Ho il piacere di presentarvi, in anteprima, la pubblicazione di questo interessantissimo volume, che tratta un argomento di grande interesse per gli appassionati di Egittologia, e che finora vantava soltanto un'altra trattazione in lingua italiana, ormai fuori catalogo e risalente ad alcuni anni fa.
Nel ringraziare il dott. Massimiliano Franci, Dottore di Ricerca in Scienze Filologiche e Storiche del Vicino Oriente Antico all'Università di Firenze, con cui ho il piacere di essere in contatto, passo a proporvi l'introduzione che apre il testo (quella dell'Autore medesimo), nonchè la presentazione scritta dalla Dott.ssa Maria Cristina Guidotti.
Come accennato, il testo sarà disponibile nelle migliori librerie a partire dal prossimo lunedì. Chi riscontrasse difficoltà a reperirlo o chi è impaziente e desidera possederlo al più presto, come la sottoscritta, può ordinarlo direttamente presso la Casa Editrice. Ecco il link:
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Introduzione di Massimiliano Franci
Quali erano le conoscenze astronomiche degli antichi egiziani? Cosa vedeva l’uomo egiziano quando di notte scrutava curioso le stelle? Quali erano le nozioni che venivano insegnate ai giovani studenti nella {t-sb° la “casa dell’insegnamento”, qualcosa di simile alla scuola primaria? Come cercarono gli egiziani di interpretare le informazioni che la natura e i fenomeni astronomici mostravano in maniera criptica? A queste e ad altre domande vuole in parte rispondere questo volume. Sono ormai passati 400 anni dalle prime osservazioni scientifiche, degne di questo nome, del sole, dei pianeti e dei loro moti da parte di Galileo. Lo spartiacque con una visione mitologica/religiosa, anche appassionante, ma contorta dei fenomeni naturali. Per questo motivo è interessante conoscere come l’uomo antico, ed in particolare l’uomo egiziano, si sia posto di fronte a questi interrogativi, quali siano state le sue risposte e le sue interpretazioni. Ed anche se il pensiero astronomico egiziano appartiene al periodo precedente la rivoluzione scientifica, esso fa parte di quel limo, sul quale il pensiero moderno ha potuto nascere e fiorire; continuando a svilupparsi fino ad oggi.
Non esistono testi egiziani di astronomia; esiste invece una relativa quantità di documenti indiretti: iscrizioni templari, sarcofagi, pitture sepolcrali, le cui indicazioni astronomiche sono solo accessorie. I documenti anteriori sono formati da sarcofagi e coperchi di sarcofagi dell’Antico e del Medio Regno. I più antichi mostrano semplici raffigurazioni di decani (stelle o gruppi di stelle che indicano le ore della notte) senza specifiche indicazioni tecniche; i più recenti della fine del III millennio a.C. riproducono per usi cultuali un sistema per il calcolo delle ore notturne completo per tutto il corso dell’anno. A partire dal Nuovo Regno nelle tombe sono riportati differenti “orologi” stellari, rappresentazioni del cielo diurno e notturno, indicazioni per la costruzione di meridiane solari; e gli scavi hanno portato alla luce alcuni (rari) oggetti e strumenti astronomici. Con la dominazione persiana prima e greca dopo, arrivano in Egitto conoscenze astrologiche e astronomiche estranee, il cui risultato scientifico è mostrato da testimonianze come il soffitto astronomico con segni zodiacali di una cappella osiriaca nel tempio di Dendera, risalente al I secolo d.C. Infine risalgono al 144 d.C. due papiri astronomici propriamente detti che riportano il viaggio delle stelle decanali durante l’anno ed alcuni calcoli sulle fasi lunari.
Così queste pagine nascono dai pochi materiali e documenti che non parlano in modo diretto di astronomia egiziana; ma forniscono informazioni che sono il logico effetto di conoscenze astronomiche. Attraverso un cammino particolare, “dal di dentro”, si cercherà di ricomporre il punto di vista dell’antico abitante della valle del Nilo; ricostruendo le sue paure, i suoi dubbi e le sue interpretazioni, nei confronti di un mondo così vasto com’è quello delle stelle. La paura è l’emozione più antica dell’uomo. E la paura più antica è quella dell’ignoto, come ricordava H. P. Lovecraft. Sarebbe tornata la stagione fresca dopo quella secca? Le acque del fiume sarebbero ritornate a bagnare le terre? Sarebbe sorto il sole dopo la lunga e terribile notte? Alcuni uomini arrivarono a delle risposte: i più coraggiosi; coloro che continuarono ad osservare la volta celeste, inseguendo il sole mentre si inabissava nell’oscuro occidente, ed ebbero la pazienza di attenderlo nel luminoso oriente (ex oriente lux, i proverbi sono verità imperiture); coloro che come i moderni ricercatori, contro tutte le prospettive, cercarono di comprendere l’universo che li circondava.
Allora il sole di notte non moriva, ma spariva per ricomparire la mattina; e lo faceva pressoché sempre negli stessi luoghi. Avendo così meno timore della notte, iniziarono ad osservare anche le fasi della luna e i movimenti delle stelle. La ciclicità di questi eventi portò a definire i primi rudimentali metodi di misurazione del tempo: la luna passava da piena a nuova, tornando a piena in circa 29 giorni (a voler essere precisi 29 giorni, 12 ore, 44 minuti). Le stelle tornavano in una determinata posizione ogni 365 giorni spostandosi come il sole, da est ad ovest (impressione data dal moto di rotazione della terra che è da O a E). Come esso andavano nell’Occidente condividendone il viaggio e il destino. Osservazioni ripetute per anni, e forse tramandate agli occhi delle popolazioni limitrofe in maniera iniziatica, permisero di interpretare parte di quella che era la creazione.
L’osservazione basilare fu quella della stella Sirio (Spdt) che verso maggio spariva per un periodo di settanta giorni e sorgeva di nuovo all’orizzonte verso il 18 luglio in concomitanza con l’arrivo di Hapy, cioè della piena del Nilo. Si trattò di un fenomeno fondamentale per la cultura egiziana. E molte altre informazioni astronomiche furono basate proprio su di esso: ad esempio settanta erano i giorni che intercorrevano tra la morte di un faraone, la sua mummificazione e la sepoltura nella tomba. Tuttavia l’eredità scientifica giuntaci dall’antico Egitto è ritenuta da alcuni studiosi piuttosto modesta. Eppure è strano che una cultura così ricercata, che tanto ha lasciato a livello materiale e immaginario, non abbia restituito nessuna fonte diretta sulle scienze esatte: anzi, secondo alcuni studiosi, non ha nemmeno influenzato le scienze moderne. È vero? E se è vero, perché? Le risposte possono essere tante e tutte influenzate dal fatto che fino a 180 anni fa si erano perduti del tutto i contatti con la civiltà egiziana.
Indicativo, per comprendere l’oblio della cultura egiziana, è un passo del Corpus Hermeticum che descrive un Egitto completamente immerso nel mito: “…O forse non sai, o Asclepio, che l’Egitto è un’immagine del cielo, o, il che è più vero un trasferimento e una discesa di tutto quel che è governato ed esercitato nel cielo? E se bisogna dire con più verità, il nostro paese è il tempio del mondo intero. Eppure, poiché bisogna che il saggio tutto preveda, non vi è lecito ignorare questo: tempo verrà in cui apparirà che invano l’Egitto abbia con instancabile religiosità onorato piamente la divinità; e tutta la santa venerazione degli dei cadrà vanificata. Dalla terra, infatti, la divinità si ritirerà al cielo, ed abbandonerà l’Egitto: e quella terra che era stata la sede della religione perderà la sua gloria, vedovata della presenza degli dei… Allora questa terra santissima sede di sacrari e di templi sarà piena di sepolcri e di morti. O Egitto, Egitto! Della tua religione solo sopravvivranno le favole, ed anche quelle incredibili ai tuoi posteri, e solo avanzeranno le parole incise sulle pietre che narreranno le tue pie imprese…”. Una mitologia che ancora oggi affascina molte persone; ma non è sempre stato così. Pico della Mirandola, criticando le credenze e le pratiche astrologiche nel postumo Disputationes adversus astrologiam divinatricem (1494) sottolineava il livello basso della cultura egiziana. Egli ricorda come Ipparco e Claudio Tolomeo ogni volta che utilizzavano informazioni da documenti egiziani o babilonesi per supportare le loro tesi, non ne riferivano nessuna anteriore al regno di Nabucodonosor (II, VI sec. a.C.); ed afferma: “…nessuno ignora che hanno commesso errori gravissimi, così i Caldei come gli Egiziani, e ciò risulta solo che si sfoglino i libri degli astronomi.(Libro XI.I)”.
Infine, se molti studiosi hanno affermato che l’astronomia egiziana non ha lasciato nessuna particolare eredità poiché era meno sofisticata rispetto a quella babilonese ed a quella greca, in realtà bisogna tenere conto che non esiste una corrispondente documentazione egiziana, né in quantità né in qualità. Le conoscenze egiziane in ambito astronomico a cui ci si riferisce sono datate dal III millennio a.C. mentre quelle babilonesi e greche iniziano a svilupparsi in senso moderno dal 500 a.C. al 300 a.C. Casualmente nel 525 a.C. l’Egitto viene occupato dalla Persia e nel 332 a.C. dalla Macedonia; e l’astronomia greca diviene più complessa proprio a partire dal III secolo a.C. quando Alessandria è il centro culturale per eccellenza del mondo conosciuto.
Presentazione di M. Cristina Guidotti Direttrice del Museo Egizio di Firenze
La passione per la terra d’Egitto è molto antica e si può far risalire già all’epoca greca e romana. Per i Greci la valle del Nilo rappresentava la culla del sapere e della scienza allora conosciuta; per i Romani invece l’Egitto rappresentò piuttosto la patria della magia e dei cosiddetti “misteri egiziani”. Nell’ambito di queste conoscenze, anche la scienza astronomica degli Egizi affascinò e sollecitò l’immaginazione di molti antichi studiosi, influenzando le interpretazioni dei fenomeni naturali, anche se talvolta questi studi furono indirizzati verso l’esoterismo piuttosto che verso la scienza vera e propria. È infatti opinione comune che nel campo dell’astronomia gli Egiziani non raggiungessero notevoli conoscenze, se non dopo l’incontro con l’astronomia mesopotamica e ellenistica. Le conoscenze astronomiche egiziane furono quindi fonte di riferimento per “studiosi alternativi”, come gli alchimisti medievali, e contribuirono a formare quella passione per l’antico Egitto, chiamata “egittomania”, che, ripreso vigore nel XV secolo, si sviluppò in particolare nel corso del XVIII secolo, fino ad arrivare al suo culmine alla fine del settecento, quando l’antica sapienza misteriosa fu ispiratrice del Flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart. Solo con la decifrazione dei geroglifici da parte di Jean François Champollion i vari aspetti della civiltà faraonica, compresa l’astronomia, furono affrontati con un nuovo spirito scientifico.
Nell’antico Egitto spesso non era possibile distinguere tra un medico e un mago, tra un astronomo e un astrologo: tutti erano sacerdoti dediti alla pratica della religione, allo studio dei miti, del cielo e dell’influenza che tutto questo poteva avere sulla natura e sull’uomo. È dunque molto difficile nei documenti di vario tipo che ci sono pervenuti dalla terra del Nilo, riconoscere e distinguere ciò che per gli Egiziani era scienza e ciò che rimaneva esclusivamente nella sfera religiosa; sicuramente l’osservazione del cielo e le conoscenze astronomiche dei sacerdoti egizi contribuirono alla formazione dei miti e delle credenze, in una commistione di religione e scienza, non facile da individuare.
È proprio questo ciò che Massimiliano Franci vuole comunicare in questo volume: presenta infatti ciò che conoscevano gli Egiziani dal punto di vista astronomico, basandosi sui documenti che ci sono arrivati da quell’antica civiltà e sulle immagini che compaiono sulle pareti delle tombe e degli antichi templi egizi, spesso di interpretazione molto difficile. Soprattutto cerca di spiegare come venivano interpretati i fenomeni naturali ai quali l’uomo assisteva e come queste conoscenze venivano applicate alla vita quotidiana e alle credenze religiose.
Il risultato è un volume dedicato a tutti coloro che, anche non specialisti del settore, sia astronomico che egittologico, vogliono capire le misteriose e complicate immagini che si presentano al visitatore della valle del Nilo, nonché il pensiero degli antichi Egiziani a proposito di numerosi aspetti della loro vita quotidiana, che queste immagini riflettono e nelle quali si nascondono. E per questo il glossario e gli indici finali sono un grandissimo aiuto. Massimiliano Franci dunque in questo volume affronta e presenta con chiarezza e ricchezza di documentazione i due aspetti dell’astronomia egiziana: “il materiale”, ovvero la descrizione dell’universo e l’utilizzazione delle osservazioni per la misurazione del tempo, e “l’immaginario”, dall’uso delle premonizioni e previsioni per il futuro, alle teorie più svariate sulla nascita del mondo.
Notizie sull'Autore
Massimiliano Franci, dottore magistrale in Lettere Orientali, Dottore di Ricerca in Scienze Filologiche e Storiche del Vicino Oriente Antico, titolare del corso di Egittologia dell’Università dell’età libera di Firenze. Membro dell’Egypt Exploration Society, della Fondazione Andrej Tarkovskij, e della Società Italiana di Storia delle Religioni, è stato Tutor per le materie orientali presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze.
Autore di vari articoli sulla linguistica egiziana, semitica ed afroasiatica, tra cui “Egypto-Semitic Lexical Comparison” (2005, Franco Angeli Editore), “Quelques considérations sur le champ sémantique du déterminatif mw” (2005, L’Erma di Bretschneider), “Considerazioni fonetiche e morfologiche sui toponimi semitici dei Testi di Esecrazione egiziani” (2007, Rubbettino editore), “Considerazioni sulla fonetica egiziana” (2007, Unipress), “Rapporti particolari tra egiziano e semitico all’interno della comparazione afroasiatica: i prestiti” (2008, Unipress), “Il causativo in egiziano” (2009, Unipress), “Extension de la racine dans la comparaison égypto-sémitique” (2010).
Ha presenziato a diversi convegni nazionali e internazionali tra cui gli Incontri italiani di linguistica Afro-Asiatica (Camito-Semitica), le International Conferences for Young Egyptologists e le Central European Conferences of Young Egyptologist.