[ATTUALITA']

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MarcoDUX
00giovedì 30 settembre 2004 10:19
IN QUESTA SEZIONE TROVERETE ALCUNI MIEI ARTICOLI CHE RIPORTANO NOTIZIE E DATI STATISTICI CHE POTREBBERO ESSERVI UTILI PER IL VOSTRO CAMMINO SCOLASTICO. CIAO E IN BOCCA AL LUPO! [SM=g27811]

P.S.= CHI NON STUDIA NON PUO' PARTECIPARE AI RADUNI! [SM=g27829]

MarcoDUX
00giovedì 30 settembre 2004 11:08
FERROVIE: LA DENUNCIA DELL'EX AMMINISTRATORE
Occorre varare da subito una speciale commissione d’inchiesta sulle Ferrovie dello Stato per capire cosa è successo in questi anni”. E’ quanto sostenne alcuni anni fa l’ex amministratore delegato delle FS, Lorenzo Necci, in un servizio comparso sul “Corriere della Sera”.
Dopo le note vicissitudini giudiziarie e le denunce contro le consorterie criminose tra politica ed affari rivelate per spiegare il fallimento dell’operazione “cura del ferro” - fiore all’occhiello del programma - realizzato solo in minima parte - dell'ex Sindaco di Roma Rutelli, l’ex amministratore svelò altri clamorosi retroscena.
Io so, per esempio, - continua Necci sulle pagine del “Corriere della Sera” - che tra il 1980 e il 1990 le Ferrovie dello Stato investivano 5.000 miliardi l’anno, ma in quei 10 anni non è stato costruito un chilometro di ferrovia...” E aggiunge: “...Il progetto dell’Alta velocità è cominciato nel ‘60 con il tratto Roma - Firenze, per il quale sarebbero stati necessari 10 anni di lavoro e 500 miliardi di spesa: i lavori sono durati 30 anni ed è costato 10.000 miliardi...”.
“Inoltre - conclude Necci - le Ferrovie dello Stato volevano acquistare il porto di Gioia Tauro per collegarlo alla rete dell’Alta velocità. Ora è stato acquistato da un’ autorità portuale tedesca a un prezzo circa 3-4 volte più alto. Risultato: quelle merci che noi potevamo portare su treno ora tornano in Italia dal Nord Europa, trasportate da 100.000 camionisti olandesi, con uno spreco di 6.000 miliardi (di vecchie lire) l’anno”.
Ecco uno delle migliaia di esempi che rivelano con quale livello di efficienza è gestito lo Stato, ammesso che ne esista ancora uno degno di questo sostantivo.
MarcoDUX
00giovedì 30 settembre 2004 11:30
IL DEBITO DEI PAESI DEL TERZO MONDO e LA FINTA SOLIDARIETA'

Da segretario del maggior partito di sinistra, l’on.Valter Veltroni - attuale Sindaco di Roma - compì un viaggio di estrema solidarietà umana nel disastrato continente africano, dove, tra le tante disgrazie, occorre registrare anche la vergogna di milioni di bambini che muoiono colpiti da AIDS
Perché quel viaggio di solidarietà, che non può non essere condiviso da tutti gli italiani in buona fede, l’on.Veltroni non lo condusse quando ricopriva l’incarico di vice Presidente del Consiglio, col seguito della enorme pubblicità mass-mediatica che - con quel ruolo istituzionale - si sarebbe garantito?
Non volle o non poté, per le possibili ripercussioni istituzionali che un’iniziativa di così piena “sovranità”, oltre che di concreta solidarietà, avrebbe potuto provocare nel contesto internazionale? Soprattutto se riferita ad una iniziativa “di governo”; di “quel” governo che, a prescindere dal suo colore politico, sarebbe stato espressione della “Nazione Italia” e, in quanto tale, avrebbe avuto la fastidiosa pretesa di una risorta propria strategia in politica estera, ormai assente dall'8 settembre 1943.
Invece, si è preferito effettuare quel viaggio non nella veste istituzionale più consona ad ottenere un serio impegno contro i drammi dei Paesi più poveri della Terra; si è preferito farlo in un modo “informale”, in nome e per conto di un partito.
Ottenendo un duplice risultato: da una parte quello di far credere alle persone per bene che c’è ancora qualche politico che “pensa positivo”, per dirla alla Jovanotti. Dall’altro, non scalfire la propria credibilità politica sulla scena internazionale, così da evitare i malumori delle potenti multinazionali e delle lobbies finanziarie.
Ossia di quei potenti e incontrastati apparati di potere che, oltre ad esprimere sempre il proprio vincolante gradimento sulla “natura politica” dei governi italiani, sono altresì le prime artefici di quel disastroso neocolonialismo di stampo “anglosassone” che ha condotto alla disperazione i milioni di poveri e diseredati del Terzo e Quarto Mondo.
Questa perversa spirale si conclude poi - ed è un dato di fatto -col fenomeno delle epocali migrazioni verso gli Stati vassalli sanzionati nella Conferenza di Yalta: senza che nessuno, s’indigni per la cancellazione delle tante specificità culturali e tradizionali, generata con quello sradicamento dalle proprie terre, spesso ricche di risorse e materie prime che potrebbero garantire l’autosufficienza economica e alimentare.
Ma guardiamo le statistiche.
Tra le Nazioni africane che impegnano fino al 40% delle proprie esportazioni per pagare il debito con l’estero risultano: Burkina Faso (17,9%), Mali (22%), Mauritania (11,1%), Sierra Leone (33,2%), Togo (20,5%), Benin (15,6%), Sud Africa (12%), Ciad (30,1%), Etiopia (25,9%), Uganda (28,6%).
Tra le Nazioni africane che impegnano più del 40% delle proprie esportazioni per pagare il debito con l’estero risultano, invece: Madagascar (151,6%), Guinea Bissau (145,8%), Camerun (97%), Tanzania (79%), Zambia (48,9%), Costa d’Avorio (46,1%), Mozambico (41,2%).
Una vera politica di solidarietà verso i Paesi del Terzo e Quarto Mondo si attua, innanzitutto, procedendo ad un reale embargo delle esportazioni di armi.
In secondo luogo, mantenendo nei Paesi d’origine, e fino alla loro completa autodeterminazione, l’equivalente finanziario dei prodotti da questi esportati per far fronte al debito accumulato con l’estero.
I circa 6.000 miliardi che il Governo italiano s’impegnò a cancellare, in che modo renderanno un beneficio a chi ne usufruisce? Si procederà ad un accordo bilaterale per investimenti in tecnologia e utilizzo di manodopera qualificata? Si garantiranno durature relazioni culturali, utili anche alla formazione professionale di quelle genti? In una parola: con quei soldi s’intende creare la premessa della nostra e dell’altrui sovranità nazionale?
Questi i Paesi creditori e i “dollari” che debbono riavere…: Giappone (121 miliardi); Germania (54 miliardi); Francia (43 miliardi); Stati Uniti (42 miliardi); Italia (14,5 miliardi); Gran Bretagna (10,9 miliardi); Canada (10,6 miliardi); Spagna (8,8 miliardi); Olanda (7,9 miliardi); Austria (7,4 miliardi); Norvegia (4,7 miliardi).

MarcoDUX
00sabato 2 ottobre 2004 09:05
FERROVIE DELLO STATO : COME CONTRIBUIRE AL COLLASSO DELL’ECONOMIA

In un Paese come il nostro, proteso nel Mediterraneo e con una configurazione del territorio particolare, più predisposta a sistemi di comunicazione ferroviari oltre che marittimi - lungo quelle due autostrade naturali che sono il Tirreno e l’Adriatico - in oltre mezzo secolo si è lasciato marcire tutto il patrimonio infrastrutturale su ferro ereditato, che andava solo ammodernato ed esteso; con la conseguenza che, oggi, il traffico su ferrovia segna uno scadente 20% dell’intero volume di persone e merci viaggiante, a fronte dell’ 80% su gomma. Laddove dovrebbe essere esattamente il contrario..., non fosse per gli enormi costi sociali in termini di vite umane vittime di incidenti stradali che annualmente si registrano. Per non parlare dei costi ambientali ed economici della Nazione.
A tal proposito Giuliana Ferraino, sul “Corriere della Sera” del 06.11.99, riportava una articolata denuncia di alcuni imprenditori. Si legge: “Dieci anni fa esportavamo le nostre arance in Europa, soprattutto in Francia e in Germania. Ma un treno che impiega quattro giorni per arrivare sui mercati è il migliore alleato dei nostri concorrenti. Risultato: in pochi anni la Spagna si è presa tutto il mercato europeo. E oggi noi all’estero vendiamo solo patate. Non patate comuni: le patate novelle di Siracusa, più tenere e più ricche di amido, anche se i tempi di trasporto sono quelli che sono. Per farle arrivare da Siracusa a Monaco di Baviera occorrono più di tre giorni: le carichiamo sul treno il giovedì sera e arrivano a destinazione il lunedì mattina. Perchè tutto questo tempo? Per una tratta del genere basterebbero 24 ore....”, si chiede Salvatore Campisi, braccio destro di Antonino Cappello, il presidente della Cooperativa ortofrutticola Arco di Siracusa, sessanta soci e una dozzina di miliardi di fatturato a fine anno.
Ma già negli anni ‘30 il rapido Roma /Milano impiegava appena 5 ore! Negli anni trenta... Ciò per dire che anche le agognate 24 per andare da Siracusa a Monaco di Baviera ore sarebbero, oggi, 60 anni dopo...!, una enormità.
Leggiamo ancora dal “Corriere della Sera”: “I treni merce non hanno precedenze, si fermano ogni momento. Sa che le dico? I nostri clienti, quando possono, evitano le Ferrovie e scelgono il camion”. Comprensibile. "A un treno spagnolo - segnala ancora la Ferraino - occorre un giorno per trasportare le arance da Siviglia a Parigi..."
Ma il discorso non vale solo per le arance. “Io per mandare la pasta in Grecia, che è quasi di fronte a noi, dalla nostra sede di Rutigliano, a dieci chilometri da Bari, devo caricarla prima sui camion, farla arrivare a Salerno e qui imbarcarla per il Pireo” protesta Vincenzo Divella, amministratore delegato del pastificio di famiglia. “Il treno? Da Bari a Napoli ci vogliono 4 o 5 ore, perchè molti tratti sono ancora a binario unico”.
Ecco un altro specchietto dell’Italia consegnata ai giovani del terzo millennio dopo settanta anni di inefficienze e malgoverno.

MarcoDUX
00mercoledì 6 ottobre 2004 10:32
CORTE DEI CONTI: ECCO COME SFASCIANO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Questo articolo venne pubblicato qualche anno fa: tuttavia, stante gli scandali che di tanto in tanto continuano ad emergere, credo abbia ancora molta attualità.


Gli sprechi di denaro pubblico ammontano ad almeno 10.000 miliardi all’anno (“ma è solo una stima, potrebbero essere anche 20 - 30 mila miliardi). In più vanno aggiunti i 4.500 miliardi di fondi europei dimenticati nei mille cassetti della burocrazia italiana. Totale: circa 15.000 miliardi (in vecchie lire, nd.r.) di risorse sciupate. Il conto è presentato dal procuratore generale della Corte dei Conti, Vincenzo Apicella...”.
Questo si leggeva in un articolo di Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera del 18 gennaio 2000, a proposito del resoconto annuale della Suprema Corte contabile sullo stato di salute della nostra Pubblica Amministrazione.
In particolare, il procuratore si è scagliato contro le Leggi “Bassanini” sul decentramento amministrativo che, allargando gli ambiti di discrezionalità di cui gode l’amministrazione, allentano automaticamente i controlli operati dalla Corte dei Conti.
Ma il procuratore denuncia anche la incompatibilità dei processi di “privatizzazione” che si vuole imporre nell’attività stessa della Pubblica Amministrazione.
Si legge, infatti, dal medesimo articolo: “L’arretramento della cultura della legalità di fronte all’affermarsi della cultura dei risultati sta trasformando radicalmente il diritto pubblico”. Nella sua condivisibile denuncia il dr. Apicella aggiunge: “Il principio di legittimità non è un feticcio, ma in uno Stato di diritto non può essere abbattuto e neppure emarginato, altrimenti ci saranno contraccolpi assai pericolosi”.
In effetti, la morsa delle “privatizzazioni” trova nella presenza della Pubblica Amministrazione - pur con tutti i difetti dell’elefantiaca struttura - un ostacolo insormontabile al suo rapido attuarsi. Ovviamente, la Pubblica Amministrazione necessita di una radicale riforma che elimini le sacche di corruzione, di privilegio e di inefficienza. Questa condizione, tuttavia, non deve rappresentare l’alibi per un suo ridimensionamento, quale si perpetua dal 1992 ad oggi, ma deve fungere da stimolo per consolidarne l’efficacia di garante “super partes” all’interno dell’ordinamento statale.
Ciò si rende tanto più necessario quanto più si consolidi l’attuale panorama istituzionale di una politica sempre più in balia, se non proprio asservita, al grande capitale finanziario, alla ricerca spasmodica di pezzi pregiati dello Stato da saccheggiare all’insegna delle privatizzazioni, spacciate nell’immaginario collettivo come una sofferta necessità per “modernizzare” il Paese.
La colpa della lentezza burocratica - continua il dr. Apicella nel suo affondo su Repubblica - non è soltanto di amministratori, funzionari o impiegati: è delle leggi. Vecchie, inadeguate, non più al passo con i tempi. Tra vecchie e nuove molte norme sono verbose e inutili. E, soprattutto, sono troppe. Così numerose da mettere in crisi la certezza del diritto. L’amministratore, il funzionario, il magistrato, il cittadino non sa sempre quante leggi del passato siano vigenti, applicate e quanto e in che modo siano integrabili con normative recenti”.
Come a dire: i Ministri della Funzione Pubblica, tra cui l’ex socialista Bassanini, prima di dilatare la gestione della cosa pubblica attraverso il “decentramento amministrativo” avrebbero potuto redigere una serie di testi unici di semplificazione della legislazione vigente.
Nella sua replica, il Ministro Bassanini difende il principio di “snellimento” della burocrazia (ma, in realtà si tratta di strisciante “smantellamento”) e, dalle pagine del Corriere manda a dire al dr. Apicella: “Capisco che questi magistrati contabili siano allergici al decentramento delle responsabilità amministrative, per loro si tratta di una perdita secca di potere... Le statistiche dell’Ocse dimostrano che il tasso di corruzione è più basso in quei Paesi che hanno semplificato le procedure burocratiche. Tra l’altro in quelle nazioni non esiste una Corte dei Conti che abbia potere di sindacare la contabilità amministrativa. Negli Stati Uniti, per esempio, cè il “General accounting office” che ha il compito di valutare, proprio in termini economici e di efficienza, i servizi offerti dai diversi rami della macchina statale. Non a caso in quell’organismo ci sono pochi giuristi”.
Prescindendo dalle inquietanti interpretazioni che trapelavano da queste parole, soprattutto in ordine la sopravvivenza stessa della Corte dei Conti nel prossimo futuro, penso che quanto esposto dal procuratore generale della Corte dei Conti avrebbe meritato ben altra e più attenta riflessione, soprattutto allorquando concluse la sua denuncia con questi sconfortanti dati: “...Siamo in presenza di una piccola e media corruzione che intacca la Pubblica Amministrazione. Davanti alle sezioni regionali della Corte, al 30 novembre del 1999, pendevano 115.942 procedimenti di responsabilità, contro i 109.835 registrati alla fine del 1998..."
E oggi?

MarcoDUX
00mercoledì 6 ottobre 2004 13:12
LO STERMINIO UMANO MADE IN USA
Tempo fa negli Stati Uniti un libro denuncia dal titolo << Darkness in Eldorado >>, ossia << Oscurità sull’Eldorado >>, proiettò sinistre e terribili ombre sulla memoria dell’americano James Neel, da molti ritenuto il padre della genetica umana, morto nel febbraio del 2000.
Sono a dir poco sconvolgenti le accuse che il libro di Patrick Tierne scagliava contro il prof. Neel.
Centinaia di indigeni dell’Amazzonia, gli Yanomani – si lesse in un articolo di Margherita De Bac, comparso sulle pagine del Corriere della Sera - sarebbero morti negli anni ’60 dopo aver ricevuto dosi di una variante del vaccino contro il morbillo. Neel lo avrebbe iniettato nell’ignara popolazione, e all’insaputa dei governi di Venezuela e Brasile, per verificare i meccanismi degli individui più forti in una ristretta società geneticamente omogenea. Non solo: il genetista avrebbe ordinato di non aiutare le persone contagiate”.
Lo studio che consentì allo scienziato americano di portare a compimento i presunti criminosi esperimenti, sarebbe stato finanziato dalla Commissione atomica Usa allo scopo di comprendere gli effetti della contaminazione su una piccola popolazione umana.
In precedenza, il prof. Neel si rese famoso col successo che conseguirono i suoi studi sulle emoglobinopatie, sull’anemia falciforme e sui fattori ereditari che influiscono sullo sviluppo degli anticorpi necessari a resistere contro la malaria.
Grande scalpore suscitarono, invece, le sue teorie sull’uso della diagnosi prenatale per migliorare il pool genetico umano.
In altre occasioni – commentò Margherita De Bac – Neel sarebbe arrivato a iniettare soluzioni a base di plutonio in ignare cavie umane, nel contesto di studi riguardanti gli effetti delle radiazioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki sui sopravvissuti. Un vero criminale. Oggi gli Yanomani si sono ridotti a 20.000 persone che combattono contro il rischio di estinzione e la malaria. Anticipazioni sul libro sono state diffuse con grande rilievo dalla Bbc e dal giornale londinese The Guardian”.

MarcoDUX
00mercoledì 6 ottobre 2004 13:36
TRASPORTO AUTOMOBILISTICO: QUANTI DANNI
Le critiche all’attuale politica del sistema dei trasporti italiani – che continua a penalizzare gravemente il trasporto ferroviario e marittimo di persone e merci, in favore di quello automobilistico - sono state confortate da una recente indagine conoscitiva sui gravi effetti che induce.

Centinaia di vite umane che si perdono sulla strada; altissimi costi ambientali e di salute che determina; pesanti costi di manutenzione che richiede (l’asfalto e il catrame rientrano tra i prodotti derivati dai “residui” delle lavorazioni del greggio che dobbiamo importare).
La diffusione di un recente rapporto sulla “Produzione, l’esercizio e lo smaltimento dei veicoli”, condotto dalle stesse Ferrovie dello Stato e dall’Associazione “Amici della Terra” conferma - una volta di più – le pesanti critiche mosse alla politica dei trasporti in Italia.
Lo smodato uso del trasporto automobilistico “privato” è causa, ogni anno, di:
· oltre 15.000 decessi per malattie da inquinamento atmosferico;
· centinaia di incidenti stradali, con quasi 8.000 morti;
· gravi danni per l’ambiente, in conseguenza delle oltre 100.000 tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera;
· circa 200.000 miliardi (in vecchie lire) di danni ambientali e sociali.
Nonostante ciò si continua a non investire seriamente sul trasporto ferroviario e linee strategiche (ad esempio la Roma - Ancona) continuano ad essere a binario unico...

MarcoDUX
00mercoledì 6 ottobre 2004 13:47
LA “NEW ECONOMY” E LE OPPORTUNITA’ PER IL RILANCIO DEL TURISMO ITALIANO
Il n.2/2000 della pubblicazione “LA RIVISTA DEL TURISMO”, edita dal Centro Studi del Touring Club Italiano, apriva con un interessante editoriale di Francesco Fogliari che illustrava le grandi opportunità economiche e di lavoro che potranno presto derivare dalla diffusione della c.d. “nuova economia”, meglio conosciuta a livello internazionale come < new economy >.
Questo nuovo modo di intendere e di radicare l’economia nel tessuto produttivo nazionale si avvale innanzi tutto della stretta sinergia fra telecomunicazioni e informatica, l’azione congiunta delle quali consente di far conoscere un determinato prodotto in maniera estremamente più capillare di quanto non succeda ancora oggi.
Ciò grazie al fatto che, con l’informatica è possibile elaborare tutte le informazioni che si ritengono indispensabili intorno a una scienza, a uno studio o a un’attività in genere, organizzando in modo sistematico e finalizzato l’analisi dei relativi dati.
Dati che - immessi “in rete” grazie al sistema Internet - si rendono, quindi, di pubblico dominio, anche a domicilio dell’interessato. Ma non solo.
Le procedure informatiche consentono anche di selezionare il prodotto finale e renderlo “appetibile” alle diverse e più svariate domande di mercato.
E’ per questo che non bisogna confondere la “nuova economia” con l’informatica e le tecnologie applicate, essendo queste non il fine ultimo ma il mezzo grazie al quale si realizza quella che è considerata la nuova “rivoluzione economica”. Che costringerà gli stessi imprenditori a ripensare radicalmente il loro modo di intendere gli affari.
Come si inserisce allora il turismo, che è – o meglio: dovrebbe essere - la vera industria portante del nostro Paese, in tutto questo prossimo contesto?
Il nostro – affermava Francesco Fogliari - è un settore percepito, soprattutto in Italia, come tradizionale, in quanto caratterizzato da alta incidenza di lavoro e relativamente ridotta incidenza di capitale e tecnologie. Ma questo è anche il settore che, a livello mondiale, a detta di tutti gli esperti, conoscerà nei prossimi anni il più alto tasso di sviluppo, in relazione alle modificazioni della struttura socio-demografica (allungamento della vita media, aumento del reddito pro capite e del tempo libero, crescita del livello culturale, ecc.)”.
E’ quindi naturale – proseguiva Fogliari - che il turismo, inteso nel senso più ampio del termine e includendovi l’indotto di valore generato dalle attività del << nocciolo >>, sia destinato ad essere soggetto primario della new economy ”.
Secondo alcuni analizzatori di comportamenti sociologici, il sol fatto di apprendere informazioni o ricavare notizie relative ad un sito archeologico o ad un’opera d’arte, semplicemente attraverso – e direttamente - il proprio computer di casa, favorisce l’indotto turistico: “il visitatore – si leggeva ancora su <> è invogliato a vedere con i propri occhi e compie una visita più consapevole, essendo già entrato in possesso di una serie d’informazioni di base”.
Vendere un prodotto turistico via Internet – concludeva Fogliari – non implica solo un cambiamento nel canale di comunicazione, ma significa proporre un prodotto nuovo per un cliente diverso, ben più motivato, competente e smaliziato che in passato.
Le nuove tecnologie e i nuovi canali costringeranno infatti gli operatori a progettare nuovi prodotti a misura di clienti nuovi, studiando con più attenzione la segmentazione del mercato e rispondendo in maniera adeguata alla richiesta di << turismi >> sempre più differenziati e personalizzati.
Aumenteranno le << masse >> di persone in viaggio per il mondo, ma oltre al << turismo di massa >> nel senso tradizionale del termine cresceranno i << turismi di nicchia >>, nicchie di grande potenziale quantitativo come quella ambientale, quella culturale, quella enogastronomica. Nell’aumento complessivo del fatturato turistico il più elevato tasso di crescita verrà proprio da questi settori un tempo ritenuti di elìte e quindi trascurati dall’industria turistica più organizzata
”.

MarcoDUX
00mercoledì 6 ottobre 2004 13:59
IL TURISMO IN ITALIA: ANALISI E PROSPETTIVE DI QUESTA GRANDE RISORSA
Quali prospettive possono scaturire da una diversa politica del turismo in Italia?
Gli interrogativi, e le propositive risposte che ne devono derivare, si rendono sempre più necessari, se si considera la sudditanza dell’economia italiana a due fattori – ormai “strutturali” – il cui perpetrarsi non consente il risanamento delle casse dello Stato:
· la < domanda complessiva di energia >, per la cui copertura la “fonte petrolifera” contribuisce per oltre il 50%, condannandoci così al perpetuo asservimento internazionale, sempre più consolidato dai continui rialzi di costo del greggio che importiamo;
· l’incidenza della produzione industriale sulla domanda di energia – e, quindi, di petrolio – per consentire alla grande industria di continuare a detenere ben il 42% delle esportazioni complessive (macchinari vari e attrezzature per i trasporti).
Per altro verso, la produzione agricola – che potrebbe essere una componente importante per la bilancia dei pagamenti, grazie alla squisitezza dei suoi prodotti “baciati” dalle favorevoli condizioni climatiche; e che rappresenta un formidabile veicolo pubblicitario per attrarre ulteriori flussi di turismo sul suolo patrio – rimane costantemente penalizzata da quella politica filo-industriale. Che antepone i propri interessi e impone lo scambio dei propri prodotti nel campo dell’ import - export.
Tutto ciò avviene senza tener conto anche di altri e indotti fattori negativi per l’economia nazionale:
· l’inquinamento ambientale causato dall’industria “pesante”;
· la scarsa utilità dell' "industria pesante" (per l’economia nazionale e per l’occupazione, stante i continui ricatti di licenziamento laddove non siano “socializzate” le perdite e privatizzati i profitti;
· le “delocalizzazioni” degli impianti industriali e le striscianti “privatizzazioni” di attività produttive, che si susseguono inesorabili nonostante i 56.000 miliardi di “aiuti di Stato” all’industria nel solo triennio ’94/’96;
· e, non ultima, la necessità d’importare quelle materie prime – di cui siamo tradizionalmente deficitari – da cui si ricava il prodotto industriale lavorato.
Un’altra grande deficienza dell’industria turistica in Italia – diretta conseguenza di quell’errata politica filo-industriale -, è l’assoluta inesistenza di una valida “infrastruttura di trasporto”, in particolare ferroviario.
L’unica, quest’ultima, in grado di valorizzare al meglio il patrimonio storico e artistico della nostra tradizione, nonché le bellezze naturali, contestualmente allo scarso impatto ambientale che - essa sola - può garantire.
Qualche anno fa, tanto per fare un esempio, l’allora ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, presentò un grande e ambizioso progetto, purtroppo rimasto sulla carta: la trasformazione dell’Appennino in un gigantesco Parco d’Europa.
All’interno del quale, peraltro, s’intendeva recuperare a - scopo turistico e di fruibilità - anche le tratte abbandonate delle linee ferroviarie locali e interregionali, con tutto il supporto logistico delle caratteristiche stazioncine integrate in quel paesaggio.
Non se ne è più parlato, se non nella scellerata retrospettiva di considerare ancora questa ricchezza alla stregua di “rami secchi” improduttivi di profitti.
Secondo recenti statistiche elaborate dal Touring Club Italiano e dall’Ufficio Italiano de Cambi risulta che il solo Sud d’Italia - cui si è voluto, e si vuole, imporre una forzata e impropria industrializzazione - avrebbe potuto beneficiare, nel solo 1998, di ben 25.000 miliardi di lire. Se solo avesse sfruttato al meglio le sue ricchezze naturali e le sue bellezze storiche e artistiche...
Invece, a fronte di complessivi 51.000 miliardi (di vecchie lire) di entrate valutarie nazionali dovute a turisti stranieri, il Sud si è dovuto accontentare - causa le croniche penalizzazioni dovute alla criminalità, all’arretratezza e alla mancanza di strategia turistica - di poco più di 5.000 miliardi (equivalente ad un “modesto” 10% di quei 51.000 miliardi di lire, contro il 33% del Centro Italia e del 57% del Nord...)
I motivi di rammarico sono numerosi - commentava Giancarlo Lunati su < la Repubblica > del 28 ottobre 2000 -, anche in considerazione del fatto che il Sud dispone di un indice di attrattività turistica potenziale pari al 36% del totale nazionale (contro il 27% del Centro e il 37% del Nord)".

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