Come previsto, ecco un film che divide.
Stroncature ed esaltazioni, come di regola nelle opere estreme.
A me pare che dipenda tutto da ciò che si vuole da un film.
Se si ritengono trama, sviluppo, dialoghi, elementi irrinunciabili per la visione, sarà difficile apprezzare l'ultima fatica di Malick.
Ma se se l'approccio prescinde da caratteri precisi e vale solo l'onda "emozionale", eccovi un capolavoro.
Innanzitutto, sotto le vesti di un intellettualismo formale questo è un film popolare. Le tematiche espresse dalle voci fuori campo sono brani di disperazione contadina, umanissime al limite del banale e verissime. L'inconciliabità di misericordia divina e dolore umano appartiene al substrato razionale del nostro genere. E a quelle semplicissime ed angosciate domande il regista risponde con meravigliose immagini della natura, delegando ad ognuno la risposta che vuole a fronte della magnificenza del creato.
Questo è un film "religioso" ma solo nel senso che ad esso ci si deve affidare senza chiedere.
E' un film filosofico perchè filosofia è innanzitutto domanda e non risposta.
Malick fa cinema nel più alto senso possibile, perchè sa che il suo è un lavoro di immagini. Una delle cose più belle è la rinunzia ad un inquadramento razionale e verbale. Se ho capito qualcosa (e posso benissimo sbagliarmi), questo è un film che si rivolge a quella parte di noi non soggetta a spazio e tempo, quella parte che si limita a testimoniare la vita ma che è già oltre ogni cosa.
...quanti anni ho sotto il cielo...