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Le forme della violenza

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2006 22:04
26/04/2006 22:04
 
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Le forme della violenza

“Dogville” è un film violentissimo. Un film che, per grado di violenza, supera anche quel cocktail di violenza psicologica e fisica che è “Old Boys”. Bisognerebbe interrogarsi sulla violenza rappresentata al cinema negli ultimi due anni, almeno da “Kill Bill” a “History of violence”. Non è la quantità di violenza a essere nuova, ma la sua qualità. Una qualità che, per essere rappresenta, necessita di una nuova rappresentazione.

Von Trier sembra voler mettere sotto barratura l’intera storia del cinema, e ritorna al teatro, ma ad un teatro cinematograficamente inteso come punto zero di una nuova cinematografia e di una nuova storia. Non è detto che questa sia la scelta ultima e vincente. Altre ne potranno seguire. Ma con questa rifondazione von Trier dischiude tutta l’energia di un atto fondativo, valga esso per il cinema, per la comunitá di “Dogville” rappresentata nel film, o per la storia tout court. Qui non è solo la forma del film a essere imposta dal contenuto, ma è anche il contenuto a essere imposto dal tentativo di fondare una nuova forma, perché ogni fondazione richiede la rievocazione della violenza originaria che distrugge e produce nuova forma. Tutta la violenza di Dogville ha, prima di tutto, una valenza estetica funzionale a una nuova fondazione. È richiesta da questa fondazione. Ma qui si gioca un nuovo rovesciamento: quella ri-fondazione è a sua volta necessaria per rappresentare la violenza contemporanea.

Basta leggere il film al contrario: le foto finali di miseria e razzismo che scorrono sulle note Young Americans di David Bowie non sono solo una denuncia della Democrazia che vuole esportare la democrazia, non parlano solo degli Usa, ma parlano dell’ormai palese carattere anti-emancipatorio implicito nella nozione di democrazia liberale. In questo senso Dogville non è solo una piccola comunitá statunitense che festeggia il suo Thanksgiving Day, ma è la comunitá in quanto tale, rappresentata nei suoi infernali meccanismi di esclusione.

Lo sguardo di von Trier è quello dell’entomologo: osserva dall’alto la forma della comunità con i piccoli esseri che la animano, spazza via ogni elemento ornamentale che potrebbe distrarre lo sguardo dello spettatore. Si serva di una finzione pedagogica, che irrita lo spettatore contemporaneo al quale la cinematografia hollywoodiana ha insegnato che si va al cinema per divertirsi e non per imparare. Von Trier invece fa lezione: non solo sulla politica mortifera della comunitá, ma su come rifare il cinema, su come ripensare una forma della rappresentazione all’altezza della rappresentazione della violenza. Il palcoscenico sul quale è segnata la cittadina di Dogville è la lavagna sulla quale viene svolta la lezione. Questa ostentazione di pedagogismo avrebbe dovuto far riflettere. Chi vuole trasmettere le proprie idee, o meglio la propria ideologia, starà sempre ben attento a camuffare ogni elemento pedagogico. L’ideologo ammicca al pubblico, von Trier lo estrania.

Tutto in Dogville, fino al modo in cui sono eseguite le riprese, serve a rendere lo spettatore consapevole dell’artificiosità della rappresentazione. Prima ancora dall’essere un film antiamericano, Dogville è un film antihollywoodiano: lo spettatore non può rilassarsi, ma è costretto a pensare. Deve, prima di tutto, inseguire un paio di millenni di cultura europea, allegorie e richiami al mondo classico. E quando il modulo antiestraniante e hollywoodiano dell’identificazione con il protagonista viene messo in scena, come avviene con la bella star hollywoodiana del momento Nicole Kidman, tutto questo serve solo a gettare rovesciare contro la cinematografia hollywoodiana i suoi stessi moduli.

Allo spettatore non viene solo lasciata la possibilitá di identificarsi con Grace, è portato ad identificarsi con Grace, ma solo per lasciare aperto lo spazio, nel finale, a un autentico shock, capace di risvegliare un sistema nervoso assuefatto da stimoli visivi. Stimoli che in Dogville sono invece ridotti al minimo nel palco nero su sfondo nero.

Dogville è un’espressione di tutta la violenza della modernitá. Nessuno dei personaggi è realmente cattivo, tutti reagiscono a tentazioni, tutti sono piú o meno mediocri. Mediocre e violenta è la retorica del filosofo predicatore e gran affabulatore Tom. Mediocre e non meno violenta è la patetica figura di Vera, la rappresentante della classicitá greca che dá ai propri figli i nomi di personaggi mitici. Violento e mediocre è infine ogni individuo di Dogville che acceterá l’altro, Grace, la grazia, solo schiavizzandola, disumanizzandola e riducendola in catene. Come sovrappiù, Grace viene anche violentata da ogni maschio della comunitá.

Quando, come un dono dal cielo, giunge la Grazia, è Tom ad accoglierla. Tom Edison, l’illuminista che, come il suo omonimo inventore della lampadina, vuole portare un po’ di "luce" nella oscura Dogville. Ma Tom è solo un presuntuoso che usa la sua capacitá retorica per incantare gli abitanti di Dogville. Gioca a dama con lo stupido Bill solo per vincere e mostrare a sé a agli altri quanto sia intelligente. Pare si innamori di Grace, ma in realtà usa Grace per il proprio progetto filosofico, che consiste nell’insegnare l’accettazione attraverso esempi (illustrations). Portare Grace è una delle sue illustrations. Per il resto Tom non fa nulla.

Si spaccia per uno scrittore ma non è in grado di scrivere una sola riga. Non fa che bighellonare dalla mattina alla sera, ma offre a Grace, per farsi accettare, del lavoro manuale, che diventerà sempre piú pesante e sempre meno retribuito. Non fa nulla per Grace, salvo prometterle un futuro di amore insieme. Tom si serve di esempi per spiegare le sue teorie, ma la sua vita è un esempio di fallimento. Tom predica: "Dovete superare il vostro egoismo. Aprite i vostri cuori e fate entrare chi ne ha bisogno. Questo è accettare". Ma i suoi esempi, quando se ne danno, affermano il contrario. Non fa nulla, e quel poco che fa si rovescia nel contrario delle sue intenzioni. Quando potrebbe fare qualcosa, non agisce. L’accoglienza della Grazia diviene negazione radicale dell’accoglienza. Tom è vittima della violenza che egli stesso, inconsapevolmente, alimenta. Vuole portare la luce, fa precipitare tutto nelle tenebre. Dictum ac factum è scritto sulla porta della miniera di Dogville dove Tom fa nascondere Grace. È scritto in latino per spiazzare un tipo particolare di spettatore: l’americano medio fruitore di prodotti hollywoodiani. Non è il gesto borioso di chi si crede superiore; come per altri riferimenti alla cultura classica europea sparsi in tutto il film, e probabilmente ugualmente inintelligibili allo spettatore americano, von Trier intende attaccare dall’Europa la cinematografia americana e lo spettatore che essa, dopo averlo prodotto e riprodotto in ogni format televisivo, continua a coccolare.

A quello stesso spettatore viene gettata in faccia la realtà della piccola comunità americana, paradigma della comunità in quanto tale. "Dogville è marcia fino al midollo", afferma il coltivatore di mele Chuck, fuggito molti anni prima dalle grandi metropoli. Ma Chuck non è migliore, è solo piú schietto degli altri. Sará lui il primo, usando ricatti e minacce, a violentare Grace.

La situazione di Grace peggiora quando la legge – lo sceriffo – entra a Dogville, prima per denunciare la sua scomparsa e poi per segnalare che è ricercata. Si tratta in realtà di un imbroglio imbastito da quegli stessi gangster dai quali Grace scappava nella prima scena del film. Ogni abitante di Dogville sa con certezza che Grace non può essere colpevole, perché ciò che le viene imputato sarebbe avvenuto quando lei era giá nel villaggio. Ció non conta, perché l’irruzione della legge crea l’extralegale. Ora Grace è al di fuori della legge, e la sua inclusione è ancora piú difficile, se non impossibile. Tom le riferisce che la sua accettazione richiede, per gli abitanti di Dogville, una “compensazione”, una “contropartita”, perché tenerla a Dogville comporta dei rischi. Gli abitanti di Dogville parlano così, come Grace non manca di sottolineare, la stessa lingua dei gangster.

Le dinamiche della violenza sono ormai dispiegate. La violenza legale dello sceriffo ha aperto lo spazio dell’extra-legale, nel quale la violenza mortifera della comunitá ha gioco libero. Tremenda è la violenza di Vera che, dopo aver ingiustamente accusato Grace di aver adescato suo marito, mentre sa bene che è stato suo marito a violentare Grace, la punisce distruggendo una a una le statuine che era riuscita a comprare con i pochi soldi del suo lavoro. Quelle statuine che per Grace erano il simbolo della relazione con la comunità. La cultura greca, della quale Vera è innamorata, è utilizzata per aumentare violenza e crudeltà: se Grace, che aveva insegnato lo stoicismo ai figli di Vera, si dimostra abbastanza stoica da non piangere, Vera promette di risparmiarle le statuine. Naturalmente le lacrime scendono dagli occhi di Grace e la violenza della frustrazione e della vendetta in abiti greci è libera di compiersi.

Finalmente, in questo vortice di violenza, Tom ravvisa un pericolo. Non per la sua amata Grace, ma per se stesso. Contro la sua volontà è stata messa in scena la illustration della sua inconsistenza morale: la sofferenza di Grace minaccia il suo futuro di scrittore e di uomo morale. Decide perciò di rivelare ai tanto temuti gangster la presenza di Grace a Dogville. Con i gangster arriva anche il loro capo, il padre di Grace. Il cielo è oscurato dalle nubi, fino a che non spunta la luna, che illumina Dogville di una nuova luce, non piú quella dei lumi di Tom, ma quella della vendetta di Grace riconciliata con il padre. La sua vendetta, operata con i gangster fuorilegge, è simmetrica a quella legale ed extralegale degli abitanti della comunitá. I gangster ammazzano tutti e danno fuoco al villaggio. La natura simmetrica della violenza vendicatrice di Grace è esemplificata dal modo in cui rovescia contro Vera ció che lei le aveva fatto: Grace ordina ai gangster di ammazzare uno a uno i figli di Vera davanti ai suoi occhi, e di smettere solo se avesse cessato di piangere. La differenza tra la violenza di Grace e quella di Vera è solo quantitativa: la violenza di Grace si scatena con una virulenza decisamente maggiore, ma qualitativamente è simmetrica alla violenza subita.

Ora la comunitá mortifera dei gangster distrugge, in nome della grazia, la mortifera comunitá di Dogville. Ma lo fa, esattamente come gli Stati Uniti fanno la just war, “per amore delle altre cittá, per amore dell’umanitá, per amore del genere umano”. Per rendere il mondo un posto migliore bisogna annichilire questa città: “if there’s any town this world would be better without, this is it”. Le due comunitá si guardano allo specchio: la prima comunitá festeggia il Thanksgiving, nel quale viene ricordato il giorno in cui in padri pellegrini giunti nel “nuovo mondo” a bordo del Mayflower festeggiarono la grazia di aver toccato la nuova terra e ringraziarono gli indiani che li aiutarono a sistemarsi, a coltivare il granoturco e a catturare i tacchini, massacrandoli. Questa comunità mortifera viene ora annientata dalla comunitá dei gangster che decide, per amore dell’umanitá, di distruggere quella comunitá con mezzi violenti assolutamente simmetrici a quelli degli abitanti di Dogville. Viene risparmiato solo il cane Moses che, se per tutto il film è stato un disegno stilizzato a due dimensioni, nel finale si materializza. Se un cane è aggressivo, obbedisce alla propria natura, e va quindi perdonato. Non possono essere perdonati gli uomini che si degradano a livello dei cani.

L’ultima, definitiva illustration, quella che Tom non poteva mettere in scena, esige che gli uomini rendano conto delle proprie azioni. Grace esibisce così davanti a Tom la sua illustration, che non è affatto migliore di quella di Tom, ma è avviluppata nelle spirali della vendetta. Il meccanismo hollywoodiano dell’identificazione è usato e ritorto contro se stesso. Identificarsi con la bella Nicole Kidman/Grace significa identificarsi con la vendetta, con la guerra giusta in nome dell’umanità. La vera ultima, definitiva illustration è quella messa in scena da von Trier in Dogville. Dopo che ciascuno ha reso conto delle proprie azioni o delle proprie inazioni, è lo spettatore a dover rendere conto di sé.

La distruzione della violenza della comunitá politica, della violenza illuminista, della violenza della cultura classica e della violenza religiosa della grazia, si ferma a un passo dal nichilismo. Questa serie di distruzioni non è una rinuncia, ma il suo opposto: essa è piuttosto un portare alla fine un’opera iniziata male. È la possibilità di un nuovo inizio. La violenza distruttrice messa in scena in Dogville fa piazza pulita di tutto, ma non per pessimismo o spirito nichilistico. Al contrario, quella violenza scorge nella distruzione nuove vie d’uscita, la possibilità di un nuovo inizio liberato dal peso della tradizione. Il gesto di von Trier, la sua materia estetica plasmata nella forza della distruzione, è questo nuovo inizio. Dall’altra parte… c’è chi aspetta che la Grazia scenda dal cielo.

Fonte: di Massimiliano Tomba, www.jgcinema.org
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