Le origini della falconeria si perdono nella notte dei tempi. L'esistenza della tecnica di cacciare col falcone è accertata nell'antichità, in Cina, Egitto e Mesopotamia; nell'antica Roma, certamente nota, non conobbe però una vasta diffusione.
Sin dall'Alto Medioevo la falconeria è praticata: un editto del VI secolo d.C. vieta agli ecclesiastici di esercitarla. Tre secoli dopo, Carlo Magno punisce con una multa chi ruba un falco addestrato. La falconeria è molto apprezzata presso gli arabi, per mezzo dei quali avviene l'incontro tra la tradizione asiatica e la tradizione europea.
Per merito di Federico II di Svevia (1194-1250) la falconeria diviene oggetto di uno studio scientifico. Il grande imperatore redige un trattato approfondito, il "De arte venandi cum avibus", nel quale, dopo aver attentamente descritto le abitudini e le capacità dei rapaci, espone le tecniche di addestramento.
Nei secoli successivi la falconeria diviene una passione e una moda. Si diffonde non solo presso gli aristocratici, ma anche presso le classi più umili. Il rapace è indicativo dello status sociale: gli uccelli più belli e più abili sono più rari e costosi. Da un testo del Quattrocento apprendiamo che l'Aquila reale è riservata all'Imperatore, il Girifalco al Re, il Falco Pellegrino femmina ai Principi, a Duchi, e Conti. Il Falco Pellegrino maschio, più piccolo, ai Baroni; il Falco sacro al cavaliere, il Falco lanario al Nobile di campagna; ; il Lodaiolo ai paggi. Anche le donne si avvicinano alla falconeria, attratte più dalla bellezza dei rapaci che da un'autentica passione per la caccia. Appannaggio della Dama è lo Smeriglio, un falco piccolo ed elegante che può essere tenuto in pugno senza fatica. I rapaci meno pregiati, come l'Astore e lo Sparviere, sono destinati alle classi sociali inferiori.
Nella Divina Commedia, Dante fa più volte riferimento al falcone e alla falconeria:
"quale il falcon che prima à pié' il mira
indi si volge al grido e si protende
per lo desio del pasto che là il tira"
(Purgatorio, XIX, 64-66)
"come il falcon, ch'è stato assai sull'ali
che senza veder logoro od uccello
fa dire al falconiere: oimé tu cali,
discend basso onde si mosse snello
per cento ruote e da lungi si pone
del suo maestro disdegnoso e fello"
(Inferno, XVII, 127-132)
"Quasi falcone ch'esce del cappello,
move la testa e con l'ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello"
(Paradiso, XIX, 34-36)
Leggiamo nel Decameron di Giovanni Boccaccio:
"Federigo degli Alberighi ama e non è amato, ed in cortesia spendendo, si consuma; e rimagli un sol falcone, il quale, non avendo altro, dà a mangiare alla sua donna venutagli a casa; la qual ciò sappiendo, mutata d'animo, il prende per marito e fallo ricco".
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