israeliano, Nuovo profilo, Commissione pubblica contro la tortura, Ra’am-Ta’al, SadakaRe’ut, Social TV, Coalizione studentesca dell’Università di Tel Aviv, Ta’ayush, Tandi, Il campus non è silente, Donne in nero, Yesh Gvul e Zochrot. Oggi sono in programma manifestazioni e cortei anche in diverse città italiane.

BUSH: CESSATE IL FUOCO - Venerdì il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha definito «atti di terrorismo» i lanci di missili da parte di Hamas contro Israele. Secondo Bush è necessario raggiungere un cessate-il-fuoco stabile e duraturo che garantisca la sicurezza dello Stato di Israele ponendo fine agli attacchi palestinesi. Bush ha aggiunto che una delle condizioni necessarie per il cessate-il-fuoco è l’interruzione delle attività di contrabbando che riforniscono di armi la guerriglia palestinese. Lunedì Abu Mazen incontrerà il presidente francese Nicolas Sarkozy a Ramallah e subito dopo volerà a New York dove parlerà prima della riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Lunedì sarà a Ramallah anche la delegazione dell'Ue, composta dal ministro degli Esteri ceco Karel Schwarzenberg e dai suoi colleghi svedese e francese, Carl Bildt e Bernard Kouchner.

fonte: Corriere.it
princepsoptimus
00lunedì 5 gennaio 2009 12:39
Gaza city parzialmente circondata

GERUSALEMME - Terzo giorno dell'attacco via terra nella Striscia di Gaza. L'esercito israeliano continua la sua avanzata appoggiato dall'artigleria navale e dall'aviazione. Combattimenti furiosi intorno a Gaza City: la città «è parzialmente circondata», ma non tutti gli obiettivi sono stati raggiunti e dunque «l’operazione continua», ha dichiarato il ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak, davanti alle Commissioni Esteri e Difesa della Knesset che si sono riunite a porte chiuse. Nella notte fra domenica e lunedì l’aviazione ha attaccato «30 obiettivi» nella Striscia ed è partita una vera e propria caccia all’uomo nel tentativo di stanare gli estremisti di Hamas e di trovare depositi di armi e infrastrutture del movimento islamico». Secondo alcune fonti l’esercito israeliano ha diviso la città di Gaza dal sud del territorio, privando così i combattenti di Hamas di eventuali rifornimenti di armi e munizioni.

HAMAS: «VITTORIA CERTA» - Dal canto suo il ministro degli Esteri, «falco», di Hamas, Mohammed al Zahar, è comparso alla tv palestinese Al Aqsa invitando alla resistenza e promettendo la «vittoria finale» contro Israele. «Con questa aggressione il nemico si è condannato da solo dando al mondo i motivi per l'eliminazione di questa entità temporanea (Israele) in Palestina», ha aggiunto al-Zahar. «Hanno legittimato l'assassinio dei loro bambini uccidendo bambini palestinesi, hanno legittimato la distruzione delle loro sinagoghe e delle loro scuole colpendo le nostre moschee e le nostre scuole». L'esponente di Hamas si è anche scagliato contro l'Onu e in generale contro l'occidente accusandoli di non fare niente per impedire l'offensiva israeliana esigendo nuovamente «la fine dell'aggressione, il ritiro delle forze (israeliane) e la revoca del blocco» prima di ogni eventuale cessate il fuoco. «Quando questo sarà fatto saremo disposti a discutere di tutto quello che può essere nell'interesse palestinese», ha concluso.



BAMBINI FRA LE VITTIME - Secondo fonti mediche citate dalla tv satellitare araba al Jazeera, sarebbero 18 i palestinesi uccisi stamane a causa dei raid dell’aviazione israeliana su vari settori della striscia di Gaza. Tra le vittime dell'azione dell'esercito ci sarebbero tre bambini palestinesi, rimasti uccisi nell'attacco di un carro armato israeliano, mentre erano nella loro casa nella parte orientale di Gaza City. Lo riferiscono fonti mediche locali. Stando alle stesse fonti, diversi altri palestinesi sono rimasti feriti nello stesso episodio accaduto nel quartiere Zeitoun di Gaza. Testimoni locali riferiscono anche di una famiglia (padre, madre e cinque figli) morti per una cannonata della marina israeliana contro una casa nel campo profughi della spiaggia di Gaza. Fonti di Gaza riferiscono che sono 50 i palestinesi uccisi e 200 i feriti da quando è partita l'operazione di terra. In totale i morti palestinesi sono almeno 520 e i feriti 2.500 dall'inizio dell'operazione «piombo fuso».

CIVILI ABBANDONANO LE CASE - Molti civili di Beit Lahyia, nel nord della Striscia dove è iniziata l'operazione di terra israeliana, hanno lasciato le loro case dopo il tramonto di ieri per rifugiarsi nelle abitazioni di parenti e amici nella zona considerata più sicura di Jabaliya. Lo scrive il sito israeliano Ynetnews, aggiungendo che la gente è partita a piedi nel timore che le automobili vengano prese di mira dagli aerei israeliani. Gli spostamenti si sono svolti nel buio, in seguito al collasso della rete elettrica nella Striscia. La rottura di condutture idriche e sistemi fognari ha allagato molte strade.

SPARATI RAZZI QASSAM - L'offensiva israeliana non ferma i missili Qassam. Tre razzi sono stati sparati lunedì mattina dalla Striscia di Gaza contro il Negev israeliano, senza causare vittime nè danni. Al Jazeera riferisce anche di «violenti combattimenti tra elementi della resistenza palestinese e le truppe israeliane» a est della Striscia. Il ministro della Sanità di Hamas, Bassem Naeem, ha ordinato al personale sanitario di proibire ai combattenti armati di salire sulle ambulanze in modo «da non dare agli israeliani una scusa per attaccare i veicoli». Lo riferisce il sito israeliano Ynetnews, citando fonti.

fonte: Corriere.it
daetil
00lunedì 5 gennaio 2009 13:10
Medioriente. Alle origini…

…conflitto

Mi chiama un amico e mi fa: “di nuovo guerra in Palestina… sì, lo so, a te frega poco, tu parli solo dei meridionali…”.

Ora premesso che solo chi conosce davvero le sofferenze del proprio popolo può comprendere quelle degli altri, il “nazionalismo-giacobino” non ha patria, è un’invenzione a tavolino, quindi con accorgimenti vari si può imporre a tutti. Infatti, l’ultima unità nazionale giacobina in Europa, non fu quella Italiana, ma quella sionista. Nasce a Basilea per opera di Theodor Herzl [nella foto sotto a destra] nel 1897. Solo che non si concretizzò in Europa, come quello italiano, ma attraverso L’Organizzazione Sionistica Mondiale, si concretizzò in Palestina 50anni dopo. Come per theodor-herzl_fondo-magazinequella italiana, gli artefici, furono gli inglesi e come tutti i nazionalismi giacobini, portò stragi e sterminii. Ora, chiamarli contadini meridionali, vandeani o contadini palestinesi, non cambia nulla, i meccanismi del nazionalismo sono sempre gli stessi. Ma una similitudine mi ha colpito più di ogni altra. Come il risorgimento fu l’unico movimento nazionale condotto contro la religione nazionale, se ci atteniamo alle parole degli ebrei ortodossi, anche la nascita dello stato di Sion contraddice la Torah1.

Ma andiamo in ordine.

Era il 1930 quando gli inglesi, da esperti di razzismo, si accorsero di una cosa strana: i sionisti erano razzisti anche contro gli ebrei-non sionisti. Attraverso il Fondo Nazionale Ebraico i Sionisti, (cioè i nazionalisti ebrei, cosa ben diversa dai credenti ebrei) acquistavano terreni palestinesi dagli arabi non residenti e ne cacciavano i contadini che vi lavoravano, dichiarando quelle terre “suolo ebraico” che solo i sionisti potevano lavorare2.

In quella situazione storico-politica gli Inglesi si erano talmente tanto incasinati, che come denunciarono molti rabbini nel dopoguerra, in modo atroce e criminale decisero di vietare gli arrivi di altri Ebrei dalla Germania hitleriana. Usarono un crimine per evitarne uno maggiore. Loro sapevano che avevano creato un “mostro”3 e cercarono di limitare i danni, ma non ci riuscirono. Gruppi terroristi sionisti, come L’Irun, l’Haganah o lo Stern (LEHI), gia operanti dagli anni precedenti, dal 1944 cominciarono a convincere con metodi “pacifici” e “democratici” il governo inglese ad avere la loro terra promessa. Ora se è vero che un carnivoro non può per definizione andare contro la propria natura e decidere di punto in bianco di diventare vegetariano, è altrettanto singolare che un popolo che si autodefinisce “nomade” (ebrei) pretenda di stanziarsi in una “terra promessa”. E gli ebrei veri lo hanno sempre denunciato4. Bisogna infatti ben distinguere gli Ebrei (che la terra promessa l’aspettano alla fine del mondo e per la sola volontà di Dio) dai Sionisti5 che la vogliono subito a tutti i costi e con le proprie mani.

Fra gli atti più pacifici dei sionisti, come non ricordare l’assassinio del ministro inglese per il Medioriente Lord Moyne, nel 1944. Oppure come fare a dimenticare il premier sionista Menachen Begin, che da leader del gruppo Irgun fece saltare in aria un’intera verticale dell’albergo King David di Gerusalemme, guarda caso piena di inglesi dell’amministrazione britannica. Novantadue morti e 58 feriti. Altro che rapimento dell’Achille Lauro. Basta solo pensare che venne definito “uno dei peggiori atti terroristici del secolo“. Poveri inglesi, nei loro archivi si leggono tanti atti criminali e tanti omicidi e rapimenti ad opera dei sionisti, che presi fra l’incudine palestinese e il martello dei banchieri sionisti nel 1947, in lacrime e disperati, si presentarono all’ONU e rinunciarono al mandato. Ufficializzando quello che formalmente era già avvenuto, cioè l’influenza statunitense nella regione Palestinese. Con vero sollievo scaricarono quel bubbone che avevano creato sulle spalle della Casa bianca e delle sue Lobby. L’influenza americana subito scese sulla Palestina con tutta la sua giustizia made in yankee6. L’ONU, imparziale e giusta, decise che a chi in Palestina rappresentava il 30% ,della popolazione, cioè i sionisti, fosse assegnato il 54% del territorio. Addirittura l’America nella sua infinita bontà democratica, decise che la regione del Negev, popolata da 90.000 beduini, 500 sionisti e 100 Ebrei pre-sionisti (ebrei-ottomani), andasse tutta ai Sionisti. I cattivissimi Palestinesi però, in maniera “ingiustificata”, a questo atto di bontà dissero “inspiegabilmente” NO! Apriti cielo. Nell’aprile del 1947 i sionisti applicarono una vera e propria pulizia etnica, ampiamente documentata ed altrettanto ampiamente nascosta. Come ampiamente documentati ed ampiamente nascosti, sono i crimini contro l’umanità e le torture che continuano a fare. Non vi meravigliate, cari nazionalisti, anche lo stato italiano tiene segretati gli atti del risorgimento. Ma torniamo al tema. Che uccisero i “cattivi” palestinesi va bene, è meglio non ricordarlo, ma che la setta sionista Stern massacrò pure il mediatore dell’ONU Folke Bernadotte,folke-bernadotte_fondo-magazine [nella foto sotto] per farlo sapere alla gente che dobbiamo fare? Mandare a Gerusalemme Striscia la Notizia?

Ma fra massacri e assassini di civili palestinesi, il 14/5/1947 fu proclamato lo Stato di Israele. Da parte dei sionisti, non di tutti gli ebrei ricordiamolo. Ecco perchè sarebbe stato più corretto chiamarlo Sionel. Il partito nazionalista ebraico (i sionisti) grazie agli appoggi internazionali economici, (come per i Savoia, la storia si ripete) convinse (e convince) il mondo che tutti gli Ebrei sono sionisti e che quindi tutti gli ebrei sono d’accordo con loro. Falso, per noi nonostante il plebiscito, ma falso pure per loro! Ma questo è un altro discorso e ne riparleremo.

Tre anni dopo i sionisti si inventarono che nel ‘47, previo incitamento via radio degli “estremisti” arabi, i palestinesi avevano deciso di abbandonare VOLONTARIAMENTE (emigrazione?) le terre che avevano abitato insieme agli ebrei pre-sionisti per appena 1400 anni. I sionisti, anche loro, sequestrarono le terre abbandonate chiamando il tutto molto democraticamente “custodia temporanea”. Inutile dire che quando quei famosi “faziosi antisemiti” della BBC di Londra che monitoravano radiofonicamente tutta la zona dissero che l’incitamento radiofonico non c’era mai stato i sionisti ebbero per loro la stessa considerazione riservata alla risoluzione (12/1948) dell’ONU contro la pulizia etnica sempre da loro (i sionisti) operata. Se ne fregarono!

Così 725.000 palestinesi lasciarono la loro terra per sempre, senza neanche cantare “santa Lucia luntano”.

Cosa farei io, “scemo del villaggio”, se in virtù dei loro diritti di fondazione della Maglia Grecia i Greci venissero a Napoli e ci cacciassero tutti? Beh, meglio non pensarci. Pensiamo invece a quello che dicono i Sionisti di se stessi:

Commissione Kahan del governo sugli eccidi di civili nei campi profughi di Sabra: «La nostra conclusione è che il ministro della difesa Sharon è personalmente responsabile…». Ma va? E lo dicono pure? E cosa scrive il giornale sionista Ha’aretz, riportando parole del primo ministro Begin, cioè lo stesso che gli inglesi chiamavano terrorista? «ci sono state azioni di rappresaglia contro le popolazioni civili arabe…». Cioè una violazione della Convenzione di Ginevra? Sarò pure scemo, ma le violazioni delle convenzioni di Ginevra non furono quelle per cui furono giustiziati tanti cattivi a Norimberga? Guarda che combinazione, se applicassimo a tutti le stesse regole avremmo tanti premi Nobel per la pace e tanti presidenti democratici in meno. Ma soprattutto al Sud non avremmo tante piazze Vittorio Emanuele e Garibaldi, considerando che il primo campo di concentramento dell’Europa continentale, venne fatto a Finestrelle per noi meridionali.

Ma gli ambasciatori sionisti all’ONU che dicono? Vediamo quello che riporta il Jesuralem Post, citando Abba Eban, ambasciatore nel 1981. «il quadro che emerge è di un Israele (ma sarebbe meglio chiamarlo Sionel) che selvaggiamente infligge ogni possibile orrore di morte…nelle popolazioni civili, in un’atmosfera che ci ricordano regimi…che non oseremo chiamare per nome». Chiamarlo per nome no, fare emergere lo stesso quadro si? Che bello essere un diplomatico, si può parlare di tutto, senza spiegare niente.

Ma io sono uno “scemo” e alcune cose me le spiego a modo mio. Fra Palestinesi (popolo) e Sionisti (setta ideologica nazionalista), la pace non potrà mai esserci, perché considerando il tasso demografico, 30 anni di pace sarebbero la morte di “sionel” ed i Sionisti lo sanno7.

Fra, Palestinesi (popolo) e Ebrei (uomini di origini diverse uniti da una confessione religiosa, mutata da politeista a monoteista) la PACE è sempre stata possibile.

Rabbino Yosef Tzvi Dushinsky, parlando dell’emigrazione degli ebrei (non sionisti) in Palestina: «Non vi fu mai un momento…nel quale gli arabi abbiano opposto resistenza alcuna. Al contrario essi (gli ebrei) erano i benvenuti…era risaputo che essi giungevano per motivi religiosi» e quindi non nazionalistici. Volete la pace in Palestina? Bene dobbiamo fare tre cose:

Primo: non confondete gli Ebrei, da sempre presenti in loco, con i Sionisti, nazionalisti invasori e colonizzatori, degni più di Custer che del Dio del Deserto.

Secondo: Capire che il nazionalismo giacobino non può essere condannato in casa altrui, ma esaltato in casa propria.

Terzo: non chiamate lo Stato dei nazionalisti guerrafondai Israele, non offendete gli ebrei, non offendete la loro millenaria tradizione religiosa, non offendete le loro persecuzioni, trasformandoli in quello che non sono. Chiamate quello Stato nato per motivazioni ideologiche-giacobine e non religiose così come sarebbe giusto chiamarlo: Sionel! Lo stato dei sionisti.

Se volete davvero la pace, chiamiamo tutte le cose , con il loro nome!

Nando Dicè
Lo Scemo del Villaggio Globale

Note

1 «La Torah ci proibisce di lottare per il possedimento delle terre, se non attraverso mezzi spirituali” Rabbino S.R. Hirsch. 2003. o anche «Ogni forma di Sionismo è un’eresia…», Rabbino S.D. Schneerson. 1 «La Torah ci proibisce di lottare per il possedimento delle terre, se non attraverso mezzi spirituali” Rabbino S.R. Hirsch. 2003. o anche «Ogni forma di Sionismo è un’eresia…», Rabbino S.D. Schneerson. www.jewsnotzionists.org

2 «Tenteremo di sospingere la popolazione Palestinese in miseria oltre le frontiere…gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra…Sia il processo di espropriazione che l’espulsione dei poveri devono essere condotti con discrezione ed attenzione», Theodor Herzl, leader sionista.

3 «Il danno che abbiamo fatto riversando una popolazione aliena (i sionisti) su una terra araba non si riparerà mai più…», Lord Sydenham alla camera dei Lords di Londra 1922

4 «Il nazismo ha distrutto il giudaismo fisicamente, il Sionismo l’ha distrutto spiritualmente», Rabbino Leibele weisfisch. E ancora: «Stiamo aspettando la cancellazione del Sionismo e lo smantellamento del regime dello stato d’Israele», Rabbino Yoshe Freund. E ancora. «Non sono malvagi perché sionisti. Sono sionisti perché malvagi», Rabbino Elchonon Waserman. E le citazioni di Ebrei ortodossi contro i sionisti potrebbero continuare a lungo….

5 «Ciò che abbiamo fatto, facendo concessioni non agli ebrei ma ad un gruppo di estremisti sionisti, è stato aprire una ferita in Medioriente, e nessuno può predire quanto essa si allargherà», ONU: La questione palestinese, British Government, Hansard’s reports. House of Lords p. 1025. 1922

6 E la protezione vale ancora oggi, basta pensare che le leggi americane, vietano di aiutare i paesi che producono clandestinamente armi nucleari. E gli americani sanno attraverso gli aeri spia dal 1960, ed attraverso le dichiarazioni del tecnico Mordechai Vanunu del 1986, che i sionisti hanno oltre 200 ordigni nucleari. L’arresto di Vanunu, avvenne a Roma attraverso la complicità dei servizi Italiani e sequestrato dai servizi inglesi, venne processato e condannato a 18 anni, di cui 11 di isolamento. La cosa incredibile e che venne condannato per una cosa che secondo lo stesso governo sionista, “non esisteva”.

7Negli anni 70 i sionisti, volendo “distruggere” il partito Fatah di Arafat, che era una forza laica, finanziarono ed “incoraggiarono” il partito di Hamas, notoriamente integralista islamico.






Dicè non è mai precisissimo ma rende bene l'idea. Un'immagine sulla storia fa sempre bene.

www.mirorenzaglia.org/?p=4936
-Giona-
00mercoledì 7 gennaio 2009 17:05
Certo, è vero che negli anni '40 gruppi di sionisti usarono mezzi terroristici per giungere al loro obiettivo, ma tutto l'articolo trascura un fatto fondamentale: che nel 1948 lo stato arabo palestinese, che era stato previsto dall'ONU a fianco di quello ebraico, non poté essere creato perché gli stati arabi confinanti preferirono attaccare Israele per dividersi tra loro il territorio del Mandato Britannico di Palestina (che, come mi ha fatto notare un mio ex collega giordano, non comprendeva tutta la Palestina storica: questa si estendeva per buona parte anche ad est del Giordano).
Ma oggi quella che vediamo è una guerra tra uno stato democratico (Israele) e un regime fondamentalista islamico che continuava a buttare missili sul territorio confinante non prendendo appositamente di mira gli abitati di civili e che il 24 dicembre -notizie riportate dal TG3- ha reintrodotto nell'ordinamente penale la flagellazione, il taglio della mano e la crocefissione. Quindi non posso fare a meno di schierarmi a favore d'Israele, e ritengo che ciò dovrebbe essere fatto da chiunque si professi democratico, altrimenti ciò significa che l'odio per Israele (che può essere sia un odio "genuino" di matrice antisemita o antisionista che un odio "riflesso" di matrice antiamericana) è più forte dell'amore per la democrazia e la libertà, e quindi che chi appoggia Hamas in questo frangente non può essere che un democratico fasullo. Secondo me è sbagliatissimo pure mettere Israele e Hamas sullo stesso piano, col pretesto che entrambi fanno vittime tra i civili, e che casomai Israele ne abbia fatte di più: infatti, mentre l'obiettivo di Israele è quello di eliminare le installazioni militari ed i combattenti di Hamas, che si mimetizzano tra la popolazione civile proprio per evitare di essere attaccati (in altre parole, usano i propri connazionali come scudi umani), quello di Hamas è eliminare completamente la presenza ebraica, e quindi israeliana, in Palestina, portando questo proposito alle estreme conseguenze, che significa espulsione di massa o sterminio dell'intera popolazione ebraica d'Israele.
Secondo alcuni analisti la strategia aggressiva di Hamas è stata dovuta anche al fatto che l'intervento ONU in Libano è stato gestito male: infatti il ritiro delle truppe israeliane è stato presentato da Hezbollah come una propria vittoria e la dimostrazione che Israele è una "tigre di carta", che fa la voce grossa ma che si può beffare strumentalizzando le forze di pace internazionali, che sono ben lungi dal disarmare Hezbollah. Quindi vedrei bene una missione internazionale solo se non si limita a sorvegliare un "cessate il fuoco", scaduto il quale la situazione rischia di tornare come prima o peggio, ma dà un contributo significativo allo smantellamento della rete terroristica di Hamas.
Pius Augustus
00mercoledì 7 gennaio 2009 17:34
Io sono tuttaltro che antiisraeliano, e disprezzo gli arabi quanto ammiro gli ebrei, ma non posso concordare con giona. Se in questo momento indubbiamente i missili continuavano a venire lanciati (con conseguenze minime) è anche vero che bisogna tenere presente il quadro generale: gli israeliani continuano il loro progetto coloniale in cisgiordania; il territorio è ormai ridotto, anche ben oltre il muro, che difende solo l'homeland vera e propria di israele ad una serie di "lesotho", riserve senza acqua ne risorse in balia delle forze occupanti, in un progetto di denazionalizzazione dei palestinesi che ricorda (ma in maniera ben più efficiente) quella dei francesi in algeria. I palestinesi della cisgiordania sono ridotti in colonie, e gli israeliani hanno in realtà perso qualsiasi volontà di creare un vero stato palestinese sopratutto per un motivo: l'esplosione demografica degli arabi li portrebbe in minoranza in brevissimo tempo all'interno di un sistema di due stati.
-Giona-
00giovedì 8 gennaio 2009 09:07
Re:
Pius Augustus, 07/01/2009 17.34:

Io sono tuttaltro che antiisraeliano, e disprezzo gli arabi quanto ammiro gli ebrei, ma non posso concordare con giona. Se in questo momento indubbiamente i missili continuavano a venire lanciati (con conseguenze minime) è anche vero che bisogna tenere presente il quadro generale: gli israeliani continuano il loro progetto coloniale in cisgiordania; il territorio è ormai ridotto, anche ben oltre il muro, che difende solo l'homeland vera e propria di israele ad una serie di "lesotho", riserve senza acqua ne risorse in balia delle forze occupanti, in un progetto di denazionalizzazione dei palestinesi che ricorda (ma in maniera ben più efficiente) quella dei francesi in algeria. I palestinesi della cisgiordania sono ridotti in colonie, e gli israeliani hanno in realtà perso qualsiasi volontà di creare un vero stato palestinese sopratutto per un motivo: l'esplosione demografica degli arabi li portrebbe in minoranza in brevissimo tempo all'interno di un sistema di due stati.


Caso mai sono gli Israeliani della Cisgiordania che vivono in colonie, e infatti si parla di smantellare quelle che si trovano al di là del muro (cosa che ovviamente non sta bene ai loro abitanti). E in larghi settori del governo e dell'opinione pubblica israeliana, che erano in passato favorevoli al progetto del "Grande Israele", con l'annessione totale della Cisgiordania e di Gaza, ha preso piede l'idea di concedere la formazione di uno stato palestinese proprio per evitare che in futuro gli Ebrei possano trovarsi in minoranza all'interno degli stessi confini d'Israele. Un segno di questo cambiamento di politica è stato dato proprio dallo smantellamento completo delle colonie israeliane nella striscia di Gaza.
Pius Augustus
00giovedì 8 gennaio 2009 10:55
Re: Re:
-Giona-, 08/01/2009 9.07:


Caso mai sono gli Israeliani della Cisgiordania che vivono in colonie, e infatti si parla di smantellare quelle che si trovano al di là del muro (cosa che ovviamente non sta bene ai loro abitanti). E in larghi settori del governo e dell'opinione pubblica israeliana, che erano in passato favorevoli al progetto del "Grande Israele", con l'annessione totale della Cisgiordania e di Gaza, ha preso piede l'idea di concedere la formazione di uno stato palestinese proprio per evitare che in futuro gli Ebrei possano trovarsi in minoranza all'interno degli stessi confini d'Israele. Un segno di questo cambiamento di politica è stato dato proprio dallo smantellamento completo delle colonie israeliane nella striscia di Gaza.




La striscia di gaza non è economicamente fruttifera ne difendibile, e popolatissima. Quando vedrò gli israeliani smantellare le colonie in cisgiordania crederò ad un cambiamento della loro politica.
Malduin
00giovedì 8 gennaio 2009 14:21
Non era mica la Giordania (trans+cis) ad aver privato i palestinesi del passaporto e ad averli espulsi dai propri confini? Visto che si parla di denazionalizzazione......

Per il resto, beh è ovvio che è tutta colpa della Polonia che, non andandosene da Danzica, ha scatenato la guerra....è risaputo!
Pius Augustus
00giovedì 8 gennaio 2009 15:49
Re:
Malduin, 08/01/2009 14.21:

Non era mica la Giordania (trans+cis) ad aver privato i palestinesi del passaporto e ad averli espulsi dai propri confini? Visto che si parla di denazionalizzazione......

Per il resto, beh è ovvio che è tutta colpa della Polonia che, non andandosene da Danzica, ha scatenato la guerra....è risaputo!



No, non è colpa della giordania ne della polonia, ma di israele, che dovrebbe completamente ritirarsi dai territori palestinesi per passare dalla parte della ragione (ed anche così ci si chiede dove finiscano i diritti dei profughi palestinesi).
princepsoptimus
00giovedì 8 gennaio 2009 18:45
Quello che non sapete su Gaza

di Rashid Khalidi

Quasi tutto quello che siete stati portati a credere su Gaza è sbagliato. Alcuni punti essenziali sembrano mancare dal discorso, svoltosi per lo più sulla stampa, circa l’attacco di Israele alla striscia di Gaza.

Il popolo di Gaza
La maggioranza di chi vive a Gaza non è lì per scelta. Un milione e cinquecentomila persone stipate nelle 140 miglia quadrate della striscia di Gaza fanno parte per lo più di famiglie provenienti dai paesi e dai villaggi attorno a Gaza come Ashkelon e Beersheba. Vi furono condotte a Gaza dall’esercito israeliano nel 1948.

L’occupazione
Gli abitanti di Gaza vivono sotto l’occupazione israeliana dall’epoca della Guerra dei sei giorni (1967). Israele è tuttora considerata una forza di occupazione, anche se ha tolto le sue truppe e i suoi coloni dalla striscia nel 2005. Israele controlla ancora l’accesso all’area, l’import e l’export, e i movimenti di persone in ingresso e in uscita. Israele controlla lo spazio aereo e le coste di Gaza, e i suoi militari entrano nell’area a piacere. Come forza di occupazione, Israele ha la responsabilità di garantire il benessere della popolazione civile della striscia di Gaza (Quarta Convenzione di Ginevra).

Il blocco
Il blocco della striscia da parte di Israele, con l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, si è fatto sempre più serrato da quando Hamas ha vinto le elezioni per il Consiglio Legislativo Palestinese nel gennaio 2006. Carburante, elettricità, importazioni, esportazioni e movimento di persone in ingresso e in uscita dalla striscia sono stati lentamente strozzati, causando problemi che minacciano la sopravvivenza (igiene, assistenza medica, approvvigionamento d’acqua e trasporti).

Il blocco ha costretto molti alla disoccupazione, alla povertà e alla malnutrizione. Questo equivale alla punizione collettiva –col tacito appoggio degli Stati Uniti- di una popolazione civile che esercita i suoi diritti democratici.

Il cessate-il-fuoco
Togliere il blocco, insieme con la cessazione del lancio dei razzi, era uno dei punti chiave del cessate-il-fuoco fra Israele e Hamas nel giugno scorso. L’accordo portò a una riduzione dei razzi lanciati dalla striscia: dalle centinaia di maggio e giugno a meno di venti nei quattro mesi successivi (secondo stime del governo israeliano). Il cessate-il-fuoco venne interrotto quando le forze israeliane lanciarono un imponente attacco aereo e terrestre ai primi di novembre; sei soldati di Hamas vennero uccisi.

Crimini di guerra
Colpire civili, sia da parte di Hamas che di Israele, è potenzialmente un crimine di guerra. Ogni vita umana è preziosa. Ma i numeri parlano da soli: circa 700 palestinesi, per la maggior parte civili, sono stati uccisi da quando è esploso il conflitto alla fine dello scorso anno. Per contro, sono stati uccisi 12 israeliani, per la maggior parte soldati. Il negoziato è un modo molto più efficace per affrontare razzi e altre forme di violenza. Questo sarebbe successo se Israele avesse rispettato i termini del cessate-il-fuoco di giugno e tolto il suo blocco dalla striscia di Gaza.

Questa guerra contro la popolazione di Gaza non riguarda in realtà i razzi. Né riguarda il “ristabilire la deterrenza di Israele”, come la stampa israeliana vorrebbe farvi credere. Molto più rivelatrici le parole dette nel 2002 da Moshe Yaalon, allora capo delle Forze di Difesa israeliane:”Occorre far capire ai palestinesi nei recessi più profondi della loro coscienza che sono un popolo sconfitto.”

fonte: New York Times

Un pò di parte ma non per questo sbagliata come informazione...
Riccardo.cuordileone
00giovedì 8 gennaio 2009 18:57
Per me hanno ragione tutti e due gli schieramenti. La convivenza pacifica è un'utopia, o Israele o Palestina, basta!
Poi ognuno combatte coi suoi mezzi, Israele usa il suo esercito e i Palestinesi usano le loro armette.

Solo una cosa: basta con sta menata della shoah e degli ebrei santarellini e basta con sta storia dei palestinesi povere vittime.
-Giona-
00venerdì 9 gennaio 2009 13:44
Re:
princepsoptimus, 08/01/2009 18.45:

Quello che non sapete su Gaza

di Rashid Khalidi

Quasi tutto quello che siete stati portati a credere su Gaza è sbagliato. Alcuni punti essenziali sembrano mancare dal discorso, svoltosi per lo più sulla stampa, circa l’attacco di Israele alla striscia di Gaza.

Il popolo di Gaza
La maggioranza di chi vive a Gaza non è lì per scelta. Un milione e cinquecentomila persone stipate nelle 140 miglia quadrate della striscia di Gaza fanno parte per lo più di famiglie provenienti dai paesi e dai villaggi attorno a Gaza come Ashkelon e Beersheba. Vi furono condotte a Gaza dall’esercito israeliano nel 1948.

L’occupazione
Gli abitanti di Gaza vivono sotto l’occupazione israeliana dall’epoca della Guerra dei sei giorni (1967). Israele è tuttora considerata una forza di occupazione, anche se ha tolto le sue truppe e i suoi coloni dalla striscia nel 2005. Israele controlla ancora l’accesso all’area, l’import e l’export, e i movimenti di persone in ingresso e in uscita. Israele controlla lo spazio aereo e le coste di Gaza, e i suoi militari entrano nell’area a piacere. Come forza di occupazione, Israele ha la responsabilità di garantire il benessere della popolazione civile della striscia di Gaza (Quarta Convenzione di Ginevra).

Il blocco
Il blocco della striscia da parte di Israele, con l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, si è fatto sempre più serrato da quando Hamas ha vinto le elezioni per il Consiglio Legislativo Palestinese nel gennaio 2006. Carburante, elettricità, importazioni, esportazioni e movimento di persone in ingresso e in uscita dalla striscia sono stati lentamente strozzati, causando problemi che minacciano la sopravvivenza (igiene, assistenza medica, approvvigionamento d’acqua e trasporti).

Il blocco ha costretto molti alla disoccupazione, alla povertà e alla malnutrizione. Questo equivale alla punizione collettiva –col tacito appoggio degli Stati Uniti- di una popolazione civile che esercita i suoi diritti democratici.

Il cessate-il-fuoco
Togliere il blocco, insieme con la cessazione del lancio dei razzi, era uno dei punti chiave del cessate-il-fuoco fra Israele e Hamas nel giugno scorso. L’accordo portò a una riduzione dei razzi lanciati dalla striscia: dalle centinaia di maggio e giugno a meno di venti nei quattro mesi successivi (secondo stime del governo israeliano). Il cessate-il-fuoco venne interrotto quando le forze israeliane lanciarono un imponente attacco aereo e terrestre ai primi di novembre; sei soldati di Hamas vennero uccisi.

Crimini di guerra
Colpire civili, sia da parte di Hamas che di Israele, è potenzialmente un crimine di guerra. Ogni vita umana è preziosa. Ma i numeri parlano da soli: circa 700 palestinesi, per la maggior parte civili, sono stati uccisi da quando è esploso il conflitto alla fine dello scorso anno. Per contro, sono stati uccisi 12 israeliani, per la maggior parte soldati. Il negoziato è un modo molto più efficace per affrontare razzi e altre forme di violenza. Questo sarebbe successo se Israele avesse rispettato i termini del cessate-il-fuoco di giugno e tolto il suo blocco dalla striscia di Gaza.

Questa guerra contro la popolazione di Gaza non riguarda in realtà i razzi. Né riguarda il “ristabilire la deterrenza di Israele”, come la stampa israeliana vorrebbe farvi credere. Molto più rivelatrici le parole dette nel 2002 da Moshe Yaalon, allora capo delle Forze di Difesa israeliane:”Occorre far capire ai palestinesi nei recessi più profondi della loro coscienza che sono un popolo sconfitto.”

fonte: New York Times

Un pò di parte ma non per questo sbagliata come informazione...


Quello che Rashid Khalidi non dice sulla Quarta Convenzione di Ginevra, dopo averla tirata in ballo, è che essa prevede che dopo la firma degli armistizi gli attacchi verso le forze di occupazione debbano cessare. Gaza dal 1948 al 1967 fu sotto sovranità egiziana e, per gli stati che non riconoscono l'ANP come stato sovrano, fa ancora formalmente parte dell'Egitto, che ha firmato con Israele un trattato di pace.
Non è poi che nel 1948 i Palestinesi riversatisi a Gaza siano stati espulsi in massa da Israele: piuttosto, decisero di stabirvisi principalmente per due motivi: 1) non sopportavano l'idea di vivere in uno stato a carattere sostanzialmente ebraico, 2) nei torbidi della guerra del 1947-48 si erano resi colpevoli di violenze sulla popolazione ebraica e temevano la loro vendetta.
princepsoptimus
00venerdì 9 gennaio 2009 19:27
The Gaza boomerang

di Nicholas Kristof

Fonte: New York Times


At a time when Israel is bombing Gaza to try to smash Hamas, it’s worth remembering that Israel itself helped nurture Hamas.
When Hamas was founded in 1987, Israel was mostly concerned with Yasser Arafat’s Fatah movement and figured that a religious Palestinian organization would help undermine Fatah. Israel calculated that all those Muslim fundamentalists would spend their time praying in the mosques, so it cracked down on Fatah and allowed Hamas to rise as a counterforce.

What we’re seeing in the Middle East is the Boomerang Syndrome. Arab terrorism built support for right-wing Israeli politicians, who took harsh actions against Palestinians, who responded with more terrorism, and so on. Extremists on each side sustain the other, and the excessive Israeli ground assault in Gaza is likely to create more terrorists in the long run.

If this pattern continues, we may eventually see Hamas-style Palestinians facing off against hard-line Israelis, with each side making the others’ lives wretched — and political moderates in the Middle East politically eviscerated.

I visited Gaza last summer and found many Palestinians ambivalent in a way that Americans and Israelis often don’t appreciate. Many Gazans scorn Fatah as corrupt and incompetent, and they dislike Hamas’s overzealousness and repression. But when they are suffering and humiliated, they find it emotionally satisfying to see Hamas fighting back.

Granted, Israel was profoundly provoked in this case. Israel sought an extension of its cease-fire with Hamas, and Egypt offered to mediate one — but Hamas refused. When it is shelled by its neighbor, Israel has to do something.

But Israel’s right to do something doesn’t mean it has the right to do anything. Since the shelling from Gaza started in 2001, 20 Israeli civilians have been killed by rockets or mortars, according to a tabulation by Israeli human rights groups. That doesn’t justify an all-out ground invasion that has killed more than 660 people (it’s difficult to know how many are militants and how many are civilians).

So what could Israel have reasonably done? Bombing the tunnels through which Gazans smuggle weapons would have been a proportionate response, if Israel had stopped there, and the same is true of airstrikes on certain Hamas targets. An even better approach would have been to ease the siege in Gaza, perhaps creating an environment in which Hamas would have extended the cease-fire. It was certainly worth trying — and almost anything would be better than lashing out in a way that would create more boomerangs.

“This policy is not strengthening Israel,” notes Sari Bashi, the executive director of Gisha, an Israeli human rights group that works on Gaza issues. “The trauma that 1.5 million people have been undergoing in Gaza is going to have long-term effects for our ability to live together.

“My colleague in Gaza works for an Israeli organization. She’s learning Hebrew, and she’s just the kind of person we can build a future with. And her 6-year-old nephew, every time a bomb drops from the air, is at first scared and then says — hopefully — maybe the Qassam Brigades will now fire rockets at the Israelis.”

Israel’s strategy has been to make ordinary Palestinians suffer in hopes of creating ill will toward Hamas. That’s why, beginning in 2007, Israel cut back fuel shipments for Gaza utilities — and why today, in the aftermath of the bombings, 800,000 Gaza residents lack running water, Ms. Bashi said.

“The Israeli policy on Gaza has been marketed as a policy against Hamas, but in reality it’s a policy against a million-and-a-half people in Gaza,” she said.

We all know that the most plausible solution to the Middle East mess is a two-state solution along the lines that former President Bill Clinton has proposed. It’s difficult to tell how we get there from here, but a crucial step is to strengthen President Mahmoud Abbas and his Palestinian Authority.

Instead, initial reports are that the assault on Gaza is focusing Arab anger on Mr. Abbas and moderate neighbors like Jordan, undermining the peacemakers.

My courageous Times colleague in Gaza, Taghreed el-Khodary, quoted a 37-year-old father weeping over the corpse of his 11-year-old daughter: “From now on, I am Hamas. I choose resistance.”

Barack Obama has said relatively little about Gaza. At first, given the provocations by Hamas, that was understandable. But as the ground invasion costs more lives, he needs to join European leaders in calling for a new cease-fire on all sides — and after he assumes the presidency, he must provide real leadership that the world craves.

Aaron David Miller, a longtime Middle East peace negotiator for the United States, suggests in his excellent new book, “The Much Too Promised Land,” that presidents should offer Israel “love, but tough love.”

So, Mr. Obama, find your voice. Fall in tough love with Israel.
-Giona-
00lunedì 12 gennaio 2009 09:39
www.corriere.it/editoriali/09_gennaio_12/editoriale_gaza_si_combatte_un_conflitto_nuovo_angelo_panebianco_d6f31862-e06e-11dd-8e7f-00144f02aa...

La crisi di Gaza
Un conflitto nuovo

di Angelo Panebianco

Chiunque abbia, se non altro per ragioni anagrafiche, un passato, è portato a leggere i conflitti di oggi alla luce degli schemi mentali di ieri. Per decenni il conflitto israeliano-palestinese venne interpretato in Occidente con gli schemi della guerra fredda. A lungo, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche fra l'Urss e Israele, quel conflitto fu parte, pur con le sue peculiarità, del confronto politico e militare fra mondo occidentale e mondo sovietico. Per tutti coloro che in Europa occidentale simpatizzavano per l'Urss e per «la lotta dei comunisti a favore dell'emancipazione del Terzo Mondo», Israele era un avamposto dell'imperialismo americano.

Contavano anche le peculiarità del conflitto e i loro riflessi in Europa. Dopo il '73, con la crescita del prezzo del petrolio e l'uso politico dell'energia da parte dei Paesi produttori, trattare con i guanti governi e opinione pubblica arabi diventò vitale per un'Europa assetata di energia: la causa palestinese acquistò pertanto sempre maggiore popolarità fra noi mentre le ragioni di Israele di fronte al «rifiuto arabo» persero progressivamente terreno nella considerazione delle opinioni pubbliche europee (anche fra molti di coloro che erano schierati contro l'Urss su altri fronti). Se a ciò si sommano le memorie antiche, le influenze, più o meno sotterranee, del pregiudizio cristiano antigiudaico, si comprende molto degli atteggiamenti europei verso il conflitto israeliano-palestinese, per lo meno dalla fine degli anni Sessanta in poi. Il passato pesa sul presente ed è comprensibile che riflessi automatici portino ancora oggi tanti a leggere l'attuale scontro a Gaza con le categorie del passato. Ma è singolare che ciò avvenga al prezzo di una grande rimozione. Sono due i fatti nuovi che hanno determinato un cambiamento qualitativo del conflitto israeliano- palestinese e che tanti sembrano voler rimuovere.

In primo luogo, l'irruzione della religione, e più precisamente dell'islam politico, nel conflitto. Certo, il conflitto israeliano-palestinese continua ad essere anche ciò che è sempre stato: uno scontro fra due popoli per il dominio territoriale. Ma da tempo non è più soltanto questo. Il rafforzamento di movimenti come Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano ha cambiato radicalmente il quadro. Come il fatto che quei movimenti siano interni a una galassia islamista che, in ogni angolo del mondo, si riconosce nelle stesse parole d'ordine e afferma la propria identità contro gli stessi nemici (i musulmani moderati, l'Occidente corrotto e materialista, l'entità sionista, gli infedeli, a qualunque credo appartengano). In queste condizioni, pensare alle soluzioni del conflitto nei modi che erano ancora plausibili ai tempi degli accordi di Oslo non è più possibile. «Pace contro territori» è un compromesso realistico (anche se, ovviamente, difficile da imporre agli estremisti delle due parti) se i principali attori in gioco hanno scopi esclusivamente politici.

Ma diventa assai più arduo se per una delle parti in gioco (nel caso specifico, Hamas e, dietro Hamas, l'intera galassia dell'estremismo islamico mondiale) rinunciare alla distruzione di Israele significherebbe violare un tabù religioso, peccare di blasfemia. Il secondo fatto nuovo, che cambia la natura del conflitto, è dato dallo scontro per l'egemonia fra l'islam sciita guidato dall'Iran e quello sunnita. Non è un caso che, nella vicenda di Gaza, i governi arabi sunniti si siano fin qui mossi con prudenza. Nella speranza, non dichiarata, che Israele riesca a ridimensionare Hamas (gruppo sunnita ma legato all'Iran). E non è un caso, come mostra l'assenza di sommovimenti anti-israeliani in Cisgiordania, che anche Fatah, il movimento oggi guidato da Abu Mazen, speri nel ridimensionamento degli odiati «nemici-fratelli» di Hamas. Nulla di tutto ciò si spiegherebbe se i due fatti citati (l'irruzione dell'islam politico e il ruolo dell'Iran) non avessero cambiato i termini del conflitto israeliano-palestinese. Ma la rimozione incombe.

Sorprende, ad esempio, scorrere un recente intervento sul conflitto a Gaza, apparso su Repubblica, dell'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema, uomo informato dei fatti, e constatare che né la parola Iran né la parola jihad vi trovino posto. È come se per D'Alema nulla di sostanziale fosse cambiato nel corso degli anni: quello israeliano-palestinese viene ancora interpretato come uno scontro fra uno Stato e un movimento irredentista, un conflitto, vecchio di mezzo secolo, per il dominio territoriale in Palestina. Se non che, il conflitto israeliano-palestinese è questo ma non è più soltanto questo. A causa del carattere politico-religioso di Hamas e della volontà di potenza iraniana. Segni di rimozione appaiono anche le reazioni di certi laici nonché di esponenti di spicco della Chiesa cattolica di fronte alla preghiera di massa organizzata dalla fratellanza musulmana contro il nemico sionista (al termine di raduni in cui si bruciano le bandiere di Israele), di fronte cioè a manifestazioni che vedono impegnati i sostenitori di Hamas presenti all'interno dell'islam italiano ed europeo. Se la paura del fondamentalismo islamico può spiegare le reazioni flebili e sommesse di molti di quei laici, il caso della Chiesa cattolica, come ha mostrato Ernesto Galli della Loggia sul Corriere di ieri, è più complesso.

La Chiesa sembra oggi divisa fra la sua antica diffidenza (quando non si tratti di aperta ostilità: vedi le parole del Cardinal Martino su Gaza) per Israele, e la presa d'atto, ben chiara negli scritti e nei discorsi di Papa Benedetto XVI, del fatto che la violenza del fanatismo religioso sia oggi la minaccia più grave per la civile convivenza. E anche per le prospettive di pace in Palestina.

12 gennaio 2009
Pius Augustus
00lunedì 12 gennaio 2009 13:03
La religione è all'interno di quel conflitto da ben prima di hamas o dell'islam: l'ebraismo fondamentalista che propone l'annichilimento di una qualsiasi entità palestinese è lì sin dall'inizio. Curioso che nelle parole di un uomo informato come panebianco non se ne parli.
cointreau il possente
00lunedì 12 gennaio 2009 20:50
Curioso che si possa trovare interessante quel che scrive Panebianco
..SpartaK..
00lunedì 12 gennaio 2009 22:50
lasciando stare la tremenda disparità tra forze in campo che fanno di questa situazione un massacro piuttosto che una guerra... qualcuno mi può spiegare perchè israele ha il diritto di "difendersi" in una regione araba occupata dal suo esercito scatenando tutto il suo potenziale bellico su una striscia di terra dove vivono ammassati milioni di persone di cui la metà ragazzini, mentre i palestinesi, che sono nella loro terra, dovrebbero rimanersene tranquilli dietro un muro?

e non ditemi che io sono pro-hamas perchè non attacca, figuratevi se a me stanno simpatici dei fondamentalisti religiosi
cointreau il possente
00martedì 13 gennaio 2009 22:21
Molto lungo ma molto molto interessante. Imprescindibile per chi non vuole cadere nel "o con noi o contro di noi, o con la democrazia o con i fondamentalisti" e vari altri blablabla. Preso da un blog.

Io non credo che ci sia nulla di male nel voler difendere Israele in una discussione. Il problema è il come. Tanti sedicenti avvocati della causa di Israele portano avanti i loro ragionamenti con una serie di argomenti fallaci (o sofismi) che mi fanno rabbrividire, e che finiscono per ottenere il risultato opposto: rendermi più sospettoso nei confronti degli israeliani. Molti dei quali resterebbero sconvolti, credo, leggendo certe castronerie con cui li si difende qui da noi. A volte sembra che il conflitto israelo-palestinese abbia una logica tutta sua, che funziona solo dal Giordano al mare, e che se provassimo ad applicare altrove (anche da noi) provocherebbe caos e distruzione nel giro di pochi minuti.

Col tempo ho finito per riconoscere alcuni di questi sofismi da lontano; tanto che a un certo punto ho pensato di fare cosa utile mettendoli in una lista, con tanto di sottolink. Sarà un pezzo un po' lungo, ma ne vale la pena se può risparmiarci lunghe e sterili discussioni in futuro. Un'avvertenza per gli studiosi di logica e retorica: in questo pezzo molte definizioni sono usate in modo popolare e improprio. Anche i sofismi, per esempio, non sono proprio tutti sofismi (alcuni credo siano tropi). Confido nel vostro perdono.

1. Mozione degli affetti.
Si parla di Israele e a un certo punto qualcuno sbotta: “se non sei israeliano non puoi capire”; oppure “se non hai amici israeliani non puoi capire”, o “se non sei stato laggiù”, “se non ti è morto nessuno in un bar”, “se non ti è mai piombato un razzo in casa”, “se non hai mai dovuto mandare i figli su autobus separati”, ecc. ecc.
Purtroppo l'affetto è un'arma a doppio taglio: chi scrive queste cose molto spesso mostra lacrime sincere. Ma non si rende conto (o finge di non sapere) che da qualche parte ci sono anche amici di palestinesi, e parenti delle loro vittime; forse che non sanguinano anche loro, eccetera?
Io diffido terribilmente dalla mozione degli affetti, che portata alle estreme conclusioni significa questo: solo le persone coinvolte davvero in una guerra o in un crimine hanno il diritto di parlarne. Sembra una cosa di buonsenso, e infatti lo era: al tempo dei regni barbarici. Ma persino i Barbari a un certo punto si sono resi conto che la giustizia non spetta alle vittime o ai parenti delle loro vittime, bensì a qualcuno che, proprio perché non è stato toccato negli affetti, può decidere con serenità e oggettività. Così è rinato il diritto. Oggi chi metterebbe il parente di una vittima nella giuria che giudica un presunto assassino? Sì, molti giornalisti italiani lo farebbero. Ma ogni volta che qualcuno ne parla, è come se proponesse una momentanea regressione al medioevo. Grazie, no. Paradossalmente, israeliani e palestinesi sono le persone meno in grado di discutere della loro guerra con oggettività e serenità. La loro rabbia e la loro disperazione sono comprensibili. Ma non ha senso scimmiottarle in una discussione.

2. Sofisma del "meno peggio"
“Sì, certo, Israele ha molti difetti, ma... non puoi metterla sullo stesso piano di Hamas”.
Non c'è dubbio che Israele sia meno peggio di Hamas. E figurarsi, io sono sempre stato un patito della formula del “meno peggio”. Ho sempre votato per il meno peggio e lavorato per il meno peggio. Ma attenzione: la tattica del meno peggio funziona solo a patto che il meno peggio di oggi sia peggiore di quello di domani. In Israele accade il contrario: ogni guerra aumenta il divario tra vittime israeliane e vittime palestinesi. Quello che era nato come conflitto tra popoli è diventato guerra di religione.
Il “meno peggio” diventa un sofisma quando viene usato per giustificare qualsiasi cosa: Israele può ammazzare cento palestinesi per ogni sua vittima perché... “è meno peggio”? Sicuri che lo sia ancora? Cosa dovrebbe fare, esattamente, per non esserlo più? Israele non si può criticare finché si macchierà di azioni appena appena meno peggio di quelle di Hamas?
Il sofisma del meno peggio è tra quelli che hanno senso solo se riferiti a Israele; prendi Arafat, ad esempio. Non c'è mai stato dubbio che fosse un interlocutore “meno peggio” di Hamas. E allora perché gli israeliani non hanno accettato di fare la pace con lui? Perché con lui la regola non valeva: era un palestinese.

3. Sofisma del “cratere”
Una variante del precedente, che ho letto anche di recente nei commenti. L'argomentazione più o meno è questa: “è vero che Israele sta facendo cose orribili, ma queste cose non sono niente rispetto a quelle che potrebbe fare grazie al suo potenziale militare”, (variante: “sono niente rispetto a quelle che col suo potenziale militare faremmo noi”). Da cui l'immagine dell'israeliano che si torce le mani perché potrebbe fare di Gaza un cratere in pochi secondi, e invece è costretto a sminarla casa per casa. Questo tipo di logica funziona solo nel conflitto arabo-israeliano: è una cosa folle. Qualsiasi strage può essere perdonata (ma solo agli israeliani) o almeno relativizzata, perché loro potrebbero farne anche di peggio. Ed effettivamente ne fanno sempre di peggio, ma finché non si arriva al cratere è ok.
Ma questa è esattamente la logica che porta al cratere.

4. Sofisma di UDdelMO
Non è un discepolo di Abelardo, ma una sigla che sta per "Unica Democrazia del Medio Oriente". Che sarebbe Israele, come notano i suoi fans un giorno sì e l'altro pure.
Ma scusate, e la Turchia? E non hanno avuto elezioni regolari i palestinesi? Ma anche se fosse: il fatto che gli israeliani abbiano un governo eletto democraticamente li autorizza a fare di Gaza quel che vogliono? La democrazia non è un valore assoluto: è solo un sistema di governo – il meno peggio, secondo qualcuno. Non è il governo dei buoni o dei bravi: è il governo dei più. È normale che difenda gli interessi dei più, in modo non necessariamente virtuoso o efficace.
Ciò che è buono per la maggioranza degli israeliani non è necessariamente giusto. Anche una maggioranza può avere torto. Già gli antichi avevano notato che in situazioni di emergenza la democrazia può essere controproducente: l'attuale crisi di Gaza non ci sarebbe stata se i partiti al governo a Gerusalemme non avessero sentito la necessità di mostrare al loro elettorato che sanno rispondere a Hamas colpo su colpo. Perché quando si dice che Israele sia una democrazia, si finge di non sapere quanti difetti abbiano le democrazie: necessità di compiacere piccoli partitini anche xenofobi, politiche clientelari, demagogia, corruzione (un avvicendamento tra Olmert e Netanyahu non è proprio il massimo che una democrazia possa augurarsi)...

Quando si passa alla Striscia di Gaza, il sofisma della democrazia viene totalmente capovolto. Ovvero: siccome la maggioranza dei palestinesi di Gaza ha votato per Hamas, sono tutti responsabili e quindi si meritano i bombardamenti. Ho capito bene? La democrazia dà a Israele il diritto di bombardare e a Gaza il diritto di prendersi le bombe. Uno che tentasse di argomentare il contrario (Hamas ha il diritto di bombardare perché ha vinto le elezioni, e se con un Qassam uccide un bimbo israeliano è ok, perché suo padre ha votato per Olmert) quanti punti antisemitismo totalizzerebbe? Non so, ma direi parecchi.

5. Sofisma della morte potenziale, o equazione Kissinger.
Questa andava molto forte ai tempi della Seconda Intifada. Già allora si diceva che i palestinesi “minacciassero l'esistenza dello Stato d'Israele”: poi però bastava contare le vittime per scoprire che morivano più dei loro nemici. Strano modo d'impostare un genocidio.
E tuttavia qualcuno non ha rinunciato a valorizzare le cifre dei caduti nel modo più filoisraeliano possibile. L'esempio classico (ma in Italia si leggevano cose del genere tutti i giorni sul Foglio) è quello di Henry Kissinger, che un giorno invece di dire “i palestinesi hanno fatto cinquanta morti israeliani in 3 giorni” affermò “gli attacchi suicidi hanno ucciso l'equivalente di 2500 americani in tre giorni”. Per ottenere una cifra di "2500 americani" Kissinger aveva moltiplicato le vittime degli attentati (50) per la popolazione degli USA (250 milioni) e diviso il tutto per la popolazione d'Israele (5 milioni). E si capisce che “l'equivalente di 2500 americani” suona peggio di “50 israeliani”; il problema è che non ne erano morti 2500, ne erano morti 50, c'è differenza. O no?
Chi decide di ragionare come Kissinger, grosso modo la pensa così: Israele è piccola e quindi ogni perdita è immensamente più preziosa. Anche questo ragionamento funziona solo con Israele: nessuno si sognerebbe mai di chiamare un morto palestinese “l'equivalente di 50 morti americani”.
L'equazione Kissinger contraddice anche il postulato dell'uguaglianza degli uomini, e lo sostituisce con un altro: tutte le nazioni, piccoli e grandi, hanno un tot di dignità che va diviso per il numero di abitanti. Il Liechtenstein, per esempio, ha trentamila abitanti: se ne ammazzi uno, ammazzi l'equivalente di diecimila cittadini americani: genocidio! Molto meglio sparare a un cinese, che è l'equivalente di un quarto di cittadino americano (una banale amputazione). Sì, sto scherzando. Ma c'è gente che queste cose le afferma davvero, in tutta serietà, senza accorgersene.

Oggi l'equazione Kissinger non va più per la maggiore, ma continuo a leggere conti stranissimi. Per esempio, siccome i Qassam facevano relativamente poche vittime (dico poche rispetto all'ecatombe che ne è seguita), invece di scrivere “Hamas questa settimana ha fatto due vittime”, mi è capitato di leggere: “Hamas sta prendendo a bersaglio duecentomila israeliani”, o addirittura “Hamas ha sotto tiro il dieci per cento della popolazione di Israele”. Coi Qassam. Così si sovrappone ad arte il numero dei veri caduti col numero dei caduti che i palestinesi potrebbero fare se avessero infinite munizioni e infinito tempo a disposizione. Naturalmente questa logica è applicabile soltanto ai nemici di Israele.

Prima di continuare coi sofismi, vorrei rispondere a chi ha commentato "cose chiare e sensate. Ma chi lo va a spiegare alla "casalinga di voghera"?

Ecco, per una volta credo che la famosa casalinga sia vittima di un pregiudizio. La immagino davanti a un tg qualsiasi mentre scuote la testa, piange per le vittime e biasima i bombardatori. Non riesco a immaginarmela mentre mi fa un'equazione Kissinger o rilascia patenti di antisemitismo. Questi sofismi non sono pane per i suoi denti. Sono invenzioni intellettuali, concepite e collaudate da intellettuali per convincere altre persone che su internet o sui giornali cercano di farsi un'idea approfondita. È per questo che mi fanno paura. Non pretendo che la casalinga di Voghera debba farsi un'idea anche solo vaga di tutto quello che è successo dal '48 a oggi; ma perché giornalisti e ministri devono raccontarmi balle? E devono essere per forza balle così inverosimili?

6. Sofisma del matrimonio gay
Questo è di conio recente, ma ha già riscosso un certo successo. Come fai a mettere sullo stesso piano un movimento oscurantista come Hamas e un Paese laico come Israele, dicono, un Paese dove i gay si possono sposare?

Non so cosa ne pensino i gay, ma io trovo un po' fastidioso l'uso del “matrimonio gay” come cartina di tornasole della laicità di una nazione. Peraltro, non è nemmeno vero che i gay si possano sposare legalmente: la giurisdizione israeliana riconosce semplicemente la validità di matrimoni gay contratti in altri Paesi. Ma chi ha a cuore l'etichetta laica di Israele dovrebbe lasciare perdere l'argomento “matrimonio” in generale: sposarsi in Israele è una faccenda complicata. Il matrimonio civile non esiste: i matrimoni religiosi si possono contrarre soltanto tra membri della stessa comunità religiosa, secondo il sistema dei Millet ereditato dalla legislazione ottomana, che a quei tempi era veramente all'avanguardia in fatto di pluralismo religioso, ma oggi segna un po' il passo dei tempi – soprattutto a confronto con quelle democrazie laiche e occidentali alle quali si paragona spesso Israele.

Quindi: i cristiani si possono sposare coi cristiani, i musulmani coi musulmani, i drusi coi drusi, gli ebrei con gli ebrei – ma anche così è troppo facile, in realtà non tutti gli ebrei israeliani hanno diritto di contrarre matrimonio con ebrei ortodossi o di discendenza sacerdotale (i kohen). Anche i figli illegittimi sono sottoposti ad alcune limitazioni. Su tutto questo ha giurisdizione il Gran Rabbinato, che a partire dal 1947 ha negoziato con il primo governo di Ben Gurion un accordo tra Stato e religione affine ai nostri concordati. Con la differenza (non mi pare da poco) che in Italia ci si può sposare anche al di fuori della Chiesa, e con qualcuno che in una chiesa non ci è entrato nemmeno per battezzarsi. Siete ancora sicuri che Israele sia un Paese così laico?

È vero che la situazione è bilanciata dalla prontezza coi cui Israele riconosce i matrimoni civili contratti all'estero: tanto che nel 2000 si è calcolato che uno sposo/a israeliano su dieci ha sconfinato per celebrare il suo matrimonio (Cipro è la tappa preferita). Tra questi, anche quelli contratti tra persone dello stesso sesso. Quanto questo renda Israele un Paese laico, decidetelo voi.

Naturalmente non penso che nessun gay, messo di fronte all'alternativa se vivere a Tel Aviv o Gaza, nutrirebbe molti dubbi (come se i gay di Gaza avessero davvero questa scelta; e come se la loro priorità in questo momento fosse il matrimonio, e non il pane e le medicine); e tuttavia non credo che la tolleranza sia un valore assoluto piovuto dal cielo, che gli israeliani hanno e i palestinesi no; ritengo che dipenda fortemente da una serie di parametri tra i quali, fondamentali, la cultura e il benessere. Dove c'è benessere e cultura di solito i gay se la passano molto meglio. Ma la cultura e il benessere di Tel Aviv e in generale di Israele sono in parte basati sullo sfruttamento delle risorse di Gaza e della Cisgiordania. Troppo comodo accusare i palestinesi di oscurantismo a pancia piena.

E comunque nemmeno il benessere israeliano si può dare per scontato. Il Paese si dibatte in una crisi economica decennale, la corruzione è endemica, e la militarizzazione del conflitto è anche una risposta a queste tensioni. Israele non è il Paese laico che molti credono, ma non è nemmeno una teocrazia di fanatici. Eppure chi ha visto almeno una volta i coloni di Hebron o gli ortodossi di Mea Sharim sa che l'integralismo ebraico esiste, è già una forza elettorale con cui i governi devono fare i conti, e ha margini di crescita.


7. Sofisma benaltrista, o dell'"indignazione selettiva"
Prima o poi arriva quello che ti chiede: perché parli solo di Israele? Dov'eri quando uccidevano i cristiani nel Darfour? I Tutsi in Ruanda? I palestinesi, però in Giordania? Com'è che salti fuori sempre e solo quando si tratta di Israele? Pacifista a senso unico! Indignato selettivo! Ecc.

Questo è un sofisma solo in parte. È vero che il conflitto israelo-palestinese ha una copertura diversa dagli altri. È vero che ha sempre coinvolto noi italiani più che altri. Ci sono ragioni storiche e culturali perché questo avviene (una vicinanza particolare con la cultura araba, un senso di colpa nei confronti della nostra comunità ebraica, ecc.); ciò non toglie chi si ricorda delle guerre soltanto quando le fa Israele possa risultare fastidioso. Resta tuttavia un argomento ad personam: anche se parlassi solo di Israele, non merito di essere giudicato per quello che dico in quel momento? Di quanti conflitti devo aver parlato prima di avere il diritto di parlare di quello di Israele? O il senso è che devo stare zitto e lasciar parlare i professionisti? In pratica non si deve parlare di Israele su un blog, a meno che non sia un blog di politica estera.

(Ora rispondo per me:) Questo non è un blog di politica estera. È un sito un po' generalista con qualche interesse un po' più specifico: il movimento dei movimenti (quando si muoveva), la scuola italiana, il pd, i fatti miei. Di solito cerco di scrivere cose originali, e difficilmente potrei concepirne di originali su Darfour e Tibet. Raramente mi metto a scrivere di guerre e di stragi. Ma in tutta coscienza, se dopodomani gli uzbeki cominciassero a bombardare i kazaki a tappeto, e su internet e su blog e quotidiani io trovassi una lunga serie di complimenti ai saggi uzbeki che hanno fatto bene a bombardare i kazaki che li minacciavano nella loro stessa esistenza... probabilmente m'interesserei alla storia, la studierei, cercherei di capire perché il mio giudizio sulla vicenda mi sembra tanto diverso da quello degli altri, e alla fine ne scriverei. Ovvero: non è Israele il punto qui. Se volete sapere cosa succede in Israele leggete Haaretz, leggete il Guardian. Il punto qui è come gli italiani parlano di Israele. Ne parlano in un modo stranissimo, che m'incuriosisce e un po' mi spaventa, quando semplicemente non mi fa arrabbiare. Di questo sto parlando: della guerra no, non ho molto da dire, così come non avevo molto da dire sul Darfour.

8. Sofisma dei bambini morti
Questo è proprio passato di moda, per un motivo semplice.
Si tratta di una forma particolare della mozione degli affetti in virtù della quale quando tu stai cercando di spiegare le ragioni di un conflitto, qualcuno ti replica postando la foto dell'ultima vittima delle autobombe – meglio in tenera età, e fotografata a cadavere non ancora ricomposto – con una didascalia che di solito dice: guarda cosa fanno i porci che tu difendi! Guarda! Guarda! E li difendi ancora? Allora Guarda ancora un po'! Guarda! Guarda! E forse un giorno capirai.

Io in realtà non ho mai capito perché la foto dovesse essere più convincente della semplice notizia: insomma, se sento alla radio che un autobomba ha straziato due bambine, dovrei essere abbastanza adulto da capire la gravità della cosa senza bisogno di un'immagine, no? Se dopo una notizia del genere non mi converto immediatamente alla Guerra al Terrore e continuo a concepire il conflitto israelo-palestinese come un fenomeno complesso, cosa potrà fare di più una foto sgranata?

Questa strana tendenza toccò il suo apice quando Al Zarqawi fece inquadrare il povero Nick Berg mentre lo decapitava, producendo il primo vero snuff video che ebbe un discreto successo in tv. Ebbene, in quell'occasione molti stimati opinionisti si comportarono come quel tuo amico delle medie che ti teneva la testa mentre ti faceva vedere Non aprite quella porta in vhs: Guarda! Devi guardare! Sennò non capisci! Sennò non sei uomo. Ricordo Antonio Polito:
Consigliamo a tutti di guardare il video della decapitazione dell'ostaggio americano, che circola su Internet. Bisogna guardare in faccia l'orrore, anche se non è degno dell'umanità degli occhi che lo guardano. Quella testa mozzata a fatica, con tutto il lavorio fisico che comporta, e il tempo che ci vuole, e l'abisso in cui sprofonda un po' alla volta, nella più odiosa delle torture, la vittima, è in fin dei conti la ragione per cui l'Occidente è in guerra con il terrorismo islamico.
[...]Pacifisti e antiamericani guardino quel video, poi decidano qual è il problema del mondo.

Insomma, finché i pacifisti e gli antiamericani non avessero visto lo snuff, non avrebbero capito. Inutile ragionare. Bisogna guardare. Tutto, fino in fondo. Se non guardi sei una checc... no, volevo dire, se non guardi non puoi capire il problema del mondo.
Era il 2004: sulla tv in chiaro andavano forte i realities e le teste mozzate. In seguito entrambi i generi hanno perso molto smalto, e oggi è difficile trovare un morticino utilizzato a mo' di argomento. Forse anche perché i morticini di questi giorni sono tutti palestinesi, e quindi non sono convincenti: l'argomento funziona solo con le vittime israeliane e occidentali.
Detto questo, qualche foto di morticino qua e là l'ho vista – per esempio su beppegrillo.it. Io non le mostro: hanno senz'altro un valore documentario, ma non le considero un argomento. Mi piace pensare di avere a che fare con interlocutori che riescono a provare pietà per una persona senza bisogno di vederla martoriata in digitale.

princepsoptimus
00giovedì 15 gennaio 2009 19:23
Colpita sede ONU a Gaza

GAZA - La Striscia di Gaza ha vissuto giovedì una delle giornate più violente dall'inizio del conflitto: i colpi israeliani hanno centrato anche una sede dell'Onu, un palazzo dei media e una piccolo ospedale. I soldati, appoggiati da elicotteri, carri armati e artiglieria pesante, sono entrati ancora una volta nei quartieri più densamente popolati di Gaza City. Migliaia di civili palestinesi sono fuggiti dalle loro case, chi in pigiama, chi spingendo anziani su sedie a rotelle. Fonti palestinesi riferiscono di accesi combattimenti nel quartiere di Tal al-Hawa e di incursioni di blindati nei quartieri di Sajaiya e Zaitun.

UCCISO LEADER DI HAMAS - Un raid ha fatto una vittima illustre: Siad Siam, leader di Hamas e ministro dell'Interno nel governo di fatto del movimento integralista. È stato colpito nella sua casa a Gaza City da un ordigno sganciato da un F16 e con lui sono morti un figlio di Siam, un fratello e alcuni familiari di quest'ultimo. Poco dopo le brigate Ezzedine al-Qassam, braccio armato di Hamas, hanno minacciato vendetta: «Il suo sangue non sarà versato invano - si legge nel comunicato -. Non risponderemo con le parole ma con atti concreti».

SPARI SUI CIVILI - Alcuni civili palestinesi in fuga hanno denunciato di essere stati attaccati dalle forze israeliane mentre cercavano di fuggire dalle loro case, mettendo in mostra la bandiera bianca. Lo riporta la Bbc online che ha ricevuto la testimonianza - insieme all'organizzazione israeliana per i diritti umani B’tselem - di una donna colpita alla testa. Israele afferma che la denuncia è «senza fondamento». Una famiglia palestinese ha detto di essere stata colpita dagli spari durante le tre ore di tregua umanitaria quotidiana, mentre stava riempiendo taniche d'acqua. Una situazione che preoccupa fortemente la comunità internazionale e dal Vaticano arriva un appello a favore delle popolazioni civili, che stanno subendo «violazioni di diritti e della dignità».

COLPITA AGENZIA ONU - Durante la nuova offensiva Israele ha colpito la sede dell'Unrwa, l'agenzia dell'Onu che si occupa dei profughi palestinesi: tre dipendenti sono rimasti feriti (video). Secondo il portavoce Chris Gunness, sull'edificio - dove avevano trovato rifugio 700 civili - sono arrivati tre proiettili al fosforo bianco, che hanno provocato un incendio. L'agenzia ha sospeso le attività. Anche l'organizzazione umanitaria americana Care International è stata costretta a bloccare la distribuzione di aiuti umanitari. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in visita in Israele, si è detto «indignato» per il bombardamento nel quartier generale dell’Unrwa e ha chiesto che sia aperta un'inchiesta. Il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak si è scusato, parlando di «grave errore», ma il governo ha sottolineato che l'attacco è seguito al lancio di razzi partiti dall'interno dell'edificio. «Non vogliamo che tali incidenti si ripetano e mi rammarico per quanto accaduto - ha detto il premier Olmert -. Ma Hamas ci ha attaccato dall’edificio dell’Unrwa». Notizia smentita dalla stessa agenzia Onu: «All'interno dell'edificio non c'era nessun combattente e nessun colpo è stato esploso contro i soldati israeliani» ha detto il portavoce Sami Mshasha. Giorni fa l'artiglieria israeliana aveva attaccato tre scuole gestite dall'Unrwa che ospitavano alcune centinaia di sfollati; in quel caso persero la vita 45 persone, molte donne e bambini.

IL PALAZZO DEI MEDIA - Preso di mira anche l'edificio che ospita numerosi giornalisti di testate arabe e internazionali, il grattacielo di Al-Shuruq: feriti due cameraman che lavorano per la tv di Abu Dhabi. Il grattacielo, nel quartiere centrale di Rimal a Gaza City, ospita anche l'agenzia Reuters e le emittenti Fox, Sky e Al Arabi. «Gli israeliani non vogliono nessuno, colpiscono coloro che filmano i loro crimini - ha dichiarato Aiman Rozi, capo della sede di Gaza della tv di Abu Dhabi, ferito insieme a un tecnico della stessa emittente -. A Gaza non ci sono più posti sicuri, né gli uffici dell'Onu, né gli ospedali, né le sedi dei media. E che non c'è dove scappare».

IN FIAMME OSPEDALE - È stata colpita infine la sede della Mezzaluna Rossa, nella zona di Tel Hawa, che ospita anche l'ospedale di Al-Quds. L'edificio si è incendiato. Dentro c'erano 500 persone, tra operatori sanitari e feriti: tra loro si è scatenato il panico. Il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha detto di non sapere se vi siano vittime. «L'ospedale è stato colpito da almeno un tiro diretto e tutti i pazienti hanno dovuto essere trasferiti al piano terra» ha raccontato Bashar Morad, responsabile della Mezzaluna rossa. Per il presidente del Cicr, Jacob Kellenberger, «è inaccettabile che persone ferite in cura all'ospedale siano messe in pericolo». Kellenberger ha appena concluso una visita di tre giorni a Gaza e in Israele: nei colloqui con i ministri israeliani della difesa Barak e degli esteri Livni, ha ribadito che il diritto umanitario internazionale obbliga le parti a risparmiare i civili e a proteggere le infrastrutture e il personale medico in ogni circostanza. Giovedì è stato bombardato anche un deposito della Croce rossa palestinese pieno di materiale di soccorso.

RAZZI SU ISRAELE: 10 FERITI - Dal fronte avversario sono stati sparati altri razzi a Beer Sheva, nel Neghev, seminando la paura fra la gente e ferendo dieci persone. Secondo la radio militare israeliana si è trattato dell'attacco più sanguinoso negli ultimi giorni. Tre dei feriti sono gravi. I raid aerei israeliani hanno causato la morte di almeno sedici palestinesi, tra cui un ragazzo di 13 anni. Altre cinque persone sono rimaste ferite in un attacco contro una moschea di Rafah. Nella notte quattro unità della Marina israeliana hanno intercettato a un centinaio di miglia a nord di Gaza la «Spirit of Humanity», nave dell'organizzazione pacifista Free Gaza con a bordo 21 persone tra cui medici, giornalisti, politici (anche Francesco Caruso, eurodeputato di Rifondazione comunista) e 200 casse di aiuti. Fonti dell'ong hanno riferito che, dopo che le unità israeliane hanno minacciato di far fuoco, l'imbarcazione, che batte bandiera greca, ha fatto rotta verso Cipro.

fonte: Corriere.it

Se fosse stato QUALSIASI altro paese a quest'ora sarebbe stato messo al bando da tutti...
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