- Il ruggito dei conigli -

meulen
00giovedì 6 aprile 2006 16:50


di Marco Travaglio

Qualche mese fa Fedele Confalonieri paventò, in caso di sconfitta, «una piazzale Loreto per Berlusconi». Timore legittimo, per carità. Peccato che Confalonieri guardasse nella direzione sbagliata: temeva che l’epurazione la facessero i «comunisti», sottovalutandone il buon cuore e dimenticando i pingui guadagni garantiti alle sue aziende da 12 anni di inciuci. Non s’accorgeva del pericolo incombente da destra, dai cosiddetti alleati di Bellachioma, cioè da Fini e Casini: le altre «due punte», che poi sono due mezze punte, praticamente due puntine da disegno. Fino a ieri questi due noti frequentatori di se stessi ricordavano, per coraggio e determinazione, la pubblicità comparsa l’anno scorso su una rivista di meccanica: «Entra piatto ed esce completamente piegato». Poi Bellachioma ha perso la faccia e il faccia a faccia con Prodi. E le due mezze punte han preso improvvisamente coraggio: il coraggio dell’avvoltoio che, avvistata la preda agonizzante, comincia a volteggiarle sul capo in attesa che defunga, ma per decidersi a zomparle addosso attende il certificato di morte firmato dal medico legale.

Gianfranco Cuor di Leone, in questi 12 anni, ha ingoiato, digerito, votato di tutto, senza neppure un vagito di dissenso. Nel ‘93, quando Andreotti fu indagato per mafia, annunciò trionfante: «L’avviso di garanzia ad Andreotti per concorso esterno in associazione mafiosa è la fine del regime: lo dimostra l’autentico boato che ha salutato la notizia da me data alle migliaia di veronesi che affollavano il mio comizio. I giudici si stanno muovendo su indicazioni convergenti di alcuni pentiti, come dimostrano anche gli analoghi casi di Gava, Misasi e Cirino Pomicino. Pare proprio che il sistema si reggesse sulle tangenti e sulle organizzazioni criminali» (27-3-93). Poi aggiunse: «Ormai mi sento a disagio nel frequentare questo Parlamento: chiederò ai gruppi parlamentari missini di valutare l’opportunità di non partecipare più ai lavori di Camera e Senato, inequivocabilmente delegittimati» (28-3-93). Perché «la gente i tangentisti li vuole in galera» (5-6-94). Poi cominciò a convivere con i tangentisti e con gli imputati di mafia, prima nella sua coalizione, poi addirittura nel suo partito, senza fare una piega. Ora candida addirittura l’avvocatessa di Andreotti, quella che finge di averlo fatto assolvere vincendo un processo che ha perso. Lui, il ferreo difensore dell’unità nazionale, l’ha consegnata nelle sapienti mani di Calderoli, fabbricante di porcate nelle baite del Cadore.

Anche Piercasinando Senza Macchia e Senza Paura era un grande fan dei magistrati e si contendeva Di Pietro a gomitate con Fini: «Di Pietro ha passione civile e senso dell’opinione pubblica, gli dò un caloroso e rispettoso benvenuto in politica, siamo in sintonia sull’interesse generale» (24-3-95). «Per lui ci vuole un ruolo di primo piano nel centro-destra. Dovrebbe essere uno dei leader della coalizione» (14-4-95). Poi anche lui, coraggiosamente, restò folgorato sulla via di Arcore, tenuto a bada con quanto ha di più caro; le poltrone. E un «ruolo di primo piano nel centro-destra» lo conferì a Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri, al quale fece sapere di aver telefonato la sua «amicizia e stima» alla vigilia della condanna in tribunale per mafia.

Mai una smorfia di disgusto, né da Fini né da Piercasinando, per le leggi vergogna che votavano a getto continuo, le compagnie che li circondavano, il discredito che accumulavano in Italia e nel mondo. A un certo punto presero pure a collaborare, prestando i loro uomini migliori per le leggi peggiori: il senatore Bobbio di An per l’ordinamento giudiziario e la norma anti-Caselli, il senatore Cirami dell’Udc per il legittimo sospetto. Sguazzavano leggiadri nel pozzo nero, mangiavano guano da mane a sera, ma sempre con l’aria deliziata di chi assaggia le leccornie più prelibate.

Ora che l’uomo che li ha creati dal nulla, la «fata che ha trasformato le zucche in principesse» declina, le due mezze punte tirano fuori il capino dalla cloaca e fanno la faccia schifata, recuperando d’incanto il gusto e l’olfatto. E pigolano all’improvviso qualche timida critica: «Non è vero che va tutto bene», «bisogna parlare del futuro», «cambiamo registro». Ma senza esagerare troppo, vedi mai che quel gatto dalle sette vite non sopravviva un‘altra volta. In attesa del medico legale, ispezionano prudentemente i distributori di benzina per appenderci, un giorno, il nano per i piedi.

Noi, per quanto può valere, stiamo dalla parte del nano. Dopo, se questi sono i successori, ci sembrerà un gigante.

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