[FABBISOGNO ENERGETICO e FONTI RINNOVABILI]

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MarcoDUX
00mercoledì 29 settembre 2004 11:09
IN QUESTA SEZIONE TROVERETE ALCUNI MIEI ARTICOLI CHE RIPORTANO NOTIZIE E DATI STATISTICI CHE POTREBBERO ESSERVI UTILI PER IL VOSTRO CAMMINO SCOLASTICO. CIAO E IN BOCCA AL LUPO! [SM=g27811]

P.S.= CHI NON STUDIA NON PUO' PARTECIPARE AI RADUNI! [SM=g27829]
MarcoDUX
00mercoledì 29 settembre 2004 11:15
DEFICIT ENERGETICO: CI SALVERA’ L’IDROGENO?

La nostra Italia, si sa, è in condizione di perenne sudditanza con i Paesi dai quali compra – annualmente, con un enorme aggravio per le casse dello Stato – l’energia vitale per il funzionamento dei suoi apparati produttivi.
Tutti noi cittadini italiani non solo paghiamo di tasca nostra una “bolletta energetica” salatissima; ma, ironia della sorte, paghiamo anche per avvelenare noi stessi e i nostri figli indifesi costretti, come siamo, a vivere in caotiche ed inquinate città.
La presa in giro nei confronti di noi tutti, del resto, l’abbiamo subita in occasione del referendum per l’abrogazione dell’energia nucleare: la gran parte degli italiani erano affascinati da quella che sembrava una battaglia di civiltà in nome dell’ambiente. E ne furono talmente convinti che decisero in favore di quell’iniziativa, nella speranza che i politici di governo avessero poi tentato la ricerca di soluzioni alternative e, indubbiamente, meno pericolose. Da quel responso in poi, invece, nulla è stato fatto.
Nulla nell’interesse della Nazione, strangolata e perennemente succube delle altrui risorse energetiche.
Nulla, o quasi, per ridurre ai minimi termini il costo della bolletta energetica, la quale porta via preziose risorse per il bilancio dello Stato e per il finanziamento di ciò che rimane dello “Stato sociale”.
Nulla per prevenire gli alti costi sociali e ambientali conseguenti all’uso indiscriminato della fonte petrolifera.
Non una sola centrale termo-elettrica in più si è costruita al fine di garantirci una soddisfacente autonomia energetica. Né si sono impegnate risorse per lo sviluppo di sistemi alternativi, sfruttando le risorse e le peculiarità naturali della nostra Italia.
Una nuova speranza sembra ora provenire da alcune entusiastiche dichiarazione del prof. Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica e attuale presidente dell’Enea: “In cinque anni convertiamo il nostro sistema energetico utilizzando l’idrogeno, con benèfici effetti sull’inquinamento…”.
Il metano – ha dichiarato il prof. Rubbia in un seminario europeo sulle potenzialità dell’idrogeno - che ci arriva con i grandi gasdotti (ma anche il nostro sottosuolo vanta non pochi giacimenti…, n.d.r.) può essere facilmente convertito in idrogeno mediante un processo chimico chiamato << reforming >>. L’unico sottoprodotto di scarto è l’acqua, tanto pura che gli astronauti la usavano per dissetarsi…”.
La novità, tuttavia, non ha entusiasmato più di tanto gli industriali di casa nostra.
Certo – ha riflettuto Alberto Ronchey sul Corriere della Sera – la conversione dell’apparato industriale comporterà costi gravosi. Ma, secondo un’indagine dell’Ue, ogni litro di benzina bruciata nelle città europee impone 1.400 lire di spese sanitarie. Sarebbe dunque ragionevole chiedere, come contropartita della riduzione di spesa per la sanità pubblica, un’adeguata concessione di sgravi tributari per la conversione industriale”. Proposta degna di un serio programma di governo.
Nel frattempo, comunque, sul numero di luglio di “M&T”, rivista della Fiat, leggiamo che l’industria torinese, in collaborazione con ATM, Iveco e Centro Ricerche Fiat ha varato un progetto per un prototipo di autobus alimentato a idrogeno.
“Il veicolo – si legge – è in corso di realizzazione da parte di Irisbus Italia e agirà grazie all’installazione di una cella a combustibile, che combina elettro-chimicamente idrogeno e ossigeno, sviluppando energia elettrica e vapore acqueo”.

MarcoDUX
00giovedì 30 settembre 2004 10:14
VAL D’AGRI: COME SPERPERARE UN PATRIMONIO NAZIONALE

Sono in pochi, purtroppo, a conoscere una delle più belle regioni del nostro Mezzogiorno: la Lucania. Ancor meno quelli che conoscono la Val d’Agri, ossia quella striscia del suo territorio attraversata dall’omonimo fiume che nasce sull’ Appennino lucano e sfocia nel golfo di Taranto.
La Val d’Agri è salita alla ribalta della cronaca circa due anni fa, allorquando le prime trivellazioni del suo sottosuolo facevano già intravedere quale grande fortuna economica possedesse la Lucania.
Utilizzando i più avanzati e sofisticati strumenti per la prospezione sismica e geologica, l’Agip fu la prima compagnia petrolifera ad interessarsi della Val d’Agri.
In quest’area della Lucania - si legge sui numeri 55 e 56 di “Onda Verde”, bimestrale di trasporti, ambiente e traffico - caratterizzata da un territorio geologicamente e geograficamente complesso, e da difficoltà operative dovute alla morfologia della zona prevalentemente montuosa e spesso coperta da vegetazione boschiva, l’Agip ha individuato due giacimenti di olio e gas in grado di produrre giornalmente a partire dal 2001 (anno di completamento del progetto) 104.000 barili al giorno di olio e 2.700.000 metri cubi di gas”.
Per fare due calcoli si consideri che, nel settore, un barile corrisponde a 159 litri: quindi, ogni giorno si produrranno 15.900 tonnellate di petrolio.
Individuati i giacimenti – riferisce ancora “Onda Verde” – l’Agip ha individuato un progetto di sviluppo che prevede:
a) una rete di raccolta formata da 29 postazioni produttive collegate tramite 120 km. di linee interrate. Ad ogni postazione produttiva faranno riferimento più pozzi per un totale di 52;
b) un centro olio situato nell’area industriale di Viggiano che amplierà l’attuale centro olio di Monte Alpi e avrà capacità di trattamento pari a 104.000 barili al giorno;
c) un oleodotto interrato lungo 136 km. che collegherà il centro olio con la raffineria di Taranto;
d) l’utilizzo del sistema di deposito situato presso la raffineria di Taranto
.

Il progetto è improntato a criteri di sicurezza ambientale ed industriale. L’Agip ha infatti adottato soluzioni ad alta tecnologia nelle fasi operative sia di perforazione sia di produzione. Il contenimento delle emissioni in atmosfera, l’insonorizzazione degli impianti, lo smaltimento e il trattamento dei rifiuti, la minimizzazione delle postazioni e il contenimento degli spazi utilizzati, nonché il ripristino di questi ultimi, terminata la fase di perforazione sono solo alcune delle misure adottate per la tutela del contesto ambientale in cui l’attività viene svolta”.

Secondo stime, si tratta del più grande giacimento petrolifero dell’Europa continentale: le riserve ammontano ad oltre 600 milioni di barili di petrolio e a 13 miliardi di metri cubi di gas, per un valore di circa 15.000 miliardi di lire.
L’Eni è titolare al 100% delle concessioni in località Costa Molina e Caldarosa, mentre (e chissà perchè!) è in joint venture con la britannica Enterprise nelle concessioni in località Grumento Nova (60%) e Volturino (45%).

Nell’ottobre 1998 l’allora presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, siglò con il presidente della Regione Lucania un protocollo d’intesa atto a ridistribuire “localmente” una parte dei profitti legati all’estrazione petrolifera nel bacino della Val d’Agri.
Subito dopo venne siglato un accordo a tre che dava il via operativo del governo all’Eni-Agip per le estrazioni in Val d’Agri e che riconosceva ufficialmente agli enti locali le cosiddette “royalties”, ossia la quota parte dei proventi dovuti in relazione al territorio “impegnato” dalle operazioni estrattive nel sottosuolo.
Sottosuolo che, occorre ricordarlo, è in esclusiva proprietà al demanio dello Stato, assieme alle relative risorse.
L’accordo a tre è fatto.”, riportava ancora “Onda Verde”, riprendendo un articolo de Le Repubblica. “Governo, Regioni ed Eni hanno sottoscritto gli impegni: royalties e opere varie in cambio di concessioni. I pochi pozzi attuali che vomitano 7.500 barili al giorno diventeranno 48 e forse più, e si arriverà a produrre 104 mila barili in 24 ore per 20 anni almeno. Le stime sono diverse: 500 milioni di barili per l’Eni, 900 milioni per i petrolieri inglesi dell’Enterprise”.
“...Nell’intesa, Lucania e Governo hanno concordato tre tipologie d’interventi:
· infrastrutture stradali e metanizzazione dei Comuni lucani;
· trasferimento alla Lucania della quota dello Stato delle royalties sulle estrazioni (circa 350 miliardi di lire in vent’anni che si aggiungono ai 550 già assegnati alla Regione e ai 130 dei Comuni);
· rilancio dell’accordo per la reindustrializzazione della Val Basento, il polo chimico pubblico ridimensionato negli anni.

A margine di tutto ciò alcune considerazioni sono d’obbligo.
E’ vero che la Regione Lucania e gli enti locali beneficeranno di risorse che consentiranno certamente una ricaduta positiva sull’economia locale, se ben investiti.
E’ vero che il progetto prevede un robusto intervento sulla salvaguardia dell’ambiente e sulla tutela del territorio.
Tuttavia ci si domanda: perchè non conservare questa preziosa risorsa, che può garantire l’autosufficienza del Paese per almeno un anno, e sfruttarla in eventuali periodi di reale crisi energetica planetaria? Se oggi il pericolo non incombe, chi può garantirci anche per i prossimi anni?
In definitiva: il bacino della Val d’Agri deve essere salvaguardato quale riserva energetica utile a garantire un minimo di indipendenza economica della Nazione e a preservarla da ulteriori ricatti stranieri, che potrebbero acuirsi nei periodi di potenziale instabilità internazionale.
Tutto ciò ci viene confermato, anche se con considerazioni finali opposte, da quanto riferisce ancora la rivista “Onda Verde”: “... E’ notoria la sudditanza della nostra economia alle fonti straniere: dall’energia elettrica alla grande industria, alla motorizzazione tutto è movimento e questo movimento è ottenuto a caro prezzo, importando la materia prima principale che è il petrolio. Petrolio e gas che pesano sulla nostra bilancia dei pagamenti a seconda degli umori borsistici, militari e politici delle potenze che detengono le fonti e alle quali siamo costretti a rivolgerci per non uscire dalla civiltà tecnologica”.
E’ vero che ogni anno siamo costretti ad acquistare circa 80 milioni di tonnellate di greggio e 40 miliardi di metri cubi di gas; ma, con politiche economiche più ispirate all’interesse e alla sovranità dello Stato e meno agli affari e alle speculazioni clientelari delle diverse lobbyes di potere, nonchè ad una reale equità fiscale, possono certamente trovarsi le risorse utili ad acquisire quel fabbisogno che, purtroppo, non possiamo autarchicamente permetterci.
Salvaguardando ai nostri figli il bacino della Val d’Agri, e in attesa di tempi politicamente migliori, dobbiamo nell’immediato attrezzare il Mezzogiorno d’Italia - e quindi la Lucania - con tutte quelle infrastrutture che possano esaltarne le uniche validide potenzialità economiche ed occupazionali: il turismo e il commercio dei suoi squisiti prodotti agricoli.
A conferma di ciò ci sono, nuovamente, le cifre fornite da “Onda Verde”: a fronte di 3200 miliardi di investimenti per lo sviluppo della Val d’Agri, la ricaduta occupazionale in Lucania è prevista in (appena..., n.d.r.) 1000 unità lavorative per 4 anni nell’attività indotta e di 90 unità direttamente impiegate da Eni.

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