IL TURISMO IN ITALIA: ANALISI E PROSPETTIVE DI QUESTA GRANDE RISORSA
Quali prospettive possono scaturire da una diversa politica del turismo in Italia?
Gli interrogativi, e le propositive risposte che ne devono derivare, si rendono sempre più necessari, se si considera la sudditanza dell’economia italiana a due fattori – ormai “strutturali” – il cui perpetrarsi non consente il risanamento delle casse dello Stato:
· la <
domanda complessiva di energia >, per la cui copertura la “fonte petrolifera” contribuisce per oltre il 50%, condannandoci così al perpetuo asservimento internazionale, sempre più consolidato dai continui rialzi di costo del greggio che importiamo;
· l’incidenza della produzione industriale sulla domanda di energia – e, quindi, di
petrolio – per consentire alla grande industria di continuare a detenere ben il 42% delle esportazioni complessive (macchinari vari e attrezzature per i trasporti).
Per altro verso, la
produzione agricola – che potrebbe essere una componente importante per la bilancia dei pagamenti, grazie alla squisitezza dei suoi prodotti “baciati” dalle favorevoli condizioni climatiche; e che rappresenta un formidabile veicolo pubblicitario per attrarre ulteriori flussi di turismo sul suolo patrio – rimane costantemente penalizzata da quella politica filo-industriale. Che antepone i propri interessi e impone lo scambio dei propri prodotti nel campo dell’ import - export.
Tutto ciò avviene senza tener conto anche di altri e indotti fattori negativi per l’economia nazionale:
· l’
inquinamento ambientale causato dall’industria “pesante”;
· la scarsa utilità dell' "
industria pesante" (per l’economia nazionale e per l’occupazione, stante i continui ricatti di licenziamento laddove non siano “socializzate” le perdite e privatizzati i profitti;
· le “
delocalizzazioni” degli impianti industriali e le striscianti “privatizzazioni” di attività produttive, che si susseguono inesorabili nonostante i 56.000 miliardi di “aiuti di Stato” all’industria nel solo triennio ’94/’96;
· e, non ultima, la necessità d’
importare quelle materie prime – di cui siamo tradizionalmente deficitari – da cui si ricava il prodotto industriale lavorato.
Un’altra grande deficienza dell’industria turistica in Italia – diretta conseguenza di quell’errata politica filo-industriale -, è l’assoluta inesistenza di una valida “infrastruttura di trasporto”, in particolare ferroviario.
L’unica, quest’ultima, in grado di valorizzare al meglio il patrimonio storico e artistico della nostra tradizione, nonché le bellezze naturali, contestualmente allo scarso impatto ambientale che - essa sola - può garantire.
Qualche anno fa, tanto per fare un esempio, l’allora ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, presentò un grande e ambizioso progetto, purtroppo rimasto sulla carta: la trasformazione dell’Appennino in un gigantesco Parco d’Europa.
All’interno del quale, peraltro, s’intendeva recuperare a - scopo turistico e di fruibilità - anche le tratte abbandonate delle linee ferroviarie locali e interregionali, con tutto il supporto logistico delle caratteristiche stazioncine integrate in quel paesaggio.
Non se ne è più parlato, se non nella scellerata retrospettiva di considerare ancora questa ricchezza alla stregua di “rami secchi” improduttivi di profitti.
Secondo recenti statistiche elaborate dal Touring Club Italiano e dall’Ufficio Italiano de Cambi risulta che il solo Sud d’Italia - cui si è voluto, e si vuole, imporre una forzata e impropria industrializzazione - avrebbe potuto beneficiare, nel solo 1998, di ben 25.000 miliardi di lire. Se solo avesse sfruttato al meglio le sue ricchezze naturali e le sue bellezze storiche e artistiche...
Invece, a fronte di complessivi
51.000 miliardi (di vecchie lire) di entrate valutarie nazionali dovute a turisti stranieri, il Sud si è dovuto accontentare - causa le croniche penalizzazioni dovute alla criminalità, all’arretratezza e alla mancanza di strategia turistica - di poco più di 5.000 miliardi (equivalente ad un “modesto” 10% di quei 51.000 miliardi di lire, contro il 33% del Centro Italia e del 57% del Nord...)
“
I motivi di rammarico sono numerosi - commentava Giancarlo Lunati su < la Repubblica > del 28 ottobre 2000 -,
anche in considerazione del fatto che il Sud dispone di un indice di attrattività turistica potenziale pari al 36% del totale nazionale (contro il 27% del Centro e il 37% del Nord)".