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Sant'Ignazio di Antiochia

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 07:39
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04/09/2009 21:42

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 14 marzo 2007

 

Sant’Ignazio d’Antiochia

Cari fratelli e sorelle,

nel nostro nuovo ciclo di catechesi appena iniziato stiamo passando in rassegna le principali personalità della Chiesa nascente. La scorsa settimana abbiamo parlato di Papa Clemente I, terzo Successore di san Pietro. Oggi parliamo di sant’Ignazio, che è stato il terzo Vescovo di Antiochia, dal 70 al 107, data del suo martirio. In quel tempo Roma, Alessandria e Antiochia erano le tre grandi metropoli dell’Impero romano. Il Concilio di Nicea parla di tre «primati»: ovviamente, quello di Roma, ma vi erano poi anche Alessandria e Antiochia che vantavano un loro «primato». Sant’Ignazio, come s’è detto, era Vescovo di Antiochia, che oggi si trova in Turchia. Qui, in Antiochia, come sappiamo dagli Atti degli Apostoli, sorse una comunità cristiana fiorente: primo Vescovo ne fu l’apostolo Pietro – così ci dice la tradizione –, e lì «per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26). Eusebio di Cesarea, uno storico del IV secolo, dedica un intero capitolo della sua Storia Ecclesiastica alla vita e all’opera letteraria di Ignazio (3,36). «Dalla Siria», egli scrive, «Ignazio fu mandato a Roma per essere gettato in pasto alle belve, a causa della testimonianza da lui resa a Cristo. Compiendo il suo viaggio attraverso l’Asia, sotto la custodia severa delle guardie» [che lui chiama «dieci leopardi» nella sua Lettera ai Romani 5,1], «nelle singole città dove sostava, con prediche e ammonizioni, andava rinsaldando le Chiese; soprattutto esortava, col calore più vivo, di guardarsi dalle eresie, che allora cominciavano a pullulare, e raccomandava di non staccarsi dalla tradizione apostolica» (3,36,3-4). La prima tappa del viaggio di Ignazio verso il martirio fu la città di Smirne, dove era Vescovo san Policarpo, discepolo di san Giovanni. Qui Ignazio scrisse quattro lettere, rispettivamente alle Chiese di Efeso, di Magnesia, di Tralli e di Roma. «Partito da Smirne», prosegue Eusebio, «Ignazio venne a Troade, e di là spedì nuove lettere»: due alle Chiese di Filadelfia e di Smirne, e una al Vescovo Policarpo. Eusebio completa così l’elenco delle lettere, che sono giunte a noi come un prezioso tesoro. Leggendo questi testi si sente la freschezza della fede della generazione che ancora aveva conosciuto gli Apostoli. Si sente anche in queste lettere l’amore ardente di un Santo. Finalmente da Troade il martire giunse a Roma, dove, nell’Anfiteatro Flavio, venne dato in pasto alle bestie feroci.

Nessun Padre della Chiesa ha espresso con l’intensità di Ignazio l’anelito all’unione con Cristo e alla vita in Lui. Perciò abbiamo letto il brano evangelico sulla vigna, che secondo il Vangelo di Giovanni è Gesù. In realtà, confluiscono in Ignazio due «correnti» spirituali: quella di Paolo, tutta tesa all’unione con Cristo, e quella di Giovanni, concentrata sulla vita in Lui. A loro volta, queste due correnti sfociano nell’imitazione di Cristo, più volte proclamato da Ignazio come «il mio» o «il nostro Dio». Così Ignazio supplica i cristiani di Roma di non impedire il suo martirio, perché è impaziente di «congiungersi con Gesù Cristo». E spiega: «E’ bello per me morire andando verso (eis) Gesù Cristo, piuttosto che regnare sino ai confini della terra. Cerco Lui, che è morto per me, voglio Lui, che è risorto per noi ... Lasciate che io sia imitatore della Passione del mio Dio!» (Romani 5-6). Si può cogliere in queste espressioni brucianti d’amore lo spiccato «realismo» cristologico tipico della Chiesa di Antiochia, più che mai attento all’incarnazione del Figlio di Dio e alla sua vera e concreta umanità: Gesù Cristo, scrive Ignazio agli Smirnesi, «è realmente dalla stirpe di Davide», «realmente è nato da una vergine», «realmente fu inchiodato per noi» (1,1).

L’irresistibile tensione di Ignazio verso l’unione con Cristo fonda una vera e propria «mistica dell’unità». Egli stesso si definisce «un uomo al quale è affidato il compito dell’unità» (Filadelfiesi 8,1). Per Ignazio l’unità è anzitutto una prerogativa di Dio che, esistendo in tre Persone, è Uno in assoluta unità. Egli ripete spesso che Dio è unità, e che solo in Dio essa si trova allo stato puro e originario. L’unità da realizzare su questa terra da parte dei cristiani non è altro che un’imitazione, il più possibile conforme all’archétipo divino. In questo modo Ignazio giunge a elaborare una visione della Chiesa, che richiama da vicino alcune espressioni della Lettera ai Corinti di Clemente Romano. «E’ bene per voi», scrive per esempio ai cristiani di Efeso, «procedere insieme d’accordo col pensiero del Vescovo, cosa che già fate. Infatti il vostro collegio dei presbiteri, giustamente famoso, degno di Dio, è così armonicamente unito al Vescovo come le corde alla cetra. Per questo nella vostra concordia e nel vostro amore sinfonico Gesù Cristo è cantato. E così voi, ad uno ad uno, diventate coro, affinché nella sinfonia della concordia, dopo aver preso il tono di Dio nell’unità, cantiate a una sola voce» (4,1-2). E dopo aver raccomandato agli Smirnesi di non «intraprendere nulla di ciò che riguarda la Chiesa senza il Vescovo» (8,1), confida a Policarpo: «Io offro la mia vita per quelli che sono sottomessi al Vescovo, ai presbiteri e ai diaconi. Possa io con loro avere parte con Dio. Lavorate insieme gli uni per gli altri, lottate insieme, correte insieme, soffrite insieme, dormite e vegliate insieme come amministratori di Dio, suoi assessori e servi. Cercate di piacere a Colui per il quale militate e dal quale ricevete la mercede. Nessuno di voi sia trovato disertore. Il vostro Battesimo rimanga come uno scudo, la fede come un elmo, la carità come una lancia, la pazienza come un’armatura» (6,1-2).

Complessivamente si può cogliere nelle Lettere di Ignazio una sorta di dialettica costante e feconda tra due aspetti caratteristici della vita cristiana: da una parte la struttura gerarchica della comunità ecclesiale, e dall’altra l’unità fondamentale che lega fra loro tutti i fedeli in Cristo. Di conseguenza, i ruoli non si possono contrapporre. Al contrario, l’insistenza sulla comunione dei credenti tra loro e con i propri pastori è continuamente riformulata attraverso eloquenti immagini e analogie: la cetra, le corde, l’intonazione, il concerto, la sinfonia. E’ evidente la responsabilità peculiare dei Vescovi, dei presbiteri e dei diaconi nell’edificazione della comunità. Vale anzitutto per loro l’invito all’amore e all’unità. «Siate una cosa sola», scrive Ignazio ai Magnesi, riprendendo la preghiera di Gesù nell’Ultima Cena: «Un’unica supplica, un’unica mente, un’unica speranza nell’amore ... Accorrete tutti a Gesù Cristo come all’unico tempio di Dio, come all’unico altare: Egli è uno, e procedendo dall’unico Padre, è rimasto a Lui unito, e a Lui è ritornato nell’unità» (7,1-2). Ignazio, per primo nella letteratura cristiana, attribuisce alla Chiesa l’aggettivo «cattolica», cioè «universale»: «Dove è Gesù Cristo», egli afferma, «lì è la Chiesa cattolica» (Smirnesi 8,2). E proprio nel servizio di unità alla Chiesa cattolica, la comunità cristiana di Roma esercita una sorta di primato nell’amore: «In Roma essa presiede degna di Dio, venerabile, degna di essere chiamata beata ... Presiede alla carità, che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre» (Romani, prologo).

Come si vede, Ignazio è veramente il «dottore dell’unità»: unità di Dio e unità di Cristo (a dispetto delle varie eresie che iniziavano a circolare e dividevano l’uomo e Dio in Cristo), unità della Chiesa, unità dei fedeli «nella fede e nella carità, delle quali non vi è nulla di più eccellente» (Smirnesi 6,1). In definitiva, il «realismo» di Ignazio invita i fedeli di ieri e di oggi, invita noi tutti a una sintesi progressiva tra configurazione a Cristo (unione con Lui, vita in Lui) e dedizione alla sua Chiesa (unità con il Vescovo, servizio generoso alla comunità e al mondo). Insomma, occorre pervenire a una sintesi tra comunione della Chiesa all’interno di sé e missione-proclamazione del Vangelo per gli altri, fino a che attraverso una dimensione parli l’altra, e i credenti siano sempre più «nel possesso di quello Spirito indiviso, che è Gesù Cristo stesso» (Magnesi 15).  

Implorando dal Signore questa «grazia di unità», e nella convinzione di presiedere alla carità di tutta la Chiesa (cfr Romani, prologo), rivolgo a voi lo stesso augurio che conclude la lettera di Ignazio ai cristiani di Tralli: «Amatevi l’un l’altro con cuore non diviso. Il mio spirito si offre in sacrificio per voi, non solo ora, ma anche quando avrà raggiunto Dio ... In Cristo possiate essere trovati senza macchia» (13). E preghiamo affinché il Signore ci aiuti a raggiungere questa unità e ad essere trovati finalmente senza macchia, perché è l’amore che purifica le anime.

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05/09/2009 06:42

Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero

Dalla "Lettera ai cristiani di Magnesia" di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 1,1-5,2; Funk 1,191-195)
Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero



 

 

Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa benedetta dalla grazia di Dio Padre, in Cristo Gesù nostro Salvatore: in lui saluto questa chiesa che è a Magnesia sul Meandro e le auguro di godere ogni bene in Dio Padre e in Gesù Cristo.Ho appreso che la vostra carità è perfettamente ordinata secondo Dio. Ne ho provato grande gioia e ho deciso di rivolgere a voi la parola nella fede di Gesù Cristo. Insignito d'un'altissima onorificenza, cioè delle catene che porto ovunque con me, canto le lodi delle chiese e auguro loro l'unione con la carne e lo spirito di Gesù Cristo, nostra vita eterna, nella fede e nella carità, più desiderabile e preziosa d'ogni bene. Auspico per loro soprattutto l'unione con Gesù e il Padre. In lui resisteremo a ogni assalto del principe di questo mondo, sfuggiremo dalle sue mani e giungeremo a Dio.Ho avuto la grazia di vedervi nella persona del vostro vescovo Damas, uomo veramente degno di Dio, dei santi presbiteri Basso e Apollonio e del diacono Sozione, mio compagno nel servizio del Signore. Possa io trarre profitto dalla presenza di Sozione, perché è sottomesso al vescovo come alla grazia di Dio e al collegio dei presbiteri come alla legge di Gesù Cristo.Non dovete approfittare della giovane età del vescovo, ma avere per lui ogni rispetto, considerando l'autorità che gli è stata conferita da Dio Padre. So che fanno così anche i venerandi presbiteri, che non abusano della sua evidente età giovanile, ma, da uomini prudenti in Dio, gli stanno soggetti vedendo in lui non la sua persona, ma il Padre di Gesù Cristo, vescovo di tutti. Ad onore di colui che ci ama conviene ubbidire senza ombra di finzione perché altrimenti non si inganna questo vescovo visibile, ma si cerca di ingannare quello invisibile. Qui non si tratta di cose che riguardano la carne, ma Dio, che conosce i segreti dei cuori.Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero. Ci sono alcuni che hanno sì il nome del vescovo sulle labbra, ma poi fanno tutto senza di lui. Mi pare che costoro non agiscano con retta coscienza, perché le loro riunioni non sono legittime, secondo il comando del Signore.Tutte le cose hanno fine, e due termini ci stanno davanti, la vita e la morte. Ciascuno andrà al posto che gli spetta. Vi sono, per così dire, due monete, quella di Dio e quella del mondo e ciascuna porta impresso il proprio contrassegno. I non credenti hanno l'impronta di questo mondo, ma i fedeli che sono nella carità portano impressa l'immagine di Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo. Se noi, con la grazia sua, non siamo pronti a morire per partecipare alla sua passione, la sua vita non è in noi.

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05/09/2009 06:47

Avete Cristo in voi

Dalla "Lettera ai cristiani di Magnesia" di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 10,1-15; Funk 1,199-203)
Avete Cristo in voi


 

 

Non ci avvenga di essere insensibili alla bontà di Cristo. Se egli ci trattasse secondo le nostre opere, saremmo perduti.Facciamoci davvero suoi discepoli e impariamo a vivere secondo le esigenze del cristianesimo. Chi si chiama con un altro nome fuori di questo non appartiene a Dio. Gettate via il cattivo fermento, vecchio e inacidito, e trasformatevi nel nuovo che è Gesù Cristo. Sia lui il sale della vostra vita e nessuno di voi si corrompa, perché sarete riconosciuti per quello che siete realmente.È assurdo confessare Gesù Cristo e vivere da giudei. Non è il cristianesimo che credette nel giudaismo, ma è il giudaismo che deve credere nel cristianesimo, destinato ad abbracciare tutti quelli che credono in Dio.Vi scrivo queste cose, miei cari, non perché abbia saputo che alcuni di voi seguano teorie false su questo punto, no. Voglio piuttosto, mettervi in guardia, per quanto inferiore a voi, perché non siate presi nei lacci di dottrine sospette.Siate pienamente convinti della nascita, della passione e della risurrezione di Gesù che avvenne al tempo in cui era procuratore Ponzio Pilato. Tutte queste cose le ha realmente compiute, e non c'è dubbio, Gesù Cristo, nostra speranza, e a nessuno di voi capiti la sventura di allontanarsi da lui.Mi auguro di poter godere di voi sotto ogni aspetto, se pur ne son degno. Dico così perché sebbene io sia in catene per la fede, non potrei paragonarmi con alcuno di voi che siete liberi. So che non vi insuperbite, perché avete in voi Gesù Cristo. Anzi, quando vi lodo, ne provate rossore come sta scritto: Il giusto accusa se stesso (cfr. Pro 18,17).Cercate di essere ben saldi nella dottrina del Signore e degli apostoli, perché riesca tutto quello che fate (cfr. Sal 1,3) per la vita del corpo e dello spirito, nella fede e nella carità, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito Santo, all'inizio e alla fine, insieme con il vostro degnissimo vescovo, con la splendida corona spirituale del vostro presbiterio e con i diaconi che sono secondo il cuore di Dio. Siate sottomessi al vescovo ed anche gli uni agli altri, come Gesù Cristo, in quanto uomo, fu sottomesso al Padre e gli apostoli a Cristo, al Padre e allo Spirito Santo, perché ci sia unione perfetta in carne e spirito.Sapendo che siete pieni di Dio, non vi faccio lunghe esortazioni. Ricordatevi di me nelle vostre preghiere perché possa giungere a Dio. Pregate anche per la chiesa di Siria, della quale non son degno di essere chiamato membro. Ho bisogno della preghiera e della carità di tutti voi: unitele e offritele insieme a Dio, perché la chiesa di Siria meriti di essere irrorata di rugiada celeste grazie alla vostra chiesa.Da Smirne, da dove vi scrivo queste righe, vi salutano i fedeli di Efeso. Essi sono qui presenti a gloria di Dio, e lo siete anche voi per mezzo dei vostri delegati. Tutti mi hanno confortato in ogni modo insieme a Policarpo, vescovo di Smirne.Anche le altre chiese vi salutano ad onore di Gesù Cristo. Siate forti e uniti in Dio per il possesso dello spirito indissolubile che è Gesù Cristo.

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05/09/2009 07:39

La perfetta armonia frutto della concordia

Dalla "Lettera agli Efesini" di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 2,2-5,2; Funk 1,175-177)
La perfetta armonia frutto della concordia

 



È vostro dovere rendere gloria in tutto a Gesù Cristo che vi ha glorificati: così, uniti in un'unica obbedienza, sottomessi al vescovo e al collegio dei presbiteri, conseguirete una perfetta santità.
Non vi do ordini, come se fossi un personaggio importante. Sono incatenato per il suo nome, ma non sono ancora perfetto in Gesù Cristo. Appena ora incomincio ad essere suo discepolo e parlo a voi come a miei condiscepoli. Avevo proprio bisogno di essere preparato alla lotta da voi, dalla vostra fede, dalle vostre esortazioni, dalla vostra pazienza e mansuetudine. Ma, poiché la carità non mi permette di tacere con voi, vi ho prevenuti esortandovi a camminare insieme secondo la volontà di Dio. Gesù Cristo, nostra vita inseparabile, opera secondo la volontà del Padre, come i vescovi, costituiti in tutti i luoghi, sino ai confini della terra, agiscono secondo la volontà di Gesù Cristo.
Perciò procurate di operare in perfetta armonia con il volere del vostro vescovo, come già fate. Infatti il vostro venerabile collegio dei presbiteri, degno di Dio, è così armonicamente unito al vescovo, come le corde alla cetra. In tal modo nell'accordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore fraterno, s'innalzerà un concerto di lodi a Gesù Cristo. Ciascuno di voi si studi di far coro. Nell'armonia della concordia e all'unisono con il tono di Dio per mezzo di Gesù Cristo, ad una voce inneggiate al Padre, ed egli vi ascolterà e riconoscerà, dalle vostre buone opere, membra del Figlio suo. Rimanete in un'unità irreprensibile, per essere sempre partecipi di Dio.
Se io in poco tempo ho contratto con il vostro vescovo una così intima familiarità, che non è umana, ma spirituale, quanto più dovrò stimare felici voi che siete a lui strettamente congiunti come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre nell'armonia di una totale unità! Nessuno s'inganni: chi non è all'interno del santuario, resta privo del pane di Dio. E se la preghiera fatta da due persone insieme ha tanta efficacia, quanto più non ne avrà quella del vescovo e di tutta la Chiesa?

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