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INTERVISTA A CLAUDIO SABELLI FIORETTI, TRAVAGLISTA

Ultimo Aggiornamento: 19/02/2007 22:16
19/02/2007 22:16
 
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IL GIORNALE
18 febbraio 2007
Stefano Lorenzetto intervista Claudio Sabelli Fioretti


Mi ha lasciato solo. Era il mio doppio, il mio specchio, il mio termine di paragone, il mio faro. Adesso s’è ritirato a spaccare legna in Trentino e io mi sento perduto. Claudio Sabelli Fioretti, 62 anni, il pennino più acuminato del Magazine allegato al Corriere della Sera, era la prova vivente di come si possa infliggere tutte le settimane ai lettori una lenzuolata d’intervista senza che le loro gonadi abbiano a risentirne.

Lui era attratto dai cortigiani e dai voltagabbana, perciò dai potenti; io dai dimenticati della prima Repubblica e dai tipi italiani, perciò dalla gente comune. Lui aveva cominciato nel 1999; io nel 1998. Lui era arrivato a 310, «calcolando a spanne»; io a 406, con questa. Lui staccava tre mesi l’anno per andarsene nel Mali o sull’isola di Salina; io qualche settimana per ferie contrattuali, malattie, lutti. Lui ha sempre detto – nelle interviste, a Prima pagina, nel suo blog – che «il più bravo intervistatore d’Italia è Stefano Lorenzetto»; io ho sempre pensato – e oggi che ne ho l’occasione lo dico – che il più bravo è Claudio Sabelli Fioretti.

Eppure ha deciso di smettere. Incomprensibile. Gli ho scritto. Mi ha risposto: «Non è successo niente di traumatico. Solo tu puoi capire la fatica dell’intervista settimanale. Alla mia richiesta di guadagnare di più e lavorare molto di meno, l’azienda mi ha accontentato per il 50%. Risultato: sono felice, sereno, ho preso un anno sabbatico, poi si vedrà. Appena puoi, fallo anche tu». Sono salito a quota 1.190 per scoprire che cosa c’è sotto. Vive nella più sperduta delle 22 frazioni di Lavarone, dove Sigmund Freud scrisse il saggio su delirio e sogni e Toni Bisaglia veniva in villeggiatura. Quattro masi in tutto. Un posto da dove te ne puoi solo andare: la strada finisce davanti a casa sua e alla chiesetta dalle porte sbarrate. Cime innevate per fondale. Da restare senza fiato. L’ultima volta c’eravamo incrociati per caso all’aeroporto di Fiumicino. Ora lo trovo nel campo che sta cercando invano d’accendere un falò di sterpaglie. Quest’uomo è cambiato.

Eccomi qua. Preparati a confessare.
«Capiti a fagiolo: prima che mi cercassi, avevo dichiarato ad Alessandra Del Re di Libero.it che sarebbe stato bello farsi intervistare da te».

Chi è Sabelli e chi è Fioretti?
«Sabelli era il nonno farmacista, Fioretti la nonna casalinga. A quei tempi si potevano fare ’ste puttanate con i doppi cognomi. Mio nonno nacque Sabelli e morì Sabelli Fioretti».

Solo tu e Michelle Hunziker potete permettervi il lusso di prendervi un anno sabbatico.
«Ho letto. Purtroppo non lo prendiamo insieme».

Sei in fuga da te stesso.
«No, sono all’inseguimento di me stesso. E mi sto quasi raggiungendo».

Sei in fuga dalla condizione umana. «Si fa sempre la stessa cosa», dice un protagonista del romanzo di André Malraux.
«L’anno sabbatico ho cominciato a teorizzarlo solo dopo che il Corriere non mi ha rinnovato il contratto».

Che è successo di preciso?
«La Rcs esigeva almeno due interviste al mese. Io, causa stress, ne volevo fare una sola. Fine della trattativa. Mi sentivo una catena al collo. L’appuntamento settimanale era diventato una schiavitù».

Dagospia sostiene che il Comitato di redazione del Corriere, «capitanato dal poeta Sebastiano Grasso, ha intimato a Paolo Mieli di far piazza pulita di tutti i collaboratori a favore dell’utilizzo dei fannulloni interni», e così sei rimasto fregato.
«Mi pare strano che un poeta possa dare ordini a un politico scafato come Mieli. Il risultato comunque corrisponde. A Barbara Palombelli è andata pure peggio: l’hanno licenziata».

Quanti giornali hai diretto?
«Massimo Cirri, il conduttore di Caterpillar, su Radiodue mi presenta così: “Ecco l’uomo che ha distrutto cinque mogli e 14 giornali”».

Terminator.
«In realtà ho avuto solo tre mogli e sono tutte vispe. Per i giornali siamo lì: ho lavorato a Nevesport, Panorama, Repubblica, Tempo Illustrato, Europeo, Secolo XIX e ho diretto Abc, Panorama Mese, Sette, Cuore, Gente Viaggi».

Gente Viaggi me l’ero perso.
«Non fu un grande matrimonio. Misi in copertina una regina nigeriana, ovviamente nera. Non gradirono. Poi mi licenziarono per “dissensi sulla linea politica”».

Di che camperai nell’anno sabbatico?
«Sono pensionato. Risparmio. Mangio l’insalata del mio orto. Faccio la legna nel bosco. La Forestale mi ha assegnato il lotto 26, tutto faggio. Saranno 50 quintali di roba, hai voglia a bruciarla tutta. Molti dicono di guadagnare poco. In realtà spendono troppo».

È vero che sogni un viaggio Mosca-Pechino-Taskent, 45 giorni di treno?
«Anche un viaggio in Australia con i punti Millemiglia Alitalia che ho accumulato andando in giro a fare interviste».

Teoricamente i punti sono della Rcs.
«Dovrò dimettermi, che dici? Comunque il buono è a disposizione di Mieli se desidera volare in Australia».

Che altro hai in programma?
«Andrò a piedi da Lavarone a Roma. Partenza il 6 giugno con Giorgio Lauro di Catersport, 20-25 chilometri al giorno. Niente di religioso, visto che sono un ateo convinto. Non cerco l’infinito, non marcio contro la fame nel mondo. Sarà un incrocio fra il pensiero debole e il wandering, cioè il corrispettivo del cazzeggio nel viaggio. Ho tirato sulla carta geografica la linea retta più breve da qui a Cura di Vetralla, provincia di Viterbo, dove sono nato. E guarda che località sono uscite».

Vediamo.
«Malo, il paese di Luigi Meneghello. Camaldoli, l’eremo. Castiglion Fibocchi, la villa di Licio Gelli. Combinazione, attraversa pure la casa di Cirri a Palazzuolo sul Senio. I lettori del mio blog possono unirsi a qualche tappa».

Hai figli?
«Giovanni, 31 anni. Si occupa di urban dance a Milano».

Urban-dance col trattino?
«Non lo so. Sono troppo vecchio per queste cose. Quando s’è laureato in filosofia, gli avevo consigliato: diventa presidente dell’Enel. Era il periodo di Franco Tatò e Chicco Testa, filosofi».

Quale dei giornali che hai diretto ti dava più potere?
«Cuore. Però m’è costato in cause per diffamazione l’intero ammontare degli stipendi ricevuti».

Pagherete caro, pagherete tutto.
«Il direttore di Cuore era temutissimo. Molti Vip volevano conoscermi».

Per esempio?
«Armando Spataro, il sostituto procuratore che ha chiesto il rinvio a giudizio di Renato Farina. M’invitò a cena».

Perché Cuore ha chiuso?
«Perché vendeva poco. Il popolo di sinistra è distratto. Ancor oggi qualcuno si spinge fin quassù per salutarmi: “Mi dispiace tanto. Sai, io lo leggevo tutti i mesi”. Coglione, tutte le settimane dovevi leggerlo. Non mi pento del titolo che diedi all’editoriale di commiato».

Non me lo ricordo.
«“Quegli stronzi dei lettori”».

Lo trovo perfetto. Perché a soli 30 anni te ne andasti da Repubblica?
«Perché sono un cretino presuntuoso. Ma devi capire, tutte le settimane con Gianni Locatelli scendevo a Roma per i numeri zero e quando tornavamo a Milano il giornale era già bell’e cambiato. Allora Locatelli telefonava su di giri a Eugenio Scalfari».

E il Fondatore?
«Gli rispondeva: “Sì, avevamo deciso così. Ma poi ieri sera siamo stati a cena da Sandra, a cena da Marta, a cena da... e s’è pensato di cambiare”. Mi sembrava quasi un salotto, non un giornale».

Chi ti ha insegnato di più nel mestiere?
«Lamberto Sechi, il direttore di Panorama che ha creato la più prolifica scuola di giornalismo mai vista in Italia. Gli abbiamo regalato l’albero genealogico dei suoi allievi. Si contavano 30 direttori: Carlo Rossella, Giulio Anselmi, Carlo Rognoni, Claudio Rinaldi, Paolo Panerai, Myriam De Cesco, Luca Grandori, Rachele Enriquez, Gianni Farneti, Gigi Melega, Giulio Mastroianni, Pino Buongiorno, Bruno Manfellotto, Franco Serra, Remo Guerrini, Maria Luisa Agnese, Chiara Beria d’Argentine, Mirella Pallotti... Continuo?».

E nella vita da chi hai imparato?
«Non ho avuto grandi maestri. Oggi il mio migliore amico è Sergio, un idraulico di Spinea che ha una casetta qui e sale per il weekend. Questo è un paese di idraulici veneziani, ma non c’è un rubinetto che funzioni. Arrivano il venerdì sera portandosi scorte di caparossoli e cozze. Fra milioni di anni, quando gli archeologi scaveranno e troveranno le cocce, diranno: “Qui una volta c’era il mare”».

Un collega che detesti. Se non gliel’hai mai notificato, è l’ora.
«Non voglio sottrarmi. Aiutami».

Giampiero Mughini ti ha dato dell’imbecille.
«Chi mi dà dell’imbecille mi diventa simpatico. Prendi Filippo Facci. Avrà scritto una decina di corsivi contro di me sul Giornale. Ora siamo amici. O Vittorio Sgarbi. Litigio drammatico. Pubblicai su Cuore il numero di telefono di casa sua. Per ritorsione, lui mandò in sovrimpressione su Italia 1 quello di casa mia. Mi fece saltare la linea».

Che fai? Scantoni?
«Non mi è piaciuto Alain Elkann. Ha interrotto a metà il nostro colloquio: “Questa intervista finisce qui”. L’ho trovato scortese».

Ho controllato: gli unici che sei riuscito a intervistare per ben tre volte sono, in ordine alfabetico, Gian Carlo Caselli, Antonio Di Pietro e Marco Travaglio. Mi fai paura.
«Ma io sono un travaglista. Tu hai paura di Travaglio?».

Figurati.
«Perché non hai nulla da nascondere. Travaglio disturba per un solo motivo: ricorda ciò che molti vorrebbero fosse dimenticato».

Parliamo del tuo passato, allora.
«Sono un ex chierichetto. Mio padre fu podestà di Vetralla. Fino al 1963 ero di destra. Alle elezioni universitarie mi presentai col Pli. Ma sono l’unico italiano che non ha mai votato Dc e Psi».

Voti Ds, lo so. Chi ti ha rovinato?
«Panorama. Ci arrivai nel ’68, fa un po’ te. Ero in una di quelle che Rossella ha definito “le stanze rosse”».

Simpatizzavi per Lotta continua. Nel 1974 versasti al movimento di Adriano Sofri il 10% della liquidazione avuta da Panorama.
«Erano 700.000 lire. Non me ne pento. Spero che non ne abbiano fatto un uso criminale».

Chi vorresti presidente del Consiglio?
«Mi va benissimo Prodi. Però preferirei un diessino».

Un nome.
«Il leader naturale è Walter Veltroni. Anche se non è mai stata la mia passione. Da direttore dell’Unità, con le sue stramaledette videocassette, è stato il primo a trasformare le edicole in bazar».

Il più simpatico dei potenti che hai intervistato?
«Sandro Bondi. Ne esistono due, di Bondi. Quello gentile, che m’abbraccia quando c’incontriamo, e quello che in Tv vuol sbranare Di Pietro».

C’è qualcuno che ti ha detto no?
«Un’infinità: Lilli Gruber, Lucia Annunziata, Lapo Elkann, Anna Craxi, Luciano Moggi, Francesco Totti, Fiorello, Afef. Qualcuno non mi ha nemmeno risposto, come Berlusconi».

Come te lo spieghi?
«Non posso pensare che Berlusconi abbia paura di me. Ho intervistato sua figlia Barbara, il suo medico personale Scapagnini, il suo innamorato Bondi, il suo sodale Dell’Utri, il suo fedele Fede, tutti i suoi avvocati, da Pecorella in giù, e nessuno s’è lamentato. Fammi fare un appello: Cavaliere, la prego, solo qualche domanda!».

Mai stracciata un’intervista?
«Sì, a Sergio Japino, il compagno di Raffaella Carrà. Io m’ero preparato male e lui non aveva niente da dire».

C’è una domanda che non avevi il coraggio di fare?
«In alcuni casi mi sembrava giusto chiarire se il mio interlocutore fosse omosessuale. Allora ci giravo intorno. Mi sono fatto violenza con Alfonso Pecoraro Scanio, Dolce e Gabbana, Gianna Nannini, Barbara Alberti».

Con D&G potevi soprassedere, ti pare?
«Usavo un ignobile trucchetto: che percentuale di femminile c’è in lei?».

Lo uso anch’io: in te?
«Il 25%. Ma non ho mai professato. Non ho ancora trovato un uomo abbastanza bello».

Gioco della torre, il tuo tormentone. D’Alema o Veltroni?
«Butto di sotto D’Alema. E mi costa. Appartengo al club di coloro che si sono stufati di dire che D’Alema è intelligente. Ogni tanto l’intelligenza dovrebbe produrre dei risultati. Se lo confronto con Achille Occhetto, che ha cambiato la storia del Pci e ora lo considerano buono solo per i giardinetti...».

Paralleli storici. Silvio Berlusconi o Arnaldo Forlani?
«Butto Forlani. Berlusconi è stato un grande innovatore, ha svegliato un po’ tutti. Ma resto fra coloro che lo ritenevano pericoloso per la democrazia».

Talmente pericoloso che il giornale pubblicato da suo fratello e dalla Mondadori mi permette di fartelo dire.
«Le due cose possono convivere. Dipendesse da lui, quest’intervista sarebbe già finita».

Elkann ti ha traumatizzato, ammettilo. Enzo Biagi o Giorgio Bocca?
«Biagi è un signore molto perbene che sta invecchiando. Bocca invecchia anche lui, però male. Si lamenta perché le colf extracomunitarie non sanno fargli il bollito. Che mangi un uovo sodo!».

Paolo Mieli o Ferruccio De Bortoli?
«Non si butta mai il proprio direttore. È una regola che ho imparato nelle mie interviste sulla piaggeria».

Vuoi farti una domanda e darti una risposta, così accontenti Gigi Marzullo?
«Sono stato due volte ospite di Marzullo a Mezzanotte e dintorni. È una brava persona. Mi ha confessato che ha le tende di casa, i divani, le camicie e le mutande coordinati: tessuto a strisce biancoazzurre. Da laziale, mi sono commosso».



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