[AFRICA] Guinea-Bissau, il nuovo centro del narcotraffico

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-Giona-
00mercoledì 6 febbraio 2008 09:50
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Inchiesta / Le nuove rotte africane del narcotraffico

Bissau connection

Supermercato della cocaina, il Paese dell’Africa occidentale rischia di diventare una «colonia» dei narcos colombiani. Esportando in Europa, a prezzo quintuplicato, l’ex droga dei ricchi

di Laura Badaracchi

Delle 400 tonnellate di cocaina che ogni anno sbarcano sui mercati europei, circa il 30 per cento passa per i Paesi dell’Africa occidentale. La Guinea Bissau è il «nuovo paradiso dei pusher»: per essa entrano, secondo alcune stime, 5 tonnellate di blanca quasi ogni settimana. Cifre che fanno rabbrividire. Un giro di soldi scandalosamente impressionante, se si pensa che una dose non arriva a un grammo di sostanza e che un chilogrammo di cocaina purissima può essere suddiviso in 20 mila dosi da circa 50 euro ciascuna. Valore complessivo: un milione di euro.
Da qualche anno le rotte della «polvere bianca» sono cambiate. Dall’America Latina (la base di produzione resta soprattutto la Colombia, dove viene preparato il 62 per cento del quantitativo mondiale) la cocaina passa sempre più per l’Africa nera, lungo percorsi alternativi al Ma-rocco e al Sahara, per arrivare in Eu-ropa. In quantità tali che da qualche anno l’euro ha sostituito il dollaro tra le mani dei narcos.

La «merce» viene caricata su navi o piccoli aerei a due motori, che sempre più spesso atterrano con un carico fino a due tonnellate - dopo 7 mila chilometri, scalo in Venezuela o Brasile - sulle coste dell’Africa occidentale, transitando soprattutto nel Golfo di Guinea, ansa dell’immenso Oceano Atlantico. Destina-zione sempre più frequente: le piste di atterraggio nascoste tra le paludi di mangrovie della Guinea Bissau. Vale a dire il quinto Paese più povero al mondo, dove l’aspettativa di vita è 45 anni e la gente vive grazie all’esportazione di anacardi e di pesce.
Qui - nei meandri dell’arcipelago delle Bijagos, centinaia di isole spesso disabitate - circa 300-400 tonnellate all’anno di cocaina (ma l’Onu ne stima solo 40) vengono smistate e nascoste in container caricati su navi dirette in Spagna e Portogallo, oppure su aerei che decollano verso l’Europa; poi ci sono gli ovuli ingoiati dai «muli», persone che arrivano negli aeroporti dell’UE con il pericoloso carico nell’intestino. Una quantità marginale rispetto al volume del traffico che sta assumendo dimensioni impressionanti, a fronte di una richiesta crescente da parte dei cittadini del Vecchio Continente.
Così la cocaina finisce in Europa, soprattutto sniffata, fumata o iniettata in vena. E i resti dei consumi finiscono nelle fogne delle città: secondo uno studio condotto nel 2006 a Torino dalla Smat, la società che fornisce acqua potabile, quotidianamente negli scarichi del capoluogo piemontese e di altri 25 Comuni limitrofi vanno a confluire un chilo e 288 grammi di cocaina: gli «avanzi» del consumo di 13 mila dosi al giorno, 9 ogni mille abitanti. Segno eloquente che il consumo della polvere bianca sta crescendo: chi sniffa in città per «tirare tardi al massimo» e chi lo fa in provincia, per riuscire lavorare di più. Perché, grazie al crollo dei prezzi (dal 2001 al 2006 un grammo è passato da 99 a 83 euro, ma oggi si trova anche a 50) non si tratta più della «droga dei ricchi». Secondo l’ultima relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, circa due milioni di persone hanno fatto uso di cocaina una o più volte nella vita; in testa, nella percentuale dei consumatori, la Lombardia (4,7 per cento).

Chi l’assume, lo sa: lo smercio di coca è ormai diffusissimo e il giro d’affari altrettanto. Il business fa gola a molti: nell’aprile scorso la polizia guineense è stata elogiata dall’Onu per il sequestro di oltre 600 chili di cocaina, per un valore superiore ai 30 milioni di euro; in seguito, però, si è scoperto che i trafficanti si erano accordati con la polizia locale per fuggire con circa due tonnellate e mezzo di droga. «È da biasimare il fatto che non si sia sequestrato il resto della spedizione, ma non sorprende, visto che la polizia era deplorabilmente male equipaggiata e spesso non ha nemmeno sufficiente carburante per i propri veicoli», ha dichiarato Antonio Costa, direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro le droghe e il crimine (Unodc).
Ma una nostra fonte, che vuole restare anonima, conferma «le complicità all’interno del governo: difficile sapere fino a che livello è implicato, sicuramente molto in alto: forse lo stesso Presidente, il capo delle forze armate e della marina, i ministri dell’Interno e della Difesa. Un commercio che avviene in un contesto di anarchia; infatti lo Stato non ha il denaro per pagare i salari dei funzionari, vive degli aiuti internazionali e della cocaina, che beneficia i pochi implicati nel business: dai politici ai militari, dai giudici ai poliziotti corrotti, in Africa come in Europa. E molti dimenticano i mali connessi al traffico: i proventi della coca - che in Guinea costa 10 mila euro al chilo, in Europa arriva a 50 mila - finanziano anche i guerriglieri in Niger e Ciad». Per la nostra fonte, la piccola ex colonia portoghese è diventata «di fatto una colonia colombiana: i narcotrafficanti danno ordini a forze armate, polizia, governo; praticamente, lo Stato lavora per una potenza straniera: una sorta di nuova colonizzazione».
Assodata la dilagante corruzione, la giustizia guineense sembra incapace di far fronte all’emergenza anche per la scarsità di mezzi: le mancano armi, strumenti di intercettazione, radar, ma anche cellulari, auto di servizio, personale qualificato.
La fotografia del problema è stata focalizzata dalla Conferenza internazionale sul traffico di stupefacenti svoltasi a Madrid nel maggio scorso, promossa dai governi spagnolo e statunitense. A ottobre 2007 è sceso in campo Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, con un rapporto sulla situazione nel Paese dell’Africa occidentale: «I trafficanti di droga minacciano di sovvertire la nascente democrazia della Guinea Bissau. Vista l’incapacità del Paese di combattere da solo questo nuovo fenomeno, è necessaria una risposta collettiva. Occorre un supporto tecnico e finanziario da parte dei soci regionali e internazionali». Nella relazione delle Nazioni Unite vengono citati esplicitamente alcuni casi di corruzione di alti funzionari governativi da parte dei narcotrafficanti: «Gli ufficiali che indagano sul narcotraffico sono particolarmente vulnerabili alle pressioni e alle minacce del crimine organizzato. Una questione critica che deve essere affrontata con urgenza è quindi la protezione di questi servitori dello Stato», ha auspicato Ban Ki-moon.

Detto, fatto: nel dicembre scorso, a Lisbona, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas/Cedeao) ha organizzato una Conferenza sul traffico di droga nella regione, a cui hanno partecipato i vertici dell’Unodc. Tra loro, Antonio Mazzitelli, rappresentante dell’Ufficio regionale Unodc in Africa occidentale e centrale. A Mondo e Missione che lo ha interpellato - girandogli il j’accuse di Única, supplemento del settimanale portoghese Expresso, che ha definito la Guinea Bissau un «narco-Stato» -, Mazzitelli replica: «In una situazione complessa mi guardo bene dal dare etichette, facili da mettere ma difficilissime da togliere. La comunità internazionale si è decisa ad affrontare il problema, attraverso l’esame approfondito del Consiglio di sicurezza Onu, prendendo coscienza dell’impatto del traffico sulla vita del Paese e anche dell’area».
Le strategie di contrasto al fenomeno si muovono su tre assi operativi, spiega Mazzitelli: «Lotta alla corruzione, sicurezza e contrasto al narcotraffico, svolgimento regolare delle elezioni nel 2008. In Guinea Bissau è possibile arginare e contenere il narcotraffico solo se si rimette in piedi la giustizia; perseguire i trafficanti e incarcerarli può funzionare solo all’interno di uno Stato di diritto. Non basta il controllo spicciolo delle frontiere». Un programma, dunque, esiste, ma «ci vogliono i fondi per metterlo in pratica. Al momento il Paese non si può permettere di contrastare il narcotraffico, perché non ha i mezzi sufficienti. L’Unodc non ha nessun potere di denuncia di uno Stato, ma di una situazione sì: l’Africa occidentale offre dei vantaggi in termini assoluti di riduzione del rischio economico e di persecuzione giudiziaria, alla base di qualsiasi attività illecita», ricorda Mazzitelli, snocciolando i dati dei sequestri compiuti nel 2007: 5 tonnellate nei Paesi dell’Africa occidentale, di cui la metà in Senegal e circa 650 chili in Guinea Bissau.
Ma è solo la punta dell’iceberg. E i controlli delle rotte transatlantiche? La lotta all’impunità legata al potere economico e finanziario? Nel suo ultimo Rapporto annuale, la Lega guineense dei diritti umani denuncia: «Il traffico e il consumo di droga aumenta, giorno dopo giorno». E accusa alcuni «funzionari dello Stato» di costituire una parte integrante della rete e di essere responsabili in prima persona della sua espansione. «Il fenomeno del contrabbando di stupefacenti si diffonde grazie alla protezione delle forze di difesa e sicurezza del Paese», prosegue il Rapporto, stigmatizzando «le responsabilità di politici e organizzazioni della società civile, compreso il presidente della Repubblica, Joao Bernardo Vieira». Un intreccio di omertà e complicità tale che un cronista locale ha coniato per il suo Paese la definizione di «Stato di camaleonti».
A tali accuse si aggiungono quelle dell’associazione internazionale Reporter senza frontiere: la relazione stilata a novembre 2007, dopo una missione in Guinea Bissau, evidenzia la «situazione precaria» dei giornalisti guineensi, che «vivono costantemente minacciati dai narcotrafficanti colombiani e dai loro complici africani, civili e militari. Quale giornalista vorrebbe, per un salario misero, correre il rischio di essere ucciso? Per evitare la vendetta o il colpo di Stato, la maggioranza dei giornalisti di Bissau hanno optato per l’omertà». Non tutti, però: Allen Embalo, corrispondente a Bissau di Radio France internationale (Rfi) e dell’agenzia France presse (Afp), nel 2005 ha ricevuto le prime minacce per le sue indagini sui narcos e lo scorso anno è stato costretto a trasferirsi in Francia, per motivi di sicurezza.
«Ma i giornalisti - osserva Mazzi-telli - non sono i soli ad essere minacciati: lo è chiunque si opponga al narcotraffico e ha un ruolo operativo in questo campo. Purtroppo però - aggiunge - spesso anche la società civile guineense non è disinteressata e trasparente come sembra». Una zavorra in più per la Guinea Bissau, che - stando ai dati del Rapporto 2007-2008 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo umano (Undp) - si colloca agli ultimi posti nella lista della vivibilità nei Paesi del mondo.


Traffico globale

«Il “buco nero” africano è la nuova frontiera del traffico, di droga e non solo. E l’Africa occidentale ne è la regina». Comincia così il capitolo «Seicento mattoni da un chilo» del volume Narcotica (ISBN, Milano 2007, pp. 416, euro 17,00), in cui viene descritta l’emergenza narcotraffico in Guinea Bissau. Scrive l’autore, Alessandro Scotti: «Sembra che i narcotrafficanti colombiani e venezuelani stiano comprando questo paradiso terrestre, poco a poco, e senza spenderci più di tanto. Lo Stato non ha i mezzi per esercitare le proprie funzioni, né per pagare i suoi dipendenti. In questo contesto sbarcano i narcos».
L’ampio reportage raccoglie sei anni di viaggi e tocca diversi Paesi, esplorando i crocevia del commercio di droghe nel mondo: dalla Guinea Bissau al Myanmar, dal Tagikistan alla Colombia, dal Pakistan alla Liberia, dal Laos alla Giamaica.
Giornalista e fotografo (suoi gli scatti nel volume, alcuni dei quali gentilmente concessi alla nostra rivista dall’Editore), Scotti, in collaborazione con l’Onu, ha sviluppato nel 2002 il progetto De Narcoti-cis, con l’obiettivo di delineare una mappa del narcotraffico che solca il pianeta globalizzato. L’iniziativa ha ricevuto il premio giornalistico tedesco Henri-Nannen (2007) e, nel 2004, il premio Amilcare Ponchielli per il miglior progetto fotografico italiano. (l.bad.)
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