L’ultima sua registrazione che l’organista Enrico Viccardi ha dedicato a Das Orgelbüchlein di Johann Sebastian Bach, pubblicato dalla Da Vinci Classics, ci permette di fare qualche accenno su quello che Albert Schweitzer considerò, con riverente commozione, il “dizionario della lingua musicale”, una meravigliosa raccolta enciclopedica progettata sulla base di un principio sistematico che unisce in modo a dir poco unico diverse esigenze, a cominciare da quella di educare e preparare la capacità esecutiva dell’organista principiante, continuando con una chiara esemplificazione, in chiave musicale, fideistica e, parallelamente, il rispetto e l’adesione dei compiti liturgici da parte della comunità protestante. Come si sa, questo vero e proprio edificio artistico fu intrapreso da Bach durante il suo soggiorno a Weimar nel 1714, per essere poi interrotto due anni dopo; quindi, si tratta di un progetto rimasto incompiuto, con quarantacinque Corali ultimati sui 164 previsti, con un piano elaborato dal futuro Kantor sui testi pubblicati nel 1713 da Johann Leonhard Mumbach per disciplinare la liturgia a Weimar, anche se poi adottò un diverso criterio organizzativo, iniziando quindi dai canti delle festività anziché da quelli del servizio regolare.



La cover del CD Da Vinci Classics dedicato a Das Orgelbüchlein di Johann Sebastian Bach.


Ma, al di là della sua funzione squisitamente liturgica, Das Orgelbüchlein rappresenta il primo, assoluto vertice della volontà didattica bachiana, in cui il principio elaborativo viene costruito per gradi sempre più crescenti, in fatto di complessità e di difficoltà, per ciò che riguarda il costrutto contrappuntistico presente nei Corali. Senza però dimenticare anche l’apporto espressivo di questi capolavori e il potente significato simbolico insito in essi. Non per nulla sono proprio questi quarantacinque corali a incarnare la chiara volontà di Bach di rivestirli di un intento numerologico e ghematrico, come poi avverrà con ancora maggiore lucidità logica nel Kunst der Fuge e, soprattutto, nella Musikalische Opfer, arrivando al punto di suggerire, come ha fatto l'organista francese Georges Guillard, ma qui entriamo in un territorio a dir poco minato, doti veggenti del Kantor, il quale sarebbe stato in grado di predire addirittura il giorno della sua morte, poiché se si prendono a oggetto i corali della morte e resurrezione di Cristo, che ammontano a quattordici, ci si rende conto che tale numero corrisponde alla somma delle lettere che formano la parola BACH; inoltre, le loro 287 battute complessive potrebbero simboleggiare 28.7, ossia la data del 28 luglio che corrisponde al giorno e al mese del 1750 quando il sommo compositore morì. Attenzione, però, a non estremizzare, in quanto così facendo si rischia solo di andare a cercare aspetti del tutto grossolanamente esoterici che possono affascinare i lettori dei romanzi di Dan Brown o dei saggi bislacchi del trio formato da Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln. Una cosa dev’essere ben chiara: l’adozione di sistemi di riferimento numerici per Bach è utile non per infarcire di possibili enigmi le sue composizioni musicali, ma per creare, in termini ancora una volta didattici, un filo “occulto” all’interno della struttura generale che governa la creazione e perfino l’improvvisazione dei suoi lavori musicali. Con i numeri Bach non vuole tanto celare, quanto organizzare.


Certo, come fa giustamente notare lo stesso Enrico Viccardi nelle note che accompagnano la presente registrazione, gli esempi numerologici non mancano, a cominciare dal fatto che la composizione dei 164 Corali fu probabilmente interrotta di proposito da Bach, tenuto conto che quarantacinque corrisponde al numero dei libri che formano l’Antico Testamento, mentre, tanto per continuare a dare i numeri, ventisette, ossia il numero dei brani raccolti nella Terza Parte del Klavierübung, corrisponde ai libri che danno vita al Nuovo Testamento (fermo restando che oggigiorno le Chiese protestanti riconoscono trentanove libri, così come la religione ebraica, mentre il credo cattolico e il canone alessandrino ne contemplano quarantasette).


Nella sua efficace e dotta introduzione alla registrazione, l’organista lodigiano entra in merito ad alcuni dei Corali che fanno parte de Das Orgelbüchlein, con il chiaro intento, giustamente, di mettere in risalto la sagacia architettonica che si cela dietro questi capolavori, un’architettura che ha sempre, ed è il caso di ribadirlo, una valenza prettamente teologica; a cominciare dal primo Corale, Nun komm, der Heiden Heiland BWV 599, il quale attraverso la sua quadrupla di sedicesimi con cui prende avvio, si materializza simbolicamente la figura di una croce e se si unisce la prima alla terza nota, e la seconda alla quarta, si ottiene la lettera greca χ, che oltre a formare la croce in questione, è anche l’iniziale del nome di Cristo. Ebbene, tale figurazione appare quattordici volte in tutto il Corale e se si assegnano dei valori alle lettere dell’alfabeto, attraverso il principio ghematrico, il numero quattordici risulta dalla somma di B (2), A (1), C (3) e H (8). E qui subentra il risvolto teologico, il significato ultimo che Bach vuole dare alla composizione, ossia che la presenza di questa croce in un Corale elaborato per il periodo dell’Avvento prefigura già la passione e la morte che Cristo dovrà affrontare; inoltre, la presenza del nome del Kantor celato in esso potrebbe esprimere il fatto che Cristo s’incarna e si sacrifica per ogni singolo essere umano, allegoricamente rappresentato dal compositore stesso.



L'autografo del Corale Das alte Jahr vergangen ist BWV 614.


Questa straordinaria e commovente capacità di creare con la precisa consapevolezza di poterne anche proiettare la sua costruzione architettonica/teologica è presente anche nel Corale che segue, Gott, durch deine Güte (o Gottes Sohn ist kommen) BWV 600 che rappresenta è uno dei pochissimi brani di Bach che vanta precise indicazioni per ciò che riguarda il registro; così per i manuali è indicato il Principal 8 Fuss, mentre per i pedali viene indicato il Trompete 8 Fuss. Ora, il Corale mostra un canone all’ottava tra Soprano e Tenore e illustra come Cristo sia venuto per indicarci il cammino che conduce fino a lui. Inoltre, bisogna notare, come avviene in questo Corale, che quando Bach affida un cantus firmus alla voce del Tenore, lo fa quasi sempre in quanto nei testi sacri (ecco il risvolto teologico) la figura del Cristo viene menzionata come mediatrice tra Dio e l’uomo e questo perché la voce del Tenore si trova idealmente tra il basso e l’alto nei manuali. Lo stesso Viccardi precisa che alla battuta 16 alcune edizioni aggiungono un segno naturale sul primo si nella parte del contralto, mentre in realtà nel manoscritto ci si rende conto che si tratta di un si bemolle: ebbene, se si lascia quella nota come riportato nell’autografo, vengono a formarsi le note, riportate ovviamente nella notazione tedesca, B (si bemolle), A, C, H (si naturale), ossia, ancora una volta, BACH.


Un’altra peculiarità insita nel modo di comporre da parte di Bach è data dalla capacità di fornire un’idea, un’impressione di contrasto tra un brano e quello che immediatamente lo segue, come appunto accade nei corali Das alte Jahr vergangen ist BWV 614 e In dir ist Freude BWV 615, scritti per la fine di un anno e per l’inizio di uno nuovo. In questo caso il BWV 614 (costituito da dodici battute, come i mesi di un anno) esprime tutta la sofferenza, il dolore e le immancabili preoccupazioni dell’anno che si chiude; tutte emozioni racchiuse da un tetracordo cromatico, che dà luogo a un moto malinconico e struggente, mentre, al contrario, il BWV 615 incarna pienamente una grande felicità per l’anno appena nato, carico di promesse e di speranze. Ciò viene musicalmente reso dalle prime quattro note del Corale che si ascoltano quattordici volte, più volte riproposte da ciascuna delle quattro voci, come se si trattasse di un gioioso rintocco di campane, prima dell’ingresso del secondo frammento del cantus firmus. Da parte sua, la pedaliera rafforza il sentimento di grande gioia attraverso una tipica figurazione dal carattere ostinato; senza contare che le prime dodici battute non contengono alterazioni aggiunte rispetto a quelle in tonalità, con il risultato di esprimere simbolicamente l’augurio che i dodici mesi appena iniziati rimangano immutati, senza arrecare né dolore né sofferenza.


Giustamente, Enrico Accardi si sofferma anche sul Corale della Passione O Mensch, bewein dein Sünde groß BWV 622, posto a metà della raccolta, come a fare da spartiacque tra un prima e un dopo; un prima rappresentato idealmente, a livello di accordo, da quello precedente, il corale Da Jesu an dem Kreuze Stund BWV 621, che si conclude su un accordo di mi maggiore. Forse, con la volontà di accennare a un inchino davanti al mistero supremo, Bach scelse tale chiave anche per il BWV 622. L’importanza di O Mensch, bewein dein Sünde groß è data anche dalla sua durata che, con i suoi oltre sette minuti, è il più lungo di tutto Das Orgelbüchlein: una lunghezza che permette al Kantor di sfruttarne a pieno la sua profondità espressiva basata sui testi di Sebal Heyden, che narrano i capitoli fondamentali della vita di Cristo.


Da parte mia, sempre sulla base dell’assioma dato dalla costruzione architettonica e dal substrato teologico, mi limito a ricordare il Corale Vom Himmel kam der Engel Schaar BWV 607, la cui struggente melodia è di Michael Praetorius, dove il movimento dei sedicesimi contenuti in successioni di scale ascendenti e discendenti intende simbolizzare il movimento della schiera degli angeli nell’immensità del cielo, così come il Corale Jesu, meine Freude BWV 610, il cui carattere contemplativo insito sia nel testo, sia nella melodia esprimono il significato dell’innocente e profonda contemplazione del piccolo Gesù, oltre a esprimere, da parte della comunità dei fedeli, l’intima gioia spirituale per la venuta di Gesù, ossia del puro Agnello, lungamente atteso. Infine, il densissimo Corale Hilf Gott, dass mir’s gelinge BWV 624, la cui melodia ha forse un’origine secolare di autore ignoto, risalente probabilmente al 1545. Si tratta di un brano che pone in rilievo la meditazione sulla morte di Gesù, sulla divulgazione della sua parola per mezzo dei dodici Apostoli e sul confronto divino che l’uomo può avere grazie alla preghiera, senza dimenticare che la dodicesima strofa dell’inno accenna alla discesa dello Spirito Santo che porta la parola di conforto e di verità divina, secondo quanto viene enunciato dal Vangelo secondo Giovanni, il più escatologico e misterico. Proprio partendo da tale assunto teologico, si può comprendere meglio il movimento di scale a terzine (simboleggianti la Trinità) ascendenti e discendenti che Bach fa enunciare con la mano sinistra nel corso del Preludio e che accompagnano un canone alla quinta inferiore.



L'organista lodigiano Enrico Viccardi.


Enrico Viccardi ha registrato Das Orgelbüchlein sul mirabile organo Daniele Maria Giani che si trova nella Chiesa del Governatorato in Vaticano; ascoltando con attenzione la sua interpretazione, si può riassumerla e condensarla con due parole: rigore e amore. Due termini che a volte, in una lettura musicale, possono entrare in contrasto o dare vita a una possibile aporia, in quanto il rigore è come un buco nero che tutto assorbe nella sua fredda applicazione, svilendo il dono di un’espressività che al contrario emana calore, umana presenza, capacità di trasmettere emozioni profonde. Ma può anche capitare che la sensibilità di un interprete sia in grado di saper conciliare questi due apparenti poli opposti, ed è quanto riesce a fare l’organista lodigiano, il quale mette in atto quel rigore da lui anticipato idealmente dalle note di accompagnamento, le quali vanno a scavare sia l’aspetto architettonico, che necessita del giusto e irrinunciabile rigore senza il quale tutto l’edificio crollerebbe, sia quello espressivo, poiché, fino a prova contraria, la musica di Bach è prima di tutto amore, il quale viene irradiato attraverso una struttura logica che non ha paragoni in tutta la storia della musica colta occidentale. Viccardi, quindi, dimostra di essere un ottimo “mediatore” tra la sfera della mirabile forma incarnata dai Corali de Das Orgelbüchlein e quella data dal messaggio teologico presente in essi, un messaggio che non vuole essere solo l’emanazione del logos divino, ma il sentimento, almeno per coloro che sono guidati dal proprio fideismo, che si cela in esso. Ma, oltre a ciò, resta la bellezza del gesto interpretativo, la capacità di disciplinare la densissima materia di cui sono fatti questi Corali, di saperli inserire in un’ideale arcata generale che li governa e li unisce come atto d’amore che l’uomo dona al divino. Ecco, il punto è proprio questo, poiché la lettura di Enrico Viccardi, pur nel suo rigore estremo, è scevra da ogni tentazione di fredda tecnica esecutiva, di pura resa formale che tende a esaltare la pur commovente struttura armonica che forma le fondamenta di questo edificio chiamato Das Orgelbüchlein, per offrire all’ascoltatore una lezione di umanità, di conciliazione tra i bisogni e le paure dell’uomo e la rassicurante presenza di un’idea divina. E non è facile ottenere questo tipo di risultato attraverso una musica che è guidata da una matematica liquida, fissata nel pentagramma.


Certo, mi piace pensare che questa lettura, così densa e amorevole, Viccardi l’abbia pensata, formulata, immaginata attraverso la decisione di servirsi di un organo moderno, ma anche così tenacemente tradizionale nella sua emissione timbrica, come quello che si trova nella Chiesa del Governatorato in Vaticano, la cui ricchezza nei manuali e nella pedaliera, oltre a esaltare debitamente i registri acuti e quelli gravi, in grado di rispondere degnamente alla ricerca di sfumature, di accenni da parte di chi lo suona, si unisce al fatto di essere allo stesso tempo declamatorio, trionfante, possente nel voler irradiare il dialogo uomo/divino.


La presa del suono, effettuata da Federico Savio, denota prima di tutto una dinamica congrua, energica e più che lodevole nella sua naturalezza, una dinamica a dir poco indispensabile, tenuto conto che a livello di palcoscenico sonoro l’organo Giani è posto a una notevole profondità, capace di ricostruire l’ambiente nel quale è ospitato e la spazialità della chiesa, con un riverbero dosato e ridotto giustamente ai minimi termini. E che il riverbero faccia il suo dovere si capisce anche dal parametro dell’equilibrio tonale, capace di riprodurre sempre adeguatamente le continue sollecitazioni date dal registro grave e da quelle del medio-acuto, senza che si avvertano indebiti impasti timbrici. Il dettaglio è buono, anche se non scultoreo, in quanto, a causa della notevole profondità spaziale in cui è ricostruito lo strumento, la messa a fuoco a volte appare un poco granulare, anche se non viene mai meno la sua matericità.