Come definiremmo Caino? Tutti lo identifichiamo come il primo omicida, il criminale, il sovvertitore dell'ordine, l'irrompere della violenza, la barbarie. Ma, per quanto possa sorprendere, la Bibbia dice che Caino (Gen.4,17) è il fondatore della città, cioè della civiltà, l'instauratore dell'ordine e della legge. Dopo l'assassinio del fratello Abele, il Signore gli mostra quanto è orrendo il suo atto e visto il terrore di Caino (“Chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”), proclama:“Chiunque ucciderà caino subirà la vendetta sette volte!”. Poi “impose a Caino un segno, perchè non lo colpisse chiunque lo avesse incontrato”. Una pagina profonda e misteriosa. Da cui prendiamo questi elementi: il divieto da parte di Dio di uccidere Caino e il fatto che proprio lui, l'assassino, diventa il fondatore della civiltà, cioè di una città (Enoch, dal nome del figlio) che sorge dal deserto e che, insieme alla legge e al rito, vede fiorire la tecnologia, con Tubalkàin, e l'arte con Iabal.
Scrive James Williams:“Il segno di Caino è il segno della civiltà. E' il segno dell'assassino protetto da Dio”. Naturalmente l'idea dell'“assassinio fondatore” è un classico in tutte le culture. Anche Roma nasce dall'assassinio di Remo. Cosa rende unico il testo biblico? “L'assassinio di Remo ci pare un atto forse deplorevole - scrive René Girard - ma giustificato dalla trasgressione della vittima. Remo non ha rispettato il limite ideale tracciato da Romolo tra l'interno e l'esterno della città”. In tutti i miti fondatori la vittima è colpevole. “Nel mito di Caino invece - nota Girard - Caino ci è presentato come un volgare assassino”. Certo, poi Dio risponderà al suo appello per scongiurare il conflitto generalizzato e questa situazione di effimera tregua è appunto la civiltà.
Ma così la Bibbia demitizza tutti i miti fondatori della civiltà: rivela infatti che “la vittima è innocente e che la cultura fondata sull'assassinio- conclude Girard - mantiene dall'inizio alla fine un carattere omicida che finisce per ritorcersi contro di essa e distruggerla, una volta esaurite le virtù ordinatrici e sacrificali dell'origine violenta”. Tanto è vero che “la legge contro l'assassinio non è nient'altro che la ripetizione dell'assassinio. Ciò che la distingue dalla vendetta selvaggia è il suo significato, più che la sua natura intrinseca” (Girard). In soldoni, è proprio Caino ad aver affermato nel mondo “la pena di morte”, che non è un opporsi al male con il bene, ma un tentativo di limitare la vendetta generalizzata col monopolio dell'omicidio attribuito a un solo soggetto con funzioni d'ordine: lo Stato.
Agostino nella Città di Dio ricorda che un giorno Alessandro Magno cattura un pirata e gli chiede perchè mai infesti i mari. Quello gli risponde: “Per lo stesso motivo per cui tu infesti la terra. Ma poiché io lo faccio con una barca insignificante, mi chiamano malfattore, e poichè tu lo fai con una flotta eccezionale, ti chiamano imperatore”. Agostino definisce “vera e opportuna” questa risposta, aggiungendo tre righe esplosive: “Rinunciato alla Giustizia, cosa sono gli Stati se non una grossa accozzaglia di malfattori? Anche i malfattori del resto, non formano dei piccoli Stati?”. Secondo Agostino, se una banda di malfattori “si allarga sempre più, occupa una regione, fissa una sede, conquista città e soggioga popoli, assume più apertamente il nome di regno, che non gli viene dalla rinuncia alla cupidigia, ma dal conseguimento dell'impunità”.
Questa è la storia politica, almeno dell'antichità. Per questo i cristiani hanno fin dall'inizio un atteggiamento di rispetto delle “potestà terrene”, ma con una radicale diffidenza: sanno di essere stranieri. “Il fondatore della città terrena fu un fratricida”, e su tutta la civiltà grava la dinamica omicida. L'unica novità - per lui - accade quando da questa “progenie condannata fin dall'origine” nasce la “città di Dio”, formata da chi, senza alcun merito,“predestinato e scelto dalla grazia” è “reso straniero sulla terra”. Si chiama “grazia” l'irrompere di Dio nella storia umana.
L'Incarnazione rivela che solo in Dio non c'è alcuna violenza. Gesù infatti non si oppone alla violenza, si consegna nelle mani dei suoi carnefici, accetta ogni sofferenza che essi vogliono infliggergli e invoca il perdono su di loro. Così si rivela all'uomo una forza fino ad allora sconosciuta, l'Amore, che è più potente e più originaria di quelle della violenza e del potere a cui obbedisce Caino. Così Gesù spazza via le religioni che fin dalle origini avevano pensato il divino come tirannia e il rapporto con esso come sacrificio, cioè violenza ritualizzata. Per ben due volte infatti, nel vangelo, Gesù cita il detto di Osea: “Misericordia io voglio e non sacrificio”.
Un'ultima curiosità. Tommaso Federici ha studiato le genealogie bibliche. Secondo lui il clan discendente da Caino, i Qeniti, sarebbe stato assimilato da Israele, nella tribù di Giuda, stanziandosi nella regione di Betlemme. E attraverso Davide da quel ceppo familiare sarebbe disceso anche Gesù. Dunque “i Davididi sono i Qeniti o Cainiti”. Ecco “sopra quale abisso è disceso l'Immortale Eterno per assumere la carne dei peccatori. Cristo Signore così riassume in sé ogni Caino d'ogni tempo, per salvarlo”, scrive Federici e Gesù dunque è “il segno” che Dio aveva posto sopra Caino “per cui questi ha salva la vita”.
Non il segno provvisorio e ambivalente della civiltà e della legge, ma quello della grazia.
Antonio Socci
Il Foglio, 12 giugno 2001
Andare davanti al giudice, dirgli: “Ho commesso un delitto.
Quella povera creatura non sarebbe morta se io non l'avessi uccisa.
Io Tullio Hermil, io stesso l'ho uccisa.
Ho premeditato l'assassinio nella mia casa.
L'ho compiuto con una perfetta lucidità di coscienza, esattamente,
nella massima sicurezza. Poi ho seguitato a vivere con il mio segreto nella mia casa,
un anno intero, fino ad oggi. Oggi è l'anniversario.
Eccomi nelle vostre mani. Ascoltatemi, giudicatemi”.
Posso andare davanti al giudice, posso parlargli così?
Non posso né voglio. La giustizia degli uomini non mi tocca.
Nessun tribunale della terra saprebbe giudicarmi.
Eppure bisogna che io mi accusi, che io mi confessi.
Bisogna che io riveli il mio segreto a qualcuno.
A chi?
Gabriele D'Annunzio
L'innocente
e abastanza lungo