I conti della vita. 'Dio non paga il sabato'

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AbbaZuzzU
00domenica 15 maggio 2011 19:45

I conti della vita. 'Dio non paga il sabato'

Articolo di Annapaola Laldi

“Dio non paga il sabato”.
Quante volte l'ho sentito ripetere dalla mia nonna materna, la nonna Annina, a cui devo molto della mia prima educazione.
C'era una nota nella sua voce, che non era soltanto l'amarezza con cui malediva le feste, e che ora, che non sono più così lontana dall'età che aveva lei al tempo della mia infanzia, credo di poter interpretare come una mistione di sconcerto e soddisfazione. Sconcerto, perché doveva accorgersi che con l'avanzare dell'età venivano sempre più al pettine i nodi della sua vita personale; soddisfazione -maligna, certo-, perché vedeva il malessere o le difficoltà delle persone che, a suo giudizio, le avevano reso male per bene. E poi, sì, risentendo la sua voce, posso cogliervi anche la tonalità dell'ammonizione, rivolta evidentemente a me, nel tentativo di mettermi in guardia. Perché gli errori, i passi falsi che si fanno -così traduco il suo “Dio non paga il sabato”- non si scontano sempre subito; anzi, il saldo, la vita ce lo può richiedere a grande distanza di tempo -anni o anche decenni-, e magari proprio nel momento in cui ci sembra di poter godere di una meritata tranquillità.
So da parecchio tempo che aveva ragione. E devo anche a quella sua testimonianza il fatto di aver vissuto in modo attutito lo sconcerto di fronte ai grossi nodi che, proprio all'ingresso nei cinquant'anni, si sono rivelati con particolare virulenza. Dove ho anche scoperto che, invece, la nonna Annina non aveva ragione in un'altra affermazione che usava fare: “E pensare che non ho mai fatto del male a nessuno!”. No, nella vita è matematicamente impossibile non fare del male. E il fatto di non averne l'intenzione non ci impedisce di farlo. Prima di tutto a noi stessi, poi -a volte di conseguenza- anche agli altri; per disattenzione, per insipienza, per presunzione, per pigrizia, per attaccamento alle abitudini, per … mille altre cause che magari sfuggono lì per lì alla nostra coscienza, ma i cui effetti indubbiamente cominciano subito ad agire dentro e intorno a noi, iniziando un'azione di accumulo che può durare anni prima di manifestare il danno provocato. Constatazione, questa, che mi ha salvato dal provare maligna soddisfazione per le disgrazie degli eventuali miei ingiusti persecutori. Che non ho avuto, mai. La mia sofferenza -lo posso dire con tranquillità- la devo tutta a me stessa. Solo a me stessa -alla mia sconsideratezza, alla mia superficialità, alla mia pavidità. Punto. E a capo.
Per fare qualche semplice esempio pratico, a diversi livelli.
In primo luogo quello proprio fisico personale. “Le malattie fanno presto a venire, e sono lente ad andarsene”, dice la “saggezza popolare” che, nella prima parte del detto, è tutto fuorché saggia. Molto più saggio, perché profondamente realista, è un aforisma di Francesco Chiari, che mi piace molto anche per la lingua antiquata con cui è scritto:
“Se alcuno si ciba giornalmente di un'oncia più del bisogno,
a lungo tempo bisognerà che muoia od almeno che si ammali”.
Inteso alla lettera, proprio sul piano di una delle azioni più naturali e necessarie alla sopravvivenza, quella, appunto, del mangiare -che cosa significa di diverso dal fatto che i piccoli eccessi giornalieri (le concessioni alla gola, per intenderci) si scontano, anche pesantemente, in differita, soprattutto perché si ignorano i segnali di malessere che il corpo, a poco a poco, ci manda? Non c'è niente di moralistico in tutto ciò; solo l'osservazione scientifica di una stretta relazione materiale di causa-effetto.
E lo stesso non si può dire, sempre sul piano personale, dello stillicidio delle piccole/medie ingiustizie che commettiamo quotidianamente (e magari inconsciamente) ai danni del prossimo -nel senso più ampio del termine-, contribuendo così a suscitare risentimento, ostilità, forse invidia -che è davvero una bestia tremenda?
Ma, ampliando lo sguardo, non succede lo stesso a livello di ambiente e di clima? Che cosa è il cambiamento climatico, la cui urgenza nessuno può ormai negare, se non l'effetto di un accumulo abnorme di “tossine” iniziato circa tre secoli fa, con la prima rivoluzione industriale, e accelerato adesso in modo parossistico?
“Dio non paga il sabato”. Ovverosia: anche a livello ambientale la vita, la natura, non manifesta il proprio disagio sempre immediatamente. I nodi non vengono subito al pettine. La relazione causa-effetto può evidenziarsi su tempi molto lunghi -in questo caso circa 250 anni. Ma, ad essere onesti, non possiamo sentirci colti di sorpresa; lo sconcerto non è giustificato, e noi non siamo innocenti. I segnali ci sono stati inviati da molto tempo e solo quella che la Bibbia chiama “durezza di cervice”, che peraltro continuiamo ad avere, ha fatto -fa sì- che li ignoriamo. Gli effetti? I cicloni improvvisi, sconosciuti dalle nostre parti, che ci onorano, da alcuni anni, di visite sempre più frequenti e devastanti; le vaste ripetute inondazioni, come quella che sta sconvolgendo alcuni paesi dell'Europa orientale (ed altri nel medio ed estremo oriente), o l'impennarsi delle temperature, col corteggio di vastissimi incendi di secolari foreste, come quello che sta flagellando adesso la Russia, avvelenandola con le sue gigantesche colonne di fumo. E poi, lo sciogliersi dei ghiacciai sulle montagne dalle Alpi all'Himalaya -quei ghiacciai un tempo “immacolati” che sono stati violentati in nome della sedicente nobile passione alpinistica- con conseguente impoverimento delle sorgenti di acqua dolce; il dileguarsi dei ghiacci ai poli con conseguente innalzamento del livello dei mari e la nascita di un'altra categoria di rifugiati, quelli ambientali, di cui certamente da noi non vorremo mai sapere niente -finché l'elevazione delle acque marine non raggiungerà il Mediterraneo e renderà inabitabili i nostri tanti lidi più o meno famosi...
E' vero, “Dio non paga il sabato”. Cioè, vale la pena di ripeterlo, i conti, la vita, la natura può anche tenerceli in sospeso per un tempo che a noi sembra infinito, ma, quando decide di presentarceli, non possiamo fare i furbetti. Non funziona così. Solo una grande serietà -personale e collettiva- può aiutarci almeno (e non è affatto poco) a essere consapevoli che la responsabilità di tutto ciò è anche nostra e che dunque a noi è ancora data una possibilità: quella di invertire la rotta. Radicalmente e solidarmente, perché mai come ora è stato così lampante che siamo tutti, ma proprio tutti, sulla medesima barca -a rischio di affondamento. E inscindibilmente legati a doppia catena: tutti quanti, chi è povero e chi è ricco, chi occupa posti di potere e chi sta all'ultimo gradino della scala gerarchica e sociale.
Possiamo, dunque, fermarci e essere presenti alla crisi che ci incalza -qualunque crisi, privata o collettiva-, riscoprendo nel significato etimologico di questo termine che siamo invitati, pressati a fare una scelta, a prendere una decisione?
http://www.aduc.it/articolo/conti+della+vita+dio+non+paga+sabato_17996.php

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